Gentiluomini toscani

Gentiluomini toscani COflCE DELi RISOGIWETÓ Gentiluomini toscani Nel 1859 gli uomini di Stato del Piemonte erano ancora tutt'altro che decisi sulla po- fiizione da prendere fra i due concetti di- varioanti della federazione e dell'unità. C!a- vbur stesso non era ancora unitario. Ma, deciso a rinnovare l'orientazione politica del paese, scelse, per farlo girare, quel pernio ! sfceèso, intorno a cui s'era mosso nel '21 ejnel '48: vale a diro la guerra all'Austria. Nel '21 la guerra s'èra risolta in un pronunciamento militare, che aveva recato seco la ndicazione di un principe, il tradimento ci un altro, la repressione di un terzo, la sconfitta, gli esilii, le fucilazioni e, in complesso, la discordia interna. Santarosa era stato l'eroe di quel tentativo fallito. Nel '48 il pernio si è rassodato e intorno ad esso gira tutto il paese: cioè la casa regnante, le istituzioni, il popolo. Lo sforzo è unanime e poderoso, ma fallisce da ultimo una seconda volta, e alcuni degli effetti del '21 si riproducono su più larga scala in quello e nell'anno seguente: cioè: le sconfitte, l'abdicazione, e e accuse e le discrepanze interne. Carlo Alberto parte per l'esilio come ventotto anni prima era partito Santorre, e la stessa aureola di dolorante eroismo finalmente lo circonfonde. Se non che Vittorio Emanuele gli succede non come al fratello era succeduto Carlo Felice. Il suo avvento al trono significa consolidamento delle istituzioni liberali. Dalla sconfitta disastrosa escono, questa volta, affermazioni e propositi di nuova vita civile. Fallito esteriormente, il Piemonte si concentra nella conservazione delle sue., conquiste interne riassunte nello statuto. — Quand'ecco, nel '59. Cavour risospinge il paese alla guerra. Checche dicane gli storici, questa guerra è una ripresa e un ritorno alle vecchie indigene tradizioni d'opposizione all'Austria e di espansione dinastica. Se non che Cavour non è come Santarosa un idealista, ne l'esercito del '59 è più quello del '21 e del '48, ne 'Italia stessa è più quella di un tempo. Se anclie i prinoipii non siano fondamentalmente mutati, gli effetti saranno per necessità di cose molto diversi. Anche perchè 'alleanza del Piemonte con l'Impero napoeonico solleva questo episodio di rivendicazione piemontese alla importanza di un grande avvenimento europeo. E pur tuttavia dalla nuova guerra dinastica non si può dire che il principio dell'unità italiana fosse affermato. Anzi, la condotta di Cavour dimostra che egli, movendo la guerra all'Austria, non aveva rinunziato affatto al principio federativo. Le trattative da lui aperte col Granduca di Toscana perchè s'alleasse a Vittorio Emanuele, provano che le illusioni federali del '48 in lui non erano cadute tut- j te. Soltanto, Cavour fidava molto più nellaI dialettaca degli avvenimenti che non in|quella dello teorie. Pur contrastando, con,alcuna delle sue speranze e illusioni, al gran-i déde principio unitario, era ben consape- Vple della reale importanza italiana di unajguerra, fosse pur piemontese, all'Austria. In ! sette od otto unni di governo, egli aveva i-jninterrottameute perseguito lo scopo ani-1 malore della, sua politica: die era la snpre- mazia liberale del Piemonte su tutti gli al-1 tri governi della penisola. Una vittoria sul- ; 'Austria avrebbe consolidato per sempre il prestigio delia monarchia, della politica e i deU'ésercito del suo paese il quale a sua voi-,a sarebbe diventato il pernio girante della,nuova storia italiana. Cavour, costretto- a ottare con la pratici', doveva conquistare il terreno a palmo a palmo. Le contraddizioni fra il principio unitario e il principio federativo non costituivano una crisi per ui, che non era un ideologo. In realtà, uel| 59, egli pone l'accento della sua convinzione non sull'unità riè sulla federazione, ma sull'alleanza con la Francia e sulla guerra. Egli, da grande politico, tenta di risolvere quel contrasto facendo, per un istante, «trazione da esso concentrando tutti ì s«oi | sforzi nella creazione e risolvimento di un problema nuovo. E il fatto è che con l'aleanza francese e la guerra all'Austria egli propone e realizza al Piemonte c all'Italia una