Tra le roccie e le sorgenti di Giardo Fessato

Tra le roccie e le sorgenti di Giardo Fessato Nel cuore della Tripolitania Tra le roccie e le sorgenti di Giardo Fessato (Dal nostro inviato speciale) 0IAD0 FESSATO, aprile. ! Ancora la nebbia... Siamo dunque tornati 'In Italia? Uscendo stamane, quando suonò la «veglia, dal deposito dell'acqua minerale, dove ìavevo dormito come un principe, col soprabito aggiustato a guanciale e un po' di paglia aggiustata a materasso, mi son trovato faccia e. faccia con una nuvola. Se n'era discesa, dal Cielo e vagava pei' il cortile del Castello con Intenti rivoluzionavi, sconvolgendo ai miei ocChi ogni cosa, si da farmi credere d'essere l'eroe di una favola, capitato dopo una notte di sogni (sulla paglia) in un palazzo d'aria. ' Come Jeffren, anche Fossato faceva la pudibonda e prima di svelarsi nella, sua fresca jrmdità allo sguardo avido dell'opinione pubblica italiana, rappresentala debolmente da «oi, si avvolgeva nella nebbia, come Salomé mei veli. !. il G&SSP , Ma come occuparsi di simili miserie, quando tui soldato, un soldato italiano, un alpino, viei: presenta dinanzi, mentre l'umidità ed ilfreddo, vi metlon brividi per il corpo, con unagavetta colma di caffé bollente, di caffè cliefuma e vi manda il fumo per le nari nel cer-vello a risvegliare le energie e le idee? E'tirano: dopo una, due, ire, non ricordo quan-lev-tazze di caffè, ci si vede meglio anche con la nebbia... Forse in virtù del caffo, che scaccia, le nebbie del sonno, o forse ih virtù del •iole che scaccia, le nebbie di Fessato. Intanto io vedo un cortile scombinato, irregolare, più ih disordine della mia capigliatura dopo otto giorni di viaggio, che è chiuso intorno da una quantità incalcolabile di casette grigie, senza tetto, senza imposte e senza intonaco, col solo pianterreno e quasi tutte con unasola stanza, una diversa dall'altra, ma tutteugualmente- meschine, appiccicate in file con-torte come battaglioni di reclute prima del-l'attenti, e nell'insieme formanti quella truccatura, mista di falsa fierezza e di miseria autentica, che — quando ve la servono sopra una vetta dominante, condita di sole — siete obbligati a riverire coll'appellalivo imperialedi casr. Tutti così questi castelli ciarlataneschi della collina, pardon... della montagna africana. Quando vi balzano innanzi, nella lontananza luminosa, piantali con arditezza sulle punte più visibili, a capo delle valli od a picco sui burroni, vi impressionano fortemente per le loro forme medievali o per la, grazia spagnola o per l'imponenza di rovina romana. E molte irolte accado che voi vi affanniate ad avvicinarli, ad arrampicarvi sudando sino alla loro altezza, persuasi di trovare uh rudere finalfinente degno di tal nome, e che poi, quando siete lassù, vi abbandoniate seduti per terra di fronte ad una catapecchia sformata o ad una colonnina di pietre messe una sull'altrasenz'arte e senza scopo. Monumenti veramente grandiosi, che a.bbiarto la potenza d'affascina-re e di commuovere, non sono su questo Ce- •lèi che le pure, schiette, riconoscibili ruine Eornane. Anche di esse, bisogna dirlo, non estano che le ultime orme; ma indistruttibili. Salvo il mausoleo sulla via tra Gualix e Jeffren, che reca visibilmente le impronte della antica grandezza, i resti d'un vasto edificio Ifortincato. nella pianura di Rìaina, gli avanzi, Ée mi si dissero ancor ben conservati, di un lenifico tempio a nord-est di Assaba, un'al-l costruzione che parrebbe un piccolo tem-io, sulla, collina ad oriente di Giado, pressoposto avanzato degli alpini, non rammento .d'aver veduto antichità con forme d'edificio. LVi è Invece una infinità di pietre squadrate dappertutto, vi sono sculture, archetti, franisnenti di lapidi, qualche iscrizione... Non sono jje ricchezze di Lebda, nè quelle di Sabratta, ma bastano per dirci die Roma ci seppe precedere anche tra queste valli selvagge, ove pare: abbia sempre vissuto senza contatti col