Scuole e analfabeti

Scuole e analfabeti Scuole e analfabeti I Alcuni anni or sono due inglesi scrissero In collaborazione e pubblicarono un libro sul nostro paese: Ualy to-dau, l'Italia di oggi Di questi due l'uno, il BoiUai King, era lo etesso autore di quella, Hislory of Italian Unity, che, tradótta in francese da almeno dieci anni, doveva vedere la luce da noi appena l'anno scorso, nella diligente versione del Comandini, che osiamo sperare sia nota al gran pubblico, perchè è la migliore storia del nostro Risorgimento che sin stata mai scritta; per avventura lu più equa e certo la più piena di ingegno e di intelligenza. Opera,' come altri ebbe a dire, non soltanto elaborata con conoscen>za completa del vasto materiale erudito di quel periodo, ma notevole più specialmente per la finezza e l'equilibrio del giudizio, che mette sotto giusta luce uomini ed avvenimenti controversi, e (testa quasi di contìnuo quella perfusione, quell'intimo assenso che ogni storico véro deve suscitare nei propri lettori. Ebbene, il King, dopo avere studiate le nostre origini, volle proseguire nelle sue osservazioni fino allo studio e alla ricerca della nostra vita più propriamente contemporanea, e insieme all'Okay ci diede appunto quella.sua Italia d'oggi che latta tradurre e pubblicata dal Laterza ebbe in poco tempo meritata fortuna, ed è ora alla terza edizione italiana. La nostra attuale vita politica, sociale, economica, morale, investigata con grande serietà di preparazione e con quella naturale disposizione dell'ingegno che hanno gl'inglesi nell'osservare la vita collettiva dei nopoli, è come raccolta e ordinata in questo libro di disegno lar^n e sicuro, e in alcune parti efficacemente colorito. Efficacemente? Certo, ma appunto per ciò la lettura di queste pagine riesce spesso tutt'altro che piacevole e gradita a noi italiani. Ci sono punti nei quali la penna dei due scrittori si fa aspra come quella di un cancelliere intento a distendere gli atti di un processo. Studiare la nostra vita contemporanea vuole dire, purtroppo, in molti casi, sottoporla a un processo, dal quale essa non è ancora in grado di uscire completamente libera. La condanna di molte eose nostre, di molti sistemi e istituti, di molte forme e spiriti del nostro vivere sociale e politico, anche dove non è chiaramente espressa nel libro dei due imparziali osservatori, appare pur sempre sotto il velo della loro benevola indulgenza. Anche essi ripetono il detto comune che l'Italia è fatta da%oppo poco tempo per potere competere in civiltà con le nazioni d'Europa più antiche ; ma in realtà ci fanno capire che in mezzo secolo di vita avremmo potuto fare di più, avremmo potuto progredire meglio, se ci fossimo liberati con più energia e coraggio di certi brutti mali che la vecchia educazione non poteva nemmeno vedere, non che guarire, ma che la nuova doveva combattere non appena li ebbe riconosciuti, con una scelta migliore dei mezzi, con una volontà meglio temprata alla lotta, e con una fede più vigorosa nelle nostre sorti future. Se anche non vogliamo dire che questa sia un'accusa, dobbiamo riconoscere che si tratta dell'enunciazione di una verità dolorosa. Si legga, ad esempio, il capitolo che il Bolton King e l'Okey dedicano all'istruzione in Italia. Questo capitolo, essi confessano, è « il più triste della storia sociale Ì£T<&^aC*Z?£°J* oP™°wSZ^' n'mriilTfll*onvQ nn7innnla o iitì r\ ì crirrn r\ Tiri- I d'indifferenza nazionale a un bisogno primario, di un ritardo presente, -che dà all'Italia, dopo il Portogallo, il triste primato dell'analfabetismo nella Europa occidentale ». Non è già, aggiungono, che le buone intenzioni siano mancate. Ma queste sono state viziate dalla mancanza di coerenza nella legge o nella politica. « Leggi, regolamenti e circolari ministeriali si urtano l'una con l'altra, compromettendo ogni stabilità col disordinato loro contraddirsi. Dal 1860 ci sono stati 33 ministri della pubblica istruzione, ciascuno desideroso di distinguersi rovesciando l'opera del predecessore. Il danaro è stato lesinato ; lo Stato e i Comuni, prodighi in ogni altra cosa, hanno fatto economia nel più fruttifero degli investimenti nazionali. Il Parlamento che ha profuso milioni in spese militari c in lavori pubblici improduttivi, dà alle scuole la parte