Dalla spada di Napoleone al diadema della Taglioni

Dalla spada di Napoleone al diadema della Taglioni Dalla spada di Napoleone al diadema della Taglioni tre secoli di storia hanno fornito agli wdinatori della mostra retrospettiva francese preziose e curiose memorie iconografiche ed epistolari : l'ottocento ha loro concesso di rievocare pagine di storia non meno interessanti pei dotti, ma più vive ed affascinanti pel gran pubblico. Sono eventi di cui non si ò spenta ancora la risonanza diretta nello nostre fibre, figure ancor vivo nei nostri occhi o nella nostra memoria. Una intera sala, la maggiore, è consacraa alle campagne napoleoniche in Italia. Non più l'eleganza agghindata del rinascimento o quella sottilmente graziosa del settecento, non più le rigide calligrafie gotiche e quelle elegantemente decorative del cinquecento e del seicento: la febbre dei nuovi tempi precipitosi sembra tradursi nella baldanza dei visi, nella libertà fantasiosa delle fogge vestiario, nella scrittura noncurata e frettolosa. Alla semplice curiosità storica sottentra un palpito involontario quando in calce a qualche autografo scara' becchiate con furia, si decifra un nome magico: Napoleone. L'ardore e il fremito della pugna sembrano vibrare da quelle ligure che paiono slanciarsi dai quadri con piglio animoso, da quei proclami i cui caratteri tipografici mal allineati rivelano la fretta della composizione, da quelle lettere scritte sul tamburo nell'ansia di una lotta o nell'ebbrezza di una vittoria. Dalle armi, dallo vesti, dai quadri sembra vaporare l'atmosfera eroica dell'età meravigliosa. Ii'iiisieme è stato disposto con accorgimento. Attorno al soffitto covre un fregio di ligure eh grimillc, dato dal Musée Carnavalet. Nel centro della parete maggiore sta un gran quadro di Monsiau: è la proclamazione della Repubblica Cisalpina, ai Comizi di Lione del 26 gennaio 1802. Il pallido córso c proclamato Presidente. Ne vediamo il magro viso giovanile, animoso e fremente fra le ciocche dei capelli sconvolti, in un bel busto del Corbet: lo rivedin ino a cavallo, nella vivacità della redingoti: purpurea, in un gobelin. E nell'altro arazzo che lo fronteggia vediamo uno degli eroi dfilla gran gesta: Dèsaix che cade a Marengo nel fulgore della dura vittoria. E tul.t'attorno da altri quadri appaiono le figlile dei marescialli: Scherer, Massella, Morali.... Una serie di acquerelli evoca le pagine dell'epopea, da Arcole al San Bernardo: nelle vetrine sono sciabole, pistole, miniature; nelle cornicette: proclami, incisioni, lettere. Gli occhi si arrestano su una lettera del cittadino console, datata da TX dine, scritta sopra un foglio intestato da un fregio in calcografia, in cui si felicita col generale Vial per la ricuperata salute e gli ordina di raggiungerlo ad Udine ; si indugiano sopra qualche stampa: un Halle (in de l'Armée. d'Italie dell'8 brumàio, anno 14 in cui si annunzia la presa di Caldiero; leggono le sonanti parole della stampa originale del manifesto di Bonaparte i Ai popoli della Repubblica Cisalpina t, del 21 Brumaio dell'anno VI...: « Vous ctes, après là France, la république la plus populeust, laplus ridi e. Vous étes le premier exemple dans l'histoire d'un pcu.ple (/ai devient libre mhs faclious, sans revolution, et sane dcchiscments... » ; guardano in un busto marmoreo il duro viso della sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi, principessa di Piombino; in un quadretto il viso infantile di Eugenio di Beauharnais, vicere d'Italia. Ricca c la collezione delle miniature: noto quella di Bonaparte per mano di Isabey, in ligura cii un pallido giovane che nell'abito rosso sembra un ecclesiastico, quelle di Moreau, di Eugenio Beauharnais, del principe Borghese, e quella bellissima di Elisa; più ricca ò quella delle armi: vi è la spada di Napoleone in forma di gladio romano, rigidamente classica, la sciabola di onore del maresciallo Augerau e quella di servizio di Macdonald, la sciabola offerta dalla città di Milano ad Eugenio di Beauharjiais con la leggenda: Dio me