Ai roseti di Burdur

Ai roseti di Burdur La " Stamp a „ in Oriente Ai roseti di Burdur (Dot nostro Invloto opoolalo) In viaggio per Istinti, | sPartenza di buon mattino. Il più alto mi- Bnareto d'Adalia alza contro l'nltima stella la sua punta rosata dall'aurora. 11 cielo è dindicibilmente puro. 11 mare azzurreggia in lnni divina calma fino alla più remota Elontananza Adalla è ancora tutta logon- Snolita mentre la mia araba l'attraversa Btraball'ando sullo" spaventevole selciato. L'àc- mqua delle strade canta ,solo per il silenzio nmattuttno I primi caffè si aprono nel ba- d■ar oscurato sotto le stuoie sospese. Passa- no i cimiteri irti di stele e d'erbe alte uGiungóno dal monte le prime carovane ltzvd'asini e di cammelli carichi di grano e di mfrutta. Siamo fuori dalla città, fuori del mselciato orrendo. L'araba^ fa schioccare la frusta, e i cavalli partono ad un buon trot-.to sulla strada larga e polverosa che va Wall'altipiano. Per otto giorni abiterò questa bizzarra vettura che rassomiglia ad una stanzetta rotolante, colle sue due, brave Porticine e le finestruole munite di cortine tott Inter- ™ ,„ „t.r=! >£ii„ „ ^n-r^hn JiJ^Ò uno. In attesa della ferrovia, Iaraba rimai- „ ., „,,„,. w^,^ , ■ ,,„_. „„_ ...... vne il miglior modo di viaggiare per I Asia Minore. Non si poteva combinare un vefco- ™,„ _,. --_-j„ . , „„- j, j, rilo più comodo e più adatto alle grandi di- stanze. Su queste stradt il landeau sarebbe „„„ ' fc„ „ . ^,|, .puna tortura. Neil araba non ci sono sedili.. dlUn materasso e dei cuscini permettono di sdraiarsi, di accoccolarsi, di allungarsi, di dormire, come nel proprio letto. Si va per valli e per montagne, e si conserva un poco l'impressione di essere' restati a casa. Tanto più che, in una grossa cesta, si porta tutto ciò che è necessario alla vita: dal pane al latte condensato, dalla cucina al letto da campo. Alla fine di ogni tappa troverò sólamente un han, qualche cosa come il fonduh arabo, che mi prowederà di caffè e di una stanza perfettamente vuota. Ma in viaggio avrò tutto l'orizzonte per me. Da ogni parte vedrò scorrere il paesaggio. Sarò come sul ponte di una nave. Ieri, in una passeggiata a cavalTo col Console, ho traversato una campagna verde, ridente, irrigua. Andavamo verso levante, all'Ak-Su, l'Acqua Bianca, nella quale si crede sia morto annegato Federigo Barbarossa. Oggi invece taglio la zona che è dietro Adalia, a ponente, presso le fosche montagne di Bereket La scena è completamente diversa. Terra arida, biancheggiante. Fra i fespugli affiora una piètra spugnosa. Niente acqua, niente culture. Di vivo non vedo che le lunghe carovane che passano fra un cupo clamore di campani. Abbiamo raggiunto dopo- un'ora di trotto il gradino di duecento metri che porta al primo altipiano.. La terra si mantiene selvaggia. La brughiera scompare dietro di noi, sotto il salto della rupe. Il mare per l'ultima volta risplende. Incominciano i pini di Aleppo, pallidi, distorti, invocanti pietà colle braccia convulse. La strada entra nell'ombra della foresta che si infittisce, ma a poco a poco, con lentezza faticosa. Pare che gli alberi si radichino a malincuore in questa, terra magra e pietrós6,.;,UjiÌ Campetto di grano mietuto' fra i sassi è il solo segno di cultura. Le case so»o rade, disseminate a grandissime distanze. Se'si continua cosi, è mèglio lasciare Adalia a chi la vuole. Ma altre carovane scendono.