I dietroscena della conquisi

I dietroscena della conquisi Come fu pacificata la Tripo a I dietroscena della conquisi primissime trattative coi capi arabi - Il fortunato sistema del Comando - Stori delle sottomissioni - Schermaglia d'astuzie - Il successo finale. < X> a. 1 nostro inviato spedale) TRIPOLI, giugno. I . , L giunto il momento di aprire il libro del : passato e cercarvi quegli appunti, che, per opportunità e per discrezione, sono stati finora, volontariamente taciuti. Mentre la Tri-, politania italiana chiude il suo primo laborioso periodo di vita, ancora tutto pervaso da un .fragore (farmi, mentre una nuova èra si inizia al Castello di'Tripoli colle venuta del nuovo Governatore, è utile svelare al pubblico, che li ignora, i metodi e le cause della rapida conquista pacifica proceduta con non meno lieti risultati della conquista a mano armata. Chiunque abbia seguito con diligenza la cronaca di guerra e di pace in Tripolitania ha potuto apprendere, volta a volta, dall'ottobre scorso ad oggi, le notizie delle varie occupazioni, da quella quasi inaspettata di Suanl Beni Aden all'ultima di Gadames; ha saputo che in ogni circostanza i capi arabi sono'andati ad incontrare amichevolmente i nostri residenti, ìe nostro, truppe, le nostre carovane, haiw, jrtiprovvisato innanzi alla bandiera tricolore fantasie di gioia, si sono inchinati nell'alto eli sottomissione con bella spontaneità. Ma nessuno è riuscito nemmeio ad indovinare — c forse pochi se lo sono chiesto — perchè tutto ciò succedeva, per quae miracolo nascosto questa gente, che ci aveva sino a poco prima combattuto con ferocia selvaggia, in nome di Alla e del suo profeta, ora veniva, col sorriso sulle labbra o le mani in alto, verso l'Italia come verso una liberatrice. Ebbene, il miracolo, che non è stato né semplice, ne facile, è accaduto per virtù di uomini: si è compiuto in seguito ad un lavorio faticoso, ma fecondo, a cui, sotto l'alta direzione del Governo di noma, un esiguo nucleo di ufficiali, trasformati per la" circostanza in diplomatici, hanno portato la loro Intelligente cooperazione. Pensate che nessuna guerra coloniale in nessuna Colonia del inondo ha avuto una cosi pronta e cosi simpatica soluzione; ricordate quanto erano ristretti i confini del nostro dominio attorno a Tripoli prima della pace, e potrete misurare con molta approssimatezza il successo della politica italiana nel primo semestre, dacché i turchi lasciarono la Tripolitania. La situazione al 18 ottobre 9 eVeiotto ottobre è una data che non si dimentica, ftopo un oscuro periodo di perplessità e di dubbi, si accese ad Ouchy il faro della pace. La luce che di là splendette ebbe riflessi assolutamente diversi' nel campo italiano di Tripoli, in quello turco di Azizia e tra le mehalle arabe di tutto l'interno. I turchi, messi di colpo in una posizione criticissima di fronte agli arabi, che sino a quel momento avevano illusi, pensarono a salvare se stessi e la loro politica sino al giorno dela partenza; si affrettarono a proclamare ai capi il firmano annunciante l'indipendenza, e. così trincerati dietro quello, temporeggiarono, avvicinadosi intanto alle posizioni itaiane e prendendo lentamente gli accordi per una prudente e silenziosa fuoruscita. Gli arabi più influenti, ligi alla loro politica sottile e sospettosa, pur non lasciandosi ubbriacare dalla chimera dell'indipendenza, compresero subito quanto vantaggio potevt.no trarre impugnando il firmano e discutendo coi futuri padroni sotto l'egida di un tale documento. Rimasero perciò in una attesa dignitosa, senza disarmare le mehalle, senza dar segno ale popolazioni