La danza sacra dei mangiatori di serpenti

La danza sacra dei mangiatori di serpenti liETTERE DI CIRENAICA La danza sacra dei mangiatori di serpenti DERNA, giugno. Quando entrammo, la zàuia era ancora spopolata. Il meriggio, ardente di sole, incombeva sulla piccola città, su questa Berna così bianca tra l'intenso <oerde della sua oasi, cosi graziosamente dispersa tra il mare e i primi pendii del monte, divisa e interrotta, qua e là, da giardini e* da palmeti. Nell'ora canicolare gli alti ciuffi delle palme si proiettavano immobili sullo sfondo cristallino del cielo; le terrazze delle case avevano, nel loro biancore crudo di cai•ce, riflessi abbaglianti; e nel cortiletto per cui si accede alla maggiore zàuia dei ben Aissa, gravava un'afa opprimente, in cui alitavano confusamente qualche acre Odore e qualche profumo sottilmente inebriante. La "zània,, del ben Aissa I ben Aìssa sono una delle molte sètte mussulmane, che traggono la loro origine dal culto di un marabuto, o santo. Il marabulo, che ha fondato la setta raccogliendo ■intorno a sè dei discepoli, fanatizzando la popolazione di questa o di quella regione in cui predicava, in cui compi i suoi miracoli, in cui fece le prove della sua santità, dopo morto, nella venerazione dei discepoli, nell'esaltazione degli adepti, che si sono stretti intorno a lui, assorge a patrono della setta; e nel sito nome si fonda, si organizza tra 1 credenti un nuovo culto. Questo non si distacca affatto dall'islamismo: in seno all'islamismo si distingue dal culto generale e.ètai culti speciali delle altre sètte per alcune sue particolari tendenze, per alcun suo attributo caratteristico, per alcune pra- tiche formali, che differenziano in maggiore o in minor grado dalle pratiche delle altre sètte, ma che non sono che aggiuntive 0 esplicative delle pratiche generali. E naturalmente ciascuna delle sètte dichiara che la religione autentica, pura, genuina, cosi come Maometto la prescrisse, è la propria, cosi come la commentò con la sua predicazione e la esemplificò con i fatti della sua vita il marabuto da cui essa setta deriva — il marabuto che è venuto appunto a svolgere ulteriormente, per completare, per esplicare l'opera di Maometto —; mentre tuite le altre sètte, pur rappresentando più o meno lodevoli sforzi e tentativi d'i buone pratiche religiose, sono un po' meno 'vicine alla%erità e alla perfezione. Questo ogni setta crede di sè e delle altre; così come molti marabuti hanno creduto e spesso hanno anche dichiarato di essere ciascuno il più illuminato dei marabuti passati e presenti, ■il vero diretto continuatore di Maometto... Ma, ripeto, tutte le sètte, non solo derivano, ma si mantengono scrupolosamente in seno alla religione comune, di cui non rappresentano che atteggiamenti particolari, spesso senza nessuna importanza dottrinaria; hanno, anzi, in genere, o tendono ad avere questo carattere: dì un più intenso fervore religioso che molto spesso assume le ■più violente forme del fanatismo, e di una ■.più severa osservanza dei riti. Del resto, la posizione dei loro adepti è chiaramente manifesta in questo fatto, di carattere esteriore: tutti i mussulmani praticanti frequentano la moschea, il tempio comune, e qui ascoltano la parola degli iman, i sacerdoti ufficiali, e compiono le pratiche del rito comune; inoltre gli adepti delle varie sètte fre- 1 quentano la propria speciale zàuia, e qui '. compiono le pratiche speciali del culto del proprio marabuto. Tutto questo al fatto non è però così semplice come io l'ho espresso, per più facile intelligenza: il posto reale e l'importanza delle sètte nell'islamismo è quistione delle