-cariche di grano. Donde'viene, dove cresce questo bene di Dio ? La foresta ha vinto. Ora sembra che l'araba corra per una strada del, Tirolo. Dovunque si stende il mantello chiaro dei pini. Il paesaggio si sviluppa su linee di una semplicità solenne. In certi punti, le rupi ed i pini formano degli scenari! che fanno pensare all'acropoli su cui Wotan lasciò Brunilde addormentata nel cerchio di fuoco. Una tomba antica. Altre rovine. Effluvii 'di timo, ondate d'aromi. Trilli d'uccelli nello foresta a! tepore del sole. Abbiamo lasciato sulla destra la strada che va a Burdur direttamente. Entriamo nelle gole di Yenigè, dominate dall'antica Tcrmeraus. Questo défilé fu sforzato da Atessandro Magno ; fino a qui giunsero' le legioni di Manlio. Non ho tèmpo di salire la vetta dove sta nella sua triplice cintura fortificata In città defunta, che i Turchi non hanno toccato, e' che dicono interessantissima. La mia attenzione è presa dalla struttura del luocfhi. Di qui dovrà probabilmente passare la ferrovia italiana, perchè la via diretta di Burdur, che traversa le terribili gorgie di Cibuk, a quanto mi fu riferito, non sarebbe molto accessibile ai binari!. Vedrò al ritorno le gorgie di Cibuk. Ora osservo i caratteri di questo dètour, che dovrà forse offrire alla nostra ferrovia ti passaggio al secondo altipiano. La vallemmtonon è eccessivamente ristretta, e i declivi! del monte, tutti vestiti di pini e di abeti, non sono troppo forti. La pendenza del fondo della valle è mite. Il piccolissimo corso d'accfua che vi scorre non ha deteriorato il terreno e non esigerà opere d'arte rilevanti, Ingirli Cafè, il ricovero più alto della stra- dn, è segnato sulla carta del Kiepert, alla quota di 960 metri. La strada sale ancora un pocq, fino ad un migliaio di metri- noi discende verso la valle d'Istahoz. Keklikgi Cafè, al fondo della discesa, sul margine dell'altipiano, è alla quota di 924 metri. Con qualche breve galleria, i nostri Inge- gneri possono senza difficoltà far passeredi qui la ferrovia. La regione non ha nersè valore: per la sua ricchezza non giustifl- cncrebbo la costruzione di una strada fer- rata: al più cercherà drrestituire la córte- sfa che le useremo provvedendoci di traver- sine. Ma ci è preziosa, perchè ci apre la breccia .all'altipiano, che per altra via sa- rebbe forse più difficile scalare. . .•• • • • • Varcato il colle, la strada scende con dol- ce pendenza verso Kiklikgi. E' una stradaottima, ben assodata, senza polvere. Mi sor- prende trovare una strada simile in altamontagna, in quest'angolo dimenticato del-l'Anatolia. La scena camMa rapidamente. La selva dirada. I fianchi deli» montagna s'inclinano In pendènze più calme, a si ve-! Bto™ 41 ce8P"&H- a Ad una BVolta del,a strada, in »» angolo vdeIla montagna, dopo dieci ore di viaggio dl?0 «W** « «f601^ campo coltivato, laE una C08a da nuHa» 011 boccóne di terra, tS6"*1* il fondo di un lago minuscolo prò; pBC,u8ato. Lamia attenzione si fissa strana- pmente sopra questo umile lembo di terra cnotata»-che mi annuncia la riapparizione, lede,1'°Pera dell'uomo. (t ^ avanti, più basso un altro, campo. E' sun p0' pIÙ srande, ma ha:la stessa f orma, • fdacnetgtZlo stesso aspetto. Si allarga piatto come tivati. Non c'è più dubbio. Entriamo nella zona del grano. Infatti, ogni giro di-ruota mi porta più vicino a culture più vaste, a laghi di terra m'acqua dormente in un cantuccio del monte. Tutt'totorno è abbandono e solito Ma ■* taf**»*» P"«°. più sotto, ^f1 c&m^' ™"» aPPf(reMa 41 ,a" W. Prosciugati, solo più grandi, meglio col si fondono lentamente in ■»» *u uu"u ,, _? una maestosa fiumana sola. L'araba si av- „,.,_■ ( j_„„.i„ „,„tj. - . „_ .„ vicina rapidamente ali Istanoz Ciai, un tor- u h ^ , ™",M, "™ ~T„™J^!L™,„ Zut2,0J^ risale u corso. Siamo sul secondo altipiano, mlgllal0 ^ metri sul mare. Ma l'im- " ~., ,. ; , pressione di quest'altezza manca totalmeo- u montagne tótorno ^no basse sul fon- do della ■ valle: si dispiegano sull'orizzonte luminoso della sera con linee sinuose, cal- Fugps ' carte, delle macchine fotografiche, del can, nocchiale e del libro d'appunti di cui mi me, senza asperità. E il fondo della valle è ampio, piano, levigato quasi, tutto grigio, appena scalfito "da infiniti solchi. Siamo in autunno, a mietitura finita. L'aspetto