l'ha data: guai a chi la tocca'; uno sciabolone di Dosai*, fabbricato ì Costantinopoli e recante un'iscrizione areòa, la spada di Murat, una carabina di Ke.lermaiiu, duca di Valmy, la sciabola d'on >re di Massena. Varie sono quelle di Napoleone ; una con l'impugnatura a. beceri à àquila, un'altra con un'iscrizione in caratteri arabi : <t Tu. schiaccerai i tuoi nemici e proteggerai i mussulmani »; ve un paio di ricchissime pistole incrostate d'oro e istoriate da sfingi : fucili d'onore dati dal consolo e dal re agli eroi delle sue battaglie. E non manca il trouo: a dorsale tondo, riccamente scolpito, dorato, teso di velluto rosso tramato d'oro. *** Dalla Repubblica Cisalpina si balza al regno d'Italia. La documentazione scade in pompa ed in ricchezza ma la curiosità si fa anche più viva. Sono dapprima ritratti e documenti di rifugiati politici italiani: Garibaldi, Manin, Bixio, Orsini. E di Orsini vi c un preziosissimo cimelio: la minuta •■ìgiallita, sgualcita e lacerata della famosa ietterà da lui scritta dal Carcere di Mazas alla vigilia della esecuzione, a Napoleone, in cui lo supplica pel bene stesso del suo tro> rio, c per l'equilibrio europeo di rendere la indipendenza all'Italia. Si può sorridere de gli errori di ortografia del rivoluzionario che scriveva sacri/ficea con due effe, ma non si dimentica che quella invocazione fu non ultima spinta a Napoleone verso l'im presa della campagna del cinquantauove. E come prologo ad essa è bene avvicinarvi una lettera che si assicura inedita, scritta da Daniele Manin da Parigi, il 20 maggio 185G a Valerio, con una fine calligrafia regolare, quasi femminile e con una digni tosa lietezza. Manin vi si difende dall'ac cusa di tradire gli interessi dell'Italia, consigliando il partito nazionale a confidare nel la monarchia piemontese. Il partito uazio nqscztasecaEdbsptpgcrnmccdrteNgslotlgdcnbvgsvddrsmmPSpsrmggcdrclcqmdcecnvzcrccdd naie deve aver fiducia in lei, « finche ed in quanto questa cammini audacemente allo copo comune : l'indipendenza e l'unificaione d'Italia ». Come nella sala precedente, per le bataglie napoleoniche, auche in questa, una erie di acquerelli e di oleografie illustra i ampi della campagna del cinquantanove. E anche qui pendono dalle pareti i ritratti dei marescialli del Secondo Impero: la bionda figura di Mac Mahon, Vaillant, Epinasse, Renault. Di contro stanno i ritrati del principe Gerolamo Bonaparte e della principessa Clotilde, per mano di Héberfc, giusta evocazione delle nozze principesche he furono preludio della campagna liberatrice, e il ritratto in arazzo di Napoleone III. In una vetrina sono commoventi memorie della campagna: brevi parole evocatrici di giornate memorande: un dispaccio delle 8 del mattino dell'8 gennaio 1859, da Milano a Parigi, al ministro della guerra: c L'empertur et le roi de Sardaigne entrerei à Milan. La reception est magnifiqtte et pleine d'enthousiaame ». In una lettera, Napoleone III con quella sua calligrafia leggera e negletta che sembra immagine del suo carattere debole ed esitante, annunzia la presa di Castenedolo. Vi è il trionfante ordine del giorno, scritto la sera della battaglia di Solferino: l'ordine autografo del'Imperatore al Generale Anselme di raggiungere Pozzolengo ; l'originale dell'ordine del giorno dopo la presa di Palestro ;. la? copia della lettera scritta da Vittorio Emanuele al colonnello del 3.o Zuavi che combattè sotto i suoi ordini a Palestro. In due vetrine sono raccolti ricordi della campagna: le spalline, le armi, i bastoni di maresciallo di tre degli artefici principali della vittoria: Mac Mahon, Canrobert, Baraguay d'JHillier. Da un lato la mortale maschera di Cavour sembra assistere con calma sicu ra al compiersi degli eventi congegnati dalla sua gran mente ; da un altro lato il nizzardo mostra, in una lettera a Re Vittorio, la sua modestia e il suo disinteresse di uomo di Plutarco: « Nizza, 21 novembre 1859. Sire, Secondo il desiderio della Maestà Vostra partirò il 23 da Genova per Caprera, e sarò fortunato quando voglia valersi