loro con mano avara... Dei Comuni che possono trovar modo di costruire case comunali, sussidiare teatri, elevare monumenti e spendere per luminarie e fuochi artificiali, non si vergognano di alloggiare le loro scuole in stalle, e lasciano che i maestri attendano lungamente il loro meschino stipendio... », Dopo di che essi danno conto ai lettori inglesi, — e questo pensiero ci fa diventa- elioni1 r^ondenti'es^ rita, - danno conto minutamente dello statò della scuola elementare in Italia e della diffusione enorme dell'analfabetismo I nell'Italia di mezzo e in quella del me:-. - Biorho. Fino a concludere che «l'inseg. • mento nella maggioranza delle scuole [,. i,piccole è peggiore di quello di una cattiva scuola inglese di villaggio ». **# Non si può diro che queste crudeli rivelazioni abbiano perduto oggi, dopo qualche lustro, il loro valore. Parlando della nostra scuola elementare, il-King e l'Okey avevano davanti a sè la relazione del Torraca per gli anni 1895-1896; ma quella recentissima del Corradini, che ancora non è nemmeno finita tutta di stampare, e che si riferisce agli anni 1907-1908, avuto riguardo al tempo ohe da allora è trascorso, non può assolutamente attenuare la gravità del loro giudizio. Anzi, ed fa sempre più persuasi che in tanti anni l'Italia non è migliorata, in fatto di istruzione popolare, quanto era suo dovere, quanto è sua necessità. Nel capitolo dei due inglesi si potrebbero oggi sostituire alle vecchie cifre cifre nuove, frutto di più recenti inchieste; ma le nuove cifre conserverebbero ancora la terribile eloquenza delle altre, e ci direbbero chiaro e tondo che anche oggi le nostre scuole per il popolo sono insufficienti, che i Comuni e cittadini non sentono ancora l'obbligo dell'istruzione, che le Amministrazioni locali e lo Stato sono ancora lontanissimi dal fare quello che dovrebbero già aver fatto da qualche decennio. Insomma, il censirne 'i del 1901 constaledia degli anal-•ra del 48.5 per ' fa, in Italia, sapeva leg" la 'Sicilia, di analfaì suscetti'a in Ba■*5.39 per unge la to non tava che la per fabeti, in tutt cento. Clie su due gere ' e* è ancora il culmine: la Provincia di Cosenza superava, nel 1901, il 79 per cento. E' questa la constatazione' di un fallimento enorme delle istituzioni scolastiche, che molti credono limitato alla sola Italia del Mezzogiorno. Ma questi molti sono in errore. In alcune regioni l'analfabetismo è veramente diminuito di assai, e se ai pensa che nel censimento del 1872 la media che lo rappresentava nella penisola era del 68.8 per cento, anche nel nostro 48.5 possiamo trovare qualche ragione di compiacimento. Ma dobbiamo badare a una condizione ìli fatto: che, cioè, mentre l'istruzione si è realmente diffusa in alto grado in alcune regioni, ha fatto progressi debolissimi nelle altrù, che conservano anche oggi medie rilevantissime oli analfabeti. La Provincia di Torino, ad esempio, ha appena il 13.2. Ma Genova rappresenta già il 26.9. In Lombardia abbiamo la Provincia di Como, rappresentata dui 15. Ma Mantova sale al 36. Nel Veneto, Rovigo tocca, anzi, supera, il 45: il che vuol dire che la media generale del 48.5 è quasi raggiunta da una provincia del nord. Discendiamo nell'Italia eentrale. A Bologna la media è già ulta, del 38. Mn nella finitima Provincia di Porli si rntrchincre i 11591Ciò*[siiwàdl^tbla^a^Jnerale, tutto a scarico di quella Italia deliMezzogiorno, alla quale si vorrebbe far : portare tutto il poso delle nostre ver?oene. |Non basta ancora. Ad Arezzo, la media èlanche più alta: 61.3! Penetriamo nelle Marche, e troviamo Ancona con 55.2; e Ascoli Piceno con 69. 3. E finalmente Teramo . eon 74.9; Aquila con 60.1; Avellino con. 7.3.9; Bari con <0.i; e cosi via. Cifre spaventose, che non possiamo W-! • gere senza pensare a un vero e proprio j• .™.