dell'altipiano perciò non è glorioso come al mese di luglio, quando le messi ondeggiano al vento come un mare d'oro. Ma per me, che vado alla cerca della ricchezza e non della grazia, questa nudità bruna della terra mietuta ha un'uguale bellezza profonda. A mille metri sul mare, dietro le montagne, fra le montagne, questo suolo è capace di dare in abbondanza il pane. Poiché la Turchia desidera che sia l'Italia a fornire i mezzi' della civiltà a questa contrada, da buon Italiano gioisco che cosi sia. Arrivo a Istanoz mentre annotta. Istanoz è un borgo di qualche migliaio d'anime, già addormentato al crepuscolo. Un ufficiale della gendarmeria si avvicina all'araba, per domandarmi chi sono. Gli presento una commendatizia del Mutessarif di Adalia, che appaga la sua curiosità. Mi dice, menare sceqdo, «cher ami» e mi batte sulla spalla colla mano, cordialmente. Costantino Lazaridi, greco suddito ottomano proprietario del han in cui pernotto, quando tutti i curiosi sono partiti, mentre, mi preparo il letto da campo, si china al mio orecchio e mi domanda, a. voce bassa, come un congiurato — Quando faranno gli Italiani la ferrovia di Adalia ? Gli rispondo con una domanda: — Sareste contento se gli Italiani facessero la ferrovia? Costantino Lazaridi non risponde. Alza le braccia al cielo..:, Bugiali Calè. Ho combinato col Console un itinerario che abbraccia tutto quello che v'è di interessante per noi in questa regione: Istanoz»] Burdur, Egherdir e Isparta; ciò che può diventare di competenza nostra, e ciò che è ora nella sfera di Smirne, a causa della ferrovia di Aid in, ma che può rientrare nell'hinterland di Adalia, solo che noi sappiamo fare. Pandelis, il mio arabagi, è naturalmente informato dell'itinerario, e lo snocciola con buona volontà alle innumerevoli conoscenze in cui s'imbatte, che immancabilmente lo interrogano sul viaggio dell'insolito visitatore. La prima domanda è : —Di che paese è il tuo cliente? — La rispósta: — Italiano I — suscita di regola un interesse visibile e simpatico. Credevo che la guerra di Tripoli avesse lasciato nel popolo turco un solco di rancore. Niente. Anzi, se non m'inganno, mi pare che la benevola curiosità con cui vengo fissato si mescoli ad un'inconsapevole considerazione pel paese a cui mi onoro d'appartenere. Dopo la nazionalità e l'itinerario, vengono naturalmente'le domande sullo scopo del mio viaggio : e poiché i giornali turchi hanno riportato la sommaria notizia della concessione preliminare accordata all'Italia per la ferrovia d'Adalia, e l'importante novità si è rapidamente .diffusa per tutto l'altipiano, si connette la mia presenza alla ferrovia, e si immagina che io sia un pioniere del progetto. Suppongo che Pandelis, interpretando male la funzione di alcune servo sovente, eia convinto che la ferrovia ed io non siamo perfettamente estranei': e perciò non s'adopri a correggere la falsa opinione dei suoi amici. Del resto, poco ma- le. Poiché non y'è dubbio sui sentimenti di soddisfazione e di gratitudine per l'Italia che la notizia ha suscitato in tutta la re- gione, il vedermi intorno, sia pure senza motivo, volti contenti e animi benigni, age vola e rende più gradito il mio lavoro. Abbiamo diviso in due tappe il lungo trat. lo che è fra Istanoz e, Burdur. Pandelis oggi è giulivo. Ha preso alla scuderia un . terzo cavallo di ricambio, e sferza con al;iegria ia buona pariglia. Andiamo a nord, j per una strada stretta e mal tenute. Ma j| terreno è cosi piano, che l'araba può au dare aj trotto. Siamo nella piena riviera <jei gran0. il fiume di buona terra, senz'al beri> tutta dissodata, scorre fra due catene dl aiture, largo un paio di chilometri, per una iunghezza senza fine. E' una delle tan te valli dell'altipiano. Se, per andare alla valle grande che conduce a Burdur, avessi a preso la via parallela dell'Istanoz