nuova posizione politica, che non è più .quella degli unitari, ne quella dei federali, ma è proprio la sua, nella quale egli condensa tutto il suo passato, sulla quale egli giucca tutto il suo avvenire. Il '59 è semplicemente il grande anno cavourria- no. Non c'è che una politica in Italia, ed è la ■ Mia. Non c'è che un uomo di governo, ed è [ lui. Tutto il resto, tendenze e dinastie, in- tare sai e passioni, ideali e speranze, sonoltùia specie di caos. Nè da Venezia, nè da|Milano, nè da Firenze, nè da Roma, ne da : Napoli può venire un colpo di luce che s;j|gnifiehi il fiat :il fìat o non verrà o verrà ida Torino. Questa è la posizione di Cavour|ma realtà viva della sua politica, quando l'Austria dichiara la guerra. \#*# | Che cosa succede allora in Toscana? Par-Ìlo della Toscana perchè me me porgo la più opportuna occasione un recentissimo carteg- trio, ohe illumina appunto alcuni avvenitmenti del periodò fra l'aprile e il novena-; lire 1859, e nelle cui pagine ritroviamo i no- »)i di quasi tutti i gentiluomini liberali toscanni, unitari o federati, cavourriani o meno: Ricasoli. Ridolfi, Corsini, Peruzzi, Cambray Digny, Nocchi, Salvagnoli, Lambriuchiui e Giorgini, e le loro speranze e anche i ti- inoriT e le sospensioni insieme e i propositi quasi direi suscitati e s^opniati nell'occasio- ne della sorprendente mò-sa cavourriana verso la guerra. Basta pronunciare questi nomi di vecchi gonfalonieri, di conti, baro- ni, marchesi, giureconsulti, giornalisti, ccritbori, per farci pensare che in Toscana c'era pur dell'ingegno e della dignità, e in corto senso anche della animazione e del- lintoreese e della attitudine politica, nonché wtm. lunca e diffusa tradizione di liberalismo pratico e dottrinario. E tuttavia, nel '59, tutti costoro ci paiono dinanzi a Cavour, oliasi una famiglia di uomini nuovi, che Cavour d'i solo batteva iu pieno e quasi schiaociava col peso di più di un decennio di attività radicata e assorbente. Sulla schie- ra il Salvagnoli volava come aquila, per in- gegno; ma in pratica era l'uomo dalle in- oonsulte paure. Il Ricasoli disponeva di una delle due più solide tempere di uomo d'a- zione che, col Farini; avesse allora l'Italia centrale: wa figura delle grandi occasio- rò. TI Lambnischini, invece, nelle circo- stanze un po' un po' incerte o difficili, scom-,«ariva. Gli altri, in complesso, avevano tenSisnze e convinzioni, piuttosto che ideali e passioni ; onestà personali», ma senza eroitmi; qoalch» esperienza politica, ma di saf -ia nulla al disopra di un decoroso « *-»,• di mn naturale buon gim- volgendosi a Vittorio Etna-inuele perche assumesse 1* dittatura, si ri- cserbava di regolare a guerra finita l'assetto «stabile della Toscana. In realtà la dittatura si ridusse a un protettorato, da cui i toscani s'impromettevano una guarentigia di sicurezza interna. Ma il Governo costituito dal Boncompagni, nominato commissario regio, comprendendo il Ricasoli, il Ridolfi e il Salvaglieli, non aveva neanch'esso una direttiva politica decisa. Tra l'unità e la federazione s'accampava il principio dell'autonomia, il quale ultimo avrebbe potuto realizzarsi tanto con un principe di Savoia quanto con un Napoleonide, e forse anche coi Lorena e perfino con un. Leuchtenberg. In tanta divisione e incertezza, il Governo provvisorio delibera di mandare a Londra il conte De Cambray Digny per patrocinare i diritti del paese presso la diplomazia estera. Ma il conte De Cambray Digny aveva avuto dal Boncompagni l'ordine di soffermarsi a Torino per accordarsi con Cavour intorno al fine della propria missione. E il carteggio si apre appunto su questo viaggio dell'inviato diplomatico. Il quale, giunto a Torino, si rende subito conto delle difficoltà che si oppongono al proseguimento del viaggio e al compimento della propria missione ufficiale. La Toscana, in realtà, tentava con questa mossa di istituire all'estero una diplomazia propria. Ma quando Cavour sente parlare di questi propositi, risolutamente si oppone. Egli non vuole due diplomazie. Il De Cambray scrive a Firenze che senza l'approvazione e l'appoggio di Cavour non vede più che cosa dovrebbe andare a fare a Londra, e attende nuove istruzioni. Nel