Il regime del terrore

Il regime del terrore Il regime del terrore (Dal nostro inviato speciale) • TRIESTE, settembre. Solo sei placide ore di mare (separano Trieste da Venezia. L'ansante vita multiforme del più grande emporio dell'Adriatico, con i suoi cantieri, i suoi traffici dei moli e dei punti franchi, il suo commercio che mai non ristagna e vive dei grandi transiti di merci e degli, infiniti piccoli bisogni degli equipaggi cosmopolti, che vengono e vanno, ha sempre avuto delle inesauribili risorse per la gerite che cerca lavoro e fortuna. Ciò spiega l'enorme cóncentramento, a Trieste, di cittadini italiani, che vi compongono una delle più forti colonie regnicole dell'Europa. Dove c'è lavoro di braccia, di magazzini, di uffici ci sono sempre degli italiani. A Trieste questi regnicoli immigrati sono poco meno di 40 mila. Solo tra il '907 e il 1911 si son rilasciati, nella città, 10184 libretti di lavoro ad operai nati nel regno. E' certo che molti di questi operai sono solo passati per Trieste, avviati verso una mèta più lontana, ma la cifra vi dice già tutto il valore di questa immigrazione di gente nostra che va a cercare ventura nei confini dell'Impero vicino. Fuori di Trieste 1 cittadini italiani si irradiano- per il Trentino e per tutte le Provincie Adriatiche. Ne trovate in ogni città della costa. Formano delle tranquille sor cietà" di gente sobria, onesta, lavoratrice* che si assimila perfettamente al paese, che l'or spita, talvolta già da molte generazioni, ne rispetta docilmente le autorità e le leggi, vi porta le sue braccia, la sua resistenza calma, il suo spirito di affari, senza intemperanze, nè ambizióni di potere, nè passioni politiche. E' un fatto ormai generalmente osservato, che trova poche eccezioni solo in qualche doloroso fenomeno dell'America: quando l'italiano emigra e si presenta in un paese straniero, per cercarvi un pane, si spoglia improvvisamente di tutte le sue qualità meno simpatiche e vi ostenta solo^le sue migliori. Si direbbe che abbia come un'inconscio orgoglio di razza che lo spinga, tra l'altra gente straniera, in una gara di virtù. In patria egli è spesso alquanto prepotente, irrequieto, rumoroso, ribelle; varcato il confine, si fa subito rispettoso, pacifico, ordinato, silenzioso, tutto intento al suo lavoro e al suo risparmio, senza romantici spiriti di' avventure nè roventi febbri di agitatori. // lavoratore italiano Tale è anche in .Austria. Chi l'ospita nelle sue officine, nei suol uffici o ha rapporti di affari con lui e lo valuta nella sua semplice inalterata realtà di uomo che vive, lavora, ha dei bisogni e dei desideri onesti di fortuna, come tutti gli altri, non sa che qualificarlo un'ottimo prezioso elemento del paese. Cosi ino lo hanno definito, anche a Trieste, molti autorevoli uomini d'affari tedeschi. . Sono un buon elemento di lavoro sempre, questi italiani, ma a Trieste rappresentano anche un immenso valore nazionale. Non si agitano, non partecipano alla politica, poi che non hanno neppure diritto di voto: ma fanno numero, sono italiani, come i fratelli d'Austria fra i quali vivono, sussidiano con la loro falange la massa degli italiani indigeni i formano, con essi, spiritualmente, un tutto solo, poi che la diversità degli stemmi stampati sui loro passaporti non può ancora dividere le'loro anime, le loro nature, uscite da uno stesso ceppo e unite dà uno stesso cuore. Ciò non è nulla di male: si chiama legge.di natura. Per essa trovate a teatro, nelle sale delle conferenze, nelle case, per le strade, nei momenti lieti e tristi del popolo, lo stesso entusiasmo, lo stesso amore o dolore,-ima comune passione intima dello, razza. Se un conferenziere o lino scrittore italiano parla dinanzi un pubblico o in un giornale, la sua parola è esattamente sentita allo stesso modo dagli Italiani dei duo paesi e ridesta lo stesso pensiero. Se un piccolo oste frigge il suo pesce alla maniera veneziana, gli . operai italiani dei du* paesi siedono - alla stessa tavola e si sentono uniti da uno stesso allegro piacere. Un tale formidabile aiuto inconscio, che gli italiani del regno danno silenziosamente