Francesco Acri

Francesco Acri Francesco Acri e' a i E' morto con Francesco Acri l'ultimo del vecchi maestri insigni dell'Università di Bologna, l'ultimo grande scrittore antico della terza Italia. Sul suo tavolino da lavoro rimane aperto quel libro dbi volgarizzamenti di Platone, del quale egli, sentendosi giunto presso al termine della vita, voleva lasciarci una ristampa in veste perfettissima. Egli ha chinato il capo esausto sul monumento bronzeo della sua gloria di letterato. Francesco Acri fu a Bologna, nella compagnia di Giosuè Carducci, di Giambattista Gandino, di Edoardo Brizio, di Severino Ferrari — morti tutti — uno dei più eloquenti maestri delle nostre lettere; e la loro discl-" plina faceva dello studio di Bologna il più luminoso tempio del moderno umanesimo ttallano. Col Carducci e col Ferrari la Toscana e l'Emilia gareggiavano in eloquenza e gentilezza di educazione letterata antica» e moderna; col Brizio e col Gandino ' 11" Piemonte prestava due luminari della filologia e della grammatica; con l'Acri le^Calabrle rappresentavano il sottile ingegno filosofico, rivivente ricordo della genialità magno-greca Letterato e filosofo, maestro di scuola e scrittore. Francesco Acri era anzitutto una mente di rarissimo acSme, proba, educata a, tutte le eleganze del pensiero e della parola. La ricerca della verità e della bellezza era in lui una sola. In lui era un'anima di cenobiarca, che udiva i rumori del mondo fatti lievi da una remota lontananza; a cui giungevano le luci del di fuori quasi filtrando attraverso il vetrame istoriato di una vecchia cattedrale antica. Non pativa delle Inquietudini della vita moderna. Non le voleva soffrire; specie negli ultimi anni, il suo ideale era di pace assoluta, di profonda quiete, di chiarezza e d'ordine nei pensieri e negli affetti; egli era nell'arte e nella speculazione un -mistico. ■Non sentiva la prosa se non come una composizione ferma di parole, delle quali ognuna doveva trovare nel periodo la sua giacitura unica, perfetta; e rendere quasi per so stessa non so quale idea e sentore di estasi. Ammirava però lo stile carducciano molto più che non lo amasse. E degli altri scrittori moderni nessuno gì; piaceva tutto per l'arte, neanche il Manzoni, se non in quei tratti dove gli jTareva che risentisse meravigliosamente del candore virgiliano. iPpco lesse del D'Annunzio: ma qualche verso di lui, che soleva ascoltar i dalla bocca ora di questo, ora di quello scolaro, lo contentava, come cosa perfetta. Amava del Pascoli l'anima e l'ingenuità, il fanciullino che viveva ancora nell'uomo, e il dolore cristiano di quella vita. Senti la poesia forse come nessun'alltra. estuata quella di Dante, che in gioventù aveva mandato tutta. a memoria, prima ancor di capirlo, innamorato di quell'arte in cui sentiva l'eterno, il divino, la cosa che non passa, che non muore. La sua conversazione era unico, singolare, ma senza nulla di strano o di bizzarro. Non amava molto, ma neanche sapeva odiare. Rifuggiva /daaia turbolenza dei giudizi e delle passioni umane. La sua filosofia era chiara come la sua vita. ■Una sola ombra: la paura della morte. Era cristiano, ma il pensiero della morte, della fossa, del buio, del corpo che si corrompe, gli dava ribrezzo. Allora ricorreva alle sue immagini lievi, eteree, alle sue mistiche figurazioni, come a una consolazione. La filosofia fu per lui. veramente, consolazione dell'anima. -Ma il suo ricordo più vivo e perenne rimarrà nella prosa. Il suo ufficio vero fu di prosatore. Chi lo conobbe, lo rivedrà sempre in questa sua veste, quasi di frate volgarizzatore trecentesco. Il lavoro non gli dava la febbre, ma il senso di una vigile e pur dolce e riposante fatica. Solo dei puristi italiani ohe riuscisse artista, insisteva sui periodi duro, paziente, ma freddo e quieto, saggiando a una a una le parole e ; suoni che davano nel loro comporsi e seguirsi. (L'ispirazione non la cercava nel moto della fantasia, ma quasi nel suo posarsi. Le idee, le immagini erano lì, sui fogli, fermate con poche o molte parole, o non potevano fuggirgli. E&Li aveva. tutto disposto per non dover correr dietro al fantasma; ma per poterlo trattare e lavorare mentre era lì. senza moto. Cosi egli ha tradotto i dialoghi di Platone, smorzando talvolta la pullulante vivezza attica, e appesantendone la lieve grazia musicale. Cosi ha lavorato sempre. Occupato oggi, fu detto di lui, nell'esprimere bene un pensiero, preoccupato domani dal bisogno di esprimerlo meglio, faticando continuamente, per produrre poco e a grandi intervalli di tempo; con le abitudini oziose di un retor.:. con le fatiche aride ed aspre di un pedante, con la dignità di pensieri di un filosofo, con la vaghezza nelle Immagini di un poeta, con l'incuria di popolarità di uno scrittore che disdegna la fama e ambisce alla gloria, con la bontà di una vita che voleva essere quella di un santo, Francesco Acri ha fatto di se ima figura che rimane oltre la morte fra le più rare e singolari della nostra letteratura nel nostro tempo. I. a. pcodsifpBsgmmdmmauspzpgempgredcprm

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