più gravi e complicate di tutta la storia delle religioni; e biblioteche intere sono state messe insieme intorno all'argomento. Sa-, rebbe quindi assolutamente inopportuno ch'io mi soffermassi su questo punto, che non ho accennato se non per venire a dire che a Derna tre di queste sètte sono rappresentate: quella dei Senussiti, che conta una zàuia; quella degli Abselàm, con tre zàuie ; e quella dei ben Aissa, pure con tre zàuie. Zàuia è termine molto generico: si potrebbe forse tradurre molto liberamente in parrocchia: zàuia è il luogo dove si riuniscono gli adepti di una data setta in una città o in un quartiere di una città: è, ìm>somma, la piccola moschea degli adepti del la setta in questo o in quel luogo ; e zàuia significa anche il gruppo degli adepti stessi, la più o meno vasta comunità dei parrocchiani. Coiì se i ben Aissa a Derna sono divisi in tre zàuie, vuol dire ch'essi sono, abbastanza numerosi per formare tre gruppi e abbastanza ricchi per avere tris'loro proprie moschee per le rispettive adunanze e per le pratiche del culto del loro marabuto — Mehemmed ben Aìssa, che ha la sua tomba al Marocco, e presso la tomba un pozzo, ove ogni anno, ricorrendo il Meilùd, il Natale islamico, si rinnova il miracolo del latte: dal pozzo, in quel giorno sacro, zampilla candido, spumoso, fragrante un getto di latte. Quando noi, intrusi curiosi, il pomerìggio d'un 'venerdì entrammo nella maggiore delle tre zàuie dei ben Aissa di qui, il luogo, ho detto, era ancora spopolato. Lo sceicco, il capo eletto della zàuia, ci salutò con quella corteiia squisita a cui l'arabo non viene mai meno, e ci fece portare delle sedie, e ci fece posto nel cortiletto su cui si apre la sdì aia: senza varcare la soglia, vietata ad ogni profano, potevamo osservare tutto il luogo e assistere a tutta la funzione. Questa zàuia è un'ampia sala, quadrata, cui si accede per una grande porta aperta sul cortiletto interno della casa — quello ove noi eravamo —; e la sala non ha altre aperture, se non due piccole finestre, anch'esse nella parete verso il cortile. La porta, senza battenti, non è difesa se non da una trave di legno, posta trasversalmente all'apertura: i fedeli, per entrare nella sala, s'inchinano e passano sotto questo riparo. Tulto intorno, le mura della sala sono dipinte con gusto e con arte infantili: sopra la fascia rossa dello zoccolo, ringenuo pittore è venuto figurando vasi di fiori e rami fioriti: i vasi sono goffamente panciuti, curiosamente rabescati ; i fiori non differisco- no l'uno dall'altro che nei colori:.il disegno è uguale per tutti: cinque petali disposti a stella, in cima a un gambo verde di poche foglie disposte molto simmetricamente : paiono proprio i saggi pittoridi d'un bimbo che abbia ingannato la noia di qualche ora di studio, illustrando il quaderno d'aritmetica. Sopra, in alto, è una serie di quadretti e di ovali, dipinti a varii colori, disposti come nelle chiese cristiane i quadretti della Via Crucis: ciascuno reca scritto in arabo qualche versetto del Corano. Nella parete di fondo, al centro, il pittore ha tentato una figurazione assai più complicata che quella dei fiori e dei cartigli dei versetti : ha voluto riprodurre la tomba del santo, con la sua cupola bassa, con le sue porte di sagoma moresca, che, aperte, lasciano vedere la pie tra sepolcrale e le due stele — la maggiore, quella sovrastante il capo del sepolto, vòlta ad oriente, alla Mecca. Il soffitto della sala è a travicelli, dipinti in rosso e azzurro ; il pavimento è coperto di stuoie. Al centro arde un grande braciere in ferro, onde esalano acutamente odorosi ì fumi del