Tripoli in crisi

Tripoli in crisi Tripoli in crisi I privati e la burocrazia - Storia di an distillatore - Come trattare gli arabi? (Dal nostro invialo speciale). TRIPOLI, tallio Varie lettere mi giungono dall'Italia — e non giungono a me soltanto — chiedenti gmgGse Siano vere le voci, recato colà da gente sche rimpatria e da scritti privati, di una, dgrave crisi in Tripoli e di un generale emalcontento nella Colonia tali da gii isti fi- dcare un arresto completo nella vita tripo- plitàna. Rispondo subito, con serena coscien- cza, che le voci sono esagerate. Ma non è rimen vero che ci troviamo in un periodo per fortuna transitorio di sfiducia e di stasi, ' bdovuto un poco alla morta estiva, un poco ] nalla paura, ormai scomparsa, di un'epide-1 mia, un poco alla, ripercussione del casi di'1 Cirenaica, ma sopratutto all'impopolarità e alla non perfetta riuscita di certi sistemi direttivi. Chiunque getti uno sguardo, anche superficiale, sulla Tripoli d'oggi, prova l'impressione di una città in ristagno. Il ghibìi di luglio -sembra avere imprigionato tra le sue ondate di sabbia ogni bella iniziativa, aver gettato torrenti d'arena tra gli ingranaggi d'ogni movimento. L'attività pulsante dell'anno scorso' è un mito lontano, e la candida regina della Libia dorme appoggiata alla sua oasi come ad una spalliera, vigilata dai minareti impassibili, staffilata dal sole che fa salire il termometro a quaranta gradi. Si vede adesso che in sostanza tutta la febbrile, vivace animazione tripolina era data dall'affollamento militare. Partiti poco fa diciassette battaglioni per la Cirenaica, rimasta qui.la sola divisione territoriale, le vie si sono spopolate e le botteghe, gli alberghi, i caffè hanno perduto gran parte dei loro avventori. Di italiani borghesi siamo rimasti — è Vero — circa dodicimila: ma di questi una buona parte è data dal tripolini, che naturalmente non possono rappresentare un elemento estraneo alla vita ordinaria, e l'altra parte è composta di impiegati di Stato, commercianti, ' qualche operaio, qualche professionista, comprese le signore, ormai numerose, degli uni e degli altri. Costoro non bastano certo ad alimentare un commercio, che era nato e si era sviluppato per trentamila uomini di più. Donde la crisi commerciale irrimediabile, fatale. Impressionati dal numero di compratori dell'autunno passato, all'epoca della proclamazione di paco, i commercianti avevano creduto ad una cuccagna eterna: avevano sollecitato dalle caso fornitrici l'invio di merce* in gran quantità, ingranditi i locali, rimpinguati 1 magazzini. La frenesia del guadagno aveva colto tutti, e nessuno si accorse che.quella pioggia d'oro era un temporale di passaggio, al quale sarebbe, per legge di natura, succeduta una ruinosa siccità. Al la diminuzione graduale del presidio di Tripoli si accompagnò il lento processo aScendento della crisi. E vennero le improvvise delusioni ed i piccoli crak. Si sperò per un momento nell'apertura delle vie coll'interno e liei ripristino dell'antico traffico carovaniero. L'ultima e più forte speranza era stata Gadames: si diceva che di là sarebbe venuta un'ondata salutare di ricchezza. Ma anche queste speranze furono distrutte dai fatti. E ciò per una ragiono molto semplice: perchè le carovane si inno vano verso Tripoli occorre che esse trovino' libere di pericoli e già conquistate all'Italia lg,. più lontane vie del sud. Gadames è-, nostra: ma il paese a sud di quell'oasi è.tuttora infestato dai predoni, e non vi è carovana che si azzardi ad affrontarli. Bisognerà dunque attendere, perchè il commercio cpll'interno si avvìi, che tutto il Fezzan — la regione di Gatti specialmento — sia occupato. Ma non è per questo soltanto che la voce pubblica leva lagnanze; essa accusa l'autorità di non aiutare a sufficienza le buone iniziative private, anzi di ostacolarlo coli'ttrma a doppio taglio della burocrazia. La burocrazia in Colonia può assumere — senza che se ne possa far risalire la responsabilità a nessuno — una terribile forza ostruzionista. Alle dipendenze del Ministero delle Colonie sono nati, cresciuti, fioriti tanti uffici quanti ne può contenere una provincia italiana e forse di più. Una falange di impiegati è venuta qui dall'Italia armata di carta protocollo e di moduli da riempire e si è mossa al lavoro con molto ardore e molta buona volontà. Ma questi bravi signori, parecchi dei quali posseggono ottime doti di intelligenza e capacità, cresciuti alla scuola dei Ministeri e delle Prefetture, Hanno inaugurato a Tripoli — e non potrebbero del resto far diversamente — il sistema che vige in patria: quello di scrivere e scrivere, di ponzar richieste, di redigere memoriali, documentando, postillando, sottolineando