II dubbio

II dubbio II dubbio feri, nella eala di lettura del Casino, jni trovai faccia a faccia con Irene Steffani, la moglie di mio cugino Stanislao, che non rivedevo da hangoiotéinpo.: Sfogliava una rivista inglese. illustrata © non mi vide entrare, cosicché io potei -.coìwide^TOo ligio la fiue perdona tempre agile e «empi* elegantissima noi suo ccatuuie di velluto a acspcbei'oggia .russa, ma pallida in volto sotto la dcipria nichel e solcata in fronte da una nruga di corruccio che mi svelava ifn'anima rforse martoriata e forse armata. I/a sua nlesta, chiùsa in mn tocco di lontra, si deli- nmeava sopra, uno sfondo di mar© grigio, li- emibato all'orizzonte da una lama ardente cdi sol© e una segrete armonia pareva into- allare lo. spirito di quel paesaggio, fosco di gminaccie burrascose, con lo spirito di quel- ila/dònna taciturna chechiudeva forse in ee letD&sà un'inquietudine amara.. | Mi avvicinai cauta, le afferrai 1? majn lnuli'atto in cui la sollevava per voltar© zle pagine. Ella gettò un piccalo grido di dni a uni, e poi-subito m'abbracciò con un rito di sorpresa festosa. Parlava, nervosainente, con piccoli scatti pvdi voce, con-piccola gesti vivaci e quasi in- consulti che parevano sfuggire alla sua vo- flolita, ed io sentivo eotto quella gaiezza for- asaia, il morso implacabile d'una pena, o- «scura» laNon mi parlò di suo marito, di .Stanis, .qcom'elia lo chiamava, per brevità e per te- dnerezza; ani disse ch'era da * riviera 0011 Flavio il suo bambino e conj una. governante tedesca e che vi si trovava sper consiglio dei medici. _ 'cAvevo appoggiato i gomiti al piccolo te- cvolo che sosteneva la eua. rivista e col men- mio su le mani intrecciate l'ascoltavo, scru- dtando il suo volto, fissandola negli ©coti che sfuggivano i miei con pena e con fa- gsticiio. Quando tacque continuai a indagar- LJa senza parola, scuotendo il capo come ohi 6conimisera. con dolcezza, ma non trova una frase abbastanza tenue © leggera, per manifestarlo senz'urto. veeEntrambe tacemmo adquauto, mentre il oliare sotto di noi flagellava gli scogli con clamori d'ira e vi si spezzava furibondo; poi Irene mi si volse di scatto ridendo, mordace : — Non mi chiedi notizie di tuo cugino? •— Dio mio ! Credevo che non ne volessi parlare o rispettavo la tua volontà ;• ina te ti fa piacere d'informarmene parla pure, t'ascolto volentieri. , Irene si morse lo labbra e continuò a sfogliare la sua rivista inglese, mentre io fis¬ savo all'orizzonte la. lama accesa di sole fi-!Mi-, ri ri ■ i 1 - il - i ■■ ■ 1 i 'i l'Ili ì i '.mi; 11 o 111 ll'i •*> diA?ì l-\ rt 1, 1 dg110 -ad abbacinarmi. Continuammo così per qualche minuto, tìnch& ella si alzò, gettò 6ul tavolo il faicicolo e mi trascinò fuori pei^vialetti soogliosi. tutti scalo e ringhiere, fino a una veranda, solitaria sospesa a picco siti gorghi .tumultuanti. — Hai compreso, è vero? Hai compreso che l'ilo fuggito per odio, per disprezzo, per vendetta-, non so ; o forse per un dubbio, per un' dubbio soltanto; hai compreso, c vero? . — Ma, sì, cara, l'ho compreso prima ohe tu pari.as.