Dove il romanzo nacque

Dove il romanzo nacqueDove il romanzo nacque (Nostracorrisponenzaparcolare) TINTAQEL, ottobre. Finalmente, Re Artù! Era tempo. In qualche sitò bisognava pur che saltasse fuori con tutta, la coorte dei suoi cavalieri. Per la Bassa Cornovaglia, adagiata molle e ambigua lungo l'imboccatura della Manica, non uè avevamo travisto che l'ombra fuggente. Il primo cavaliere .'a cui abbia, affibbiato gli speroni' la poesia vi si spingeva solo per ingaggiarvi qualche singoiar tenzone col Gigante del Monte di San Michele, per affrontarvi il; Gatto di Losanna'tra le. forre, o per inseguirvi TwToh Trw^th, il cinghiale terribile che gli sfuggiva dalle balze del Galles! Poi, in tutta fretta, ritornava quassù, nfil'Alta Cornovaglia, al suo legittimo domicilio. Perchè quassù si respira meglio. Poche miglia separano un litorale dall'altro ; ma quello del sud è una stufa, questo del nord una rosa di venti. Qui non c'era io mostri, da combattere, ma uomini : uomini da combattere e da governare a pieni polmoni. E qui appunto lo incontrammo alila fine, il buon Re in oste spiegata fra le roocie di Sennen — quando lasciammo la grottesca cattedrale di scogli che fa da cariatide airalbérguccio di Land's: End per incamminarci verso il nord, lungo il litorale della cavalleria. , ,Sennen è Una tacita bicocca grigia sopra ■una grigia desolazione di granito che le sole lucertole sembrano abitare. Ma c'era una volta a Sennen,, il mulino di Vellan Dru-' cher; e, intorno a questo, Re Artù, alleatosi con. gli altri-sette Re di Cornovaglia, sgozzò tutta un'orda d'invasori scandinavi. Non uno ne scampò. Tanta fu la strage, che la ruota del mulino vorticò per lungo tempo sotto la spinta del sangue dei nemici, che fiottava verso il mare. Dopo di che, gli otto Re confratelli banchettarono omericamente intorno a una gigantesca tavola di pietra, sulla quale Merlino profetizzò che altrettanti monarchi gozzoviglieranno ancora una volta alla vigilia della fine del mondo: e saranno monarchi stranieri alla testa di un'ultima, fatalo invasiòne ohe i cavalieri di Re Artù, putrefatti da secoli, non si leveranno più a massacrare... — « Crepi l'astrologo! — fece il mio camerata inglese, balenandogli alla mente la Germania. — Ma dov'è il mulino? .Vediamo un po' di localizzare il mulino che andò col sàngue di chi ci venne a rompere le tasche. Gi scommetto ohe era.qui. No, là! » —: Cercammo per un'ora ogni ubicazione possibile e immaginabile per un mulino epico sopra quel gran' tavolato. di, roccia, dal. quale si può giurare senza rimorsi che non scaturì mai un filo d'acqua. Io ero certo di trovar niente, e non me né lamentavo. L'Altruista, invece,.era troppo,'inglese per .darsi--vinto. Egli s'incaponiva a cercar -dir-stabilire • la vefisimiglianza dell'episodio di un romanzo, che resta l'immortale papà di tutti gli altri appunto perchè è splendidamente inverosimile. Per fortuna, .un'Icasfcigo^ès^jplare non distava che un tirò Si'balestra. Erano quattro muri diroccati, e digrignavamo la loro dentiera di macigni sopra uno scoscendimento che poteva dare la vaga idea d'un canale disseccato. L'Altruista mi rimorchiò subito in esplorazione verso la Portacela sbilenca che nereggiava in un angolo del quadrilatero misterioso. Rovesciata la sbarra, avanzammo il capo nel mistero. Due.poderose corna in resta ci accolsero senza preavviso; e, dietro di esse, un enorme toro rossigrio ci. chiese in "Chiarissimo linguaggio da toro se era quello il modo di seccare un galantuomo in casa sua. Sembrava il Gatto di Losanna. Forse... — .« Chiudete, perdio! » rantolò l'Altruista, mancandogli il fegato di Re Artù. Io, che tenevo la porta, liquidai in un baleno la sacrilega ricerca del mulino leggendario, che non ci fu mai. Il domicilio dei galantuomini si rispetta. La mancata corrida ebbe questo di buono : che, da quel. momento, anche l'inglese adottò una certa cautela letteraria. La quale si accentuò non appena egli mi condusse in cospetto del table-min ed io sturai qualche commento profano, —r- c Mi aveva fatto una impressione diversa, la prima volta, — ammise lui, grattandosi in testa. — Ora vedo che potrebbe essere una mistificazione >. — Esattamente. Il così detto table-mén dovrebbe essere nientemeno che il famoso macigno sul quale Re Artù e la sua confraternita vittoriosa banchettarono dopo l'ec- ! oidio di Vellan Drucher. L'esimio sasso ' posa un po' ubriaco dietro la catapecchia di un maniscalco, all'orlo di una piccola aia circondata di stabbioli grugnenti; e non è che un pietrone triangolare il cui lato più