che la guerra fosse finita. Al nostro Comando frattanto nessuno si nascondeva le difficoltà del momento. Il Governatore e qualcuno dei suoi consiglieri ebbero il merito indiscutibile di intuire all'istante la siuazione. Compresero che, spentasi una guerra, un'altra ne cominciava lunga, ardua, insidiosa. E affrontarono la nuova incognita coraggiosamente. Bisognava far tacere i cannoni, armarsi di delicatezza e di tatto, essere attenti, essere astuti, essere fini. E vi si riu sci. Adagio, con calma inglese, ma senza perdere tempo, errando qualche volta, correg gendosi sempre, non dimenticando mal il fine precipuo, si riusci a separare nettamente 1 turchi dagli arabi, sfuggendo cosi al peri colo di qualche accordo segreto, e imbarcati quelli per l'Asia Minore, si arrivò sino ad attaccare questi, col loro placido consenso, al nostro giogo trionfante. II primo contatto coi capi dell'interno fu preso per loro stesso invito, pochi giorni dopo la pace. C'erano a Tripoli parecchi notabili, naturalmente devoti a noi, 1 quali, durante le ostilità, per una catena di informatori, avevano potuto entrare in relazione con amici del campo avverso. L'indole, l'importanza, il grado di sincerità di tali relazioni ci sono attualmente ignoti e forse non saranno appurati mai. E' ad ogni modo evidente che, a pace conclusa, partirono da Tripoli delle lettere recanti informazioni a qualche capo dell'interno sul nuovo stato di cose. In seguito a tali lettere ed anche per deliberazione spontanea di molti capi lontani, fu indetta nel campo arabo una grande assemblea, dalla quale sarebbero stati esclusi i turchi, e in cui sl sarebbe esaminata in linea generale la situazione. La Tripolitania indipendente I L'adunanza sl tenne il 23 ottobre, ad Azizia. Vi intervennero la maggior parte dei capi, che avevano partecipato alla campagna: da quei del Gebel a quelli di Orfella, di Ta rbuna, di Misellata. La discussione fu laboriosa e vivace. Alla lettura del firmano un vento di nazionalismo sembrò agitare i barracani, dar fremiti alle barbe di quegli in fluentissiml e serenissimi caimacan. Così tu proclamata in via provvisoria l'indlpenden za della Tripolitania e stabilito un Governo autonomo. Ma una grave scissione si delineò ben presto nell'assemblea e la divise in due correnti. La grande maggioranza era favorevole alla pace e pronta a trattare coll'ltalia. Formavano questo gruppo fortissimo tutti capi delle regioni piane, i quali prevedevano l'impossibilità di reggersi per conto proprio tagliati fuori dai principali centri costieri, presentivano i vantaggi d'una unione col nuovi conquistatori di Tripoli. Intendiamoci bene : in quel momento essi non pensavano affatto - alla sottomissione, ma avevano in mente di avvicinarsi all'Italia trattando di protettorato. 1 capi del Gebel invece rifiutarono questo accomodamento. Gente montanara, ribelle per Istinto, costoro già sentiva* no forse l'influenza di Suleiman el Baroni, agitatore e visionario, postatalo sin d'attera I dall'idea di crearsi un regno; e finita l'assem-1 r blea, in cui avevano rappresentato una non : trascurabile minoranzai sl ritirarono sulle lo- ro montagne a far propaganda di guerra. Gli altri non si curarono più dei cosldetU aebclia, e procedettero secondo quanto avevano deciso. Spedirono, cioè, una lettera al governatore italiano, invitandolo, a mandare i suoi rappresentanti in un luogo a destinarsi. La risposta del governatore giunse affermativa, e il primo Incontro fra parlamentari italiani ed arabi fu stabilito nei primi di novembre, a Fonduk el Maguz, li punto eritioo Sl recarono colà, per rappresentare 11 nostro