-i; prima, quasi, che tu m'avessi guardata, in faccia. Hai gli occhi, la fronte, la persona stessa dell'inquietudine. ' E' vero, è vero. Ma tu non sai che malo terribile sia non sapere, non poter sapere. — Se egli ti tradisce? — Se egli mi tradjscc c con quale mi tradisce. — Ccn quale? — Sì, con quale • delle due. Ora ti racconterò; è una cosa «stranissima, uno di quegli ttupidi fatti coi quali non so ' che destino maligno si compiace di sconvolgere un'esistenza, di sfasciare una famiglia, di suscitare l'odio e il -male. Ella, s'era abbandonata nella profonda sedia di vioniui e si. portava le mani alle, tempia come a, rinchiudervi e a placarvi un'onda di memorie trafiggenti. — L'estate scorsa-, in montagna — proseguì — stringemmo relazione e poi amicizia con due signore che tu forse conosci: l'Anita Sesti, moglie di un banchiere ebreo, quella signora bruna che ha una piccola testa di serpe e un seno abbondante sempre- proteso innanzi come se l'offrisse in dono all'universo, e la Lucietta Frantoioni, la vedova di un colonnello, che ha i capelli «di vero color tizianesco », convella afferra a, e una faccia quasi senza naso, tutta becca-, rossa e occhi verdi. Stringemmo dunque una grande amicizia, a quattro, perchè Stanislao vi fu ammesso con giubilo, ed escluso il marito della. Sesti, che compariva solo .alla domenica. Tue cugino, lo mi, è sempre stato il beniamino dello signore, le ha sempre lusingate ed attirate con quei suoi modi leggeri c ironici, con quel la sua aria fra tenera e canzonatoria per cui le donne non sanno mai con certezza se le ami in segreto o se palesemente ai muda uioeo di iloro, ma che in me ha seonro suscitato l'impressione ch'egli Io corteggi e le coltivi .per uua specie di vanità spirituale, quasi per un gusto d'arte, allostesso modo con cui in campagna cura mi-nttziosamente una coltivazione di rose peradornarne la casa e la tavola, pgj studiar- ni; le variaaionj, par circondarsi della loro bèliezaa © del loro óo'ove. La Sesti e la Francioui erano entrambe nioito eleganti e molta mondane, Anita più spirifcoìa 0. audace, Lucietta sentimentalee carezzevole come una gatta, tutto e due smaniose cerne nie di divertimt%i.o,eiÌi mo-viniento. Ci attaccammo l'uua .all'altra couuna .di quelle esaltazioni di. amicizia che nascono e si svolgono solo nell'isolamento d'un albergo alpino, frequentato da gente di passaggio straniera e preoccupata, dove ■)iare eh© tutta la vita si riduca a!la con- tentazione d'una- cima e tutta In felicità ail raggiungerla. Nessuna di noi essendo camm «natrice, l'autore abile della Sesti ci serviva, per le nostre escursioni, e questa parità di giwté ci costringeva a una quasi continua vicinanza, la: quale finì per sembrarci necessaria .e indispensabile alla noeta», esistenza. Difatti, sqpraggiuageiido il freddo, scen- demmo in città, ma la.nostra intimità non ne fu diminuita. Anita e Imcietta continua rono a frequentarmi ' assidua meu te, sebbe ne Stanis, occupato allora dsi propri affari non potesse più' offrirci che le sue serate e qualche raro pomeriggio. Egli però ci consigliava,.nella scelta dei, nostri cappelli, accompagnava Anita al pianoforte e dise gnava per Lucie**» un progetto di villino inglese ch'ella-voleva farsi ombrane in col lina. Entrambe ini dimostravano un affetto il- limitato, mi offrivano doni e fiori, accarez zavano Flavio e lo vezzeggiavano in tal mo do. ch'egli ' diventava ogni giorno, più ca¬ pricoioso o insolente come un cagnolino, av-j vezzato un ale Con; Stanis erano, o mi parevano,1 per¬ fétte di gentilezza: e di discrezione. Anita franca e cordiale come un amico, pronta agli scherzi e mordace nel ribatterli, Lu «ietta più imito, più femminilmente dispo: lata a awn contraddirlo? a porre fra sé e lui .quasi '-tempre- .il coliselo e l'approvazione della .mia fiducia. Ed esse la possedevano j » ^ 4urava ^ alcuui m€si) quaudo, or sonQ forèe duft Sftttimalie) iuvitai per y mìò compleannoÀn ite e Lucietta a Franzo. Ah' che }1 m^ d'Anita doveva parteciparvi, ma s- ^p,,^ momento> chiamato da {]R nrgento a Parigi Esse -««Mie'di-fi«i .