alla italianità dell'Austria, è un inatteso fenomeno, che attraversa i piani dei governi, contrappone dei numeri italiani ai loro numeri slavi, e si deve perciò assolutamente fiaccare. Questa è la ragione che spiega da eola tutta la violenta e ignorata politica del coltello c della soffocazione che si è inaugurata contro i regnicoli, nello provinole Italiane d'Austria. Ricordate i versi di Schiller nel «Guglielmo Teli»? Dles Klein Volli isi unser Stein im Weo. So oder so cs muto sicli untenverfen! . (ti questo piccolo popolo è una pietra sul nostro cammino : in un modo o iri un altro dovrà sottomettersi »). — Non c'è forse nessuna parola che rappresenti meglio la 'grandiosa tragicità di questa opera stermi natrice che si compie ogni giorno alle porte d'Italia, sul nostro confine orientale. Non si possono estirpare gli Italiani d'Austria, cacciandoli fuori dei confini, falciandoli con le mitragliatrici : si lavora a disgregare il loro gruppo spirituale, eliminando gli italiani del regno. Vi sono centinaia di regnicoli a Vienna, in Galizia, in Boemia: nessuno li offende. I giornali e la gente di Vienna, che non sanno mai nulla di ciò che avviene fuori della città, possono domandare in buona fede: Chi vive mefalio, meno 'tormentato e più amato degli italiani? — Ma appunto questa diversità di vita che è fatta agli italiani d'Italia, secondo che vivano a Trento e a Trieste o a Vienna e a Praga, vi scopro l'ansia nella politica austriaca, nelle Provincie italiane. Solo da Trieste, nel 1912, si sono espulsi più di set tecento regnicoli. In. un discorso tenuto al parlamento di Vienna, il 27 giugno 1912, il deputato Pitacco, senza sollevare smentite o interruzioni del ministro degli interni, ha potuto affermare: «Dai dati, che ho potuto avere, risulta che negli ultimi due anni si mandarono oltre il confine, per la via di Cormons, 50 regnicoli per settimana, dei quali 1*80 per cento solo da Trieste ». Que ste terribili verità stupefacenti non sono ancora quasi mai penetrate in Italia. Ciò die si compie ogni giorno, con queste espulsioni, è qualche cosa che sembra una sfida all'Italia, un ironico giuoco erudiato per mo¬ strare che le norme del diritto internazionale, fra le autorità austriache, sono un valore alquanto inferiore al piacere di un Commissario di Polizia. Le espulsioni Ho fra le mani lunghi elenchi precisi. di espulsione. Ne tolgo qualche caso. Nicola Dedonato, viene arrestato per sospetto di furto: il sospetto si dimostra subito infondato, ma gli frutta una immediata espulsione. Benedetto De Rosa, cocchière, è condannato a 24 ore d'arresto per corsa veloce : appena liberato è espulso. E' nato a Trieste e vi è vissuto incensurato per 39 anni. Alle sue suppliche un funzionario di Polizia gli accorda una proroga -di 15 giorni e lo ammonisce: «Se ricorrerai o supplicherai ancora, ti farò subito arrestare! » Un tale, di cui non posso dire il nome, venuto a Trieste all'età di sei mesi è rimastovi tutta la sua vita, dice bonariamente ad un guardia, che maltratta sulla via, un bambino^: « Lasselo!» è accusato di intromissione-illecita e senz'altro bandito. Marcello Filoso, di 27 anni, nato a Trieste, da genitori pur essi nati a Trieste,. vien condannato dalla Polizia a 14 giorni di arresto per aver gettato delle palle di neve: il Tribunale però lo assolve da tale condanna: ciò basta perchè la polizia si. prenda una rivincita con una immediata espulsione. Osvaldo, Volpe, muratore, passeggiando una sera per l'Acquedotto, con tre compagni di lavoro, trova una borsetta da signora smarrita:' -uno sconosciuto gli si avvicina e gli dichiara che la borsetta è sua. Il Volpe però vuol consegnarla alla Polizia: ma qui lo si arresta, gli si infligge il bando e lo si ricaccia oltre il confine, senza neppure permettergli di tornare un attimo alla sua -casa. Un tale Cescutti viene improvvisa mfljp espulso senza sapere perchè. « Siete: Italiano! » — gli dice solo, impassibile, un funzionarlo di-Polizia. Un operaio, passeggiando per via una sera, dice forte agli amici «Andiamo a bere al « Giardino d'Italia ». C'era infatti, a Trieste, un'osteria con questo