anco ra del mio debole servizio. La domissione mia, chiesta al Governo della Toscana e al generale Fanti, non è ottenuta aucora: prego la M. V. si degni ordinare mi venga concessa. Con affetuoso rispetto di V. M dev.mo G. Garibaldi ». bpsimtrUn'ultima sala ci attende : sono le memorie di trionfi italiani in un campo in cruento : il teatro, e sotto tre diversi aspetti : la drammatica, la musica, la danza. Il campo è sterminato, ma questo saggio, per quanto contenuto in modesti ccifini, non manca di interesse. Sono dapprima ricordi di quella Commedia Italiana che ebbe tanto favore ed anche tanti nemici nella Parigi del seicento e del settecento. Vediamo gli originali dei cartelloni, allora più modesti di dimensioni, ma più ricchi d'arte, di quelli odierni: ve n'è uno che annunzia la rappresentazione di Arlequin Gran Visir; un altro dice: Les comediens Itulicns Ordinaircs du roi donneront aujourd/iui Mcrcredt 16 Decenibre 1771: L'Amourcux de quìnze ans, omèdie en trois actes métte d'aricttcs. Incisioni da quadri di Watteau mostrano scene della commedia italiana e La partenza dei comici italiani da Parigi nel 1697. Dalla drammatica si passa alla musica. Vi un bellissimo ritratto del Lulli, in atto di suonare la chitarra, ritratti della Grassini e della Catalani, dipinti dalla Vigée Lebrun, ritratti in litografia ed incisione di altre celebri ugole, maschili e femminili, la Grisi, la Malibran, Tamburini, Rubini, la Tadolini, la Pasta. Talvolta queste evocazioni iconografiche non sono senza qualche delusione: così la- divina Malibran. quale è raffigurata nella miniatura offerta dagli abbonati della Fenice nel 1835, appare anzichenò bruttina. Meno brutta, ma tutt'altro che bella nel viso paffuto si mostra una dauzatrice famosa: la Taglioni, della quale! c'è il diadema del quale usava abitualmente cingersi il capo. Dopo le cantanti e le danzatrici, i musici: busti e ritratti di Paisiello, Spontini, Cherubini, Paganini, Rossini, Verdi. Una vetrina raccoglie una preziosa mostra d'autografi di Lulli, Salieri, Pergolese, Paisiello, Cimarosa, Sacchiui, Carafa, Spontini, Zingarelli, Rossini. Vi sono le ultime note scritte da Cherubini. Vi è una curiosa lettera di Spontini in cui si lamenta che per un'economia di qualche lira sul numero degli esecutori, un'effetto di arpa, nella sua Vestale riesca completamente diverso dalle sue intenzioni... A chiudere la rassegna teatrale c'è infine un cimelio che attirerà particolarmente i torinesi. E' uno di quei ventagli che il Re di Sardegna usava distribuire alle principali signore della nobiltà piemontese, a cui concedeva l'uso di un palco al Teatro Regio, e che faceva trovare nel palco la sera della prima rappresentazione. In esso erano di pinti i cinque ordini di palchi con l'indi cazione dei titolari. Un ventaglio simile risalente al 1785, appartenente ad un collezionista torinese fu pubblicato anni sono in occasione della riapertura del Regio restaurato. Questo dev'essere di qualche anno più antico, ed è possesso del Musèe Carnavalet. In quelle minuscole caselle, fra i tanti nomi di famiglie spente se ne ritrovano non pochi di ancor vive: i Trinità, i Brichera&io, i San Giorgio, i Collegno, i Robilant... La mostra storica francese che a commemorare il cinquantenario ha condotto qui tanti preziosi ricordi di parentele principesche e di campagne di guerra, ha voluto concludere con un cortese ricordo delle glorie teatrali di lo- udntmcglccsmpatSgmlgrdOilptsdcttplsrsbsistirmpsitCst ino. Non è avventato prevedere che queta mostra sarà una delle attrazioni più vive dell'esposizione intera: e sarebbe bene he da questa iniziativa straniera, Torino, raesse la spinta a costituire nella nostra^ città un Musco che ancora manca; un mueo storico del Piemonte, prima che lo smembrarsi e l'estinguersi delle vecchie famiglie piemontesi disperda i documenti del pas-| ate, che ancora rimangono. Sarebbe una,| mmagine viva del vecchio Piemonte: unaj mostra aneddotica più eloquente ed educativa di ogni libro e di ogni celebrazione retterica. E. T.