Mosca, o l'illusione

Mosca, o l'illusione Mosca, o l'illusione osracorrsponenzaparticoare) bl X i Mosca, Novembre. Quando, sullo scorcio del primo decennio dello scorso secolo, madama di Staci salì, per contemplare il panorama della vecchia metropoli russa, i duecentotrentaaei gradini del campanile di Ivan il Grande, avvertendo la convenienza di convenienza di pronunziare una frase degna di sò e della circostanza, escla- «nò,.suppongo con la punta d'enfasi che le era abitualo:' ,— Voile là Rome tartarei Senza dubbio credeva fare un compii- mento ai russi che l'accompagnavano. Tut- tavia la frase, la quale rivelava una cultura alquanto ad orecchio, non crea* abbia ec- cessivamente lusingato gli astanti. Anzitutto perchè deve aver lasciato loro il sospette che l'illustre viaggiatrice confondesse la ca- pitale degli Zar moscoviti con Kazan, la capitale dei Khan tartari, la qualo sorge, manco a farle, apposta, su 6ette colli prò- prio come la Città Eterna. In secondo luo- go perchè i russi amano, anche in fatto di iperboli, passar© il segno. Un proverbio cne è loro caro dice : « Al di sopra di Mosca ■non v'ha che il Kremlino, al di sopra del Kremlino non v'ha che il cielo ». E il mot- to non potrebbe significare meglio l'ingenuo «lovmiamo.che è alla base dello spirito moscovita. Non solo essere 1 primi, ma es- sere gli unici. E' un po' quello che i pari- gini dicono di sè stessi. Solo che nel caso dei moscoviti il preconcetto si spiega di più. Poiché i parigini possono essere stati a Londra; ma ì moscoviti certo non sono etati a Parigi. Sono stati a Tuia, a Penza, « Twer: m provincia, e nella provincia rossa. La loro esperienza in materia di son- tuosità urbane giustificherebbe quindi pre- eunzioni anche più arrischiate. Coi suoi pa- lazzi di mattoni, con le sue cupole sfavil- lanti, con le sue vie popolose, come non sa- irebbe Mósca, in mezze, al deserto delle Ter- re Nere, la meraviglia delle meraviglie, il principio e la fine del mondo? Ed ò dunque là meraviglia delle meraviglie, il principio e la fine del mondo. La metropoli dell'asso- niamo insegna sopratutto come ogni cosa è relativa. 'Le antiche nomenclature locali hanno fis- eato dall'inizio la misura dell'esaltazione. Vestibolo Sacro, Porta d'Oro, Salvatore dieta-o la Griglia d'Oro, Camera d'Oro, Ca- mera d'Argento, Re dei Cannoni, Regina delle Campane: lo sfarzo degli aggettavi, ia magniloquenza verbale dicono la sorpresa, la reverenza, il rapimento delle umili fan- tasie barbariche. Dovunque, i moscoviti vedono oro, argento, gemme, spetta- coli di bellezza e di fasto. Meno accorti di noi latini, la loro filosofìa spicciola ignora ohe non è tutto oro quello che brilla. Al contrario, per essi tutto quanto ncn ò interamente opaco, grigio e scabro, è oro, è gemina,' ' è dovizia, ò potenza. Alla ' lunga, il prestigio delle parole si è aggiunto al prestigio delle cose. Mosca, la Santa, la Bianca, è venuta circondandosi di un'aureo- la prodigiosa, dove i nomi, ancora pm che ..luoghi, splendevano come soli. La città ò .comparsa, si può diro, rapita in un'assun- TS &^ÌrZ lìltot«Tt^St c un po cisposi del popolo non hanno più veduto ohe un enorme globo di luce pog- ciahte eopra lo nuvole Il secolo XIX ha tentato ricavare da ciò 11 nocciolo dall'Idea russa incarnandola in un partito che si chiamò slavofìlo e ohe oggi si chiama farse nazionalista. Ma fu tentativo sterile, giacchè più che. di idee era là effettivamente questione di realtà mate- riali, di elementi concreti. Solo intellettuali per principio potevano vedere in quell'ade- xazione supina qualcosa di mistico e di eimbolico. Di fatto essa si riduceva a un fenomeno di idolatria. La Russia, la Rus- eia del popolo, non vedeva in Mosca un Pa- latino o un Vaticano, la cifra sensibile di quei concetti astratti del temporale e dello 6pirituale che