nome. Il suo invito è reputato un grido irredentista; lo si arresta e senza processo lo si bandisce: all'osteria si ingiunge ^poi di mutar nome. Sono episodi cosi mostruosi,- esotici, incredibili che si debbono controllare, citare in j termini precisi, per poterli accogliere nelle categorie delle verità ammissibili, dei fatti provati. E si rinnovano ogni giorno, con la stessa eterna, triste odissea di una famiglia irreparabilmente rovinata, di un uomo infranto sul suo lavoro, cacciato via brutalmente, come un malvivente della strada. Pensate che molta di questa gente è nata a Trieste, vi ha creato la sua seconda patria; vi ha il suo solo cerchio di amici e di interessi : oltre il confine non ha più nulla, si trova perduta, fra gente che non conosce più, deve rifarsi tutta ima vita, battere alle porte, supplicare la pietà per non morire. Ci sono dei consoli che rappresentano; • fra l'altro, la difesa degli interessi del cittadini italiani. Intervengono, si muovono, spesso con passione:, ma spesso anche senza risultato. Non per incapacità^ ma perchè le autorità non ne hanno alcun rispetto : si sentono più forti. Pochi giorni or sono ad un avvocato triestino che, in difesa di un espulso, diceva: «C'è bene un console d'Italia, qui! » un funzionario di Polizia rispose placidamente, con un piccolo riso di sfida : « Vedremo che cosa egli saprà fare! » La Polizia cérca anche delle ragioni per giustificare e documentare la necessità delle sue persecuzioni. Si trovano sempre degli italiani che hanno sofferto qualche condanna: talvolta solo una multa o pochi giorni di carcere. La Polizia scruta nel loro passato, in una febbrile, strana ricerca della virtù: fruga tutte le loro vlceifde, risuscita l'amaro episodio di un giorno, ne fa un buon titolo per creare la teoria dell'uomo pericoloso e delle misure preventive. Da qualche settimana il giornale ufficioso tedesco di Trieste, la « Triester Zeitung », pubblica periodicamente, a larghi intervalli, degli strani elenchi di espulsi, con roventi qualificazioni schiaccianti: A. S., ladro, P. B., contrabbandiere, O. M., bancarottiere, nel presentimento dello scandalo, che deve finalmente venire per queste violentazioni del diritto umano, troppo tempo taciute, prepara pianamente la difesa. E maschera con una blanda diffamazione generica le sue persecuzioni. Non dice che ogni più lieve condanna antica, dimenticata da 20 anni, diiviene a un tratto ingigantita un buon pretesto per colpire. Ma il giuoco sottile si scopre subito. 1 ridicoli speciosi pretesti delle condanne vi appaiono in tutta la loro misera artificiosità con pochi episodi. Un muratore di 80 anni, vissuto sempre incensurato a Trieste, viene un giorno Improvvisamente espulso, perchè all'età di quarantanni fu condannato in Italia a tre.giorni di carcere. Un tal Pietro Measso, di Udine, che viveva da quarant'anni a Trieste, viene bandito perchè in Italia, quattordici anni or sono, fu condannato a quattro giorni di arresto. Tipico il caso di Giordano Morronl. Dimorava a Trieste da 16 anni ed era stato condannato 20 anni'prima a otto giorni di carcere . per violenze commesse in difesa del padre: un suo omonimo viene condannato dalla polizia a tre jr'^rni di carcere: ciò basta perchè anch'egu sia immediatamente' bandito. L. V. è incolpato di correità hi bancarotta; i giurati però l'assolvono, perchè possono constatare che l'accusa, non provata, viene da una vendetta: la polizia si sostituisce allora alla Corte e intima il bando al povero uomo, che ha sei figli e i genitori ottuagenari. Un'alto funzionario di polizia, specialista di queste espulsioni, il signor Kurzemann, nel partecipargli il bando dice: «I giurati vi hanno assolto, ma per noi rimanete un individuo pericoloso. Vi mettiamo perciò al bando e cosi faremo con tutti voi italiani ». L'espulsione è stata ora solo sospesa per l'intervento di un deputato. E' tipica la violenza e l'insistenza imperturbabile della Polizia in questa sua lenta, silenziosa carica che deve spopolare 1© file italiane. Qualche agente si apposta, di buon'ora alla porta del designato, lo coglie quando esce di casa e