Poesia eroica: D'Annunzio

Poesia eroica: D'Annunzio GROflACflE LiETTERARIE Poesia eroica: D'Annunzio Nessun poeta italiano poteva, quanto Gabriele D'Annunzio, rivendicare a sè l'ufficio di cantore dell'ultima gesta italiana: non solo per l'altezza dell'ingegno ma per un diritto, per dir così, di precursore. Nessun poeta italiano aveva negli anni della pace e delle idealità pacifiste affermato così nettamente, insistentemente, violentemente la necessità, la bellezza, la santità della guerra. Poiché nulla faceva prevedere ohe l'Italia avesse in tempo prossimo o lontano a trovarsi in arme di fronte allo straniero, poi'ihh anzi quell'eventualità pareva farsi sempre più lontana e improbabile, il D'Annuncio aveva volto la sua poesia, a celebrare le passato azioni guerresche della nazione italiana, con particolare simpatia per lo gesta navali, o aveva cantato l'eroismo del conte di Saint Uoii nel porto di San Giorgio, e glorificato i funebri del grande ammiraglio, e la l'orza navalo aveva esaltato nei suoi ordigni bollici coli acuta compiacenza. E quando nella spedizione delle nazioni europee contro l'iniii'iTcziuiio dei Boxers, alcuni marinai italiani erano caduti sulla terra di Cina, aveva levato un cauto funebre che poteva apparire, sproporzionato alla gesta; e negli nitri Canti delia morte- e della gloria, della Ricordanza e. dell' Aspettazione, aveva continuato il suo apostolato bellicoso che nel Canto augurale per la nazione liletta concludeva cali'apostrofo all'Italia: Cosi veda tu un atomo II mare latino coprirsi •li strutte alla tua interra e per lo tue corone piegarsi ì tuoi, lauri e l • [tuoi mirti. Quel canto era echeggiato solitario : o so ebbe una risonanza estetica nell'animo degli Italiani, non ò tarso erralo affermare che non ebbe una grande risonanza ideale. Il D'Annunzio ricordando ora a buon diritto .•juei suoi prolegomeni, sembra attribuire alla virtù della sua parola il presento rifiorimento patriottico, affermando che il secondo libro dello laudi pubblicato or son dieci anni, non fu pubblicato invailo. E' compiacenza naturale, ma che tarso non ò fondatamente storica. Fu davvero il D'Annunzio il pre cursore ed il bardo animatore della nuova gesta! La questiono sarebbe senza alcuna importanza artistica, so non aprisse il uasso a comprenderò la tempra dell'ispirazione d'annunziami. Notevoli tutte per bellezza d'arte, bolliséime talune, quelle varie odi e canzoni celebrative e augurali non direi fossero possentemente persuasive nel loro apostolato idealo.' Non avevano certo quell'intimo calore di persuasione che animava i versi del Carducci, quei versi che scossero con fremiti patriottici il nostro cuore di adolescenti. Per quanto certa critica veglia considerare l'opera d'arte in sii, all'infuori della figura ideale e morale dell'autore, ò proprio dalla totalità di questa figura che sgorga la mag gior forza persuasiva. Abbiamo potuto non amare od ammirare tutta o parte della poe sia civile carducciana, ma nessuno di noi ha.: mai potuto disconoscere l'alta e commossa idealità patriottica, la profonda sincerità sentimentale. Diverso era il caso del D'Annunzio. Per troppi campi egli aveva sfrenato la sua sensualità perchè egli potesse assumere ai nostri cechi la dignità austera del cantore civile; anche ai meno acuti quelle sue cele brazioni ed esaltazioni si rivelavano di ori ghie esclusivamente sensuale ed estetica. Era logico e fatale che nell'insaziabile sete di sensazioni, che è il cardine della natura d'aununziana, alla libidine erotica sottentrasse la libidino eroica: quella si esauriva nel suo godimento o lasciava frutti di ce ne.rc, questa si proiettava nei cieli della gloria: ora incomparabilmente più alta, più vasta e duratura: la sensualità d'annun ziana, che aveva esaurito' i campi del piacerò sessuale, trovò