La falena e il lume

La falena e il lume La falena e il lume — Ascolta — mi disse ieri sera Emanuela VittàB, poiché finivamo di pranzare sùJJa terrazza in faccia al lago e la luna sorgeva dietro una fila di collinette per venirsi a epecchiaire civettando nell'onda. Eravamo nell'ombra dell'oleandro gigam- tmlemtesco che apre nella notte tutti i suoi fiorii bamari e non si vedeva brillare che la punta delle nostre sigarette 'accese, mentre io attendevo che Emanuela parlasse. Ella non parlava ancora; si appoggiava col dorso alla balaustra che sembra soffocare eotto l'abbraccio ostinato dell'edera ed incontro al moerro grigio-azzurro dell'acqua si profilava la snellezza ardita del suo busto chiufso in una specie di giustacuòre di seta chiara e la linea decisa delle spalle, e' il lungo collo che il mento sollevato inarcava Jn una molile linea floreale, quasi a sostenere, fiore ed insieme frutto, la testa stretta nei capelli come in un involucro » semichiuso. — Ascolto, — le dissi per sollecitarla, intuendo che efla stava per narrarmi una di quello storie che paiono o sono confessioni e clic vengono solo alla superficie dell'anima in talune circostanze ,di tempo, di luogo e ,d 'opportunità, come le esalazioni notturne dei fiori amarognoli. — Credi tu che la. nostra volontà -ci guidi in tutti i nostri atti? — ella mi chiesa d'un tratto, fissando dinanzi a sè la luna rossa che saliva nell'ombra. E poi- che io non rispondevo, già sentendo nella sua domanda una convinzione fermamente contraria, ella s'abbandonò a sedere accanto al piccolo tavolo ancora apparecchiato, vi appoggiò i gomiti e con le mani stretto elite tempia meditò un momento ad occhi chiusi, come per raccogliersi in. un ricordo. Avevamo parlato tutta la sera di un nostro comune e lontano passato di convento e rievocato figure scolorite dal tempo, lentamente e inavvertitamente cedendo e ' svelando l'una all'altra, in indecise e quasi forzato confidenze, alquanto della nòetra oscurità interiore, alquanto di quel chiuso mondo gelosamente custodito in noi, che lo scoprire aitami, anche solo in minima parte, angoscia e opprime come una violazione. Ne eravamo ancora entrambe vibranti e quasi leggermente inebbrdiate, come se le appassioniate rievocazioni avessero sollevato dal fondo del nostro ricordo stagnante i profumi ancora vivi delle cose già morte e con essi tutti i turbamenti e tutte le inquietudini già sopite e già livellate ,dalrinsensibiQe passaggio dei giorni. Vidi che Emanuela alzava il volto e, sdraiata nell'ombra sulla mia lunga sedia, le accennai la luna sospesa sull'acque, ed il palpitante fulgore ohe tagliava H lago come una scìa d'oro in mezzo a cui una pie asnptcdmdsldicsnncofercmslnpcalnSlpmslnccgsozescola vela nera navigava lenta e sola come auna barca incantata. Ma ella vi volse appena uno sguardo distratto e subito la sua faccia più bianca sotto il pallore lunare si fissò a me interrogando : — Ti ricordi di Sofia. Bioss, quella giovinetta bionda, figlia di padre tedesco e di madre italiana, che fu 'per qualche tempo mia vicina di destra in refettorio? Risposi ohe la rammentavo ! .benissimo, specialmente per le sue mani sempre coperto nell'inverno ' di orribili geloni che la costringevano a portarle tutto e due fasciate. — Ebbene, — proseguì Emanuela — quella poveretta s'era accesa per me di .una grande simpatia, una simpatia tutta tedesca, fatta di.sentimentalismi e di romanticherie che talvolta mi divertivano, che talvolta mi irritavano. Quando lasciammo il collegio ella continuò a scrivermi per un anno riempiendomi le lettere di non-ti-scordar-di-me e di viole del pensiero, finche mi annunziò che sposava un medico, suo lontano parente e non 'ne seppi più notizia. In quel tempo incominciò .per me una vita molto agitata perchè mio padre, acqui- ldptshdtmcpmgtduacstata quasi'di colpo, in una impresa assai arrischiata, una grande fortuna, fu preso dalla smania dei viaggi e si trascinò dietro, in automobile, 'per mesi e mesi, me e mia madre, cameriera e bauli di qua e di là, per l'Italia, per la Svizzera e per la Francia, stancandoci' a morto e lasciandosi intanto frodare allegramente e impunemente dai suoi segretari. Tu sai che un triste