Il De Sanctis a Zurigo

Il De Sanctis a Zurigo Il De Sanctis a Zurigo Donna Elisabetta Marvasi, Je vedova del famoso accusatore di Penano, dedica ai figli suoi il libro dell» lettere inviate da Ftancesco De Sanctis, quand'era professore nel Politecnico foderale di Zurigo, al marito Diomede. Erano gii anni fra il 56 e il 60 ; e il s professore » aveva lasciato Torino per la nuova cathedra di lettere italiane. Torino, e i cari' amici e compagni d'esilio, na poSetami; e le giovani scolare, c De Sanctis è partito per Zurigo, scriveva Bertrando Spaventa. E' stata una consolazione e insieme un dispiacere per noi, perchè l'abbiamo perduto. Del resto, boato lui, che ha lasciato questo medioevo scientifico! ». Partendo da Torino, ricordo/ Benedetto Croce ' nella prefazione al volume da lui corre-, dato di note, ili De Meis e il Marvasi lo vollero accompagnare fino a Bellinzona. i Là (narrava molti anni dopo il De Meis) egli ei - divise da loro tutto commosso, e, ponendo il piede nella vettura che doveva condurlo attraverso le Alpi, ricordava' il lamento della madre di Cecilia nei Prometti Sposi: poscia il carro si mosse;... e partì ru queste parole ». Tornarono -i due amici, malinconici e dimessi, in quella Torino che, senza il compagno indivisibile, pareva loro una, cosa morta, e antipatica e seccante più di' prima. « O buon professore nostro! dove Biete voi! ». Ed ecco, ogni quindici, ogni yenti giorni,-poi a intervalli anche più lunghi, la posta recava, da parte del professore, urna letterina. Gli amici la leggevano, e forse l'aprivano insieme; e la commentavano. Diomede .Marvasi le conservò, come documento degli anni d'esilio, come pégni, forse, della più cara amicizia della sua vita: e dopo la morte di lui, quel fascio non voluminoso di carte,' restò in casa Marvasi come una memoria, delle più rare e delle più sacre, de! grande avvocato insieme e del maestro glorioso. Così si erano amati e desidwrati; cosi avevano vissuto, lontani e dii/versi, chiamandosi a nome nelle ore di solitudine, diseredate di ogni altro conforto, vuote di speranze, inutili, fredde. Con una tale solinga passione avevano anch'essi, come tarati altri, attesa di stagione in stagione, di anno in anno, l'alba di un giorno più chiaro, più aperto, j>iù buono ; in cui si potesse scrutare l'orizzonte e vederci ognuno per suo conto e tutti insieme la propria meta, la meta, certa e sicura, il punto al quale gli uomini tendono, verso il quale gli uomini vanno, quando la libertà li aiuta, quando l'ingegno e l'animo e le vicende appartengono in proprio non solo a noi ma al paese nel quale si è nati, e per il quale si sa, si sente di vivere e lavorare, di studiare e combattere. Ma quale, ma do. ve, negli anni avanti il sessanta poteva essere la patria per gli esuli napoletani scampati a Torino, che avevano gli amici e i fratelli in galera, che facevano essi la miseria e la fame, che a trenta, trentacinque, quarant'anni dovevano, senza posizione, consumare la giornata, come studenti ; fra la camerette d'affitto e il caffè, leggendo, scrivendo, chiacchierando, fantasticando, in una atmosfera chiusa e grigia, fra i timori, le ansie, le mortificazioni, le malattie? Ed erano, fra loro, alcuni dei nostri più belli, più luminosi ingegni: era quel Francesco De Satnotis che per campare doveva fare la scoletta e correggere i compiti alle ragazze: il professore, come lo chiamavano gli amici, con affettuosa pedanteria. Ps A Zurigo il De Sanctis andò preceduto da ottima fama. e II signor De Sanctus, annunziava nel numero 9 geninaio 1856 la Neue Ziircher Zeitung, è. nativo di Napoli, vive presemteniente come profugo politico a Torino. Tra le sue raccomandazioni sono attestati di grandi letterati italiani. Tra questi ce n'è uno che dice del prescelto: essere se non il' fondatore, almeno il riformatore della letteratura italiana ». Ma le lettere del De Sanctis al Marvasi, meglio che documenti dell'operosità intellettuale del maestro, sono appunti e bozzetti della sua vita privata. Agli amici erano cari i piccoli particolari della sua esistenza; essi lo volevano seguire con l'immaginazione, quasi ora per ora del giorno, nelle minute vicende e occupazioni pratiche; e il maestro soddisfa la loro ou: riosìtà insistente, a Farò lezione in una piccola sala dell'università, dove fanno lezione anche Dufraisse e Cherbuliez. Immaginati una cattedra alta, con una sedia alta alta che ti"spinge avanti, e dove devi sforzarti di tenerti in equilibrio, sotto pena di romperti il collo: me lo ha prevenuto TJjifraisse. ' Dove sono capitato ! Figurati la mia apprensione. Dicono che è il costume del medioevo, una cattedra alla medio-evo. In