sembrerebbero indispensabili alla nostra mentalità più complessa: poiché nello Zar essa adorava l'uomo e non il Go- verno, come sino a un certo segno potrebbe dirsi che adorava nelle immagini l'immagi- ne é non la divinità. In Mosca essa vedeva sopratutto Mosca, ia città - erande con molte Case con te w raiwi grana», «jb moii« obbc, con io chiese di pietra, con le mura di mattoni, con le cupole di metallo, con te icone fre- giate di perle. La sola città ohe fosse antica o ohe almeno permettesse di veni, creduta tale. Là c'erano edifitó innalzati da altri uomini, in altri tempi. H più spesso, è vero, non si trattava se non di copio recenti di originali'bruciati. Ma sorgevano al mede-«imo posto, portavano l'istesso nome, e il popolo poteva candidamente istituirla eredi della vetustà dei primi. Usi allo intona- oature periodiche applicate con burocratica disinvoltura, i russi hanno sempre ignorato la 'squisita fisima delle pàtine. Essi non conoscevano che il legno dei loro villaggi effimeri, costrutti due o tre volto per ogni generasiene, privi di fieonomia certa, votati ai fuoco prima ancora di nascer», migranti da un luogo all'altro. Mosca, invece, il Kremlino, sia pure riedificati e rinnovati di' pianta, erano sempre là e sempre quelli, Di padre in figlio, essi ve li ritrovavano: e pareva loro questo il più grande dei miracoli. Nella assoluta mancanza di una pub- blioa coscienza storica, quei due'o tre secoli di passato tangibili, numerabili, materiati, erano come una presa di contatto oon la eternità. Si veniva a Mosca sopratutto per toccarne te pietre, per passare ia mano cai- tesa sulle immagini nere e indecifrabili, tanto più venerate quanto più nere e in- decifrabili, sulle aureole d'oro, sui mauso- lei d'argento, èulte iconostasi di bronzo, Strofinare il viso e le palme contro le pre- ziose euperfici polito non era la minor vo- luttà della preghiera. Un passo del Domo- stroi, sorta di galateo morale russo del se-1 colo XVI, dovè ammonire espressamente sitrattenesse il fiato nell'atto di baciare lesacre immagini. Mosca raccomandavasi insomma sopratut- to al sensualismo del popolo. Senza dubbioeasa aveva aneli» una funzione storica, la quale non si riduceva all'essere una città di pietra. Ma per averla non era neces- sari» «he il popolo la comprendesse: al con- trario. Il primato moscovita, pel popolo è stato innanzi tutto estetico,, scenografico, Quando Pietro il Grande trasferì il Go- verno a Pietroburgo, quando il Sinodo tolse alla vecchia capital* persino l'autorità re- ligioea, pel popolò Mosca rimase esattamen- te ciò che era sempre stata: la Città per antonomasia. Le avevano tolto le idee, ma le avevan* lasciato le forme e i nomi : nee- 6uno chiedeva di più. Anche nei stranieri abbiamo sempre ve- duto 1» metropoli del mondo slavo un po' t questo modo, sopratutto prendendo alla lettera 1* esagerazioni dalla fantasia locale, Non v'ha, cVio mi sappia, se non il fa- mo90 Chancellor — un inglese — il quale abbia osato, di un edificio intitolato dai me- geoviti a Palazzo d'Oro », dire che gli era parso € una catapecchia p. Ma per gli altri, da Giovanni Totaldi, uno dei tanti italiani del Rinascimento che condussero in Mosco- via l'antico nostro demone commerciale, o i'arfce) 0 ]o ambascerie papali per la ohimè- rica lega contro a turc0) a Giovanni Rich- to,) precettore tedesco del principio dello ecorE0 6ecolo> di cui una Descrizione della città di Mosca venne nel 1812 tradotta in francese per edificazione dei parigini, la pa- rola d'ordine è stata: ammirare e meravi- giiare. Per uomini che venivano da Venezia 0 da Genova non c'era in verità di che. Ma quando si ò fatto tanta strada si rinunzia malvolentieri alla soddisfazione di dire che \B, si ò fatta per qUalche cosa. « Un mare di torri e di cupole che sembrano sostenere ]o uubi », scrive