lungo non supera le tre.braccia e la cui altezza non giunge alla cintola d'un fanciullo. Si vede che i secoli, per adibirlo a tavola regàie, bar lavorato indefessi con acqua e vento; ma le galline frustrano perennemente questa lisciatura, adibendo la mensa degli otto Re alle loro più intime operazioni. Per colmo di sventura, poi, il maniscalco lì vicino ha imbiancato i ciottolosi della sua catapecchia ; e questa, con la 'cappa del camino così ampia e profonda da potervi affumicare tutti i maiali del paese, sommerge il table-min in u-i'inzuccheratura «Ila Walter Scott... Noi ce ne andammo. Niente reliquie di Re Artù! II romanzo, per esser tale, deve infischiarsi della realtà; se no diventa cronistoria, descrizione, brodetto verista, tutta roba che muore a grande velocità. Il romanzo cavalleresco invece sopravvive. Le avventure della Tavola Rotonda corrono ancora il moadrf rurale dei semplici ; i casi di Ttì- ; stano e d'Isotta turbano ancora lo spirito! urlano dei'colti. E'- dunque ingenuo cercarne delle reliquie tangibili, dei documenti concreti sulla terra dove nacquero» "!** .nac¬ —nrdd1crctrcm1mtgmld In se i. le a, nto er Giner rlù, oo. ; el io ni lla le la aer ora le a u-' aa, i. e, o ie, ea e el a i i, — ea o ol e. re a si rì r a, o. a o, lee o a n ò a el a, a n o l , a . quero come .tutte le altro chimere, senz'alea na radice nella realtà. ■■ La realtà di: questpaese fu sempre magra, arida, inerte; privdi avvenimenti, di colori, di cozzi d>rmidi storia in agitazione. " Nei :, tèmpi', che. iromanzo riempie delle gesta di Re Artù e deguerrieri di Re Marco, ogni documento cmostra che qui non vivevano se ,uop dèi monaci e dei mistici che coltivavano nello squallore un cristianesimo a modo loro, respingendo i primi-ordini e, le prime'regole'chla Iodica di Roma cercava d'imporre petutto il mondo cristianeggiante. I monaci i mistici, di Cornovaglia non sapevano, non volevano ledificare. Volevano, esser lasciatsognare e pregare a-piacer loro. Roma ave va troppo buon senso per '/ratinarsi a catechizzarli lungamente. Essa li isolò, li anatomizzò, e li abbandonò alla loro sorte. Quésta fu strana. I monaci e i mistici abbandonati a sè non seppero imporsi alcuna regola pratica, non riuscirono a tenersi unitin una chiesa .scismatica, non poterono perseguire alcuna mèta temporale. L'anarchifu scongiurata solo mercè l'impianto deprincipio della fedeltà verso i capi: fedeltsociale, per così dire, non spirituale. Spiritualmente, i monaci e i mistici dei primordcivili di questa terra, seguirono in libero disordine-le loro inclinazioni sognatrici. E iloro primo' sogno fu quello di un Paradiso in terra prima che. in cielo. Vivevano'in un paese squallido, sterile, ' nudo. Coi piedscalzi sulle roccie inclementi, sognarono profonde selve piene di fiori, di frutti e di cerviChiusi in capanne é in cellette di macignisognarono bei castelli turriti, liete borgate luminose, aurei stendardi al vento. Bovercome Giobbe, privi "di vino é di buone vivande, sognarono cumuli di tesori, imbandigioni magnifiche. Immobili su una costa deserta, seminata di scogli maligni che ne tennero sempre lontano qualsiasi nemico più numeroso d'un pugno di pirati temerari, sognarono sbarchi, d'intiere orde scandinaveinvasioni tonanti, tutto un vasto risuonare di vita in tumulto. Inermi e imbelli accanto a.i loro cavallucci selvaggi alti una spannatutti pancia e paura, sognarono destrieri dfuòco, rastrelliere d'armi forbite, vivide scese in campo per la giusta causa'. Incapacdi navigare, avvezzi ad affidarsi ai flutti soltanto su barche senza rèmi e senza vele, per abito di penitenza, sognarono (Crociere e ancoraggi di fervide flotte dalle' prue variopinte sotto velature immense. Casti e tristfra le loro donne che gli.stessi corsari danesi agguantavano di rado e a malincuore— giacché .sul mercato di Bisanzio esse passavano per amatrici infime, e non racimolavano che la metà del prezzo pagato per le inglesi genuine,.. così più tenere e bionde— .sognarono passioni, brucianti, abbandoninfiniti,. tragedie .d'amore e di morte. Tatto questo sognarono i monaci e i mistici di Cernovaglia, via via, avendone sentite parlareavendone colto qualche barlume nei loro rari rapporti col mondo circostante. Perchè dunque n,on c'era che roccia 6otto i loro piedi, . roccia ai loro fianchi ? Un nuovo sogno10 spiegò: il sogno del San Graal. La santa coppa era stata rapita, e.il Paradiso in terra si era dileguato. Bisognava cercarla, riconquistarla. A cavallo ! E j perpetui sognatori prèsero ad armar cavalieri — per l'errante