sandalo, dell'incenso, dell'aloe. L'ossessione La zàuia si viene popolando. Un gruppo di bambini ha preso posto, sedendo sulle gambe incrociale, lungo tutta una parete. lddcssiuf[ o, o a n o n e i ì d a a i - o a e e i i i a o i a a o a a e , a a l , o e . Giungono degli adulti, dei vecchi, ammantali entro i bianchi o grigi baracconi, chiusi entro ampie sopravvesti di colore azzurro, di colore mauve. S'inchinano per entrare ; poi si accostano allo sceicco, gli stringono la mano, e glie la baciano o si baciano, con ancora maggior rispetto, la mano con cui hanno stretto la sua. Lo sceicco vigila ^presso la soglia, barbuto, solenne. E' un uomo di bella membratura, avvolto il capo nel turbante candido, da cui emerge il cupolino rosso della taghìa — il copricapo arabo per eccellenza, una sorta di fez floscio, adorno spesso di un gran fiocco, di lana azzurra —, avvolta tutta la persona da unasopravveste di color viola. E vigila con occhi 'imperiosi — occhi però in cui è più profonda, più oscura quelùi espressione misteriosa, caratteristica degli occhi 4,èplì afabi di razza: di gente che sa mantenere e dissimulare un segreto. Sono giunti i suonatori, coi loro strumenti. Si sono seduti intorno al braciere, da cui tratto tratto balena qualche riflesso sanguigno che s'irraggia fuggitivamente sui volti degli astanti. I suonatori apprestano gii strumenti: tendono, esponendola al calore che emana dal braciere, la pelle bruna dei benoir, sorta di tamburelli simili a quelli spagnoli, ma senza sonagli, <r,alc a dire corrispondenti ai nostri cembali; e quella di un grande tamburo; e quella di altri tamburi che nella forma ricordano, molto in piccolo, i nostri tìmpani: sono una specie di grandi scodelle di rame con la bocca chiusa da pelle di montone, tesa per mezzo di un ingegnoso congegno di strisce di budello. Il suonatore di magnimi — la tromba diritta di metallo —, i suonatori di certi flauti fatti con due canne accoppiate, tentano i loro strumenti: la magruna ha un suono che ricorda molto davvicino la zampogna dei nostri montanari, ma più stridulo, e di timbro metallico. Il suonatore di piatti percuote i due dischi d'ottone — assai più piccoli però e meno sonori di quelli che si usano nelle nostre bande e nelle nostre orchestre — ; e gli altri suonatori ne ascoltano la sonorità come si ascolta un diapason. Intorno, la zàuia si 6 andata riempiendo della folla dei fedeli. Ve n'e di tutte le età, da bimbi di sei o sette anni a vecchi cadenti; e di varie razze, dal negro del Fez-. zan. dal sudanese, neri l'uno e l'altro come il carbone, dai lineamenti del volto bestiali, al beduino secco, bruno, all'arabo della costa dai lineamenti sottili, nettamente pronunciali, dal colorito di rame, agli arabi della città, ulivigni, di lineamenti quasi europei ; e .di tulle le condizioni, dal ricco, in sopravvèste di panno fine, in baraccano di gran prezzo, al paria, cencioso, lurido in.-, verosimilmente. Tutti sono seduti in terra, sulle stuoie ; e ciascuno ha vicino le ciabatte che si è tolto entrando. Prima hanno popolato la sala intorno, lungo le pareti; poi, crescendo la folla, il fiotto umano è avanzato verso il centro. Ora tutta la sala è gremita: solo al centro uno spazio è lasciato libero, tra il braciere, attorno cui sono i suonatori, e la porta. Il cantore — un giovine di una pura bellezza europea, dai lineamenti aristocratici dalla carnagione morbida e fresca — prende posto al fondo, al centro, sotto la pittura che raffigura la tomba del marabuto. Dalla folla diversa, confusa, spicca qualche tipo vivamente caratteristico : un vecchio cieco, con occhiaj.e-purulente, Ve. mani agitate da un tremito