Indigestioni d'arte

Indigestioni d'arte Indigestioni d'arte (Nostra corrispondenza particolare) Londra, maggio. E' tempo che l'arte ci lasci in pace. Da qualche giorno, quassù, hanno aperto la solita mostra delY Academy, ed è un amore. Perchè lascia in paco tutti quanti. Essa, grazie a Dio, non fa pensare. La Royal Academy, — una congrega ufficiale dove ila convenzione ha molti baldacchini, ma dove non mancano gli altari consacrati alla genialità, — ha buttato di sella tutte le società libere sorte negli ultimi anni. Essa rimane il sancta sanctorum dell'arte britannica. La conquista d'un palmo di parete nelle sue sale è ancora in cima alle ambizioni degli artisti inglesi. Questi, nell'aprile scorso, si son lanciati alla conquista in sedici mila. I respinti furono quattordici mila. Tutte cifre spaventevoli, insieme con quella dei superstiti, la bellezza di duemila. Non è però il caso d'allarmarsi. Voi passate in mezzo a duemila opere d'arte, fra tele gessi e acquerelli, e neanche una ha il torto di acciuffare La vostra attenzione e di farvi pensare. Esse vi regalano invece due ore di calma assoluta, non senza qualche frangia di noia, eccellente pel vostro riposo spirituale. Poi uscite a prendere una tazza di tè, e tornate ai vostri affari. Se questa non è grande arte, è certamente un po' di vita lasciata vivere. L'arte, da parecchi anni, non ci voleva più lasciar vivere. Ci aveva circuito d'una vasta congiura di critici affascinanti, i quali ci tirarono pel naso attraverso il mondo, di mostra in •mostra, di galleria in galleria, inchiodando nel nostro pacifico cervello borghese delle filze di cognomi esotici, degli scorci di quadri internazionali, delle comparazioni esasperanti, e un disperato senso analitico. Fin l'ultimo filisteo essi ecossero dalla sua sorniona placklità; e ci parve di non esser più degni di tirare il fiato se non assistendo periodicamente ai loro luminosi festivals pittorici'. Ora, da una parte, questa lucida crociata al calor bianco sotto le bandiere dell'arte qualcosa di buono l'ha prodotto. Ha preso a calci la maniera, ha sepolto il quadro di genere, ha svergognato la futilità e la trivialità in arte. Senonchè, dall'altra parte, i suoi effetti furono brillantemente disastrosi Sorbendo i moniti e seguendo i cenni dei critici di talento, la folla meno ottusa ha fatto tale un'indigestione d'arte, che il suo stomaco adesso è in disordine. Tutto collaborò a questa indigestione. Gli sprazzi geniali della critica trovarono degli alleati persino nei viaggi a buon prezzo e nelle incisioni fotomeccaniche a tre soldi. Oggi, noi tranquilli filistei di ieri abbiamo al no stro attivo tre o quattro mostre internazionali coi fiocchi, un pomeriggio al Lou vt6, una passeggiata per le gallerie di Am 6terdam, una capatina a Dresda, una sosta quasi intellettuale a Firenze, una punta di curiosità quasi artistica a Roma. E, come esplodono furibonde le barbabietole dai campi bene irrigati dopo una cultura intensiva, così è scoppiata nel nostro cervello la rivoluzione. I super uomini affettano, di credere che nella nostra testa ogni rivoluzione sia impossibile; ma i super-uomini non capiscono mai niente. Invece la rivoluzione scoppiò; e non poche teste sino a ieri refrattarie ad ogni senso d'arte, in breve tempo ne hanno assorbito già tanto da stupire molti. A furia d'incrociarvisi in visioni e •rappresentazioni continue, le migliori opere d'arte antiche e moderne, illustrate da articoli scintillanti Ietti prima per forza di inerzia e poi per abitudine, hanno creato in queste teste, così opache al di fuori, una inattesa facoltà di comparare, di giudicare e di eliminare con qualche certezza anche nell'orbita delle cose belle. E così, ora, sulle orme dei critici ammalianti, — divoratori di spazio e di tempo, sempre in giro dovunque alla scoperta di nuovi capolavori calpestando senza esitare la pleiade delle opere mediocri, — sta muovendosi anche tutta una folla d'iniziati e di smaliziati. Questa folla ha imparato a fiutare il genio, e a chiederne l'indirizzo; sa benissimo ohi è Sargent, quassù, e ohi è Lavery, come tutto il mondo oggi lo sa, mentre ai tempi di Leonardo non sapeva neanche che esistesse quel terribile barbone. Perciò è divenuta morbida, difficile, schernevole; ed esige dei capolavori a