Comando, il tenente colonnello Caviglia, il maggiore Tarditi ed 11 capitano Castoldi, accompagnati da due interpreti. Alloro arrivo, in un mattino un po' nebbioso dell'autunno africano, la conca di El Maguz presentava uno spettacolo nuovo ed affascinante. Trecento capi, coi loro seguiti di gendarmi, maestosi sui cavallini berberi, dalle bardature dorate, erano schierati in semicerchio, attorno al fonduco. Sulla gran massa candida dei baracani ondeggianti al vento, 1 fez sembravano macchie di damma ed 1 fucili mandavano lampi d'acciaio. Realmente quello sfoggio di eleganza guerriera era fatto per impressionare ed i nostri ufficiali lo ammirarono come si ammira una coreografia. Poi commissari dell' Italia vennero invitati entro il fonduco, in una stanzetta molto umile, ma aggiustata con tappeti alla maniera orientale e tutta odorosa del fumo di the. La commissiono araba era composta delle più note personalità del campo avversarlo Feralh bey, di Zavia, il famoso deputato, uomo d'ambizione c di coltura, pratico per lunghi viaggi della vita europea, capace di svestire 1 baracano per indossare la redingote; Coobar bey del Garian, giovane ancora, vivace intelligenza, innamorato del mondo europeo che egli aveva conosciuto, e tuttavia veneato dal suo strano popolo di trogloditi; Merglienl di Azizia, personaggio assai potente tra gli Ursceffana, il mufti di Zavia, e Sceliga di Agilat, morto poi mentre combatteva per l'Italia nel noto attacco dei predoni del primo marzo scorso. I rappresentanti italiani vennero accolti con molti salamelecchi; furono bevute infinite tazze di the, vennero fumate infinite siguiett" ma la conversazione assunse uno stile cosi solenne che non potè affrontare il punto critico dell'argomento. Gli arubi, che seppero dimostrarsi diplomatici consumati, parlarono cautamente di autonomia in seguito al firmano, manifestarono molta simpatia per l'Italia dissero di essere disposti a trattare per una amichevole intesa. « Possiamo vivere in perfetta armonia — dicevano — voi nei vostri forti, sulle rive del mare, noi nei nostri castelli dell'interno: ci aiuteremo a vicenda; noi staremo sotto il vostro protettorato, ma ciascuno sarà padrone a casa sua ». I tre ufficiali italiani ebbero l'accortezza di sorridere e di inchinarsi. - Benissimo — risposero — ma queste sono questioni troppo complesse perchè possano risolversi cosi, in una sola adunanza. Occorrono molte e lunghe discussioni. Noi vi invitiamo perciò a venire a Tripoli, dove rimarrete nostri ospiti. Lù vi presenteremo al Governatore, vi procureremo abboccamenti col capi cittadini nostri amici, vi daremo modo di conoscere come sia trasformata la capitale della Libia in pochi mesi di dominazione Italiana, La proposta, messa sul tappeto con tanta grazia, venne accettata. E quando i commissari nostri abbandonarono Fonduk el Maguz per ritornare a Tripoli, ricevettero dai capi maggiori dimostrazioni di rispetto che al loro arrivo, un arabi avevano perduto' un po' della loro diffidenza. Gli italiani avevano incominciato a conoscere quelli che sino allora erano stati una sfinge: i misteriosi uomini dell'interno. Quattro o cinque giorni dopo entravano a Tripoli, in un camion del Comando, 1 membri della commissione araba, capitanati da Ferath bey, vestito all'europea, accompagnati dal valoroso interprete nostro, tenente Alnna. Si iniziò allora al Castello il più acuto periodo delle trattative, quello che fu per i nostri ufficiali il più difficile e faticoso, riuscendo una vera schermaglia tra diplomatici agguerriti, e dal quale dipese tutto l'avvenire della situazione. Un programma arabo Per comprendere