un nuovo pascolo florido in quelli del piacere guerresco. Era stata da prima brutale sete sensuale di spettacoli e fremiti cruenti e crudeli. Lo scettico e perverso dilettante di sensazioni rare, Andrea Sperelli, por cui i morti di Dogali erano « cinquecento bruti morti brutalmente » sognava stragi grandiose : Vuol tu pugnare? Uccidere? Veder fiumi di sangue? gran mucchi d'oro? greggi di coptìve femmine? schiavi? altre, altre prede?... Questa ardente sete sensuale del sangue e della strage, questo dilettantismo estetico della strage traluce da ogni passo dell'opera d'aununziana e s'esercita con acuto diletto nella rappresentazione di tutti gli spettacoli più atroci ; dalle mani mozzo e dallo scuri delle poesio amatorio alle possenti figurazioni della ferocia belluina nella descrizione verbalo della vòlta della Sistina e nel Canto Aiuebco della .guerra nella Laus ^vitae. Il più maturo senso critico dal D'Annunzio mostrandogli l'amoralità ripugnante di quella « divina bestialità » che lo faceva errare a fra la stirpe sanguinaria cho maneggia il coltello > aspettando con ansia « il primo clamor della rissa i> e fiutare con voluttà « l'odoiro del sangue ferino «, meditare « il pregio e il mistero del sangue, sgorgato dallo ferite mortali » lo trasse a integrare quella sete sensuale nell'idealità patriottica, come nella sola che redime l'or, rore della ferocia nella santità dello scopo Ma la trasformazione ideale e .l'adattamento patriottico uou hanno potuto velare completamento' il nucleo originario, nou hanno potuto mutare il fulcro della coni mozione poetica. E questo dieci Canzoni delta gesta d'oltremare ne sono una prova *** Rigida ed armonica no ò la forma ester na; dieci canzoni di quasi uguale estensione •ùcipliuato dalla severa catena della terze i e rima; ma' l'architettura metrica chiude correnti poetiche di natura alquanto varia: l'apostrofe lirica si alterna alla pacata narrazione epica ed alla ricostruzione storica: la fantasia del poeta passa da un campo all'altro creando una certa incoerenza idealo e talora qualche confusione nella visione ; e questa varietà e confusione negli stati d'animo si riflettono nell'impressione del lettore, nel quale il consentimento vibrante per una felice bellezza di evocazione è raffreddato e stancato da lentezze descrittive, da minuterie di ricostruzione archeologica, da pompa preziosa di terminologia arcaica; La ragione ne è questa. La gesta italica d'oltremare ha destato nel poeta non. un unico centro d'affetti, donde sia discesa una corrente di poesia omogenea, ma centri psichici e sensuali diversi e paralleli. Ha sollecitato ili primo luogo il lirico celebrativo della grandezza della stirpe, il vate dei fati assegnati dal destino alla latinità, il poeta del secondo libro delle Laudi, creatura poetica alquanto voluta e artificiosa, nata più da una ragionata o sapiente cupidigia estetica che non da un impulso organico nativo ; ha toccato in secondo Juogo il poeta di cultura, l'illustratore curioso, sottile o sapiente di memorio storiche, vago di carattere arcaico c di saporose rievocazioni verbali: l'evocatore della Città del Silenzio; ha affascinato infine il poeta dell'intonsa sensualità animale, il cantoro dell'Ocre e della Morte, del Cervo. Queste tre correnti, idealmente legittime alla rappresentazione di una impresa, che, come quella di Libia, esaltando le libre dell'anima italiana in un empito di orgoglio e di speranza, richiama necessariamente antiche glorie italiche e ne fornisce di nuove e palpitanti, non si sono fuse armonicamento nell'anima del poeta, come sarebbe avvenuto in una tempra poetica più semplice e sincera, nella quale i diversi elementi si sarebbero naturalmente disciplinati e proporzionati sotto la spinta dell'affetto dominante: si sono invece mescolate