giorno, quand'egli s'accorse dell'imminente rovina, se ne a) volontariamente dalla vita con un .colpo di rivoltella, lasciando noi due sole, indifese, atterrite e, se non povere, grazie alla dote ancora intatta di mia madre, certo in tali condizioni morali e sociali da farci ricercare la solitudine e l'isolamento, come due povere abbandonate, vergognose del nostro nome e costrette ad espiare ormai una colpa non nostra. . Mia -madre dopo un paio di anni incominciò a soffrire di cuore ed una notte ella fu assalita da una crisi così inquietante del ; maile, che io feci chiamare un medico in una j farmacia, tanto più che il nostro dottore curante era assento per alcuni giorni e mi era impossibile avvertirlo. " Venne prontamente un giovane alto, dall'apparenza seria e distinta, prodigò a mia madre cune energiche ed efficacissime e se ne andò all'alba, lasciando il proprio biglietto. Vi gettai appéna uno sguardo, lèssi un nome ignoto, l'indicazione d'una via é d'un numero telefonico che non mi dissero nulla.,Ma più tardi, lungo la giornata, quel nome : Ermanno Valle, mi ritornò più volte alla- memoria come una di quelle musiche già udite che appena accennate s'ostinano nel pensiero e non l'abbandonano più. Er-, manno Valle : dove avevo sentito o letto quel nome? Improvvisamente il domani, al mio : primo destarmi mi trovai l'enigma, decifrato, nel .cervello, come se" nella,nòtte, durante il sonno, il suo lavorìo oscuro con- tiuuamdo a indagarlo, l'avesse risolto. Ermanno Vaillè era il marito di Sofia Eioss, la mia compagna di convento. Andai subito al telefono, domandai della signora Valle e la voce che rieuomò nell'apparecchio non mi lasciò più dubbio. Era veramente la mia buona, soave, romantica Sofia, la quale, non appena dissi- il mio nome, mi manifestò la su» gioia con le più commosse esclamazioni, invitandomi immediatamente a casa sua perchè io vedessi i suoi bambini che erano tre amori, e conoscessi suo marito. Risposi che già lo conoscevo e.raccontai il triste avvenimento della notte passata, dimostrandole la mia riconoscenza e quella di mia madre per le cure sapienti prestate a lei dal suo Ermanno. In tal modo rinacque più viva la nostra amicizia, senza i morbosi sentimentalismi dell'adolescenza, ma piena di confidenza e di tenerezza. Dopo un anno e mezzo il male di ctìore di mia madre s'aggravò tanto che fra sofferenze penosissime ella dovette soccombere, e lasciarmi completamente .sola nel mondo. Allora mi ammalai io di un esaurimento nervoso complicato di febbri intermittenti che mi prostravano al punto d'annientare ogni mia volontà, la quale solo più si manifestava'in una insofferenza irosa-verso tutti e verso tutto, come se il mondo intero fosse responsabile o colpevole dei miei mali. Mi curarono alcuni mesi in una casa di salute, ma non fecero che accrescere la mia depressione morale e fisica, così che quando Sofia, la quale-veniva a visitarmi quasi ogni giorno, mi offrì ospitalità in una sua villetta presso un lago svizzero, dove ella passava con la sua famiglia i mesi dell'estate, esitai alcuni giorni e poi mi risolsi ad accettare. Pilla fece partire prima i bambini con la governante, per tema che essi mi dessero noia, e mi accompagnò ella.stessa a villa Sofia a piccole tappe, con un viaggio così!lento e piacevole che mi credetti all'im-1provviso guarita di tutto le mie sofferenze.1 Invece, appena giunta, la leggera, febbre mi riprese e mi tenne a letto quasi una lsettimana, assistita da Sofia come 'da una devota infermiera. Io dormivo nel piccolo letto accanto al suo, nella grande stanza matrimoniale ed ella si alzava durante la |notte per misurarmi i gradi di febbre, per contarmi le pulsazioni e somministrarmi i calmanti. Io le prendevo qualche .volita le mani, e glie le stringevo a lungo, senza parole, non sapendo come esprimerle la mia gratitudine, oppure le dicevo sommessamente: — Grazie, grazie, come sei buona, Sofia ! — mentre ella sorridendo mi copriva la bocca con la sua mano, per costringermi a tacere. Una volta che i io avevo insistito nelle mie espressioni di riconoscenza, ella sedette accanto al mio letto e mi disse con quella lv& semplicità così fresca e serena che ledava un'aria tanto candida e