mondo un primitivo popolo di pastori. Certo è un fatto : che questo castello di Fessato non è.uh rudere e non è una costruzione moderna, non è una reminiscenza romana e nemmeno una curiosità araba... E' un gruppo di abituri meschini cuciti insieme, chissà in quante riprese; chissà da quante mani stravaganti, ferito nel mezzo da un cortile di forma non definibile col termini comuni della geometria. Hon sarebbe nemmeno un castello, se una gibbosità del monte non lo elevasse, con gesto Oliasi aristocratico, al disopra degli altri villaggi incastrati nei fianchi del Gebel, o lneaesatì tra le sponde degli uadi, o sdraiati lascivamente sui dorsi vellutati d'erba, o abbracciati rn atto di terrore alle roccie «ne li tengon ■DSIMBi tagli abissi. Ali» lnM dell'aurora, noni più grigia, già In •rata da abbacinanti riflessi azzurri, veggo il portile colorarsi, animarsi di figure, lo sento risonar di passi c di vooi. Dopo la nebbia capa, fredda, sconfortante freme nell'aria come un soffio di gaiezza. Di fronte a tue, le finestre polverose ed opache, come vetri di vecchie bottiglie, della stamberga che fu prigione a Molzo e a Copelli, tentano anch'esse di rispecchiare uno squarcio di cielo. Entrano file di cammelli contorcenti il collo ed il capo Hello sforzo dell'urlo lamentoso — la musica del deserto — che sembra farli tanto soffrire. Quattro soldati ed un caporale, in mezzo al cortile, stanno immobili col fucile a pied'arm, e guardano ini su. Lungo un'antenna che st fiacca dal ramo principale del castello, un altro soldato sta facendo salire, per mezzo di corde scorrenti a modo loro, la bandiera tiioolore: la bandiera del 23 o fanteria. Il vasjUlct, o£e abatte ogni tanto ed ha sussulti nerjpiii al «tato dal nsfd, esita un p.qco tra, i ed ardito! legami della, lune, poi sale libero 'slno aJ1'*n,cnna:, ,, ,,~H^^'f ~ " caporale ì T... _ , !^,^00L^11' ?eltelsì m ^°!lc: 1 ^ Ed 1presentano l'arma in nomenome della patria, alla lorobandiera. E' un momento religioso. Si sente ilbisogno, anche noi borghesi, di piantarsi sul-l'attenti col cappello in mano e di alzare gliocchi a quel cencio bianco, vosso e verde, sìvedono, dalle porte aperte, nelle camerette an cor piene di oscurità e di sonno, dei soldatinimpllicri portano la mano alla fronte cornefanno quando salutano Allah, ed i cammelli,qunsi soggiogati dall'istante solenne, trangu-giano una — ina una soltanto! — delle loroinsopportabili strida rauche... - Pied'arm! - La semplice cerimonia. ciietutte lo mattine, dopo la sveglia si ripete nel ! cortile del fastello, è finita. La nostra bandiera c Innalzata od ora sventola su Giado e,RU t|lUo j, Gebel dj Fessato dominatrice. Uno ' raggio di sole — il primo — fattosi strada atij travèrso gli ulivi dell'est, la infiamma... e la i vita, una vita nuova di lavoro c di moto, ina'comincia nel piccolo, pulito villaggio montaenaro, che par voglia custodire, cosi, cristal-j lizzato fra le roccie, i riposi di una gente adidormentata. -j La vaile del sonnoo a I ! aggrappato disperatamente all'altura del casr, aìcon le sue casette mezze in mina, col suo 1 eiigiore uniforme, parrebbe la. capitale d'un -;vasto mondo dormiente. E' un'altra Jeffren, ma '1" Proporzioni ridotte, con molti mono, con molta, melanconia di più. Davvero, senza il lamento lugubre dei camI nielli, senza, il mormorio tenue delle fonti, che ■ gorgogliano vicine, che si senton cantare loni tane, con fresco rumore di cascate, e adesso ; senza, lo squillo delle, trombe e le mille varie [voci degli accampamenti, il paesino dì Giado,colori di Anchequi il paese è distribuito su due cocuzzoli prossimi, uno più alto col castello, l'altro più pic-a jcol° c°Hc abitazioni antiche, che sono separati, \]>n\\'n vallone profondo, dai monti dell'ovest, a a a e a brulli e sassosi, protesi come una gigantesca trincea giallastra, dal sud al nòrd, dalle rupi in cui s'incassa la carovaniera del ?''ezzan, all'ardente pianura che guida, lontano, verso