convulso, che mormora senza fine, con un rantolo sommesso, una sua litania; un beduino secco, bruno, duro come un Cristo intagliato in legno da un artefice del Quattrocento, che sgrana il suo rosario dai novanta grani: e il. bosso dei grani urtando contro le nocche delle sue dita dà rumore come se urtasse contro altro bosso ; un negro di statura colossale, che, seduto, sovrasta del capo tutti gli astanti: e il suo nero cranio raso e unto pare rivestito della cotenna d'un pachiderma, e nel volto camuso, tra le grandi labbra aperte, i denti rìdono beluinamenie, lunghi, aguzzi: un ragazzetto vestito d'un camice bianco, il capo coperto del solo callottino bianco che gli arabi usano portare sotto la taghìa, cosi come i nostri sacerdoti portano la callotta sotto il tricorno: ha un volto di cera, diafano, col naso affilato sottilissimamente, con le labbra scolorite dell'anemico, con grandi occhi imbambolati, estatici, perduti nella contemplazione di un punto imaginario: già assorto nella follia che tra poco rapirà [tutta la turba, la travolgerà come un ura¬ ' l l a aù gano irresistibile, la strazierà e la inebrierà; un giovine arabo della città, snello, elegante della persona cosi da ricordare per l'euritmia delle membra,-che l'abito indigeno ammanta senza nascondere, qualche statua alessandrina, leggiadrissimo di fattezze, dall'atteggiamento, dalle mosse di squisita nobiltà: ne' suoi occhi, dall'iride nerissima spruzzala di macch'iuzze gialle, è una strana, meravigliosa mutabilità e ambiguità di espressioni: quegli occhi ora si attoscano, come se il giovine rimeditasse un cupo pensiero, rivolgesse dentro un segreto pericoloso, ora splendono come se li avvivasse un fuoco di passioni tumultuose: mai, però, si addolciscono... Su tutte le fi¬ gure, che tra la folla seduta si confondono, e di cui solo qualcuna, solo per qualche momento si impone all'osservazione, domina, vigilando, la figura austera dello sceicco barbuto, che sta in piedi ritto a lato della porta. E il cantore intona la nenia. I danzatori, sorti a uiio a uno qua e làdalla folla, si sono disposti in fila nello spazio lasciato libero al centro della sala: innanzi ad essi è il direttore della danza,che segna il ritmo, clic accenna alle mos se; dietro di essi sono due compagni, fermi, che attendono. E il cantore ha intonato la nenia, che la magruna sottolinea, che i tamburi accompagnano. E' un canto monotono, il cui motivo si ripete senza fine; e il motivo è composto di due molto semplici figurazioni musicali, contrapposte l'una all'altra, l'una ascendente e Valtra discendente, interrotte tratto tratto da qualche gruppetto di note curiosamente diverse. Il ritmo è 'di tempo pari; e i tamburi lo segnano potentemente, con uguali serie di suoni; e i danzatori lo seguono, ora, alternando una flessione sulle ginocchia con un dondolamento del capo da sinistra a destra e da destra a sinistra. Le musica e la danza proseguono lungamente, con una monotonia die assonna. 1 danzatori ripetono senza posa, con una regolarità meccanica, con la regolarità di fantocci mossi da un movimento d'orologeria, la flessione e il dondolamento; e a furia di guardarli, a un tratto vien fatto di sorprendersi ad accennare noi stessi, con il capo, con la persona, al loro moto ritmato. In questo moto pare ch'essi si cullino; e la sua regolarità deve, a lungo andare, in certo modo, narcotizzare i loro sensi, confonderli, stordirli : certo alcuno dà qualche segno di stordimento, con l'arrestarsi un attimo appena percettibile, col riprendere poi sùbito il moto, mentre un fremito gli corre visibilmente tutta la persona, lo fa abbrividire e