materialmente come correnti letterario già individuate. Ne sono nati equilibri e dissonanze ideali che l'uniformità metrica Jionwal-e.a dissimulare. Inutilmente si cerca in questo poema l'unità: irresistibilmente si-è tratti invece a rifare al rovescio il lavoro del poeta, a scomporre il mosaico, a dissociarne gli elementi. Ne isolerei dapprima la rievocazione storica, la ricostruziono ©pica. La canzone del Sacramento, che, di su im antico carme pisano, cauta l'impresa dei pisani contro il re barbaro di Mehedia, he e il saggio più puro e più armonioso. Quella figurazione dell'eucaristia nel mare, se indulge talvolta al vezzo arcaico di terminologia marinaresca medievale, ò superba di evidenza, di colore, di movimento : nel verso duro ed asciutto ò co me un'eco di quegli animi ferrei, di quella selvaggia fortezza: le'strofe che descrivono la pena degli schiavi cristiani nelle prigioni del barbaro sono fra le più felici del D'Annunzio : Sono l fanciulli, sono l vecchi, gli avi e i padri, son le donne violate, schiavi alla mola, schiavi al remo, schiavi al carico, sepolti nelle gune del grano, come in cemeteri^ cavi, muffi nelle cisterne e nelle mude, riarsi dalla sete e dalla fame, rotti dalla catena e dalla fune. Bevono pianto, masticano strame. Vivi non sono più uè sono morti, nono un cieco dolore in un carname. E' l'evidenza esatta e balzante, la formola concisa e definitiva della grande poesia, sono accenti che si possono, dire senza esagerazione, danteschi. Ma questa canzone è una cosa che sta a parte, compiuta in sè, e che con la impresa di Libia non ha che,una parentela assai lontana. Quando, come nella Canzone del sangue, dedicata alla glorificazione delle glorie genovesi, e in quella di Eletta di Francia, in cui è richiamato alla memoria il passaggio di oltremare di San Luigi, e in quella dei Dardanelli, le imprese navali dei genovesi e veneziani sono affaccialo volta a volta alle provo nuove, la narrazione antica opprime con la sua compiacenza minuta la gesta recente e la corrispondenza fra gli eroi antichi ed i novelli vi assumo un aspetto meccanico. Un.esem pio fra i tanti. Parla delle tre galee genovesi che sconfissero nel Bosforo una flotta turca: .} .'«.-,«.. «*.». . • tirati tre saettle contro dugenlo sàic.he, faste e galèe... E eouchiude immediatamente: Taranto, Alfieri, d'Alò, il nel tuo fl-gliuol che lì. fu spento su la duna a Bengasl... ^ ben- si, mostrò di quella tempra... La corrispondeuza è generica: non ha nessuna intima identità poetica che le couferiica. la spontaneità persuasiva dèlia poesia commossa e commovente. . . .... L'elemento più spiccatamente lirico, l'afflalo entusiastici del poeta che saluta la patri», risollevata e protesa verso il meraviglioso avvenire infarina la Canzone d'oltremare che apre la serie, e domina qua e là le canzoni dolili Uiuna, di Mena di Francia, dei DardanelliNon è la corrente più pura: c quella che favorisce la megalomania verbale e la libidine immagiuativa per cui la nuova Italia vittoriosa è u più bella che la sua. veste d'aria » ; per cui, con brutta frase giornalistica, l'Italia è cantata « con la bocca rotonda del cannone », per cui le volontà di dominio « tuonano cosi forte » da soffocar i! suono delle cose morte che crollano, per cui, con un bisticcio più inge guoso che poetico, l'Italia dal tre mari di venta via Patria dàlie Quattro sponde»; per c«ngelcnocDsvbeegsenclsDdsdsIitgspv o i a a a e a a i a cui la Morte che ispira le Muso è detta « conduttrice più divina d'Apollo » ; per cui non solo lo stelle dell'Orsa, antichissime guardie dei piloti, ma le Pleiadi, e Merope, e Vega, e Sirio, e Sirra, e Aldebaran, e Polluce e Castore, e poi l'intera Via lattea sono chiamati, con la solita intemperanza d'annunziana di riferimenti, a scòrta delia nave ospedale che reca