lo trascina all'ufficio centrale di polizia; dove, dopo qualche ora di atleti*, il Kunsetnann- gli partecipa fred¬ j damente l'espulsione decisa e irrevocabile. Poche settimane or sono 11 vice-direttore della Polizia di Trieste, Makovez, passeggiando di sera per le vie di Trieste, disse a qualcuno : « Uno dopo l'altro, voglio cacciarli via tutti, questi italianacci! ». E', la guerra di sterminio dichiarata. Un tenente maresciallo Forstner, qualche alino fa, in una rivista patriottica di Vienna, la « Oesterreichische Rundschau » (1 maggio 1909), ha commentato anticipatamente le parole del vice-direttore: « Bisogna agire a Trieste — egli ha scritto — come si è agito in Dalmazia: aiutare la propaganda e la popolazione non italiana, per sopprimere decisamente quella italiana ». Non si vogliono gli italiani Si soppiimono sistematicamente cosi gli italiani del regno, con dei colpi di mano che ad un pacato osservatore politico possono sembrare dei folli atti temerari, perchè anche oggi si ha una incrolìubile persuasione di una assoluta impunità. In ogni sua e> spressione la mentalità austriaca ha : tinU strano dogmatismo sdegnoso, che vi scon-* certa, come le idee fisse, testarde dei vec"J chi : nella loro politica anti-italiana il Governo di Vienna e gli uomini che lo rappresentano, nelle provincie italiane, vi rivelano uno spifito anche 'più assoluto. Si mettono, insieme al loro programma, sopra ogni sistema di diplomazia e sensibilità di popoli: rovesciano i principi del diritto: si rifiutano semplicemente di discùtere, in una strana, inflessibile convinzione di poter agire sempre illimitatamente, con un diritto superiore, incontrollabile, di poter ignorare ogni protesta e ogni ribellione. Il silenzio prudente dei Governi italiani li ha aiutati per molto tempo a cristallizzarsi in questo sistema. Il cittadino che protesta è ancor molto spesso, in Italia, una figura tutta regionale che non varca i confini. Ci sono anche talvolta, certo assai rari, dei casi di espulsione di sudditi germanici. Rimangono minaccie: non si traducono quasi inai in realtà. Un suddito germanico, certo Meyer, redattore di un giornale tedesco 'nazionalista di Schwatz, ha ayuto^un paio di anni fa l'ordine di abbandonare l'Austria, perchè aveva schernito a più riprese l'esercito austriaco : non si è mai mosso e nessuno più lo ha molestato. La Germania non tollera. Non si teme invece l'Italia, sopratutto quando ha le spalle scoperte e non può reagire. Nelle più difficili settimane della guerra di Tripoli — ha osservato al Parlamento di Vienna il deputato Gentili — le espulsioni in massa si sonò improvvisamente moltiplicate. E' avvenuto qualche cosa di più: si è cominciato a chiuderai confini d'Austria agli italiani, pretendendo da tutti i viaggiatori di terza classe, ghVoperai, la presentazione del passaporto, contro tutto le consuetudini regolato fra i due paesi e a insaputa delle stesse autorità italiane. ■- Non-si vogliono gli italiani. Quando jaon si può cacciarli via. si tagliano loro i viveri. Li si assedia con la fame: si crea attorno ad essi il vuoto, l'isolamento, l'impossibilità a vivere. Non espulsi da un decreto, non attaccati di fronte, gli italiani devono jpesso ritirarsi dolorosamente, battuti da una misteriosa' insidia alle spalle. E' un'opera più sotterranea, che si scopre solo in cmaleha» episodio più clamoroso, ma è pur essa d* ogni giorno. Tutte lo imprese, legate da qualche rapporto allo Stato, hanno iniziato da qualche anno un progressivo licenziamento dei loro operai regnicoli. Obbediscono ad un ordine categorico. I cantieri di Monfalcone hanno dovuto già abbandonare tutte le squadre dei regnicoli. Lu Società delle cave di pietra dell'Istria, clic si era rifiutata ad un'eguale misura che le fu imposta, dovette cedere sotto la minaccili di essere espropriata. La Società marittima IstriaTrieste, sovvenzionata dal Governo, ha 11cerlzlato anch'essa i suoi operai d'Italia, con una lettera che dice: « D'ordine delle Autorità ». I quattro recenti decreti del luogotenente- di Trieste, che comandano al Municipio di coi sedare i suoi, impiegati regnicoli, entrano