Ciai, che - è più a levante, invisibile dietro la fila di a colline che ondeggia alla mia destra, avrei -1 trovato una migliore zona granaria, de ; fluente verso l'altipiano centralo fra due a dighe di rupe, cnpeetandSdvtftglgdovppppssrfgdmplpaeicLmvdrclqatknbrilfid uddld L'impressione avuta ieri, di non-essere all'altitudine di mille metri, oggi ai è rin- vigorita. Le alture che mi accompagnano dalle due parti non misurano sul livello della piana più che qualche centinaio di metri. Pare di essere fra le colline, in un npaesaggio di placida bellezza, di calma ri- Cposante. Un minuscolo flumicello che la ncarta chiama Andia Ciai scorre nel breve tletto che s'è tagliato nella terra sciolta: a itratti scompare nel sottosuolo, secondo l'u- nsaiga: di questi luoghi, per riapparire più ifresco e,più limpido alcuni chilometri ■ più ca valle. I Turchi chiamano Duden questi dcapricci del fiume consueti sul loro altipia- : no. Neanche qui l'acqua imporrà alla no- getra ingegneria più che qualche umile, pon- ; Ate di pochi metri. IdPassano le colline, passano i campi uniti dgo uni agli altri senza segni divisori!, come ste acque di un fiume, passano i villaggi didZivint,'di Jelten, di Belen, di Andia, ; di! nFughla, tutti uguali, tutti chiusi dentro un'alcova densa di verde. Tutto si rassomi glia in questo paesaggio. Di notevole, 'importante, per noi, non vi è che la sua esten sione, la sua mancanza di accidentalità, la continuità delle sue culture. Questa valle ,^.i- *. v„4_x ..-„!non- è solo, cóme la valle di Yenigè, una porta dell'altipiano, una chiave di Burdur: e anche per se stessa, per le sue ricchezze e la sua struttura, degna di una ferrovia Siamo partiti da Istanoz alle 8 del'mattino:, alle 4 e mezza della sera ci riuniamo alla strada diretta Adalia-Burdur, entriamo nel midollo dell'altipiano. Le linee del quadro si ampliano, ma il motivo non muta. Sempre terra, grigia, forte,'continua fra le due rive collinose. Il fiume centrale è più vasto, come ingrossato dai suoi affluenti laterali. Qualche volta le due catene che, si fronteggiano si avvicinano per qualche centinaio, di metri ; il fiume di terra si restringe," per .riespandersi più in là in un più largo bacino. Scende la sera quando arriviamo a Bugiak Café. E' un piccolo rifugio, a ridosso di un minuscolo contrafforte della catena occidentale. Mentre Pandelis stacca i cavalli, salgo s»l contrafforte pietroso, fino al punto più aito. A nord ed a sud terra piatta, terra ricca, terra coltivata. L'altipiano risale a nord verso Burdur. con un pendìo dolcissimo, insensibile. Nessun corso d'acqua taglia la piana: non un fosso si oppone alla facile posa dei binari!. La casupola di Bugiak Café fuma nell'aria rosata del crepuscolo. Scende dal nord a folate un vento fresco, che fa rabbrividire gli arbusti della rupe. Un armento rientra dalla pastura. Passa una carovana di cammelli, scarichi. Sgorgano nel cielo vitreo le prime stelle. Un casolare lontano accende un lume. Altri lumi si accendono a sinistra, più lontano, al piede del monte. Fra un'ora, alle otto, dormiremo tutti. Bardar. Eccoci in viaggio per quello che deve essere il capolinea della nostra ferrovia. E' inutile che descriva il paesaggio, che si c*onserva identico.nelle sua linee essenziali. La piana, che.chiameremo.di Bugiak, termina, dopo un ammirevole corso di una ventina di chilòmetri, ad una breve stretta delle due catene laterali. Una corta galleria basterà % superare l'ostacolo. Oltre la chiusa, un nuovo bacino immenso si spalanca, il più bello che io abbia veduto fin qui, tutto coronato da villaggi, arato fino all'ultimo pòllice. Kgiahnali, Cepisc, Celtikgl, Kizilbugiak, Kizkèui, Arvali, Derekeui, Daghargik Keui, - Seiidi Keui si danno la mano a tondo intorno a quésto superbo lago frumentario, dóve una ferrovia non richiederà maggior lavoro che la posa