«eravigliosi,. inèr»ri, gli(}re ^ medesime d.elegMia e di gTa^ LuCKfcte in velluto bUu-roi « pizzi antichi 6.Auita in gialIo oro a strasci,,0 di velluto viola, parevano gareggiare di raffinatezza e di buon gusto per gli occhi di quache estimatore squisito. Stanis le lodò éntraan be in equa misura, io le rimproverai soni dendó d'aver ecceduto nel dar solennità a !della persona 1 un semplice pranzo di famiglia ed ostentai amabilmente la mia fine tunica in merletto d'Irlanda e la mia corta gonna di. panno avorio. Al caffè, mentre Stanis accendeva la sigaretta d'Anita, il campanello del telefono squillò imperiosamente La. cainerieij». entrò dopo un momento ed \ avvertì che qualcuno chiamava con insistenza la signora, ma ch'ella non aveva compreso il nome esSamtstostccrrDmlivqm»ttessri—sSmmPhcp, e e , o n — Saranroo auguri! — disse Stanis spegnendo il fiammifero, — i quali vogliono essere deposti religiosamente ai tuoi piedi. • M'alzai lentamente entrai nelio studio, mentre il campanello impaziente rinnovava l'appello.' , ■ .., . . —. Pronto— dissi. — Con chi parlo? Mi rispose ima voce femminile, ignota. — Eei è la signora Irene Steffani? — Precisa-mente. E io con chi parlo? — Con perecfca che le vuol bene. : — Non basta; dica il suo nome 1- sollecitai, quasi con asprezza, seccata di quell'esordio incerto: 'Non posso'dirle il mio nome, benché sia mólto rispettabile, ma questo posso'dirle: ohe suo marito' la tradisce con la sua più intima amica. Lè giuro che questa è la verità. Si guardi. La comunicazione' fu tolta mentre io. restavo immobile, coir* la gola chiusa da uno spasimo orribile, che non sapevo se di pianto o di riso. Tornai con le gambe malferme in. sala da pranzo e la mia faccia dovette apparire sconvolta-, perchè tutti- mi interrogarono ansiosamente. Non potei rispondere subito, inghiottii qualche 6©rso di caffè, vedendo confusamente intorno a nìe le tre teste protendersi al disopra della tavola scintillante nell'atteggiamento dell'attesa. Ebbi per uu attimo il pensieroidi tacere, ina non avrei saputo trovare al mio turbamento un pretesto giustificato. D'altra parte,.era forse meglio ripetere subito Faccusa,-gettarla come una pietra in un'acqua tranquilla, brutalmente Sorrisi, appoggiai il mento alle mani e con la voce quasi calma, con la voce quasi indifferente, con cui si dicono sptsso le cose più gravi della vita, riportai le parole deniun ziatrici. —- Sapete che cosa mi fu detto ora da una sconosciuta al telefono? Questa precisa frase : « Suo marito la tradisce con la sua più intima amica. Le giuro,che ciò è la verità. Si guardi ».