la marina di Marsà Tibuda, verso lo sabbie storiche di Sidi Said e di Buttamele. AI di là di quella formidabile barriera naturale, dietro la (inalo Giado si ripara al sicuro da ogni sorpresa, il (.ieliel si addolcisce escala lentamente verso le pianure del confine tunisino, imprigionando tra le sue propaggini un'ultima cittadina montanara: Nalut. Questu natura selvaggia del Fessato, tutta olezzante d'un aspro aroma dì timo, che riproduce in alcuni punti, coll'arditezza dei gradini rocciosi, certi passiaj rupestri dell'Appennino ligure; queste casue l polo, senza grazia e senza candore, che sem-:bran limaste intatte per miracolo dopo l'infu- ilare d'uni flagello, che si direbbero fiori vise suti non si sa come tra mucchi di macerie mor montagna occidentale, come larghe chiazze grige nel giallore del terriccio... tutto questo rude, forte, quasi pauroso paesaggio dantesco, ove domina un silenzio solenne ed il vento 'passa senza farsi sentire e persino il sole è meno scottante, par creato per togliere antete; e gli altri paesini prossimi e lontani — die-ci,' dodici o quindici, non di più — che sivedono appena, accovacciati In fondo allavalle o Incollati ai fianchi e sulle punte dellasploratore ogni idea dell'Africa e dargli l'illusione di uni angolo d'Europa. Chi ricorda più le sabbie che cingono Tripoli c le dune mobili di Suani-Beni-Aden e l'altipiano che ci è alle spallo, ad oriente, a due passi, coi suoi uliveti immensi e le praterie di sparto; chi ricorda le palme, che, laggiù, ad ovest, a. poche centinaia di metri, stampano sulla gran piana solatia, l'ombra della loro criniera? No: qui si vive un'altra vita, si respira un'altra alia. Soggiogati da un fascino nuovo, si dorme e si sogna. Non è la valle del sonne eterno quella insenatura nella l'occia, che a sud del paese, al punto dove le case sono più diroccate e le vie sono più squallide e deserte, apre, come se un'enorme scure si fosse abbattuta colà, un precipizio infernale? E non sono creature di sogno, fantasmi bianchi, quelle figure di arabi, che stanno immobili, sull'orto del precipizio, a guardare in giù, come se la, in fondo, le acque di uno stagno incantato li invitassero a gettarsi ? | Visioni subalpine Il fascino è dolce, ma il giornalista non deve dormire. Ed io vado vagando, cioè m'affatico |a Percorrere, col pericolo di scivolare ad ogni minuto secondo, la ripidissima discesa, che dal Castello raggiunge l'orlo d'un gradino sporgente quasi a picco sul vallone occlden tale. Questa discesa è la via principale il corso — della capitale di Fessato... Vi sono case discrete, piccoline, linde, coni una certa aria civettuola, che ricorda le più belle di Ief'ren- Se il terreno dove sorgono noni avesse tanta pendenza, si potrebbero quasi dire abi labili anche da noi. Hanno le loro porle, walcuna persin grande come uno finestra,'e 10 ,0T0 finestre qualcuna persin grande come una feritoia. Tra una casa e l'altra. im bilmente, vi sono ammassi di pietre accata- Jstate, pareti in ruina, mura crollanti. Si direbbe jche queste macerie a lato delle abitazioni !moderne siano una moda, come i giardini ac-,canto alle ville negli eleganti quartieri cu- jropei; e sono queste che danno al villaggio di Giado, visto da lungi, quel tragico aspetto di desolazione, come dt un paese a metà colpito da un sconvolgimento tellurico. Ma il Kaimahan dalla, strana barba dipinta in rosso mattone, il buon Figliolii, vecchio amico nostro, la cui figura caratteristica vi ho a lungo tratteggiato nei primi dispacci, mi spiega facilmente la ragione di questo stato dì cose. Quel mucchi di pietre sono resti di abitazioni antiche, abbandonate dagli inquilini quando stavano per crollare e poi lasciati li, a morire lentamente, perchè nessuno voleva fare la fatica e la spesa, di trasportarli altrove. Ma che importa ai signori di Giado Fessato di vivere fra i ruderi, quando le loro casine di adesso sono buone, resistenti, e capaci di