tamburo battente. Pier disgrazia i capolavori non si creano come ridere, e non pullulano mai come i funghi. I pittori inglesi eanno certo il fatto loro ; ma neppur essi han la fecondità dei merluzzi. E' dunque un tantino assurdo andare all'Academy ogni dodici mesi col fermo proposito d'incontrarvi delle eruzioni di genio. Pure, la folla ormai ci va con quest'idea, perchè gliel'hanno coltivata intensivamente nel cervello. Sembra trascorsa da secoli l'epoca in cui i bravi borghesi londinesi si lasciavano scivolare alY Academy come per una visita d'obbligo, sull'esempio degli altri, comprandosi per l'occasione un cappello e un paio di guanti nuovi. Oggi i filistei smaliziati si vedono in giro per le sale con tanto di catalogo in pugno, con tanto di lapis tra le dita, e con sulle lab¬ bra i! sorriso ironico dell'intenditore deluso e disgustato. La delusione e il disgusto li fanno sorridere, poi ridere, e poi sbadigliare. Intanto si riposano. E, alla fine, escono all'aperto, a vivere, lasciando l'arte da parte. Questo è l'effetto ohe ha avtflo sul pubblico l'eccellente critica intensiva per lo sviluppo delle barbabietole umane. E, dopo tutto, non fu malvagio. Ben di peggio, però, ò toccato agli artisti. Questi, sotto l'incubo della critica scatenata, han finito per smarrirsi. Si son trovati insigniti d'una importanza straordinaria, discussi e stradiscussi per mille versi, tirati di qua e di là, esaltati e sbaciucchiati, oppure inzuppati di lezioni e infarciti di comparazioni e di modelli. Videro tutto il mondo artistico sublimarsi in una boccettinia di elixir accessibile a tutti e trangugiatile in un sorso; il miracolo dell'arte mondiale riassumersi tra le pareti di dieci saloni fuor dai quali non restava speranza. Non più decisione e spontaneità, quindi, nel loro lavoro. Perdettero il contatto con la vita per tenersi a contatto con i critici e le esposizioni. Pitturarono con un occhio solo alla tela; l'altro sui giornali e sui trionfatori delle mostre cosmopolito non plus ultra. Dimenticarono che nessun artista può produrre qualcosa di deconte se non bada soltanto ai fatti suoi, tza curarsi di quel che fanno e dicono gli ri. Non si affannarono più che a seguire quel che dicevano i grandi critici, e a fare quel che facevano i trionfatori. Essi rimasero naturalmente quel che erano, con la stessa dose d'immaginazione e di valore; in parte, cervelli e animi di galline, come ce n'è in ogni altra categoria umana; ma si precipitarono tutti quanti sulle piste dei granai stilisti, per praticare anch'essi il grande stile delle mostre non plus ultra. Fatalmente, cominciarono a imitare e ad imitarsi, fino all'uniformità. Imbastirono delle opere sempre meno sciatte, sicuro, e realmente oggi il loro standard generale si mostra nobilitato. Ma è etile d'imitazione, una convenzione come un'altra, una nuova capsula di tipo comune sulla bottiglia di prima. E ormai non mancano persino i casi in cui questa imitazione raggiunge l'impudenza. Un pittore espone all'Academy un ritratto magnifico: un barbuto gentiluomo d'oggi in roboni d'altri tempi. Purtroppo, di nuovo c'è la sola faccia; tutto il resto non è che il famoso ambasciatore di Holbein. L'autore scompare. Nessuno quindi si occupa del magnifico ritratto. Tutti preferiscono l'originale di Holbein, visto cento volte alla National Gallery. Questo, va bene, è un episodio di spudoratezza; ma, se il pudore è un po' più osservato nelle altre centinaia di ritratti che inzeppano la mostra, l'imitazione vi persiste pur sempre. Quasi tutti son fatti assai bene; ma si assomigliano quasi tutti nel gusto e nel taglio ; quelli firmati con sigle note come quelli segnati con firme ignote; e ormai il pubblico ne conosce i modelli. Chi non ricorda Furse, .per .esempio, quel caro ritrattista di gente giovine e signorile a cavallo su liberi sfondi di brughiere? Egli non dipinge più, perchè è morto; ma ci sono almeno venti Furse, all'Academy di quest'anno, scimiottati a meraviglia. Soltanto, il pubblico guarda e passa : ha già visto Furse. Anche i paesaggi, una pletora di paesaggi sala per sala, fan pensare subito a esecuzioni di motivi che furono già in gloria, e che dalla tappezzeria delle mostre fecero il giro del mondo su tutte le pubblicazioni di arte. Quattro o cinque tele di paese e non