*'-, Girai lo sguardo intorno a me. Anita e Lucietta mi sedevano ai lati, Stanis di fronte. Anita, leggermente pallida, si mordeva il labbro e teneva gli occhi bassi, inteuta a r Spegnere sul porta-cenere la sua sigaretta.! a .Lucietta, accesa alle' guancie di un roseo più i à vivo, considerava molto da vicino il grande cammeo del suo mignolo, come se lo vedesse per la priina.volta. Ma- Stanis rise, guardò ii soffitto col capo su lo schienale della sua o'sedia, 0 disse, sarcastico: -| — Bisogna riconoscere che i progressi Je-1r'la civiltà, sono meravigliosi. Una volta per - gii sfoghi-degli ■ipocondriaci «éistevano solo o le lettere anonime, ora esistono auohe io te- e ù ciata e: — Sì, sono veramente e genere. -l E Lucietta mi accarezzò una mano, sospi u'raudo l.efonate anonime. Anita aggiunse, crollandola teìia, coiruc- scherzi di cattivo e o \— Com'è cattivo il mondo, povera Irene I Io tacevo, col dubbio terribile più vivo ©j e più tormentoso dentro di me, li guardavo e tutti e tre, uno ad uno, negli occhi, quasi - per strappare ai loro Sguardi la verità ch« à essi sapevano e ch'io sola ignoravo. E ini 7 o a i - n i e i o - ¬ j ¬ a a : i e o r ò ' , o , ^ i o a e a i o o sembravano di ' un tratto tre nemici, collegati al mio danno e alla mia offesa, dai quali mi doveri difendere con ira e con violenza. Invece continuai a sorridere tutta, la sera e a discorrere di cose vane, finché le .amiche si accomiatarono, ed io rimasi sola con Stanis. '• . . Ero così manierate-sòMm la mia mawWa ,. 5 6Sa6PMata soma la mia maschera ai freddezza che. lo affrontai subito aspra- mente: ' ,Ora mi dirai auale dell© due mWin-l* mi dlW-qUa4e-l.!!!? ' 'timo amiche sia la tua amante. v-i; ' v \ • . ' -i Egli guardo 1 orologio, ostentando una po-, sa etanca: ■ ! — Ti avverto che è la mezzanotte passa-' v . -, . . . ta: ci sarà tempo domani per questi discorsi oziosi. ^ .. ■p J r;wWn**' ^ -nncDiUbe -ueiia sua camera. Ebbi la febbre tutta la notte e- nell'in- sonniaudii Flavio, il piccino, tossire due o tre volte. Al mattino Li chiamare il medi- co e *H insinuai che la stagione ©rà' fcrooiio co e 3u m_inuai cne.ia stagione era «toppo rifrt ;rn,„i„ '„,•,« i,\U„ a: «,,«,11, a^i^r,^ rito, il quale parve. Leto di quella decisione. Da dieci giorni' io mi trovo qui, aunoiando- mi a morte, divorata; notte e forilo dààuel- l'ansia tremenda, rivolgendomi ce^Orèolte \ ili un'ora l'inutile'domanda: —Mi'fclaìlr; veramente ! . E con quale delle due ?. Con quale? . ' Irene si era alzate dalla no{trona di vi- mini e stringeva con le due mani raauanta- ». ;, f. _ T^„. . ',.. *1V te il terrò .della ringhiera, come-se ;volesse tercerlo. Ai nostri, pjedi le onde frenetiche si scagliavano'agli scogli e vi si infrangeva- no con urli di impotenza disperata. u,,, • i ' ' * • i • f • . i Ella si volse -.a me, interrogandomi ^ con lo sguardo, ma io non volli o npn seppi cho risponderle: - •' " -, . Ti© ti consiglio di dimenticare questo incidente, odiose dèlia tua-vita '■ ■ . n •■i' ..i-ji — jl impossibile — ella ribatte, amara, — bisogna che1 io sappia, prima; ch'io di- strugga i& me questo dubbio. Tu che conosci Stàuis.piùdi me mi puoi dire se egli vera- mente mi tradiva' e con miala .... tradiva ? mente mi tracma,. e. con quale, mi ti adiva.' Pensaci un momento, rifletti su quanto tiho narrato, e dimmi la tua convinzione Non risposi. La mia convinzione semplice, chiara, precisa,, si. era. 'eia.formata-in-me',ài . .' " , , ' ' e7 . « .,principio del tj.uo racconto,, ma mi mauco ,il coraggio di manifestargliela AMALIA' GUGLIELMI NETTI.

Persone citate: Anita Sesti, Franzo, Irene Steffani, Leto

Luoghi citati: Irlanda, Parigi