quali siano state le difficoltà da vincere, bisogna farsi un' idea dello stato d'animo arabo in quel momento. Gli arabi della Tripolitania non erano più quelli di un anno innanzi, di quando si erano aperte le ostilità tra l'Italia e la Turchia. Quell'anno di guerra era bastato per operare in essi una trasformazione potente, che tutta la lungo, snervante, accosciante dominazione turca era riuscita a tener sempre lontana. Le fiere genti del Gebel discesero al piano con le coorti selvagge degli Aulad-busef, che non s'erano mal mosse da Misda, e conobbero i più ricchi e più moderni abitanti delle oasi costiere. Gli Orfella scontrosi e restii alle relazioni venne- dstainnttudcbrdeusrTtpitsamcdsgdlascvcddvbsrbcncmgfmgncnpcaipzGtltidmlvrvireseidFattlcrsgnslnisrfctzro innanzi, sl unirono ai Tarhuna miserabili qe zingareschi e con essi conobbero gli uadi edel piano, le agiate cabile dell'Ursceffana e del Gattis, i bianchi villaggi di Zuara e di Zanzur. Un nuovo flusso di vita corse da un capo all'altro della Tripolitania, scoprendo tesori nuovi di forze nascoste, ed allora per la prima volta gli abitanti di luoghi diversi sl accorsero con infinito stupore di essere figli della stessa terra e legati dagli stessi costumi. Gli stessi turchi, costretti dagli eventi, non tentarono più di soffocare lo spirito di solidarietà, anzi lo eccitarono, e questo crebbe formidabile di fronte al pericolo comune, che eravamo noi. Cosi i-capi aumentarono di autorità, i più colti ed l più astuti acquistarono fama e quattrini, un fremito di guerra passò di mehalla in mehalla e questi popoli combattenti per istinto impararono che vi era un altro mestiere oltre quelli di raccogliere 1 datteri e star con la pancia al sole: 11 mestiere del guerriero. La Turchia, dopo tutto, pagava; molti capi, durante la campagna, avevano rimpinzato d'oro 1 loro sacchetti portamonete... le femmine, eccitate da quel gene- ralo risveglio di energie, ammirate del valore dei maschi, s'eran fatte più amorose... In sostanza la guerra non era un cattivo passatempo, e perchè non avrebbe potuto durare anche un secolo? E' vero: sovente 11 cannone italiano tuonava e seminava delle stragi: ma non era forse bello morire per Alla, salire nel paradiso promesso? E' chiaro adunque che a molti, se non a tutti, la pace non poteva essere bene accetta. L'unione aveva prodotto la forza, ed era un popolo agguerrito, assai più sicuro di sè di quanto lo fosse dodici mesi innanzi, quello che lo scorso novembre inviava a Tripoli i buoi deputati, perchè vedessero, studiassero, riferissero. E I deputati, forti del consenso di una gran parte dei loro — diciamo cosi — elettori, si presentarono con. un programma unico; ostacolo ben più scabroso per noi che se fossimo stati assaliti dalla molteplice varietà delle proposteli Governo' autonomo indipendente della Tripolitania, (il quale già funzionava al punto che i fogli di via, i permessi di passaggi per gendarmi ed informatori, erano ad esso intestati), non avrebbe ceduto se non di fronte ad offerte buone e concrete, che avessero soddisfatto l'avidità di alcuni, l'ambizione di altri, la diffidenza di molti ancor pieni nella mente dalle fole messe in giro dalla Turchia, che avessero potuto compensare gli smaniosi di combattere dei perduti -incerti... del mestiere. Bisognava far comprendere a questa gente, tutta scossa da un nuovo fervoroso desiderio di vivere, di agitarsi, di agire, che l'intenzione dell'Italia era soltanto quella di aiutarla nelle sue giuste aspirazioni, non di strangolarne le speranze sul nascere e soffocarla in una prigionia materiale e morale. Ci volevano