giovanile: — Io posso, io devo essere buona. Eia mia, perchè io sono felice e non ho fatto assolutamente nulla per meritare la felicità. Non sono bella, non sono; intelligente, eppure ho avuto dal destino .tutto quanto una donna può desiderare: una vita agiata e tranquil'a, dei figli sani e graziosi ed un marito infinitamente superiore a -me fisicamente ed intellettualmente, il quale mi ama come solo una donna piena di fascini potrebbe essere amata. Tu invece, bambina mia, che sei bella, che hai tanta- intelligenza, che sei elegante e colta, non hai trovato sul tuo cammino che tristezze e dolori. E non vuoi che io tenti di rimediare un poco — oh! molto poco, — con la mia amicizia, alle ingiustizie del destino? E poi, io ti voglio bene, Eia mia; ecco tutto. Ero così commossa che non seppi rispondere, ma da allora, non so come, oscuramente, insensibilmente l'amara certezza che ella avesse ragione, "incominciò a -poco a poco a penetrare in me. Era vero: SofiaIaveva ottenuto dalla sorte tutti i doni, tutte le gioie a me negate. Quella giovi- a te o a •netta scialba, sciocca, che io disprezz>Mj& o deridevo in convento, era stata amate scelta 'fra tante da un uomo elevato, -altero e forte, da un uomo tale che qualsiasdonna non mediocre avrebbe amato con orgoglio. E l'amore e la fedeltà durava ancora, dopo anni, fra di essi, mentre io awevo consumato la mia prima giovinezza in piccoli amori stupidi, finiti nell'indifferenza o nella nausea, troppo paurosa e insieme troppo fredda per tentare qualche maggiore avventura o per sentire qualche più profonda passione. D'altra parte nessuno degli uomini incontrati nella mia vita me ne era sembrato degno e rimpiangevo solo l'amore per l'amore, come uria parte dell'esistenza e forse la più bella che mi era rimasta sconosciuta. * Meditavo così da alcuni giorni esasperando la mia già consueta malinconia, quando Ermanno Valle giunse a villa Sofia-perimanervi una settimana. Naturalmente io chiesi subito per me la camera destinata agli ospiti, ma nè la mia. amica nè /sito marito mi permisero di lasciare la stanza fino allora occupata. Io mi alzavo già^q^àlche ora del giorno e passavo i pomeriggsopra una veranda un poco simile a questedinanzi ad uno sfondo verde e azzurro .e d'alberi e d'acque, 'quasi eguale a quello ritrovato qui. Ed Ermanno mi teneva compagnia, mentre Sofia, che era un modello di padrona di casa, si occupava di cure domestiche. Egli come me av^va viaggiato molto e rievocavamo insieme città vedute da entrambi, e musei rimasti nericordo di entrambi, monumenti, paesaggi lontani, indecisi, sfumati, quasfatti irreali dalle nebulosità della memoriaEd io mi accorgevo di non seguire qualche volta il nostro discorso per guardare la sua fronte, dove alcune sottili rughe orizzontali si formavano e scomparivano rapida!mente, mentre egli parlava, come l'incre1 spatura di un'onda. Ed intanto pensavo alle 1 parole di Sofia: « Sono felice; ho un ma rito infinitamente superiore a me che m lama ». Sì, veramente ella poteva dire di non meritare la bontà del destino verso di leie spesso ripetendomi questa considerazione | a poco a poco mi accorai che mi riprendeva e a e e a quel disprezzo alquanto beffardo per la mediocrità di Sofia che già in collegio provavo invincibilmente, ed insieme un turbamento oscuro di tutta me stessa quando mi trovavo sola con Ermanno. Tuttavia ; ipensiero che egli doveva a giorni ripartireI riusciva a darmi una specie di calma dolorosa, come se il suo allontanarsi segnassil cessare di un pericolo indefinito, ma anchdi una indefinibile gioia. Cosi giunse- l'ultima notte della suaipe*manenza a- villa Sofia. Io dormivo già' ddue ore nel piccolo letto accanto a quelle1 d'ella mia amica, quando all'improvviso me a i e e a destai con un senso di fastidio negli occh che. mi impediva di continuare il mio sónnoEro abbastanza tranquilla, senza febbre, sentivo il respiro eguale e leggero di Sofiche dormiva profondamente; ma dinanzi me nella parete del fondo s'apriva uno spiraglio di luce gettando sul pavimento unlunga striscia luminosa. L'uscio della stanza destinata agli ospiti, ed ora occupata da Ermanno, era semi-aperto ed egli certamente dotveiva vegliare