L'amore e la storia

L'amore e la storia L'amore e la storia Il bellissimo libro del professore Ruffini, sulla giovinezza di Cavour, — libro che 6Ì Jegge e si rileggo « si annota in margina — ha destato cuTi'osità dell'epistolario amoroso corso fra il Conte é la marchesa Anna Giustiniani Schiaffino, genovese, di gran lignaggio e di più gran cuore, iiMwaiiniwn» e carbonara prisma, poi cavouriana per amore di Cavour. Le lettere di lei che per aunghi anni lo amò, e sacrificò a lui dignità e ipace, e, caduta ogni speranza, perseverò in amarlo: quelle lettere ohe dicono veementi di passione ed eleganti di stile, sono serbate nell'archivio di Santena Quelle che egli scrisse a lei furono invece distrutte; una sola ne rimane per essere caduta nelle (mani del marito della marchesa; e la possiede un ricco americano che vive in Italia e raccoglie con intelligenza e fervore cimelii del nostro Risorgimento. Ora molti chieggono che queste lettere sieno pubblica te; e certo prima o poi lo saranno. Nessuno dei grandi scomparsi, che tengono il cuore o la fantasia dei nostri oontemporanei, è stato sottratto a questa violazione di intimità. Così sarà di Cavour. Ma forse ne avremo una delusione. Gambetta amò e fu amato, durante quin dici anni — dico quindici, o signore, — da una donna, che dopo una così lunga con suetudine egli avrebbe sposata se la morte non fosse sopraggiunta. Un giorno un editore mise le inani sulle lettere scritte dal tribuno a questa sua Egeria, e le stampò. Il successo doveva essere grande, da avanzare quello delle lettere famose di Mirabeau a Sophie de Mounier. I tribuni hanno la folgore sulle labbra; quali aurore debbo no schiuderai nelle parole che essi dicono a voce bassa, mentre stringono una mano che trema! Gambetta fu tale oratore che i suoi discorsi parlamentari, dalle pagine del libro in cui 6ono tumulati, sollevano ancora, nella stanza silenziosa dove voi li leggete al lume di una Lampada, un'assemblea di fan tasmi urlanti con le braccia distese. Bisogna quindi credere che la lettura di uria pagina d'amore dell'uomo che fu così potente nell'espreGsiono. sia capace di rendere il battito dello ali agli amorini dipinti nel sof fitto... Ebbene, le lettere amorose di Gambetta sembrarono pagine staccate da un qualunque t Segretario gallante ». Il grande oratore nello scriverle, assumeva uno spirito pom picr commovente per eccesso di banalità. A scollate: a Io ti adoro, come i Santi adora« no Iddio!... In questo mondo e nell'altro c ti adorerò sopra qualunque cosa!... Respi c ro l'azzurro che ti ciroonfonde... Nella « mia anima vi ò per te un santuario invio filabile... Oh! ideale...". Insomma, versi di una signorina di buona famiglia, con musica di Tosti. Le lettere di Gambetta sono di quelle ohe fanno sorridere un amante fortunato e danno la nausea a un amante tradito. Non era meglio lasciarle perire insieme con la donna cui erano dirette? Per lei, quelle povere frasi, così lontane da ogni letteratura, compendiavano tutti i poemi della terra. Per lei, l'uomo elle le aveva dettate era il più sublime fra gli uomini, non perchè si chiamasse Gambetta, ma perchè ella lo amava. Se quei fogli hanno qualche virtù di poesia, è appunto perchè ci mostrano un eroe ridotto allo proporzioni di un uoimo qualunque, perchè ci fanno vedere le insegne dell'orgoglio tribunizio, mentre cadono e mettono a nudo un cuore umano. Invece il pubblico chiedeva loro l'opposto. Per una viziatura letteraria, noi non siamo disposti a glorificare l'amore che quando è travestito eroicamente. Ed è questa l'origine della curiosità, che ci punge di tutti gli amori illustri. Curiosità irriverente, non solo verso i grandi uomini e lo donne famose, ma verso l'amore istesso, che ripete ogni grandezza dalla sua possanza livellatrice, come la mori*, alla quale la sua imagine è associala nella lirica di tutti i tempi e di tutti i paesi. Curiosità fallace, perchè l'eroe può essere più tosto ottimo marito che mirabile amante. L'oroe ò colui i cui occhi fra l'uno e l'altro abbracciamento si •riempiono d'una subitanea lontananza: e alla donna che lo carezza chiedendo: « —Tu sei triste: ohe hai? » — risponde, distratte: « —Non ti ho mai abbastanza », mentre