calma, tempo e pazienza... Gli ufficiali incaricati dal Governatore, che da tre divennero poi due. il Tarditi e 11 Castoldi, e da due infine uno solo, il Tarditi, ebbero tali virtù. Tripoli ohe soggioga Nei primi colloqui pareva che non si sarebbe mai combinato nulla, che la discussione sarebbe durata in eterno, tanto erano differenti i punti di vista, tanto pareva impossibile trovare la piattaforma di una intesa. I commissari arabi, coi loro discorsi immagi nosi, pieni di fiori, di cielo e di vento, intrecciavano lunghi giri intorno allo stesso argomento dell'autonomia; e, quando, certe volte, già pareva fossero convinti, facevano con una frase crollare tutto l'ediilcio costrutto dai commissari nostri e si ritornava al punto di partenza. Ma Tripoli italiana, Intanto, cosi meravigliosamente diversa da quella turca, 11 soggiogava a poco a poco, col fascino delle sue novità- I notabili cittadini parlavano ad essi continuamente della saggia bontà del Governo di Roma, del crescente benessere di Tripoli, del rifiorire della popolazione, della ricchezza, della salute, della forza... Era un inno all'Italia, che le vie della città e le voci degli indigeni cantavano al loro orecchio, senza posa. Non sl poteva resistere a tanta bellezza di visioni, a tanto splendore di promesse Gli occhi di quegli individui, avvezzi a contemplare distese di dune e pianure assolate, rimanevano confusi. L'idea che la Tripolitania sarebbe divenuta una grande provincia italiana e avrebbe goduto tutti i vantaggi della nuova posizione, che una Commissione mista di italiani e di arabi avrebbe compilato le leggi speciali, che il Governo italiano avrebbe provveduto al perenne benessere delia regione, fini per convincere i più riluttanti, t venne finalmente 11 giorno, in cui il famose • Firmano > fu abbandonato, e fu accettato invece il nostro Decreto Reale. La prima vittoria pacifica era ottenuta. Non rimaneva che continuare nella via Intrapresa e tutta la Tripolitania sarebbe venuta a no. spontaneamente, per la forza dell'imitazione e dell'esempio. Accanto ai commissari italiani i principali fautori del successo erano stati due più intelligenti tra i commissari àrabi: Ferath e Coobar. Tra i capi tripolini, molto ausilio all'effettuarsi dell'accordo, lo diede ti notissimo Muntasser. Un bel oelpo Da quell'istante, cessato il primo periodo di trattative, bisognava raddoppiare di attività, lavorare decisamente e senza Indugi. In autocarro, come erano venuti, i capi-arabi furono riaccompagnati oU'Àzizia, donde si sarebbero sparsi nelle rispettive regioni por far propaganda In favore dell'Italia e preparare alle nostre truppe una lieta accoglienza. (Di essi si poteva essere sicuri, poiché avevano dato la loro parola. Ma non bastava aver essi daUa nostra. La loro potenza non era completa, in ogni • cazà > vi erano gruppi di dissidenti, sostenuti dai nemici dei • caimacan » in carica. Il sistema adottato prima doveva produrre l suol buoni frutti. Per molti giorni Tripoli fu invasa da carovane di notabili o anche di semplici indigeni, che venivano dalle varie cabile e guardavano, come trasognati, la città che non riconoscevano più. Tripoli Italia na, colla luce elettrica, i grandi negozi sfarzosi, gli automobili, la folla europea, le nuove case moderne, il porto in costruzione folto di piroscafi, vivo di rumori, produceva su quegU individui semplici una impressione enorme_ distruggeva di colpo l'opinione nefa sla ratnCata in essi dalle fiabe turche che qul si vivesse tra le sevìzie e la fame. L'Italia guadagnò più simpatia facendo toccar con mano agli arabi quanto era stato fatto, che se avesse