impresa a cui essi non si sentivano certo tagliati — dei mistici e dei monaci morti da secoli. Li armarono di tutto punto,11 corcnarouo Re, li lanciarono nel fiero tumulto della vita sognata, li posero sulle traccie della coppa divina.. Li cavarono interamente dalla loro immaginazione, che riarse; li vincolarono solamente a quella regola di fedeltà che era la loro unica legge, e- che divenne il crisma della cavalleria neonata ; li lasciarono par¬ tire liberi alla riconquista del San Graal per le vie dell'umanità e del sogno! .E se ne innamorarono. I sognatori mal ^nùtrótó e imbelli, solitari e .sconsolati, circomft*ÌBJ?o i loro eroi immaginari' d'abbóndaiwa di splendore, di castelli e, di navigli, di-battaglie e di, amori. Tutto questo litorale' di sàbbia e di rupi, arido e infecondo.sin dagli albori dell'universo, si animò di cappie e di scontri, di selve e di castelli che non esistettero mai. Vi córsero rivi'-d'argènto.'-vi scrosciarono mulini, vi • echeggiarono' • diane, vi sciamarono véle, vi tuonarono invasioni, vi gorgogliarono stragi, tutte ; fantastiche Qui a Tintagel, una cupa adunazione di scogli ciclòpici dà alla costa la 6iia massima,impronta di selvaggia maestà :• e qui, suVprd montarlo massiccio ' in ' fondo all'istorio' ' di sabbia, . i sognatori1 inalzarono il i gran .'■ castello in • aria dove Re Artù vide 1» luce, vi gittarono intorno la, gran foresta imma gin aria dove Tristano ed Isotta strascinarono il loro amore. Naturalmente, nè del ' castello nè' della selva non reetano vestigia: i ruderi tra gli scogli son quelli d'uri .forti;lizio normanno del tre-cento, e i pochi, alberi del borgo puzzano di fosfato. Ma è appunto per questo che il romanzo nato. qui, il primo romanzo che sia sbocciato sotto il sóle, il prototipo in ispirito d'ogni altro che non muoia, verdeggia ancora di selve nelle superstiti dei trovieri e dei cantastorie: 10 divulgarono, e rosseggia di torri, surra di vele, sorride di porti, fruscia di baci, trema d'orrore, colà di sangue più fre scamente, robustamente, dolcemente, terribilmente d'ogni altro. Perchè fu una visione cantata a gola spiegata pel gusto di cantarla; tutta una visione.da cima a fondo; una visione pura,, staccata dalla realtà, in curante della realtà'; una visione di cose e di uomini inesistenti e mai esistiti, creati solo dal sogno di poèti inconscii e analfabeti viventi in solitudine tra le rocciè l'oceano ;uno schietto, vergine anelito della fantasia d'una gente isolata e immota versò paesi mai visti, concitazioni mai sperimentate, battaglie mai combattute,. calici .di passione mai tracannati sino al fondo. Ora- dovrei desCTivervi invece 'l'Alta Cornovaglia così com'è; farvi viaggiare con noi da Sennen a Saint Ives per sentieri bordati d'eriche gialle e purpuree scaturenti dal pietrame.; dalla vecchia Saint Ives, piena di salacche in salamoia e di miriadi di gatti rimpinzati di pesce, fino quassù a Tintagèì ormai irta di alberghi. Dovrei darvi ciijè 11 semplice scheletro di quel bel.corpo fremente d'avventura e risonante di ' cavalleria, fiorente di prosperità o tetro di catastrofi che il romanzo vi ha già poste sotto gli occhi mille volte. Ne valla pena? Poi dovrei dirvi in qua! curioso modo la genterella .di questa terra visse sotto l'ombra o la luce dei canti che scendevano dai monasteri straniti, che moltitudini di menestrelli volgarizzavano intorno, e che fino a mezzo secolo fa dèi canuti cantastorie ripètevano pei villaggi èc-., compagnandosi con l'arpa come nel medioèvo." Dovrei dirvi: che" essa' non riuscì mài -a combinar 'niente benché abbia tentato mille mestieri, dall'industria mineraria alle colture di fiori, dalla pesca in grande alla raccolta delle spoglie di tutti i naufraghi per la frequenza dei quali Dio fu sovente pregato ' in queste chiesuole, e non senza successo. E dovrei dirvi, in fine, come, essendo andato a male quasi tutto* il resto, e gli stessi pescatori • trovando battute le loro barcaccie- dai motoscafi dei concorrenti inglesi e'scozzesi, l'ultima industria tentata sia quella del forestiero mercè l'ausilio delle compagnie ferroviarie-e i buoni uffici di qualche damigella romantica che ogni tanto si butta in mare dal- cliff dove Ginevra'la precedette e l'ombra di Re Artù si scalda ancora al lume della luna. Ma .che roba è questa? Piccola storia, piccola cronaca di piccola genite. A Londra ne troveremo della più importante. — ■ MARCELLO PRATI. gcqqcdrLcepcrt

Persone citate: Gigante, Giner, Giobbe, Ives, Tristano, Vellan, Walter Scott

Luoghi citati: Galles, Germania, Londra, Roma