contempo la libertà della Toscana è compromessa dall'intervento di Girolamo Napoleone, invocato dal Salvaglieli, il quale, montatosi il cervello, aveva dipinto « all'imperatore la Toscana come sul punto di disfarsi in una piena anarchia, minacciata da una reazione mazziniana », e bisognava insomma «.per tenerla composta, di un forte corpo d'armata ». « Il passo del Salvagnoli, informa il nostro inviato in lettera da Torino del 20 maggio, ha guastato ogni cosa ed ha qui irritato altamente ». Di necessità, le preoccupazioni aumentano a Firenze. La minaccia di una propaganda napoleonica è imminente. D'altra par- e dizio ; insomma, gente seria e molto per o- bene, ma per essere al loro vero posto ave- i- vano bisogno di qualcuno che ce li mettesse, a- Il 27 aprile il Granduca lascia Firen- a, ze, e i toscani rimangono in balìa di se el stessi. Anche qui la supremazia del concetto o ! imitarlo sul federalo era così incerta che, il c ejtriumvirato, rivolgendosi a Vittorio Ema-ja. na o a mno: oa lu e e lni ure eo io, di il e o iieinè o e e lsè oan taò e iune a ni t- j te la proposta di unione al Piemonte" ri aI scuote forti opposizioni, perchè il sentimenn|to autonomista è il più comunemente diffun,so, non fosse altro per la gelosia che i ton-i scani avevano della propria legislazione, in e- gran parte più liberale della stessa legislaajzione piemontese, e Vi era qui, scrive il Bin ! dòlfi da Firenze, in data 25 maggio, una i-jcontro azione piemontese, che accennava ali-1 l'assorbimento della Toscana, da operarsi e- a poco a poco in quella guisa che la serpe l-1 succhia e ingolla adagio adagio il ranocchio, l- ; e questa faccenda .ci seccava, poiché non il volevamo lasciarci a poco a poco escamot e i tare la toscana, che avevamo ricevuta autoi-,noma, ed autonoma volevamo rendere a suo a,tempo, quando verrà il momento in cui do a il oo er el| oa a. re vranno essere fissati i suoi destini nel modo che piacerà al futuro fato d'Italia ». Se non che, qualunque fossero ili Toscana le tendenze e la propaganda piemontese, le lettere del Cambray Digny ci illuminano sui veri atteggiamenti di Cavour al proposito. « Quando arrivai, scrive l'inviato toscano il 25 maggio, il concetto era di fare una Toscana separata dal Regno dell'Alta Italia e ingrossata: ne ebbi prove irrevocabili. Esistevano col Governo della oi | Toscana aicune divergenze intorno al modo n lli a è ee a9 a- di esercitare il Protettorato, ma sicuramente si voleva che la Toscana stesse in disparte fino a guerra finita. Adesso le idee sono cambiate affatto : si vuole ristringere il Protettorato, farne una vera Dittatura, mirare visibilmente all'annessione... La spedizione del principe Napoleone in Toscana, decisa in un momento di esagerata paura di tentativi mazziniani, evidentemente induceva iu Toscana e fuori, il sospetto dell'inten- a ■ zjone ^i elevare un trono napoleonico ; non è [ -volendol-a. evocare bisognava fare qualche n- cosa per distruggere questo sospetto. Tutto olpgrò sarebbe stato inutile finché si teueva a|fermo jj prjmo concetto di non pregiudicare a : ]'avveuire della Toscana. Parve che per que;j|sto bisognasse pronunziarsi, tra una reà istauratone di casa Lorena e l'annessione, ur|e> natUralraente, si scelse questa. Gravissio mo fu jj dibattimento su questa proposta, \m!i ognj dubbio dovè cedere davanti alla | volontà dì chi può più di tutti » (cioè di r-Ìc*w»r)- E il 27 maggio: « D concetto delù )a fusione immediata è abbandonato, e si g- torna al pruno pensiero di un Protettorato itene lasci'intatta la questione dell'avvenire, a-; *erò si vuole un Protettorato più stretto, o- « vuole la deposizione assoluta dell armata, ani vuole la bandura con la Croce di Savoia, : « vuole la diplomazia, rilasciando al Goveray no della Toscana tutto il rimanente. In so e stanza sono le idee fino da principio manii- festate da Cavour e non è mai la vera e ti propria dittatura che era stata offerta dalla o- Toscana al Re di Sardegna ». E il giorno a seguente, anche per calmare i timori del ti Ridolfi, il De Cambray scriveva al Ricasoli: o- « A Aoi credo di dover dire, che ho la ceri, ^zza che qui non si pensava punto ad asna sorbirò