«.M-'fallimento n'uinmlo rìoll'lstirnrn anni àsti ™ ^ n^z,onalede|.l Istituto scolasti-. co, a una miseria diffusissima dei Comu-ni, a una insufficienza amministrativa pa-1 ri alla miseria, e alfine alla impotenza I assoluta dello Stato a fare osservare la I legge dell'istruzione obbligatoria. Perchè ì se lo Slato, dopo avere promulgata la leg- ! ge, l'avesse fatta osservare, è chiaro che ! l'analfabetismo non sarebbe rappresentato da tanta mostruosità di cifre. In realtà lo Stato ha promulgata la legge, ma non ha fatto poi altro. E se in certe regioni del settentrione l'analfabetismo è diminuito, questo progresso si deve non allo Stato, ma alla regione stessa, al suo evolversi economico, alla sua espansione commerciale, alla sua iniziativa, alla sua ricchezza. Il Ministero della pubblica istruzione non c'entra per niente. Per l'istruzione popolare nel Blellese, ad esempio, hanno- fatto più alcuni industriali, alcuni privati, che non dieci ministri della dea Minerva. Ancora: non fa certo piacere sentirci dire da uno straniero che molte delle nostre scuole sono vere e proprie stalle. Ma se proseguiamo nella lettura di questa recentissima relazione, ci accorgiamo che purtroppo in Italia la scuola è ancora così impopolare, che non tutte le stalle sono disposte ad aprirle la porta e a darle ospizio. In certi paesi non ci sono nemmeno le scuole-stalle. Ci sono le stalle sole I In Italia sommano a parecchie centinaia di migliaia i fanciulli che non soddisfano all'obbligo dell'istruzione elementare ; ma : ,,, • i se dall oggi al domani questo esercito del- la miseria e dell'ignoranza si convertisse all'istruzione e allo studio, e lo si volesse fare entrare nelle scuole, queste scuole non ci sarebbero, perchè non furono mai costrutte, non furono mai preparate per loro. Mancherebbero, e possiamo senz'altro dire che mancano, i locali. La legge dell'istruzione elementare implica in sè un do- ÀH*U~r. ~o si rii-if.r, r,r,r.'vere e insieme uri diritto: ma il diritto non,fu sentito come tale dal popolo; e il dovere \ non fu saputo mai imporre come tale dallo{Stato. Non mai fu più vera la massima ! che ogni popolo ha il Governo che si me-Inta ' * F^JX «g P1^». Comuni rurali, cioè appunto, là dove più necessaria sarebbe la presenza e l'opera del maestro Che se nel concetto ideale ogni maestro deve essere un aposto 1?. non si può certo pretendere nella realtà che centinaia e centinaia di giovani, ai p vi «rnin nuche altri cimi C'è ocei una! wiWtoA^S<So^It^»— una vera crisi magistrale: non si for-, mano abbastanza maestri. Il loro numero, non cresce in proporzione delio esigenze. Anzi, se crescono le maestre, diminuiscono j di molto i maestri. Anche in un Comune ; come Torino, si nota subito la sproporzio- ! ne fra il numero degli uni e il numero causa nei regolamenti scolastici, ma la ! causa prima, vera, è all infuori dei rego- j lamenti; è nella misera condizione econc-; | mica che attende il maestro; non dico nei i grondi centri, nelle città ricche, e nemmeno ; quali possono essere aperte le vie della ! ricchezza, del benessere, dei comodi, con, un po' di industrioso lavoro, con un po i di iniziativa e buona volontà, vadano prò-1 prio a scegliere la missione così poco prò- ! ficua dell'apostolo, e invece di pensare es- ; si a lavorare e a istruirsi e ad arricchirsi ' per proprio conto, come vuole il fervore e- conomico e industriale che li circonda, si'ritirino in una stalla o fra ouattro naivti i mirino in una stana o ira quattro pareu ldi una cucina, o magari, dove non ci sono nemmeno quelle, si siedano su un cucuz zolo sassoso di monte, all'ombra di una frasca, a insegnare l'a-bi-ci a quattro ratguzzi di contadini o di pastori. E così accade che spesso dove non mancherebbe la scuola manchi il maestro. Conseguentetmente non ci possono nemmeno essere gli scolari. Basti dire che nell'anno 1908-1909 i moltissime furono le scuole dovute chiude-1re per questa ragione, e per citare qualche icifra, in Provincia di Ancona, se ne con-1tarono 42; in quella di Aquila 66; lo stesso numero che a Cagliari; a Salerno 99. a 'Teramo 54, a Bergamo 387. Dico trecentot tantasette. Per ogni centinaio di maestri che mancano, ecco subito migliaia di.analfabeti che pullulano. Questi che abbiamo rapidamente toccati non sono che alcuni lati del complesso problema scolastico. E diciamo: se è vero jche nella scuola si riassume il problema 'dell'essere o non essere di un popolo, a che Ipunto è. l'Italia del suo presente' e del suo 1 ' avvenire? Auguriamoci che a questo punto interrogativo, per virtù e per gli effetti della nuova legge sulla scuola primaria, si possa d'ora innanzi rispondere: «L'Italia è sulla via della sua completa riabilitazione ». LUIGI AMBROSINI.

Persone citate: Bolton King, Comandini, Corradini