quindi il Ricliter, il quale ^ ^ stafco a Norimberga o a Colonia do- veva pur averne viste di più alte. E Napo- l^>ne e il marchese di Sègur, che venivano da Parigi, vanno in estasi come dei prò- v-in«is.li — probabilmente per suggestionar- si _Z penetrando nelle sale del Teram, la Domm aurea dej o^ari moscoviti: cinque piccoie stanze su corte, costrutte alla metà dei Seicento dal primo dei Roraonoff, e a- dorne uient*altro che di fiorami dipinti a fresco snì mxxTÌ m uno gtiie c]le gja risente deì barooeo occidentale. n pio lngaMOj 0 i-innoc&nte mistificalo- ue Qon 6arebbero stati d'altronde gran male, se a furia di vedere Mosca con gli ouM ^ ^ non d fossimo lasdafci gf m y. ^ ^ . ^ ^ ^ ^ fi d_ ^ ^ fe ^ ;tale di stucoo ^ ; £ gire quello cho potevamo vedere solo coi nostri e che n'ò proprio per noi il «rw saht: la sua natura posticcia, appunto, se- Figurarsi Mosca di marmo e d'oro è fi- gurarsi- un'altra cosa, un'altra città. Il sa- - - - ■ 6a ha ^ al raOnd0 - - « Pro- . • • , • r 1 P™ ^u.esta: che anche nella storla> come nella vita spicciola, sono lo apparenze ciò che contano & Le apparenze. Quali? Quelle della son- tuosità, in primo luogo. Tutti i colori, tutte ltt vernici : 51 verde massimamente, poi il bianco, il rosso cupo, il giallo, il rosa, il turchino. Un lusso a buon mercato, quello degli intonachi, che le città di Occidente banno sempre affettato di disprezzare, e non sempre con ragione, poiché ha la sua im- portanza. Sul colore, l'oro — il rame — o l'argento — la latta: grondaie, doccioni, inferriate, cupole. Sulle cupole, le croci, le P*Ue> ; pendagli, le catenelle. Come in tea- tro> bisogna collocarsi a una certa distan za Per godere dell'illusione: davvicino, al bafcto> si riconosce subito la cartapesta. Ma km-t'è. Lo scenario ha servito lo stesso. Sot to u cieJo chiaro e arioso, liquido, come lavato all'acquerello, tutto ciò brilla, rag Bia» trema, velandosi dolcemente nellit j. , . «ondi vaporosi di una mezzaiuce tra verde- lina 6 argentea. In un gran silenzio do- n s vre&oe uarrsi attorno aile croci un tintin- f> «>nie di monili attorno a braccia didonne. Dorse 1 armonia cosmica sognata da quel Platone che capitano in un coro di baafcl le pareti della Cattedrale dell Annun-cla«on6? E da ogni banda uno sfoggio di superfluo che sorprende noi assuefatti alle città di Occidente, ove uno dei caratteri più Ba. lienti degli edifici è quello di essere necessari. Le apparenze della grandezza. Non una torre, ma dieci torri; non una chiesa, ma dieci chiese; non una cupola ma quattro, ma cinque cupole. Non basta ai moscoviti dire una cosa una volta: la ripetono, ci rioamano sopra delle varianti, ne accordane il bis cornei in teatro.. L'architettura moscovita è ridondante alla maniera dei sermoni ecclesiastici. Vi si tradisce sopratutto uno dei protessi dell'eloquenza bambina, tor- montata dal desiderio di esprimersi forte mento e doll'insuffioenza dell'aggettivo disponibile. Essi non sanno dire « maesimo » ( « eccelso i come sapeva chi eresse S. Pie tro o il Ihiomo di Colonia; dicono « gran de-grande-grande » o « alto-alto-alto ». In vece di una cattedrale innalzano cinqu piccole chiese, l'una accanto all'altra, co: cinque piccole cupole per ciascuna. La fe mosa chiesa del Beato Basilio è il capola voro del genere. Perduta nei dettagli,- 1.città ne risulta un gigantesco ingombro di cose meschine, delle quali non si capisce bene l'utilità. Non v'ha più posto per piantare un chiodo. Dà l'impressione di un palcoscenico ove, nell'orgasmo di una serata di gala, si siano rizzati in una sol volta tutti tutti gli scenari, tutte le si gli attrezzi, le quinte. , Ma Mosca fu fa^pei moscoviti e.non t- per i romani. E i moscoviti la vogliono cosi io e ne sono felici. Vi si muovono dentro urla tandosi agli, spigoli, attaccandosi agli antà goli, ma con