la Toscana, neppure provvisoriainenn te ; cho vera il progetto delle tre Italie, l- tenendo pero 1 Appennmo por confine della hé centrale; che il progetto della fusione immo mediata era una manovra diplomatica tot9, ta per togliere il sospetto della candidatura r, napoleonica i. he Questa manovra di Cavour, nonostante si fosse così chiaramente illuminata al Goio verno toscano dalle parole del suo corrie- spoadente da Torino, aveva il difetto^ d n- insospettire gli animi sulla lealtà dell'acn- cordo franco-piemontese. Tornato a Firenna ze, il nostro scriveva a Don Neri Corsini a1 a- quartier general: « Dopo la venuta de! ia principe Napoleone, e dopo che si è comino- ciato a parlare di fusione, le menti sono dio- vise e ancb« confuse; divìse perchè quella m-,idea messa fuori dette campo ad opposte a etdlbslscdaeusrqstpsacapmrugdngtvldgdsèmzbncdvrpQsn e oia « m- spirazioni. alla annessione e alla autonomia, confuse perchè i più vorrebbero sapere quali sono in proposito le intenzioni della Francia, e, non potendole sapere, ai perdono in congetture più o meno contradditoria, •esondo <à* ai fcflinp. tafa» itili «* li, che gli amici chiamavano il Barone, e che alla immediata fusione ravorava « con un ardore grandissimo ». Ma ciò facendo, egli era in aperto contrasto con Cavour. notizie diversamente . interpretate ». « Non bisogna dissimularsi che qui la parte più calda aspira a spingere ad una unione a vanti la fine della guerra, che su questo ar gomento il paese è diviso, e forse anche il Ministero » (12 giugno). Questa parte più calda era rappresentata da Bettino RicaaoH, che gli amici nliiai La preoccupazione maggiore di Cavour era, come abbiamo detto, la guerra. Per lui tutti gli altri problemi sarebbero venuti poi. Egli voleva che la Toscana gli mandasse soldati, e non lo seccasse, per ora, con le preoccupazioni d'un assestamento definitivo, che, mentre su nell'Alta Italia si combatteva, potevano prender forma, di un episodio poco simpatico di egoismo e di piccineria provinciale. Quei gentiluomini toscani che, liberi appena dal Granduca, pensavano a inaugurare direttamente una politica con Londra, dovevano sembrargli. importuni. E quel loro, invocare milizie alla salvaguardia di un paese tranquillo come l'olio, non era senza qualche ridicolo. La stessa irruenza del t Barone » doveva preoccuparlo, in quanto egli si sentiva vincolato da alta politica e sino a un certo punto ai voleri e ai capricci dell'Imperatore, che egli aveva la necessità assoluta di tenerlo buono. Bisognava salvare l'avvenire, ma una volta concesso il Protettorato, l'interesse più sentito dai Piemontesi era che i To¬ i rebbe presa dopo la guerra, ma che allora ; qualunque fosse stata, poteva riuscire com-!scam rimanessero quieti e in silenzio, in at-! tesa di una deliberazione che certo si sa-lpromettente per il Governo piemontese. Ini somma Cavour non voleva essere spinto. Non javeva neanche tempo in quei giorni di oc-|cuparsi delle cose di Toscana in modo da [ accontentarc quel Governo che pareva non ] pensasse ad altri che a se stesso. L'atteggiamento di Cavour non poteva quindi riuscire accetto e persuasivo a tutti quei gentiluomini impigliati nelle difficoltà di una'reggenza minacciata, ad avviso dei più timidi, da chi sa quali audaci intraprese mazziniane. Tuttavia, il De Cambray Digny, fra gli altri;- e don Neri Corsini, più a contatto cori gli ambienti piemontesi, si rendevano conto perfettamente della lealtà e della ragionevolezza dell'azione cavourriana: le lettere di don Neri sono tra le più belle del carteggio, e quelle che rivelano maggiore lucidità di mente e maggiore ardenza di animo, degne in vero di un luogotenente del. gran generale. «Il nostro interesse, scriveva questi da Calcinate il 16 ' giugno, è quello che il Regno, che avrà l'ardua missione di difendere la. nostra Indipendenza, sia forte e compatto più che è possibile. Le altre potenze europee avverseranno quanto potranno questa annessione, perchè vogliono l'Italia meno forte che', sia possibile : ragione di più per noi di dichiararla subito per andare al Congresso con un fatto compiuto... Sparisce dunque l'assurdo fantasma dell'assorbimento piemontese, e