leggendo, perchè, sporgevo l'orecchio, udivo di quando in quando lo scricchiolìo di un tagliacartpassato tra due fogli intonsi. Senza che io me .ne rendessi ragione, icuore incominciò a battermi violentementeEra la mezzanotte passata, nella casa muttutti dormivano; noi due soli vegliavamoa distanza di pochi passi, senza vedércicome se qualche cosa di comune, come suna oscura corrispondenza ci tenesse, deste coscienti insieme. - Cercai "di immaginare Ermanno vestitoaIdi seta viola come l'avevo talvolta di'mat tino intravveduto, buttato di traverso, sull- grande poltrona, di ouoio che stava a pi del letto presso la scrivania, intento a legere sotto la lampadina velata e subito sentii he qualche cosa mi attraeva verse quella porta socchiusa, verso quella luce misteriosa, verso quell'uomo che non vedevo. Mi nascoi sotto le coperte per disperdere il fascino attirante, ma mi sentivo soffocare e sempre quella striscia luminosa proiettata sul pavimento chiamava il mio sguardo, lo fermava, lo abbagliava, mi toglieva la cocienza dei miei atti e della mia volontà. Il respiro di Sofia, leggero ed uguale ontinuava accanto a me, ma io non vi badavo più. Non so come, d'un- tratto, scesi dal letto, con movimenti da automa lenti e precisi e camminai a piedi nudi fino alla triscia. luminosa, poi apersi la porta ed entrai nella camera di Ermanno. Il muovere del battente e il mio passo furono così silenziosi che egli non mi udì, solo si volse trasalendo quando io gli posai una mano sopra la spalla. Vidi i suoi occhi crutare impauriti ti buio' della stanza viina, ma il pensiero di Sofia era cosi assente da me che non compresi il può sguardo; non dissi, parola, non feci gesto; mi abbandonai senza forze sul bracoiuolo della poltrona e gli paddi sul petto. Mi cuoteva tutta un tremito convulso che non riuscivo a domare e non sentivo che il batr ito dei.suo cuore sotto la seta leggera, che l pulsare d'una vena del suo collo sotto le mie labbra. E le sue braccia intorno al mio corpo si stringevano sempre più forti e la vena del suo collo pulsava sempre più affretOita. Ma io cedevo a quell'abbandono, con un salico d'oblio e di rapimento cesi profondo che mi pareva di non aver conosciuto la vita prima di quell'attimo. VE non fu ,che un' attimo. Sentii le sue abbra avvicinarsi al mio orecchio, susurrarmi una parola e l'incanto fu spezzato di colpo. La mia coscienza si ridestò ; il nome, l volto, la bontà e la fiducia di Sofia balenarono fulminee immagini dentro di me, mi strapparono da quelle braccia gelida di spavento, mi costrinsero a fuggire, a ritorni are al mio letto, a nascondermi fra le coltri, tremando e ansimando come una colpevole. Non presi sonno che all'aurora, e quando mi destai a mattina inoltrata, Sofia, dolce, sorridente, serena come sempre, si affacciò alla porta, la porta di quella camera stessa, e mi annunziò che Ermanno ra partito. Quindi soggiunse : « Ha lasciato per te i suoi saluti.' Tu dormivi e non ha permesso che ti svegliassi ». Non so che cosa risposi, so che dopo alenali giorni assicurai Sofia dalla mia completa guarigione e con un pretesto me ne andai. Dopo non volli ó non potei più riannodare quell'amicizia ». Emanuela Vittis alzò la testa a guardare a luna che ormai splendeva piccola e palida come un'estia sul nostro capo e continuò con gli ocebi fissi all'alto e tutto il volto marmoreo neM'albore:. s lo non credo che la nostra volontà ci guidi in tutti i nostri atti. Se non era di quella porta aperta e di quella striscia luminosa sul pavimento che mi ha chiamata, abbagliata, istupidita, io dormivo quella notte placidamente senza occuparmi di quell'uomo che non amavo e che ho dimenticato quasi subito dopo. - Tu fosti come la falena, attratta dal ume — le risposi io, ridendo, tuttora draiata nell'ombra dell'oleandro"; — ma per ortuna, ti bruciacchiasti solo un poco le ali. Ella meditò un momento sempre fissando a luna, poi si chinò all'acqua tremula del ago e vi lasciò cadere una breve, secca, sibilante parola: — -Forse. AMALIA GUGLIELMI NETTI. Grescilzdc« _tonansqpgl'dsscintcecvcmeptndlcDlivscUblgbcaepaidddpcmdpddvlcsmaddtavldDptgnbccctcnmlrpsE

Persone citate: Amalia Guglielmi, Emanuela Vittis, Ermanno Vaillè, Ermanno Valle