delle .rotaie. Dopo Kizilbugiak, la strada s'inerpica sul fianco della catena occidentale, che si salda a quella orientale. E' una nuova chiusa : un nuovo bacino si prepara, che la ferrovia dovrà raggiungere con una nuova galleria di breve tracciato. Quando, varcato il. colle, l'araba-discende, una pianura enorme si dispiega sotto i miei occhi. Siamo sempre nel regno dei cereali. Passando davanti a Cinar assisto all'ultima trebbiatura dell'an nata. E' una trebbiatura in grande. Un'in tera tribù vi lavora. Il grano si accumula in montagne bionde sotto il sole meridia no. Grossi armenti sono sparai al pascolo: i bovini sono piccoli di statura, ma forti e carnosi; le capre e i montoni sono di splen dido tipo, Un cavaliere ci sorpassa. Pandelis si vol ge e mi dice : « Bostal ». E' la posta di Adalia, che è avviata a Smirne per la via di Burdur, per mezzo di questo corriere, due volte per settimana. Pandelis soggiun se : « Chemin de fer bosta.yok ». Cioè, quando ci sarà la ferrovia, la posta a cavallo ! non andrà più. Speriamolo, amico Pan- delia Alle.quattro abbiamo lasciato alle spalle la piana di Cinar, che è l'ultima dell'altipiano prima di Burdur. Ora il paese, che ,*,._ m,„ . .„ _«„_« . j„oo4„ ' _jfl !Per quasi tre giorni è rimasto come ossiti cato nelle sue linee elementari di un infinito lago di frumento stagnante nelle montagne, violentemente si trasforma. Le culture finiscono, la strada s'interna in uno strano meandro - di vallette bianche, fra basse montagne perfettamente ignude. L'acqua delle pioggia fa strage in questo fantastico piccolo mondo che sembra di cenere, di neve e di sale. Le fragili altura candide non resistono all'urto dell'acqua, si erodono, si sfaldano, franano, crollano, si accumulano in alti coni di deiezione, formando delle nuove montagne geometriche capovolte. E' fortuna che il fondo della valle sia abbastanza largo e piano, perchè vi possa passare la ferrovia. Forare questa marna sarebbe una disperazione. Per cinque o sei chilometri dura qtfesto spettrale mondo lunare,. dove non cresce un filo d'erba. Poi compare come un miracolo, sul suo bel Iago azzurro, davanti all'oasi profonda dei suoi giardini, preceduta da una incredibile avanguàrdia di rosai, tutta irta di minareti, tutta costruita a terrazze:ed a verande come una cittadina giapponese, Burdur. Burdur è pregiata per la bellezza delle sue donne mussulmane, per la sua uva, per il suo oppio, per i suoi tappeti e per le sue rose. Dopo, tanto pane, troviamo gli elementi della gioia, del lusso, del riposo e dell'oblio. Il contrasto non potrebbe essere più completo, l'integrazione più piena. Lo spirito del viandante ne resta lievemente turbato, come se tutti i volti delle donne mussulmane dovessero svelarsi per lui, e per lui tutti i rosai sciogliere i loro profumi più acuti. Una incomprensibile aspettazione assurda fluttua sopra di noi„ Si entra in questa città come se l'oppio pazientemente/ raccolto dai suoi campi fosse diffuso per l'aria ed agisse sui nostri nervi. Arrivato al tramonto, passerò a Burdur solo questa notte. Ma vi sosterò al ritorno da Egherdir e da Isparta Allora ne riparlerò. Ora mi accontento di salire al cimitero fuori della città,. fra le alte stele innumerevoli che sembrano una fioritura di cristalli, e di contemplare come muore la luce su questo angolo di purissimo Oriente. E' un'agonia lenta, di una struggente dolcezza. Tutte le forme trascolorano divinamente, vivono qualche minuto di una vita magica, vibrano di luminosità ardenti, poi pianamente si acquetano, si intorpidiscono, annegano sotto la pioggia di cenere che silenziosamente si rovescia sulla terra dal cielo. GIUSEPPE BEVIONE.

Persone citate: Aleppo, Belen, Calè, Duden, Federigo Barbarossa, Inge, Smirne, Stamp, Turchi

Luoghi citati: Anatolia, Asia Minore, Italia, Smirne, Tirolo, Tripoli, Turchia