Elena di Frauda; per cui infine nella Canzone dei Dardanelli il D'Annunzio è trascorso a quelle invettive e sarcasmi, politici cho come tutte le sue invettive mancano di misura, di agilità, di buon .gusto e perciò di efficacia. Non già che egli non si riveli, pur tra gli eccessi e gli errori di questa ispirazione non scevra di gonfiezza e di rettorica, con qualche versò scultorio : Oggi nova tu sei per ogni vena sopra l'oblio dell'onta... Slamo cinti d'oblio. Siamo una gente fresca e spedita, immemore del giorni squallidi, paziente e impaziente... Ogni tristezza dietro noi tramonta. Chi latra ancora nella lorda fossa, guando il fato con l'anima si affronta? e con immagine ardita ma efficacissima nella pittura doll'Italia in attesa della nave cho reca i feriti La Patria 6 tutta pallida, in piedi, con un volto solo. Egli è tale squisito artista che la bellezza fiorisce sulle suo labbra anche quando' si lascia indurre a forzar la vòco. |INello canzoni centrali dei Trofei o della Diana, il D'Annunzio ha affrontato direttamente la poesia tragica della realtà odierna, l'immediata visiono della battaglia. E' iu questo campo che egli ha toccato la bellezza e l'efficacia maggiore. Era la sostanza poetica che più intimamente rispondeva alla sua natura sensuale, e qui ha' scritto versi potenti. E non è meraviglia.'. In tutta la sua opera, lirica e drammatica, in poesia ed in prosa, le figurazioni violen--{ te, crudeli, atroci, sono quelle iu cui la sua arte ha raggiunto l'espressione più alta, la genialità vera. A questa realtà umana vi< bra il suo essere profondo, o non solò la' sua intelligenza. L'osservatore. acuto, rapido, stringente, il descrittore implacabile vi ha trovato una messe abbondante. Nella sua parola i particolari minuti delle cronache dei giornali hanno trovato la loro forma scultoria e definitiva. E il poeta pittore, Vjhe'ha !,dàbortante" nriràbili- visioi.Tr trrf paese, vi ha racchiuso spesso iu pochi versi l'aspetto, il profumo e l'anima del paesaggio africano, gravo di solenni memorio romane. ! • '-• •-' - Ma questa figurazione realistica, vivace, colorita, balzante, manca di sintesi e di architettura: ò sproporzionata, dispersa, con7 fusa: sente la febbre dell'improvvisazione, ma anche la fretta. Per connettere gli sparsi quadri che balzavano vivacissimi alla sua fantasia, il poeta ricorre alla còmoda, ma retorica enunciazione degli antichi poeti di scuola: Canto la libertà... canto la forza, canto le stive, canto il selvaggio anelito.... Più potentemente organati, questi quadri dovevano sorgere senza bisogno di enunciazione. Accettiamoli come quadri sparsi, come nuclei di poesia intensamente sentita, che dovevano integrarsi in un complesso armo nico che è mancato, e sono quadri potenti|j Nella pittura delle banchine e degli imbarr chi dei buoi o dei cavalli rivive il D'Annunzio che tracciò lo indimenticabili pitture della Laus Vitae. Lo tre terzine che rappresentano lo sforzo degli artiglieri ohe trasumano i cannoni, sono semplicemente! stupende di fedeltà descrittiva e di rapidità evocatrice: ... il selvaggio anelito, la gota '• che. gronda, il lungo sforzo a testa bassa, i polsi fra le tazze della ruota, le spalle che sollevano la cassa e la portano. Ne minore è la rappresentazione del mozzo alla guardia delle trincee: Poggialo al pezzo, il morituro imberbe, che morderà la sabbia, i denti bianchi ficca nel pane e nelle frutta acerbe e mirabile sarebbe la figura del fuciliere sardo, se le simpatie isolano del D'Annunzio non lo avessero tratto a diffondersi oltre modo, con danno dell'equilibrio dell'insieme : .'Non si, volta, non grida e non molleggia. ■y.Mira e tira. Una palla squarcia un sacco. ■'■'Una rimbalza su la canna c scheggia Ha cassa. Un'altra viene a Uro stracco :*£vri' po', lo pesta. Un'ultra vicn