verità, questi signori non hanno senso comune: tu bestemmieresti le cento volte. Per esempio, il mlsoino è di piume, tale che vi affondi il capo, che rimane allo stesso livello del corpo. La coltre è composta di due coltri cuoite, corta, e stretta, sicché rimani co' piedi, scoperti e :col petto dà fuori : io debbo rimediare col cappotto. In che modo dormono questi signori? Dove mettono i piedi ? Per me non l'intendo. Ho cercato di far capire alia serva e a Madama come si dee fare il letto; ma gli è come* un parlare a"sordi: tornano'da capo, non vogliono derogare al medioevo... Ecco, mi viene a sputare e mi debbo alzare. Qui è un peccato mortale sputare sul pavimento, che si lava ogni otto giorni : ci è un arnese ove si sputa, si gatta la polvere del sigaro, ecc. I portoni sono sempre chiusi: avanti ci è un arnese per strofinarci le scarpe; avanti alle scale ce ne è un altro, od un altro avanti all'uscio... ». Oppure: « Qui, dopò quattro giorni di costosissimo albergo, sono venuto infine a dimorare' in un luogo deliziosissimo, detto « La vale delle rose ». Oggi il primo giorno. Buoi quindi comprendere, perchè non ti ho scritto prima : questi quattro giorni sono etati gior¬ ni d'inferno. Pensa un. po'. Córro da Escher, e sta a Sciaffusa; vado da Kern, ed è in «un pagaia; pesco Ha Scuola PoMteonioa, ed è deserta; l'uniiversità, deserta: tendo l'orecchio di qua, di là, se dalla voce conoscessi qualche italiano: nulla: un gergo senea nome. Come si fa? ero stanco, non dormivo da due giorni: mi porjgo a letto, e mi sveglio la. mattina appresso alle nove. Pensai che il meglio era uscire, veder la oittà, conv mettermi alla ventura, domandare a barbieri, caffettieri, -tabaccari, indirizzi d'italiani. Perdei quattr'ore senza cavarne nulla. Giunto trafelato, chiedo da mangiare e mi si dice che a Zurigo si pranza alla jezza, che a quell'ora tutto era chiuso, e bisognava aspettare alle sei e mezza per la cena. Dotato di una pazienza a tutta prova, mi stringo nelle spalle, e mi avvicino ai miei uccelli, a cui appena giunto avea comprato una bellissima gabbia; e che veggo? Una turba di gente in permanenza sotto la finestra, con gli occhi spalancati a guardare i miei canarini, uccelli rari a queste parti : — Sie sind schòn-, — gridai io. — Ja! Ja! — udii da tutto le parti. Essi erano i benvenuti, i festeggiati, ed io me ne stavo lì, come un cane, a denti asciutti e non guardato da alcuno ». Questi e altri simili sono segni curiosi dell'animo del De Sanctis. Scrivendo agli amici, egli fa passare i casi della giornata e li tratta come materia di -novella, con una ingenuità disinteressata, cui dà colore l'ironia, che affiora spontanea, senza punte, senza intenzioni. E' l'uomo distaccato, distratto dalla realtà, che si tuffa in essa un breve istante, ne coglie il sapore, e se ne ritrae; ma senza disgusto, per necessità di cose, per pensare ad altro, per vivere in un altro mondo, quello del proprio pensiero. Tra realtà e idealità non c'è contrasto nel De Sanctis, con conseguente scoppio di orisi, smarrimenti, inquietudini ; quella del De Sanctis fu natura armonica e forte; si sente in lui l'uomo sano, il temperamento ricco, un non so che di franco e sicuro, di aperte e confidente, di fervoroso e incoraggiante', che ci spiega, anche senza le ragioni dell'ingegno, i suoi successi di insegnante. Parla della sua prima lezione a Zurigo, e dice- : « Ho cominciato lentamente e freddamente: poi mi sono animato, ho dimenticate uditorio e Svizzera, e, posso dirtelo a quattr'occhi, sento di aver fatto una magnifica lezione sugli antichi rimatori italiani: sopratutto ho parlato benissimo. Gli allievi hanno cominciato a scrivere sui loro quaderni : poi si sono obliati anch'essi, e sono rimasti lì con la penna tra le dita e col volto attonito: l'ora è sembrata un minuto. Dopo i soliti complimenti degli uditori straordimarii; enelwntc de..., admirable, magnifique, ecc.; di che ho piene le tasche. Giovedì, che starò solo coi miei allievi, vedrò se sono rimasti contenti, e se mi ha.n,Tip capito bene ». Notate la rapidità del passaggio dallo stato d'animo dei conferenziere seccato dai complimenti,. — che tende la mano a chi gliela porge, sorride a chi gli sorride, s'inchina a chi gli s'inchina, ma che non dà nessuna importanza a questi episodi esteriori, a queste lusinghe e fatuità del mondo, — al vero e proprio interessamento del maestro per la sua scuola, per i giovani ; « Giovedì che starò solo coi miei allievi... »Sono tratti e scatti che ci rappresentano l'uomo, in quel suo calore profondo di vita, in quel suo tumulto generoso di idee, propositi, immagini, affetti, che danno una vivacità così