comincia una nuova creazione; se la To-iscana non ci concorre, vuol dire, che come Palazzo Vecchio era fuori di Toscana un'mese e mezzo fa. og?i la Toscana è fuori jd'Italia TI partito rosso il più temibile '|-.m,.»L» ™, ri: ,n« .Mvedia 1 annessione con piacele. Gli. altri sa-,ranno facilmente contenuti da un Governo più forte... A. me sembrano assiomi incon-lcussi, dimostrazioni quasi matematici»!... Quanto a quello che di noi si pensa qui, non posso celarti, che col nostro anti-ita-' liano spirito di municipalismo (oggi .detto autonomia), colla nostra impotenza, colla nostra lentezza negli armamenti, siamo ridicoli, e fra poco saremo meritamente disprezzati... tìhi governa in questi .tempi, deve avere coraggio civile è mirare ai grandi interessi nazionali senza temere l'effimero biasimo degli stolti i. Erano questi, e non altri, i propositi di { Bettino Ricasoli, che dell'unione della To . v-,- . fm— ... , ' scana-, al. Piemonte aveva, effettivamente, fatto uno scopo del proprio governoj di- ' sposto a contrastare agli amici e ai nemici, e di operare anche contro Cavour, in quanto egli capiva che il solo modo di trovarsi insieme con lui era, per allora, quello di'precederlo, «ilo voglio, egli aveva chiaramente scritto, fare della Toscana una provincia del Piemonte, perchè questa è la sqla via per essa di diventare una provincia d'Italia i. In lui il concetto della annessione o fusione era dialetticamente congiunto al grande principio unitario. Egli pone fir nalmente, da vero politico, la Toscana sul -dchiarata nel '56, ed eunuchi considero tutti isi venisse oggi, si verrebbe poi, previa peroj^quelli, che' pfìfo meno lasciano divisa ini oparti 1'Tta.lia »• E ancora': « Se all'unità non'li; muti, si verreV.l.r. rmi i auua feconda rivoluzione per scacciare quellil^tra i Principi che non devono restare, cioej squelli che ri saranno, meno uno, quello che deve restare ». Le quali affermazioni o vi-! sioni, sollevano il «Barone » ad altezze di ge-j nialità politica superiori a quelle in cui vivevano gli altri collaboratori suoi nel Governo toscano. Fanno di lui una grande figura. Di fatto, morto Cavour, il Ricasoli doveva .succedergli. Pare a noi che a una tale.succct;:i&-.io egli fosse preparato fin d'ora : poiché per proseguire l'opera di un politico, bisogna cominciare col mettersi qualche passo avanti a lui. Come Cavour pro- eccugddvdlcKdtdsegue l'opera di Balbo e di D'Azeglio, siipe- srandoli, così il Ricasoli nel '59 prosegue 1 Cavour precedendolo nella affermazione diiprinoipii politici nazionali che sono realmente più chiari e più netti dei prinoipii medesimi cavourriani. Non che nel « Barone» toscano fosse la complessità dialettica del conte di Cavour : ma è innegabile che in lui il principio unitario ha luce e splendore mazziniano : e d'altro lato la fermezza- del suo carattere pervaso da un severo senso di intima religiosità, prometteva in lui una grande figura dell'avvenire. La sua forma mentalo esce dai limiti usati del gentiluomo rsmiBAdsLlantiche, salde e possenti, animatrici, a^l^drate. Di lui si può dire che creava in To- ascana una situazione politica sua, così come!ptoscano, modico e accomodevole, umani sta e sottile, pieno di garbo e di misura, neri'Bavvicinarsi affli esempi delle grandi tempre:aitiche, salde e «essenti, animatrici, à^ìfCavour faceva ili Piemonte T due grandi puomm{ si guardano nella storia. E su ^ffist0 carteggio, ricco di informazioni minute |Ce di ricordi, di episodi e di dubbi, di accenuj iiev| e di tratti sottili, di figure, sbozzate e scarse di rilievo, si chiude l'ultima^ pagina, raccogliendone in noi l'impressione osmmB"i: ^T«"'k..òn»!iÌo™ ■A'innuk» fatturainquasi di un bassorilievo d incerta iattura. disteso .fra due figure.'statuarie d'angolo, prominenti e taglienti, così ricche di luce da spandere- vivi reggi anche sul grigio e sull'ombreggio della zona che alla vista li avvicina e. li adegua. LUIGI AMBROSINI. (satiu: s.mbl sCarterjalo politir.o di LG. De Cambray »Hmly (acrile-novembre 1859). pubblicato _a cura ; nany (aprile-— della figlia e di Giuseppe Baccinl. Prefazione di Gaspare Finali. Milano. Fratelli Treves Editori, 1013. L. 10. lvmm