di schia.nr.Ut ';> alo strina. Egli inorile il suo tabaccò. ... E uon è salo forza di rappresentazione realistica : è la felice ed audace immagine deli' • ■animo scaglialo a tulio, possa. Tragica è la figura del ferito E quegli ch'ebbe stritolato il mentu^ dalla mitraglia e. rotta la ganascia, — —— e. su la branda sta sanguinolento 'è taciturno, e l neri grumi biascia, anch'egll ha l'indicibile sorriso ■all'orlo della benda che lojascia, iiuando un pio viso di, sorella, un viso d'oro si china verso la. sua guancia, •uh viso d'uro come il fiordaliso. che c guasta dalla preziosità araldica dell'ultimo verso. }E atroce di verità è la rappresentazione dèi'mutilati e crocifissi di Hcnni. Il D'Annùnzio, cho cercò tante volte col lumicino alla sua sete di descrittore macabro immagini orrende, ebbe qui ad usura dalla realtà vera di che esercitare la sua virtù di evidenza. . E questa virtù sovrana, se ò qualche volta offuscata da immagini infelici, come quelle per cui gli artiglieri diventano « dèmoni della vampa « del fragore », a alacri sinfoneti delta guerra », rifulge attraverso tutte lo canzoni : in quelle di Umberto Cagai e di Mario Bianco, culmina, pur uel|.l?ji.rrore dell'ultima, nella superba rappresentazione della * schiera quadrata », che riconduce da Bir Tobras i feriti, tra le tenèbre, il.gelo e l'agguato nemico. (jt>E' la schiera quadrata, che va dove l'^l'Iiro.e la riconduce. Ila seppellito . a Tobrus i suol morti. Ila visto nuove stelle sorgere a lei dall'infinito. '-Ila reprèsso il singulto del morente,' i sha soffocato il lagno del ferito.- 1 Col ghiado illude la sua sete ardente. IQjJl mulo che portava l'acqua, porla il carico di sangue. 'Le cruente f ! « esilio ». Sappiamo che il suo esilio uou è some non hanno un gemito. La scorta è un solo ferro che respira. Questa è poesia vera e grande. Ma ò poe'pia'che anche a primo aspetto rivela la sua M^iilateralità ideale, è entusiastica esaltazione della violenza, è, direi, libidino di eroismo. E noi, ammirando, sentiamo nel nostro intimo che la visione della guerra desta in noi altri affetti, più gravi e severi, sentiamo che non tutta la nostra umanità è toccata dalla parola del cantore, che forse la' parte più intima ed elevata gli è sfuggita, e pensiamo che da un sentimento più semplice ma più profondo sarebbe sgorgata forse la parola suprema che qui fa difetto. letto errore dell'ultima canzone. Er- Iteo e Òro è stato quello del D'Annunzio di non comprenderò che la gesta italica era troppo più alta della sua persona e dei suoi cali per fonderli in mia sola poesia. Nulla Importa a noi sapere che essa colori il suo precisamente quello di Dante o non è minimamente connesso colle sorti della Patria. Poco ci importa che egli prenda possesso della nuova anima della nazione, chiamandoa « la mia più grande Italia ». Ma già ci pare'inutile ed ozioso che egli, dopo averci detto di aver sognato « il fato del Bonaparte », si identifichi in certo modo cól Cagni e con Maino Bianco. E inopportuno ci sembra ohe nell'ultima canzone, prima di evocare la quadrata schiera degli eroi di Bir Tobrts, evochi se stesso e la sua passeggiata a cavallo per le dune di Arcachon, e l non definito suo tormento, e la sua insonnia,-e il silenzio delle stelle infauste nel cielo del. suo. esilio. Con quella mancanza di opportunità e di tatto, che insidia troppo spesso la sua attività, egli, dopo averci dato una collana di canzoni in cui sono bellezze non caduche, sente il bisogno di descriverci a c fornace imperterrita e la fucina travagliosa » donde sono uscite. No : è poesia d'altra natura. Un altro poeta ha avuto 'ardire di sposare l'angoscia del suo esilio alla suprema idealità del suo canto, ma era Dante. ENRICO THOVEZ. Gabriele} D'Annunzio: T.k Cannoni della getta d'oltremare. — F.lli Troves, Milano.