cela lo sguardo che s'è fatte duro. Ed ella presentendo una sventura, soggiunge: « — Tu sci buono e io piango di tenerezza ». Spegnendosi sul cadavere di Tristano, ebbe Isotta la miglior sorte che potesse, perchè l'amante dell'eroe si chiama Didone, Alcina, Armida; perchè di solito per le donne non gli eroi si uccidono, beai3Ì gli imbecilli. Anche gli eroi lo amano, ma procedono oltre e le lasciano intente a fissare fra le lagrime il punte vuoto, onde irradiava il miraggio svanito. Di fronte alle donne che li hanno amati gli eroi rimpiccioliscono. Fra colei che gli sacrificò la pace e gli votò la vita, e il conte di Cavour, che pur ribaciando le sue lettere, le voltò le spaile, ella, non il conte, grandeggia: ella vittima, ella martire, ella donna... Pubblichiamo pure questo epistolario, poi che tale è il sentimento del tempo nostro : pur che non si scriva nelja prefazione esser questo un omaggio di gratitudine alla memoria di Cavour. Alessandro Luzio chiede questa pubblicazione non. « por volgare curiosità, non per € sete di pettegolezzi... bensì per la salda < convinzione che alla popolarità di Cavour e giovi la conoscenza intima, profonda del s la siua vita: ne possa nuocere perciò l'au t i-eola di quel quasi tragico amore da cui « la sua gioventù fu solcata come da vampa c dislruggitricc ». Questo è vero per il Luzio che in quei prodigiosi cinquant'anni corsi fra il venti e il settanta, si è eletta la patria ideale. Ma quanti leggeranno le lettere della marchesa Giustiniani, pensando non al conte di Cavour, ma a se, al proprio misero iol B voijjo, uhe in un museo si rpalgsdorsopesqtsueccMdatcsgtsggsteqmcrmspcmeferma di a , e n a i ò e i e ; n e ti o o o . o a n e al ò. u o a e oi a, al n a a ltf nanzi alila portantina di Napoleone, non chiede che di sedervi sopra <r per provare ». La genite che chiede al romanzo a dispensa o al giornale i suoi cinque centesimi di impreveduto e di emozione, vuole spaziare nello regioni dell'epopea. Raramente essa partecipa ai disturbi viscerali della sartina che ha adoperato i fiammiferi per uso interno; nò la stringe alla gola l'orrida fine della fedifraga consorte d'una guardia di finanza, sorpresa mentre ingannava il marito nello braccia d'un commilitone. Essa vuol ritrovare sulla oarta stampata i sogni cui sorride, non la realtà contro la quale si lacera. Ai suoi bisogni estetici e allo sue facoltà commotive occorrono almeno principesse, miliardari, presidenti di repubblica, salvatori di patrie e fondatori di dinastie. Sono i racconti ascoltati nella nostra infanzia che ci aprono questa lunga traccia di sogno sulla quale trasvola, lungo tutta la vita, la nostra coscienza oscura. Ricordate? c C'era una volta un re... » < Ma sopraggiunse allora un eroe... » Ah! se le fate avessero degnato comparire in una fiaba che fosse cominciata : c Cera una volte un mercante di nastri... » Ma no: le fate non riconoscevano la facoltà di amare se non nei sovrani anche perchè ai tempi loro non erano ancora stati, inventati i Presidenti di repubblica. Le fate, diciamolo pure, • avevano torto. Non si ama superiormente per essere nato statista o guerriero. Anzi gli affetti di queste creature privilegiate sono insidiati più degli affetti delle creature umili. In " vita esse sono perseguitate dai reporter» e dai fotografi che spiano ogni istante della loro gioia. In morte, tutto quanto ha sopravvissuto delle loro delizie, che pure furono materiate di mistero e di pudore al pari di quelle dei conmini mortali, è esibito crudelmente alla curiosità pubblica. Ora gli amori che vivono più brevemente sono appunto quelli ai quali la folla circostante partecipa in modo più largo. Più si parla della vostra felicità, più rapidamente inclina il suo meriggio. Ciascuno che sfiora un mistero d'amore ne dissecca e ne fa perire una parte. I sovrani, gli artisti, gli uomini di «tato sono al culmine di tutte le curiosità umane; e però il primo capitolo dei loro romanzi si congiunge più preste all'epilogo. La storia è forse un romanzo che accadde: ma il romanzo, ahimè ! non potrebbe nò potrà mai essere storia... * BERGERE!*. tmhstEcdvmnnamtceeGplldcgavaaenciFfh

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