piacere, col piacere un po' es- brutale che dà sempre ai russi il pigiarsi in n- uno spazio davo ci sono molte cose, troppe è cose, tutte le cose che-si hanno. Lo appa- o, renze della ricchezza. Nei quartieri più vec- o- chi, le cappelle, gli oratori, i tabernacoli se si fanno riscontro ai due lati della strada, e- quasi pei- rubarsi la clientela, corno le botn- teghe di- barbiere nello città dell'Italia neer ridionale. Presa in mezzo, la strada acquima sta l'aria di un corridoio, di una sala di e- ricevimento. Teste scoperte, genuflessioni, in chini, segni di croce, cori di baritoni e voci e- bianche, odor d'incenso, ciò esalta il moscoo' vita nel tempo stesso che lo distrae, gli la serve a spendere la propria fede e a nue, trirla, sopratutto a riconoscerla e a misua- rarla : lo porta a vivere in un'atmosfera dele clamatoria, gonfia, artificiale e rumorósa, e- quasi dinanzi ai lumi di una ribalt/avLe. ra apparenze della fede. ri, Non ch'€f?Ii sia farke0j non che sia yÌ5ÌO_ ni navio. Ma è meridionale, superficiale e artio- sta. Adora il palcoscenico, il gesto la posa o J0 spettacolo. Il più florido istituto di arte è- m Russia, il Teatro Artistico, uno dei primi h- del mondo, è creazione di Mosca. I famosi lo balli di Fokine, che incontrano oggi tanto la favore m Europa, sono nati a Mosca 'Il in moscovita non vive che per le feste, le proa- cessioni, i teatri, le stoffe vìvaci^ le'cose che i- fermano l'occhio. Mosca è fatta apposta per ia dargli tutto questo Gli Zar hanno ben Ma compreso o servito il debole dell'anima poia polare, Rapinavano o atterravano le città he ma moltiplicavano lo chiese, arricchivano 1 re conventi, prodigavano alla folla della care pitale i labari di stagno dorato e i carale panili sonori. Ivan il Terribile la più feo- dele incarnazione del genio indigeno, era o- maestro di finzioni e di'coreografie. Sanguino ucso e torvo, coltivava l'eloquenza politica, ò- Di lui avrebbe potuto dirsi quanto Voltaire r- disse di Federico-Guglielmo di Prussia • che la non vi fu mai sovrano più ricco di paese ue più povero. Ma al Kremlino, dietro le quintà te, egli aveva raccolto una specie di guara- daroba per le rappresentazioni.di Stato, do a ve nei giorni di gala; ambasciatori, cerimote nieri, camerlenghi, scalchi, falconieri, guar die, trovavano tutto l'orpello necessario alla o- più sfarzosa delle truccature politiche: avan ti di damasco, ricami d'oro e d'argento, ca- li mici di lino, spade intarsiate, selle .intes- 6Ute di perle. Esposte oggi nell'Armeria, fi retroscena inesplorati di ricchezze'senza nu¬ oo mero. E a cerimonia finita tutto rientrava ^ casse imperiali... E per lo ffiacchio , dcdd. ti l'Sni3glcRedoi quelle suppellettili sovraccariche di pietre vw rosse, che. non sono rubini ». di pietre Verdi >e- che non sono smeraldi, hanno lwWff^redi per tenori d opera linea. Altera, al afi- P^te e agli strairieri, tanto scintillio di pa- -e preziose dava le vertigini, dipingendo ^e gli strappi i responsabili pagavano unW- o- m6Dda' ^ 1 C0rÌ6tÌ ÌB teatr0" ,,,..' me Quella Pubbllca impostura sembrerebbe iò quasi un simbolo, ironico di tutta la storia ru6sa del Triodo moscovita.' Una facciata n- bianca innanzi a una casa nera, un frpntete sV™o senza volume. La commedia della il grandezza e della potenza dove non era uè il l'ai» nò l'altea. La capitele, brillante, scinlo fallante, variopinta, fantastica, popolosa: e te dietro la capitale, dietro la Corte, dietro le on cupole, le croci e i pendagli, nulla, neminem- no il nocciolo di un'oligarchia aristocratica: o null'altro che la miseria, l'asservimento, i. ni, deserto, la notte. • • le II gran segreto e la gran forza di Mosca: a- l'illusione. , • :. nl 00NCETTO PETTINATO.

Persone citate: Chancellor, Fokine, Giovanni Rich, Giovanni Totaldi, Kazan, Khan, Napo, Novembre, Platone, Rome