in questo generale movimento accerchiane.! che si spiega contro le posizioni italiane. E sono — lo si vede ora bene — nulla più che un episodio, come l'iiq, definito altra volta: sembra più impressionante solo perchè se ne è parlato di più. ' Si praticano ancora conto altre piccole manovre frazionate, menu conosciute, ma' non meno corrosive. Sono misure preventive. Si rifiutano ora, per sistema, agli italiani le licenze di ogni traffico, le concessioni d'ogni industria e se ne fanno uu buon premio per gli slavi. Questa è un'arma formidabile, in mano ulle autorità del Governo da quando si è spogliato dei suoi diritti autonomi il Comune di Trieste e la luogotenenza ha accentrato tutto il controllo sulle attività produttive della città e decide da sola sulla apertura di una minuscola osteria e sull'Impianto di una grande fabbrica. I rifiuti di licenze ngli italiani, sopratutto regnicoli, sono un tutto di ogni giorno. Li si giustifica con una misteriosa formula strana, che non riesce a nascondere l'arbitrio e non è mai stata prevista della legge: «Per motivi di speciale considerazione». C'è hjne un paràgrafo 8.di una legge austriaca 15 marzo 1883, che assicura ai sudditi-stranie-' ri, per l'esercizio delle industrie, gli stessi diritti dei sudditi austriaci: ma la polizia e la Luogotenenza'hanno una legge propria che si riassume nella formula: eccezione di rigore per gli italiani. Ricordo, fra tanti, un caso significativo. Il signor Giulio Vernet di Marsiglia chiede alla luogotenenza di Trieste una licenza per impiantare una spremitura di semi oleosi. K' vissuto più di sei anni in Sicilia e parla l'italiano perfettumente: lo si crede un italiano. Il conte Dandini dellu luogotenenza, dopo molte settimane d'indugio, gli dichiara . lui giorno nettamente che non gli si può accordare la licenza domandata. « Sta bene — replica il Vernet — farò domandare soddisfazione dal signor De Laigne, il Console di Francia! ». ce Come? — esclama meravigliato il Dandini — Siete suddito francese? Scusate: vi credevo un suddito italiano! ». E la conces-, sione venne: ma non fu più sfrattata, perchè il Vernet volle cercar fortuna altrove* tpènrmpgsaiEiptsvidmrt.'c.t•ldsnsbnnmlapsndtrcqoccpcnanppstgsldup«ntbcnepisnfSltzbrtucmlmcldnbcpdvcptaipcpfismustgnc.duHmmllnndudgsvdlnbdcspi Questi sono fatti precisi, documenti positivi che un articolo ufficioso di giornale non pili', i~"jitire, nò distruggere. Si è creata, è vero, in questi ultimi tempi una certa bonaria teoria di Stato del buon padre di farhiglia, che deve pensare ai suoi figli, prima che si quelli degli altri, e ha il diritto, por questo, di riservare art essi i posti migliori. Gli italiani del Regno sono degli stranieri, in Austria, e portano via il pane agli indigeni. Lo ripete, quasi ogni giorno, il giornaletto triestino del luogotenente. Esso però non è riuscito a spiegare perchè i cantieri di Monfalcone, licenziando gli operni italiani, abbiano mantenuto invece tutti quelli germanici e inglesi, nè perchè si permette ai capitali della Germania, investiti in molte imprese di Trieste e anche in qualche grande Società di navigazione, di moltiplicarsi sul lavoro quotidiano di molta gente indigena e perfino sulle ultime risorse degli emigranti austriaci che partono verso l'Americo. Molti italiani regni .'coli, che vivono a Trieste talvolta da due.tre intere generazioni, domandano spesso •là cittadinanza austriaca: l'ordine venuto da Vienna ò di rifiutarla, per quanto è possibile. E il giornale del luogotenente continua contro di essi una così miserabile in sultnnte campagna quotidiana che vi sembra ispirato dal preciso programma di fanatizzare la plebe slava inconscia, per tenerla sempre in odio e scagliarla ferocemente, come è già spesso avvenuto, contro la inerme colonia degli italiani. La propaganda dell'odio Si odiano mortalmente gli italiani: ecco al verità. Se Io si potesse, senza dover comparire dinanzi al fiero tribunale dei popoli, si sguinzaglierebbero forse per le vie, una notte, le turbe sinistre dei bassi pòrti, per dar la caccia agli italiani e massacrarli tutti. « Questi italianacci