più, sopra le centinaia che YAcademy ospita, lasciano travedere una schietta e diretta tempra d'artista. Queste poche son di Sargent, di Lavery e di qualche altro. Sargent, che da due anni ha fatto divorzio dal ritratto, è tutto arioso e sereno in un paio di candidi buoi ruminanti al sole presso un crocchio di Cipressi toscani. Poi s'imbratta in un Trasporto di marmi da Carrara, e si fa petulante in una Colazione sotto la loggia, dove pure è gran freschezza d'ombra laminata di sole e aria d'Italia. Lavery ha due visioni di Tangeri, e vi si rivela quél delicato sognatore nordico che è, innamorato del sud ; ma la baia crepuscolare sotto la Terrazza d'un albergo portuario gliel'hanno scambiata per un fiume d'altri siti. Lavery, però, si rifa in uno squisito ritratto della Pavlova, mentre la danzatrice si abbandona nell'ultima scena della Morte del Cigno. Se poi passiamo dal paesaggio alla pittura storica e simbolioa, la zavorra si accumula anche più. Il pubblico,- che ram menta le vaste tele civili di Amsterdam, alza le spalle dinanzi ai molti metri quadrati d'una Scenata ai Comuni nel 1668; ■ì contro i giuochetti dei simbolisti, maestri nel mascherare la loro vacuità dietro agevoli nebbie che vorrebbero sembrar profonde; esso è già btato messo in guardia troppe volte. I soli sinceri, i soli onesti, fra tutti, sono ancora i pittori di genere. E YAcademy ne serba parecchi, spaventosamente meticolosi nella composizione di scempiaggini ed eroicamente ostili alle ulti¬ me convenzioni; ma il pubblico non li può più soffrire, come non può più soffr.ire.il vecchio Tadema, che seguita a cacciar farfalle sotto l'arco di Tito dipingendo grappoli d'uva e melagrane sullo sfondo del Colosseo. Cosi, i filistei di ieri, divenuti schifiltosi per indigestione, passano oltre, sentenziando : o Può essere zavorra di prima qualità, ma è zavorra! i. Gli artisti, poveri diavoli, se ne lamentano. Essi han la coscienza d^'aver elevato il loro stile, e non possono comprendere come la gente, che pochi anni fa avrebbe trovato buone e interessanti le loro opere d'oggi, le scarti ora di botto. Il pubblico, per essi, è sempre più bestia di prima. Ma si sbagliano. Il pubblico è meno bestia, e guarda con occhi più aguzzi anche nel baraccone dell'arte. Gl'insegnarono ad esigere sempre di più, a scartare il comune, a cercare del nuovo. Ed esso si è già arrabattato alquanto per trovarlo. E' perfino corso in massa alle mostre dei post-impressionisti francasi; finanche a quella dei futuristi è accorso, e li ha discussi a lungo, con l'ingenua indulgenza con cui soltanto un pubblico pieno d'interesse per le cose d'arte può discutere anche i più grotteschi tentativi di rinnovazione. Ma non vi ha trovato niente, ed è scappato via, nerchè non è piacevole contemplare in cornice quelle manifestazioni di tumulti interiori di cui son frequenti le vicinanze delle osterie quando si spilla il vin nuovo. E, qualche settimana di poi, ecco il pubblico riprendere la sua ricerca, rimbalzando all'Academy. Ma, anche qui, non trova che delusione e disgusto. Che deve fare, allora, il pubblico? Ha i suoi automobili alla porta, bei macchinoni possenti che riempiono di rombi e di lampi il cupo cortile àelYAcademy aperto verso la lieta Piccadilly. Esso vi salta su, e corre verso la vita e l'avventura, due grandi cose essenziali di cui l'arte pel momento è spoglia. Fa benissimo. Ma se sapeste' cóme questa soluzione dà, sui nervi ai critici ! Essi ora ce l'hanno a morte con gli automobili. Dicono ohe se il pubblico dedicasse all'aite un decimo dell'interesse che dedica agli automobili, VAcademy sarebbe tutta in fiore. Non sono ancora convinti che il guaio deriva invece dal troppo interesse che il pubblico fu spinte a. concentrare sullo attività artistiche. Quindi proclamano: « Se VAcademy di quest'anno appare d'una deficienza inaudita, è perche il pubblico, in arte, non sa quel che vuole I ». Verissimo. Il pubblico, in arte, non sa quel che vuole. Sa soltanto quel che non vuole. Questo gliel'hanno istillato i critici. I quali, però, si son guardati bene dall'insegnargli quel che deve volere. E la ragione è ovvia. Quel che vogliono, non lo eanno neanche loro. MARCELLO PRATI.

Luoghi citati: Amsterdam, Carrara, Dresda, Firenze, Italia, La Loggia, Londra, Roma, Tangeri