redatti cento proclami. In breve, refretto della propaganda del commissari si fece intanto sentire, e le rappresentanze ufficiali di Azizia, di Zavia, di Agilat, del Garian, di Zanzur, di Tarhuna, del Sahel, del Misellata, annunciarono successivamente il loro arrivo e vennero in gran pompa e con bel seguito di armati. Naturalmente, tutto ciò non accadde in un momento, e se il sistema, che ho qui tratteggiato nelle sue linee generali, ebbe tanta riuscita. Il merito fu della sua lenta e prudente applicazione, ed anche di un colpo bello e audace, che venne compiuto vittoriosamente sùbito, non appena i membri della Commissione araba, decisi ad accogliere l'Italia, ebbero lasciato Tripoli per il loro giro di propaganda. Il 16 novembre, quando nessuno ancora ae l'aspettava, il generale Ragni faceva occupare da un forte corpo di truppe Suanl-Bcnl-Aden ed Azizia Gli arabi, riavutisi dalla sorpresa per questa rapida attuazione di progetti, rimasero fortemente impressionati dall'Imponenza delle nostre truppe e ci festeggiarono con sincerità. L'aver occupato subito, con forze magari esagerate, la cittadella di Nesciat bey, che era partito col suo seguito soltanto il giorno ■ prima del nostro arrivo, ottenne parecchi vantaggi: suscitò negli Indigeni 11 confronto tra le meschine guarnigioni turche ed !i potenti battaglioni italiani; convinse capi, che ancora potessero essere tentennanti, del nostro férmo, deliberato proposito di agire senza indugi ; dimostrò a quanti ci conoscevano ed a quanti non ci conoscevano ancora che gli italiani sono buoni, ma che la loro bontà proviene dalla forza e dalla perfetta sicurezza dì sè. Da un'occupazione all'altra Guidati dallo stesso criterio, il 17 novembre occupavamo, con robusti contingenti di truppa, ma senza incontrare resistenza: Fonduk Ben Gascir, Zelten, Regdaline ed il Sahel presso Horus. Poi successe un periodo di preparazione politica per Zavia, Garian, Cussabat c Tarhuna. Le discussioni coi capi di questi luoghi, che vennero a Tripoli accompagnati dalla maggior parte dei primi commissari, furono lunghe. Per preparare il.terreno completamente pacifico si dovette appianare varie divergenze tra 1 caimacan ed usare molto tatto nella distribuzione delle cariche. Zavia, dove si erano rifugiati i turchi nell'allon tanarsl da Azizia fu, appunto per questo, oggetto di dispute minuziose e laboriose. Dappertutto si stabili di inviare un residente, il quale a Tripoli stessa avrebbe fatto conoscenza coi capi del luogo ove era destinato. Per il Garian si tentò, d'accordo con Coobar, che si dimostrò veramente affezionato e leale, e con gli altri capi a lui fedeli, un altro metodo, che in questo caso trionfò: fu mandato cioè innanzi il residente con altri due ufficiali, quasi senza scorta, e quando il residente fu insediato tra le buone accoglienze degli abtechInvidicopabadnpgHgnina Pdapadaa qusbpacoende1 i tufegrmpl'Onvacaa dpncaner abitanti, si fece salire a poco a poco una intera divisione: la divisione Lequio, quella che fu poi la conquistatrice di tutto il Gebel. In tal modo arrivammo il 4 dicembre a Zavia ed Agilat, l'8 dicembre al Garian, il 14 dicembre a Cussabat, il 18 a Tarhuna (ricordate come fu tranquilla l'occupazione di questo paese, che sembrava il regno dei più feroci banditi?), il 27 a Gefara. Intanto Omar Pascià, l'uomo più influente di tutta la Sirte, che da parecchio tempo se ne viveva a Tripoli, aveva fatto avvertire il popolo a lui devoto che sarebbe prestissimo giunto colà col residente Italiano, capitano Hercolani, al quale era' doveroso fare accoglienza festosa. Questo annuncio, se provocò nell'importante