devono scomparire! ». E avviene già oggi qualche còsa che sa di aggressione e di assassinio. Con questa propaganda governativa dell'odio, ogni furfante si crede leciti i più turpi ricatti, le più feroci violenze contro i regnicoli. Un tal March... ha dovuto rinunciare, poco fa, a un suo credito di 250 corone perchè il suo debitore, certo Goldm, lo ha minacciato di farlo arrestare per «ingiurie all'Imperatore » ch'egli non ha mai pronunciate. A chi protesta un funzionario di polizia risponde: «La guardi quel che fa, perchè la xe regnicolo ». Dunque, silenzio, sènza difesa. C'era dinanzi ad un cinematografo, uno strillone di Bari; si guada: gnava tranquillo, senza far del male a nessuno, il suo pane, urlando giocondamente le novità. Una domenica gli passano vicino due sloveni : lo beffeggiano : uno gli dà uno spintone, l'altro gli caccia il coltello pél cuore e lo fredda.Arrestati, dicono solo: « Era un -italiano! ». L'omicida è condannato"* quattro' mesi di carcere/ ET qualche cosa come un muto, insidiosotragico regno del terrore. Ogni giorno sem bra preparare qualche tremendo impensato colpo nuovo. Esaurisce gli animi: li annienta. Giuoca in un riso rosso gli uomine le loro fortune. Crea la paura: è dalla paura la viltà. Non tutti gli uomini hanno i muscoli d'acciaio, un cuore che non sspezza e sfida. Qualcuno cade: rinnega la nazione, che gli pesa come un marchio inv fame. Ed è un italiano perduto per sempreSentite questa amara tristezza fatale dell'assopimento, della disgregatone, e poi talvolta della inversione di un'anima nazionale,' schiacciata dal terrore? E' un problema profondamente melanconico e doloroso che non si può più .ignorare. Pensatelo. Questi italiani viverlo in Austria per un pane: vi sono stati portati da una necessità economica: non hanno nè cuori, nè mezzi per essere dei pionieri del nazionalismo. Spesso sono anche anime timide. 'La minaccia le preme. Vivono in silenzio e corcano di farsi dimenticare. Non basta: le si perseguita. Divengono degli assenti, dogli indifferenti nazionali: cominciano a nascondere pavidi la loro italianità. Non basta aheora. I più non si piegano, qualcuno emigra, ma qualcuno, più vile, compie l'orribile atto : sconfessa la patria, si dichiara slavo, passa tra le file nemiche. E vi trova una improvvisa resurrezione. Non conosco nulla di più disperato ih questo problema degli italiani d'Austria. E' il più tragico, trionfante risultato della politica austriaca. Ciò avviene non a Trieste, dove il numero incuora la resistenza, ma nei piccoli centri, dove la colonia dei regnicoli.è minima, gl'italiani sono pochi'e la pressione dei Governi e degli Slavi si è fatta sentire più brutalmente. Sopra tutto in Dalmazia. Son certo ancora pochi casi sporadici. A Traù l'organizzatore delle dimostrazioni violente contro gli italiani era un cittadino di Bari: a Ragusa una piccola schiera di pugliesi milita nelle schiere croate più scioviniste: a Sobenico un esiguo gruppo di regnicoli contribuisce a mantenere la banda croata ed evita ogni contatto con gli italiani: a Zara, fra i sottoscrittor.di un proclama, che domanda denari per una usurpazione: la fondazione di un Hrvalski Doni (Casa nazionale croata) nella meravigliosa città tutta veneta, tra le firmo 'di pochi croati dimoranti a Zara, sleggono nomi di regnicoli: Scarpa, Cortei lazzo... 11 consolfc .d'Italia che era a Zaranoi 1908, dovendo scegliere, una sera di carnevale, fra una festa di italiani e un'altra di croati, sceglie la riunione slava: accolto una volta in un convegno italiano al suono della Marcia Reale, ne fa egli stesso, igiorno dopo, rapporto alla Polizia e pre senta dulie scuse formali. Queste cose si dicono per il dovere, talvolta molto duro, di non nascondere nulla, di conoscere tutto: non si discutono. Si lasciano parlare da sol" nella loro desolata nudità. Gettano una fosca ombra, indicibilmente amara e angosciosa, sullo sfundo di questo problema degli italiani. E vi dicono le ultime sciagurato possibilità pensate a Vienna: il pervertimento di un popolo che è nostro e che si vuol trasformare in un nemico esercito in armi. VIRGINIO QAYDM.