sussultare. Varia chiusa s'è fatta densa dei fumi aromatici che esalano dal braciere, s'è fatta greve degli aliti e degli odori carnali che esalano dolila folla. Il caldo è soffocante. E i profumi e gli odori e la calura ingenerano invincibilmente un languore, un malessere indefinito, che vi pesa sul capo, che vi pesa sullo stomaco, un malessere che' la musica con la sua indicibile monotonia irrita continuamente. Quanto dura questo tempo?... Nella monotonia ogni senso dell'ora si smorza, svanisce; nel malessere invincibile anche svanisce il bisoéno, il desiderio- 'di misurare l'ora. Ed ecco, quasi inavvertitamente, icantore e i suonatori accelerano il ritmo; e i danzatori li seguono, con mosse che vanno sempre maggiormente pronunciandosiche divengono frettolose. Non dondolano più soltanto il cqpo: accompagnano il moto del capo con un contorcimento laborioso di lutto il busto. A questo o a quello è caduta la taghia, a questo o a quello il camice si è disciolto, e ricadendo ha lasciato scoperto il petto, le spalle. Dalla loro fronte, giù per il volto congestionatoper il collo ove le vene si gonfiano, s'inturgidiscono, per il petto scosso da un ansare sempre più affaticalo, il sudore cola, a rivolelti; dalla loro bocca semichiusa, di trai dènti serrati spasmodicamente, gocciaqualche spuma di saliva, esce un rantolosoffocato... E la musica cresce, affretta, in-calza: il ritmo improvvisamente divienequello di un tempo dispari, strettissimo la voce del cantore, il suono stridulo dei\la magruna sono coperti dai rulli sempre| più frequenti, sempre più clamorosi de! tamburi. Il negro di statura colossale baiite disperatamente il tamburo con le sue{mani di gigante, nodose comi' un vecchiotronco; e di tra le labbra tumide, con lafila de' suoi denti bianchissimi, di squaloride un riso bestiale, spaventoso^ SquillaI r no, nel tumulto, con colpi secchi, vibranti, i piatti. I timpani hanno sonorità cupe, cavernose, paiono l'eco lontana dei rulli dei tamburi, paiono il clamore lontano di un'altra orchestra. Un vento di follia passa oscuramente sulla turba attonita, estar tica, inebriata, ne squassa e ne confonde gli spiriti. Qua e là alcuno geme, alcuno rantola, ^alcuno singhiozza. E improvvisamente un beduino barbuto leva alto un cembalo, e ne trae un fragore nuovo, supremo, percuotendolo non sulla pelle ma sul cerchio di legno, con ambo le mani, tre quattro volte. La danza diviene una ridda, sconvolta, pazza: alcuno dei danzatori si contorce come ossessionato; altro vacilla, \ brancica: altro, smarrito ogni senso, urta à i etmpagni, batte col capo contro il loro torace, contro le lord spalle. Ad uno, cui cade la taghia, per il collo e per le spalle d'un tratto si discioglie nerissima una meraiiglìosa capellatura, vasta e lunga come la criniera d'un cavallo brado; e dentro quella la sua faccia, di fattezze quasi fem minili, congestionata come quella d'una femmina briaca, scompare, quasi precipt- a l i n a i a i n à , o o a i a a e l e , o è l , e - tosse in un- gorgo di tenebra. Un. giovinetto, stordito ed esaltato, ha brancolato qua e là, cercando vanamente un appoggio-, all'improvviso piega sui ginocchi, e stramazza a terra riverso, con le pugna, con i denti serrati convulsamente, con la bava alla bocca, con tutto il corpo scosso da fremiti e da sussulti. 