ospitare comodamente le numerose e prosperose famiglie? Perchè la prosperità sembra refluire tra quésta singolare gente montanara. Non ho mai visto, salvo che sul conio dei notabili tripolini, barracani di tessuto cosi fine come quelli in. cui s'avvolgono, con gesto grandioso di fierezza, gli alti, distinti, barbuti Indigeni di qui. Popolazione silenziosa ed aristocratica, che sa vivere di quel poco che ha, che attende tranquilla il passaggio delle carovane per cambiare i prodotti dell'uliveto e dei greggi con lo zucchero e col the. ma che non si piega a nessuno per avere di più. 1 turchi prima, El Baru.ii poi, erano tollerati, non amati. Gli italiani sono stati accolti con gioia, perchè col loro avvento si sarebbero riaperte le carovaniere, e le razzie dei predoni che calavano sovente dalle montagne dell'ovest, appoggiati dal capo ribelle, sarebbero terminate... L'astuto Flghenl ebbe l'intuito della situazione, e comunicò, semplicemente, ai capi delle quattro mudirie. che costituiscono il Fessato : « Bisogna essere amici dell'Italia ». Nient'altrò: ma è bastato. E noi possiamo essere certi efie i quarantamila abitanti sparsi in Giado e nei vicini borghi principali, nei paesettl più minuscoli e più lontani, e nelle misere cabile berbere, ci sono fedeli più sinceramente forse di i molti altri, che accompagnarono la loro sotto missione con chiassose manifestazioni di sim patia. C'è. nel gestire parco e nella correttezza ] di linee di questi curiosi indigeni, qualcosa che mi ricorda il montanaro subalpino. Po vero, ma dignitoso. Ha dunque anche la Libia il suo Piemonte 7 S'incontra, nel discendere per il... corso, anche il piccolo sii,!;. Silenzio e pace anche qui. Casupole basse, porticine anguste, botteguccie !nere. I mercanti, qualcuno arabo, qualche altro ebreo arabizzato, stanno seduti fuori, ai lati della strada, silenziosi e sorridenti. Sorri-1dono perchè hanno guadagnato molto, col nas-;saggio della divisione, ed ora le botteghe non !funzionano per mancanza di merce. Del resto questo suk doveva essere ben fornito: ho veduto un caffé arabo, un negozio di commestibili, una specie di sarto, una specie di chincagliere, ed una cartoleria... Ve te figurate T Una cartoleria, dove si vendono carta da lettere e carte protocollo, penne e calamai... A Giado Fessato! Ora non si trova nemmeno più un pezzettino di carta,' a volerlo pagare a peso d'oro. E' passata la divisione. Una divisione di soldati : una divisione d'innamorale, verso le quali la carta di Fessato è partita, gravida di baci, di sospiri e di speranzeMa ciò che fa veramente stupire, tanto nel suk come in tutto il paese, è una grande pulizia. Pulizia di uomini e di cose. Gli abitanti hanno il barracano nitido, di una nitidezza inverosi- mile, come fosse appena uscito dal btveato; e sono nitidi in viso e sulle mani: nel corpo 0 nei costumi. Tengon nascoste le donne, ma e tengon nascoste sul serio. Si vedono qui pochissime figuro femminili, ma quelle poche sono cosi avvolte nel barracano, che bisogna accontentarsi di indovinarne le forme guizzan. i. senza andare più in là. VI sfiorano via, fug olirlo, senza degnarvi d'uno sguardo, come sf> non esisteste, e non si volgono indietro a guardarvi quando vi siete allontanati, e non fanno capolino alle finestre — coinè le loro consorelle di tutta la Tripolitania — per vedere come sia fatto « omo bianco ». Se ne infischiano, semplicemente. Ed anche queste slanciate thilouettcs femminili, che potrebbero fare invidia, per armonia di linee, a certi indescrivibili mannequin* torinesi, aggiungono col loro strisciare silenzioso, col loro provocante passo felino, una nota di grazia allo strano paesaggio fantastico, dove non si parlama si bisbiglia, dove non si vive, ma si sognaA In Tumugdet Ma v'è un recesso nascosto, giù nella valle che si apre a nord sulla pianura, dove l'incantesimo è rotto, la. natura prorompe in una vegetazione prepotente e tutta la campagna canta