regione un vivo movimento in nostro favore, eccitò il partito dei turchi a tentare una resistenza. Infatti, quando Omar Pascià ed il residente, il 30 dicembre, approdarono alla piccola città di capoluogo, accompagnati da una comp. libica di 200 uomini scelti dallo stesso Omar a Misurata, vennero accolti a fucilate e dovettero dare battaglia. Ci furono quindici morti dalla parte avversaria e lo sbarco poco dopo si effettuò. Appena Omarpascià fu visto, la stessa popolazione si rivoltò contro i ribelli ed ogni ostilità cessò. I vantaggi dell'occupazione di Sirte furono enormi. La venuta, anzitutto, di alcuni capi della Cirenaica interna, della tribù di Megata, 1 quali si presentarono ad Omar per definire i confini ed a garantire che sino a quel punto tutta la zona è" calma; l'influenza sugli Orfella, ed infine il contatto col Fezzan per la grande carovaniera di Socna. Tutto dunque procedeva nel migliore dei modi. Una sola regione dava ancora preoccupazioni al Governo della Tripolitania, ed era l'Orfella, aspro territorio a sud-est di Tarhuna, dove una parte degli abitacii eonserva va un atteggiamento sospetto. Un gruppo di capi Orfella sin dal 23 dicembre era venuto a Tripoli ed aveva chiesto l'invio d'un residente, e questo era stato loro presentato nella persona del capitano Negri. Ma rimaneva a noi avversaria una non trascurabile parte dei capi, sobillati nascostamente da El Baruni, e necessitava perciò molta prudenza. Il capo era il famoso Nebi. Dopo una lunga fermata o o a Tarhuna, durante la quale si riuscirono1:/, ad avere informazioni di quanto accadeva laggiù, ii residente sl incamminò, con unii..; buona scorta indigena, per giungere precisa*: mente mentre era accesa la battaglia intestina e difendere i nostri amici contro i ribelli. Infatti, quando egli arrivò a Beni Ulid un* viva fucileria era impegnata fra i due partiti; Bastarono le voci del cannone e del fucila' italiano perchè la battaglia cessasse ed 1 dissidenti cedessero il campo. L'opera del capi- , tono Negri all'Orfella fu notevolissima ed intesa alla pacificazione dell'intera regione. En-<S trando in rapporti col famoso Sef el Nasser, egli riuscì, coadiuvato a Sirte dall'Hercolani, ad assicurarci l'ingresso pacifico nel Fezzan e ad indurre i più ribelli capi Orfella a ve- nire in Tripoli per compiere atto di sottomissione. Egli tolse pertanto ad El Baruni un potente manipolo di alleati. II periodo dall'occupazione dell'Orfelìa alla battaglia di Assaba fu speso in una serie 'di' trattative, che miravano ad attirare a noi l capi del Gebel. Ma di queste, come dell'ostilità di El Baruni, ho cosi a lungo parlato.io stesso nelle mie corrispondenze da Jeffren, che credo superfluo ritornarvi su. Del resto, più eoe il lavorio politico,, valsero qui la meravigliosa vittoria di Assaba e la susseguente avanzata del generale Lequio, al quale e alle sue truppe indiscutibilmente dobbiamo se la Tripolitania occidentale è nostra, e se si potè compiere senza disturbi l'ultima occupazione italiana da quella parte: Gadames. Salvo una sola grande battaglia, adunque, quella di Assaba, e qualche piccola scaramuccia, possiamo dire che dai 18 ottobre ad oggi la Tripolitania è stata conquistata per virtù d'opera politica, esclusivamente. Agli ufficiali che, accanto al governatore, seppero guidare tutto il faticoso lavorio con tanta finezza di tolto è doveroso tributare un elogio. Ai loro successori nel nuovo governatorato l'augurio che l'imminente occupazione di Misda e quella prossima del Fezzan completino — col successo che è sicuro — la stupenda collana delle nostre conquiste pacifiche. . GIOVANNI CORVETTO.