e dl passarsi poi gli incartamenti da uno all'altro secondo il grado, finché il più autorevole, dopo aver discusso e modificato, spedisce il plico a Roma per il giudizio definitivo. Pertanto una pratica di qualche importanza, dopo aver compiuto la via crucis degli uffici civili di Tripoli, finisce quasi sempre a Roma. E colà può darsi che rimanga in quarantena tanto tempo da stancare le persone interessate e farle .desistere dai loro progetti. Cito un esempio tipico che è oggetto in città dei più strani commenti. Nel dicembre 1911 — fissate bene in mente la data — l'ing. Carlo Locami, di Torino, partiva dall'Italia per Tripoli, seguendo il .generale Gazzola, che gli aveva dato l'incarico, a nome del Ministero, di costruire qui un distillatore dell'acqua marina, capace dl rendere 250 mila litri al giorno. Dopo., una serie di difficoltà e discussioni coll'ing. Bordoni del Genio civile, il generale Gazzola ottenne dal Ministero l'autorizzazione alta spesa di 500 mila lire per l'impianto del distillatore e dell'annesso serbatoio. Poco dopo, nel gennaio, l'ing. Locami si impegnava di impiantare il distillatore (il serbatoio fu costrutto da altri), con un contratto a forfait che gli stabiliva un compenso di 166 mila lire alla consegna dèi lavoro funzionante. La consegna avrebbe dovuto avvenire a fine marzo 1912; ma per varie cause di forza maggiore i- lavori uon incominciarono che il 6 aprile in una località stabilita dal generale ad est del Molo dello Sparto, dietro i giardini del Pa scià. Appena l'ingegnere fece per iniziare colà i lavori, il Genio civile gli rifiutò il permesso e gli assegnò un'area prospiciente. Qui egli trasportò il suo materiale e co minciò gli scavi. Un giorno i suoi operai trovarono uno scheletro, che egli debitamente consegnò all'autorità. Qualche tempo dopo l'esame di quello scheletro, e mentre egli già era innanzi nella costruzione, gli venne comunicato l'ordine di sospendere ogni cosa e di sloggiare poiché il ter reno che egli stava scavando apparteneva ad una moschea. E l'ingegnere distrusse quanto aveva già fatto e partì con materiali ed operai per l'area definitiva, alla piccola Hara. Era il giugno e il bisogno dell'acqua distillata si faceva sentire. L'in- ! gegneré intanto avvertiva il Comando che ge° costruire neUa nuova località a metri g50 gul llveUo dei marB( gn occorreva un 8Upplemento di spesa, che gli fu concesso, ! Allora, verso la fine dl giugno corninolo i pnbnfgGiavoti, st > conduca-» a tarali» tafo 54 giorni verso la fine di agosto. Da quel momento attese il collaudo, ma dal Comando gli si rispose che là pratica era passata al Genio civile, il quale alla sua volta non si faceva vivo. L'ingegnere perciò alla fìùie di ottobre si decise a chiedere il collaudo e lo ottenne favorevole dagli stessi uffici del Genio civile. Il distillatore finalmente poteva funzionare. Non mancava se non che la relazione di collaudo inviata a Roma ritornasse approvata. Si prepararono intanto nei magazzini 900 tonnellate di oarbone e si aspettò. Ma invano : la relaziona non veniva mai. Soltanto dopo sei mesi di aspettativa, alla fine del maggio 1913, la pratica ritornò da Roma agli uffici del Genio civile di Tripoli e vi ritorno colla debita approvazione. Si fece venire il personale, all'lng. Locami officiosamente fu oU ferta la direzione e si aspettò l'ordine telegrafico, di cominciare^...- Ma l'ordine non giunse, nè per telegrafo, ne. colla posta. L'ing. Locami, il personale e le 900 tomi nellate di carbone aspettano ancora adesso. Il distillatore, che ormai — coi danni che l'ingegnere richiede — non. costa più 166, ma 320 mila lire, il distillatore, che il Governo aveva commissionato ai primi di dicembre 1911, non funziona nemmeno oggi (dopo dlciotto mesi di attesa), oggi in cui per le misure igieniche cho si vanno prendendo, 250 mila litri giornalieri di acqua distillata sarebbero una vera fortuna. La pratica — naturalmente — ha cambiato un'altra volta di ufficio ed è passata negli archivi-del Ministero della Guerra. E potrei riferire altri casi diversi, i quali' varrebbero a dimostrare quanto sia necessario «ui attenersi meno alla lettera dei regolamenti e più al buon senso e sopratutto alla pratica della vita coloniale, tenendo mólto conto dell'esperienza di coloro che da più lungo tempo vivano nel paese e ne conoscono le caratteristiche ed i costumi. A nulla serve mandare.a.Tripoli impiegati scelti, uomini di fiducia c di valore, se poi si toglie ad essi ogni possibilità di agire secondo il proprio criterio, secondo lo spirito d'osservazione personale. Bisogna alleggerire la Colonia del peso burocratico, sveltire il sistema di comunicazioni col