con musiche d'uccelli e d'acque. Per arrivarvi, bisogna seguire il sentiero, che ser- peggi a a fior di roccia lungo il gradino occl dentale: bisogna attraversare passaggi difficili, raccomandarsi per qualche momento al santo degli equilibristi. Eppure, quando vi si è, si manda un. grido di ammirazione e si rimane estatici a. contemplare. Siamo in un altro an golo di oasi, che rammenta in proporzioni ridotte quello di rtumia, colla differenza che qui, nel silenzio perenne, tra il giallore delle roccie, Il grigiore dei villaggi ed il verde arso dei campi, il contrasto è più forte. Questo brano di palmeto esuberante (perchè qui ci sono le palme!), dove un'aria fresca, quasi umida, vi spruzza il volto, dandovi il sentore della vicina sorgente, distoglie di colpo dalla malinconia di prima, fa rifiorire l'energia, l'allegrezza, l'ardimento, e mette un pazzo desiderio di muoversi e di gridare. Ci si ubbriaca d'acqua, di ombra e di frescura: si vorrebbe ritornar fanciulli o innamorati : far le capriole sull'erba brinata o andar presso la fonte a guardare la cascatella danzare, stringendo nella prò pria una manina che trema. Quella che ho chiamato cascatella, è una sorgente robusta, che sgorga dalla roccia tutta disseminata di fichi selvatici, con un getto po.ss.ente ricade fragorosa in un'ampia vasca scavata nel sasso e scorre via col suo canto di gioia tra i massi degli uadi, ad irrigare la valle: Ain Tumugdet, il ritrovo delle belle more fezzanesi, che fan le servo ai notabili di Fessato e vengono qui colle anfore dal manici ricurvi ad attingere la purissima acqua d'argento! Mentre visito la fonte e ne assaggio il liquore, vedo due di queste domestiche negre, vestite alla maniera beduina, con la tunica rossa, che fascia mirabilmente i corpi scelti e flessuosi; ma — cosa mai vista a Tripoli! — anche le more sono in questo paese di una ritrosia inverosimile e si coprono il volto all'avvicinarsi dello straniero. E' vero che, in compenso, lasciali scoperti — secondo l'invidiabile costumanza loro — un^lembo di spalla ed uno dei seni perfetti... Sul tipo di questa, che è la maggiore, molte altre sorgenti minori mormorano la loro canzone senza ftoe, nascoste fra le roccie intorno a Giado Fessato, e sono la salvezza e la fortuna del paese, la ragione della pulizia degli uomini, del candore delle case, e della assenza di malattie infettive, che invece tormentano altre regioni del Gebel. n residente, tenente Voglino, mi assicura che tra gli indigeni sono pochissimi i malati; ed il comandante del presidio, tenente colonnello Gandino, del 23.o fanteria, dichiara che l'ospedaletto militare è quasi deserto. Basta, infatti, compiere una breve passeggiata fra le tende del 23.o fanteria e quelle del batta- glione alpini Vestone, e quelle della batteria cammelli per convincersi di quale ottima salute godano 1 nostri valorosi soldati lassù. Gli accampamenti, che sorgono in posizioni deliziose, al di fuori di Giado, qua e là, dove qualche ulivo sperduto o qualche carrubo gi- gante valgono a proteggerli dal sole, sembrano altrettante stazioni climatiche. Mancano gli holels svìzzeri, le pallide inglesine dagli occhi azzurri e le orchestre di tzigani:, ma in un paese conquistato ieri non si può pretendere troppo. E c'è in compenso molta allegrìa italiana. Nelle tende dei soldati si fa della musica: qualcuno ha portato, insieme al fucile, la chitarra, e, intorno al sonatore, alpini del Veneto e fucilieri del Piemonte si radunano nelle ore libere ad intonare i loro lenti cori suggestivi. Frattanto, quando il faticoso lavoro della giornata è Unito, sotto la gran tenda della mensa, gli ufficiali leggono avidamente 1 giornali di quindici .giorni addietro e qualche volta si permettono il lusso di offrirsi the e biscotti : the di cai-ovati* e biscottini di Novara... GIOVANNI CORVETTO. Il castello di dado Fattalo Fessato

Persone citate: Copelli, Fossato, Gandino, Giovanni Corvetto, Voglino