1 due compagni che, dietro la fila dei danzatori, erano rimasti ad attendere che alcuno avesse bisogno di soccorso, si precipitano su lui, Io risollevano, lo confortano con un rapido vigoroso massaggio. Ed egli riprende la terribile danza; e già la musica, gradatamente, cosi come è cresciuta, rallenta, s'ammorza. Il rito del serpente e 1 martiri! Rallenta, la musica, s'ammorza per qualche momento ; tacciono i cembali e il tamburo ■. chiari distinti si levano il suono della magruna eHa voce del cantore; e hanno note strane, lunghe, che in ascoltarle vi tengono l'animo sospeso, che quando terminano vi lasciano nell'animo come un solco di malinconia. Oramai il malessere è consumato: gli è succeduta una specie di inerte beatitudine fisica, uno stato di lieve anestizzazione, consimile a quello dell'ubbriaco nella prima fase dell'ebbrezza, quando l'alcool non l'ha ancóra completamente esaltato o non gli ha ancora rivoltato lo stomaco. La fila dei danzatori si viene ricomponendo. Dinnanzi ad essi il direttore della danza comincia a dire le lodi di Allah; ed èssi gli rispondono in coro con un grido gutturale, riprendendo il laborioso contorcimento del capo e del busto; ■— Allah! — Ha iòo! — . . . . . Allah! — Ha iòo! Ancóra cresce la musica. Il grido dei danzatori si propaga tra la turba, viene ripetuto da cento voci: a momenti basso, cupo, come il mormorio d'una folla che minaccia senza gridare, a momenti patetico come un'implorazione, a momenti vVbrato, affannoso coinè un disperato appello collettivo. E la musica cresci; : i cembali rullano, il tamburo rimbomba, i piatti squillano. E la danza nuovamente si accelera, con moti sempre più scomposti, sempre più disordinati. E le grida si confondono in un tumulto alterno e continuo come franar di mare. Tutta la stanza è immersa in una incerta penombra, fatta dei veli crepuscolari della sera che scende e traluce teneramente dalla porta e dalle finestre, e delle nubi grigie e azzurrine che fupiano dal braciere e involgono pigre la turba urlante e danzante e oscurano Vaa\ria. Una nuova ventata Wi follia travolge a,i devoti. I danzatori si scuotono, si contoro] con?. balzano, gridano, rantolano, sin-\ghioziano come spiritati, come ossessi-, e ì ciascun ,4'essi non pare meno invasato, Ameno terribile nell'aspetto e nei moti, del-[fa sibilla favoleggiata, quando, nel canto e]vergiliano, sfatte, irle le chiome, scoperto i il seno, contorte in atto di supremo spasi- mo le braccia, infiammali paurosamente e, gli occhi, rivelando con voce non umana o] il vaticinio, majorque videil a, Ea ecco, all'improvviso, come per un , cenno irresistibile, con le urla e la confu - sione 4'ÉÌ ÌHHMÉ diMtt, la turi* baita, nsdpnvssmsnArgldmdigvrsstrmnsef1vvsusdss - o a e o n è i , a d o i e , e si precipita verso il centro 'della stanza:] sulla stuoia, in un breve spazio lasciato lu bero davanti al direttore della danza, è guizzato un serpente. Lungo poco più d'uri metro, sottile, maculato di verde, il serpe pare balzato fuori dal braciere-, per un aù timo un sanguigno riflesso del fuoco lo ili lumina, e sopra lui illumina dieci, venti volti congestionati, di pazzi, protesi affan* nosamente. Poi dieci, venti mani Ip affer*. rana, lo stringono: esso si contorce, si scio*, glie, si aggroviglia a un polso, scivola a una stretta, si divincola ; tra il tumulto mi pare di distinguere il suo sibilo rabbioto e lamentoso. La turba si contende selvaggia^ mente la preda: il serpe rappresenta i8j buon augurio, il favore del Dio, la fprtuJ net-. Ed ecco uno, un negro dal volto seitftjj miesco, che stringe l'animale al cotto, coni mossa beluina, ne afferra la testa tra «I denti, glie la stacca con un morso solo. É sùbite è una scena d'una ferocia, d'un ori rore raccapriccianti: il serpe strappata pezzo a pezzo, pezzo a pezzo è conteso, ai urtoni, a percosse dalla turba; appena un fortunato riesce a impossessarsi d'un bra^ no dell'animale, lo divora animalescameniì te; e quei che gli sono