Governo centrale, aumentare la responsabilità di chi è sul posto e lasciargli maggior facoltà di decidere e di giudicare. Se per ogni più piccola questione, i funzionari superiori di Tripoli dovranno sempre — come ora accade — chiedere ed attendere il parere di Roma, tutto quanto si tenterà di fare pel bene del paese andrà innanzi colle ruote di piombo, come il distillatore di cui ho narrato la storia.. Quando le nostre autorità saranno meno solidamente legate ai fili cho si fanno muovere da Roma, saranno anche — lo sperano tutti — «eliminate certe interpretazioni errate degli ordini ministeriali, che di sd> lito si ispirano ad ottimi e sani criteri. Il trattamento verso gli arabi ò una prova di ciò. Essere generosi, gentili, buoni cogli indigeni per imporci colla grandezza d'animo, guadagnarci il loro affetto c domi* nare coll'amore invece che colla forza: tale forse fu la linea di saggia politica dettata dal Ministero. Mà qui si sono — non si sa perchè —- varcati Mimitir estremi della bontà. Gli arabi e gli ebrei ' vengono trai* tati con tale benevolenza e tali manifestazioni di rispetto che finiranno nella loro mente piccina col credersi essi i conquistatori e credere noi i conquistati. Essi ottengono tutto quanto chiedono. Piovono sul loro capo concessioni d'ogni sorta, facilitazioni enormi, tutta una serie di favoritismi persino incomprensibili, specialmente quando si trovino a confronto con un italiano, il quale è per regola messo di fronte all'indìgeno, in una posizione di inferiorità. La stessa burocrazia non esiste più, quando si tratta di soddisfare un arabo. Quello che ieri era impossibile per un italiano, diventa oggi la cosa più facile del mondo per un indigeno tripolino. Guai a toccare un arabo od a protestare se egli alza la voce! Si corre rischio di essere arrestati ed accompagnati in carcere insieme con lui tra'un carabiniere ed uno zaptiè. E la giustizia è amministrata in modo da proteggere questo sistema e da ribadire nella mente ignorante dell'indigeno l'Idea che egli è perfettamente uguale -* se non è anche superiore — all'italiano. Nell'aula dei Tribunale si vedono sfilare 1 nostri imputati, tra i quali molte volte vi sono persone per bene, sotto gli occhi di una cenciosa folla indigena, che li con^ tempia con visibile soddisfazione; si ascoltano, dando ad esse ugual peso che alle altre, le testimonianze degli indigeni, ai quali è pertanto permesso di lanciare qualunque accusa contro uomini d'una razza superiore, che essi dovrebbero circondare di sacro rispetto. Insomma si mette l'indigeno in una situazione morale, che egli — avvezzo allo staffile turco — non è nemmeno capace dl comprendere. Egli scambia questa esagerata bontà per debolezza ed imbecillaggine acuta ed in cuor suo nrova per il còno follano un senso di profónda compassione. E ne approfitta per chiedere nei contratti prezzi favolosi, che nessuno gli proibisce di mantenere. Le case arabe, che si prendono in affitto o che si comprano costano adesso cinque dieci volte il prezzo che avevano col regime turco. E ciò' in barba al decreto Caneva, che proibiva al proprietario indigeno di chiedere più del doppio del valore primitivo delio stabile. I capi arabi stessi non apprezzano questo' troppo delicato sistema di penetrazione pacifica, poiché conoscono* i loro dipendenti e sanno che questi, dopo Maometto, hanno una sòia religione: là'forza. Chi non è forte, o almeno non lascia comprendere di esserlo per l'arabo non è affatto degno di rispetto. «Mentre è bello essere igcneros|i quando si è forti, è ridicolo essere così buoni da apparire deboli. Non c'è bisogno di bastonare come facevano i turchi. Basta non abbassar mai dinanzi all'arabo la dignità d'un italiano, non abituare l'indigeno a vedersi protetto dall'autorità contro l'italiano, non riconoscere mai dinanzi ad essa U torto d'un italiano. Senza arrivare al sistema inglese di governare col timore, si può trovare tuttavia un mezzp per salvarci dalla falsa strada su cui siamo incamminati e che ci può portare a qualche bìvio pericoloso. Concludendo, la colonia di Tripoli attende un energico gesto del ministro, che mei* ta a posto le cose e corregga la situazione presente. Tripoli riprenderà ad ogni costo, per l'onore della nostra razza, per l'amor» che le dobbiamo, per l'energia che le abbiamo infuso in quasi due anni di vita italiana, il suo slancio mirabile verso un avvenire di grandezza. Qui siamo tutti convinti che ifo; succederà sicuramente, purché, invece di mutare troppo 1 funzionari, che in colonia dovrebbero essere sempre gli stessi, si muti, appena un poco, la linea di condotta. OIOVANNI 0OHVITTA-

Persone citate: Bordoni, Carlo Locami, Gazzola, Hara, Vero