singolare — così desanctisiana — al suo stile, gittate giù a. furia di intelligenza e di passione, luminoso e caldo dell'una e dell'altra, e sopratutto eloquente. Che è l'eloquenza dei discorsi letterari del Carducci, quando si pensa ai due volumi dolla storia della letteratura italiana del De Sanctis ? *** H bi di libi itlii di di e a o « Ho bisogno di libri italiani moderni, di cui qui non ci è quasi niente. Crederesti che non 6olo non ho potuto trovare un Leopardi, ma che qui Leopardi è ignorato da tutti, anche da Ticinesi? Burckhardt, per esempio è stato otto anni in Italia: non conosceva che Monti ! Domandatogli di Leopardi, mi cito con elogio un libricciatolo di Monaldo, del padre: di Giacomo ignorava perfino l'esistenza. Quando dico che Leopardi è gran poeta: — Vraimentì — mi rispondono con un sorriso d'incredulità ». Così il nostro in urna lettera del '56, due linee sotto parla del De Boni : « cervello angusto con molta dose di presunzione: mi fa degli elogi, ma con un'aria di eontrainte e di affettata superiorità, che io gli meno buona lasciandogli sempre la parola e la preminenza innanzi agli altri: del resto, uomo onesto, oarattere nobile e patriottico : lo stimo, quantunque non l'ami ». Segue un giudizio sull'opera di Cavour, tornato'allora dal congresso di Parigi, e qualche breve accenno a vicende politiche e ad amici comuni. E ancora: « Sono solo, mio caro Diomede, solo: questo ti compendia lo stato del mio animo ». Tuttavia gli scolari vanno ad ascoltarlo in discreto numero e di buona voglia. « Perchè accorrete in sì gran numero da De San ctis ? — domandava un professore. — Perchè non ci secca; perchè ci fa ridere e ci diverte. — O povero me! » i II bottiglione forse l'ha Costanza, perchè io le dissi di portar seco tutto ciò che era servibile; se non l'ha fatto, suo danno. Dille che ogni volta che mi metto le camice, mi ricordo di lei ; crepo di rabbia per mezz'ora e non posso abbottonarle; già ne ho stracciata una. Ma perchè non metterci le fettucce? Addio ». Così, se pur sono riuscito citando a rendere l'impressione, sono le lettere del De Sanctis. Scritte, (almeno sembrano), di gran fretta, con la testa in tumulto, saltando dall'uno all'altro argomento più diverso e lontano, con la più franca indifferenza, senza cura letteraria o altra qualunque vanità di arto o intenzione, rivelano a volta a volta r indegno dell'uomo e n* fW cu- riosamente l'animo, nel suo aprirsi e mostrarsi agli amici, cioè nel suo essere e operare più immediato e più vivo, più dimesso e cotiddano e aincero. A un tratto si ahwuno gli occhi dalla pagina, e si vede con Fimihaginaziane, la stanza del professore, a Zurigo. Libri da per tutto, sui tavolini, sulle sedie, a strati, a pile, a mucchi, e tra x libri carte e giornali dispersi in un gran guazzabuglio :, una gabbia coi canarini appesa melila trombatura della finestra, alla luce del giorno che muore; un giorno di invernOj in Svizzera; e nel mezzo della stanza, seduto a un ampio tavolino, il professore che scrive. Prepara forse una delle sue mirabili lezioni sul Canzoniere? Ma che! Siamo presso a Natale, e il professore scrive a un caro amico lontano. « Che tristo Natale si avvicina. Diomede! e che tristo capodanno! Siamo tanto infelici, e ci dobbiamo rendere infelici di più ! Diomede, caro Diomede, perchè non mi scrivi? A Torino ri amavamo e battagliavamo ogni giorno; ma almeno ci vedevamo 'Sempre. Perchè non mi scrivi? Maltrattami, dimmi quello che vuoi, mal scrivimi: non posso vivere senza aver vostre notizie. Se sapessi in che angosce indicibili ho passati questi giorni ! Non ho mai così amaramente sentita la mia solitudine. M'hai invidiato un po' di buon umore. O Diomede! E' così raro per me il buon umore ; rallegrati quando vedi ch'io scherzo con te, e dì : Manco male, il professore non è così triste. Posbì, mio caro Diomede, esser felice, e tu pure, Camillo mio, e tu pure, mio buon Bertrando! Accettate questo augurio, che vi manda con tutta Tainima il vostro fratello lontano ». Dinanzi a questa così umana, così tenera e viva effusione d'affetto pare si intendano meglio le ragioni della grandezza dell'opera intellettuale del maestro. Oltre l'ingegno e gli studi, quell'uomo aveva un'anima. Ed ecco perchè quando leggiamo le pagine su Francesca o su Farinata, sul Petrarca o sul Leopardi, noi sentiamo l'uomo che, attraverso la letteratura, si è messo a contatto diretto con l'umanità, coi suoi affetti, eterni e con le eterne sue ansie. LUIGI AMBROSI NI, Francesco De Sanctis. tenere da Zurigo a Diomede Marvasi, 1856-1860. Pubblicate da Elisabetta Marvasi, con prefazione e note di Benedetto Croce. — Napoli, Ricciardi, 1913.