attorno tentano anA, cara strappargli quella sua parte di paste augurale mentre se la porta alla boccaj mentre già la stringe tra i denti. La danza continua, ridda oscena, tumuli tuosa, folle: la musica non è più che un, fragore tempestoso, da cui tratto tratto e-i merge il lamento stridulo della magrunaj 10 squillo dei piatti. E due uomini avan-^ zano con passi caderizati verso la portai hanno in mano due stili lucidi di acciaio^ sottili come steli di giunco, lunghi poco meno di venti centimetri, con un manico tondeggiante di legno. Si fermano, si abbracciano, si baciano. Poi, l'uno di fronte all'altro, sollevano il camice, si discuoproJ no il ventre. Sul ventre a ciascuno di essi appare un foro, piccolo, bruno, come, pres* so l'ombellico, un altro ombellico. Cauti, i due accostano lo stile al foro, lo introduA cono in esso, lo spingono dentro, nellal carne-, i loro volti si contraggono yer lo» sforzo dell'operazione, non per,, il dolore :i nei loro occhi, sulle loro labbra è l'espressione di un ebete sorriso. Il ferro penetra dentro, sempre più dentro: è tutto scomparso nello spessore dei muscoli addominali, E i due automarlirizzatori, con il volto selvaggiamente illuminato dall'ebete, sorriso, di orgoglio e di beatitudine, mostrano alla turba dei fanatici che il tori mento è pieno; e vanno intorno cosi per la stanza, in mezzo al tumulto, con il ferro\ nel ventre, ricantando monotoni le lodi di Allah: finché lo' sceicco li ferma, e dichiara che il tormento è consumalo. Con un gesto rapido, preciso essi ritraggono lo'stvl le; e non una goccia di sangue rosseggiai dalla ferita. .4 Altri intanto si sono cimentati in altri martirii: quale ha masticato e inghiottito] del vetro, quale si è introdotto una lama in gola, quale si è piantato due stili nelle gote, internamente, incrociandoli nel eaA vo della bocca... Gli episodi, le prove dolo^ rose, i prodigi del fanatismo individuale si succedono, si alternano, si confondono-, sullo sfondo della follìa collettiva, delld tregenda disordinatamente fosca e clamorosa, in cui è travolta la turba, e cui la musica sovrasta stridendo, squillando, tuonando. L'ombra s'è fatta più densa, paurosa; e nell'ombra la turba, con le sue urla, e con la sua ridda, ha assunto un aspetto, fantastico, terrorizzante. Uno dei danzatori! 11 giovinetto, che è già stramazzato una volta, cade, preso da un attacco di con-' vulsioni: i compagni incaricati del soccorso accorrono a lui, lo sollevano, lo rianimano. Ma subito dopo lui è un altro, è un altro ancora, che cadono: hanno la] schiuma alla bocca, s'irrigidiscono in ognv{ muscolo come epilettici in preda al male;{ attraverso le palpebre socchiuse appare il bianco degli occhi stravolti. E i compagni li soccorrono con le pratiche di un ritoi particolare, percotendo loro con leggeri^ frequentissimi colpi il petto, le inani, le gU nocchia, e ripetendo, nell'atto, una preghie* ra. Presto rianimati, i caduti si rialzano;, E intanto il tumulto, la ridda, la tregenda continuano intorno con lutti i frastuoni ej i clamori degli strumenti e delle voci... ! Esco all'aperto-, soave spira la brezza della sera; le palme ondeggiano lievemente^ sullo sfondo dell'infinito azzurro: a oriente, con la dolcezza d'un sorriso Virginalej s'illumina la prima stella. MARIO BASSI Quartiere arabo Due informatori Capanna araba Giuseppe Mira-valli soldato del 40.0 fanteria, da Hefrancore (A* lessandria), caduto nella,battaglia di Zanzuri lessandria). caduto ncltv battaglia i Zanzaroni quale il paese natio rese sabato solennionori funebri,

Persone citate: Aissa, Aissa I

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