D'aula in aula

D'aula in aula D'aula in aula {Tribunale penale — Corte d'Appello — Triounale Militare di Torino). La pelle per due lire E' il solito fattaccio di cui è sempre responsabile il vino. Giuseppe Greggia ha infcrto ad un certo Pietro Giorda una forbiciata che lo fece restare tra morte e vita per trenta pgiorni. Tanto il Greggia che il .Giorda in fin in[Ine sono due brave persone. Chi è stato tra gloro due il cattivo soggetto? Il vino.... Greggia uera ubbriaco fradicio quando colpi il Giorda, cned anche i suoi compagni avevano vino nello sestomaco, nelle gambe e nel cervello. Come peia scoppiata una rissa improvvisamente tra ]aloro e alcuni altri passanti, non si è potuto Bassodare: e molto facilmente neanche gli in-jrjleressati lo sanno. Il responsabile, sempre il ! fucodacoprcoseergv11vino che è solito a giuocare del tiri birboni. Dunque è un fatto volgare quant'altro mal se in esso non ci fosse uno spunto che mise Ili buon umore il Tribunale. L'episodietto ci riporta al tempi in cui l'esercizio della giustizia era pronta, rapida, pratica e concreta In una sollecita riparazione di danni. Non appena il Giorda fu ferito e il Greggia fu sorpreso col Tarma insanguinata in mano, gli altri compagni, sorpresi e rammaricati di quanto era accaduto, si radunarono in consiglio giudicante e preso a petto il Greggia gli dissero: — Tu hai ferito questo sciagurato: gli devi il rimborso dei danni. — E' giusto - rispose il Greggia, convinto.dalla solennità del giudizio. - A quanto ammontano questi danni 7 I giudici si "guardarono in viso, gravemente, e dopo avere lungamente riflesso risposero: Due lire. — Il feritore ed il Terito non fecero obbiezioni. Greggia pagò sull'atto p Giorda. intascò. Ma indi questo poveraccio si sentì un rimestìo nelle budello, che gli navigavano nel sangue, e non reggendosi in piedi si fece trasportare all'Ospedale dove fu ricoverato ed operato. E la giustizia volle allora per suo conto rivedere la faccenda ed appioppò al Greggia 8 mesi e 15 giorni di reclusione. Difesa avv. Federici. uritesopfuVravl'toIl baro 11 giorno 'd'Ognissanti certo Vincenzo Monlanera. un omaccione robusto e gagliardo, si attardò in un'osteria a giuocare a carte con I fratelli Zeppegno. Ad un certo momento quosfl s'accorsero che il Montanera, che pareva aver la fortuna appiccicata alle dita, faceva certe manovre meno lecite a chi giuoca lealmente, un po' per burla ed un po' per malizia, dichiarava combinazioni di carte che non aveva. No sorti un litigio con parole un po' acri, che troncarono bruscamente la partita. La cosa non finì 11. Il Montanera ritornò ti casa. Attenendoci a quant'esso narra, pochi istanti dopo 1 fratelli Zeppegno vennero [In sulla soglia del suo uscio, profferendo minaccio e sfidando il Montanera ad uscire all'aperto per avere il saldo del suo conto. Questi per non parere vile, uscì, dopo essersi per precauzione armato d'una rivoltella. E poiché i Zeppegno continuarono nel loro atteggiamento violento e minaccioso, egli sparò l'arma per intimidirli: disgraziatamente il colpo fpvì ni volto uno dei fratelli, cagionandogli grave danno. Sentendo i Zeppegno, 11 fatto sarebbe avvenuto alquanto diversamente. Il Montanera, nomo altezzoso e che non si lascia soffiare sotto il naso, avrebbe affrontato 1 Zeppegno, che passavano, rincasando, ad una certa distanza da casa sua, ed avrebbe sparato colla precisa intenzione di ucciderli. Il Montanera rischiò effettiva mento dì essere tradotto dinanzi ni giurati, ma poi l'Istruttoria in suo confronto si limitò a rinviarlo dinanzi al Trinunale. il quale vagliate tutte le circostanze, condannò 11 Montanera a 6 mesi e 5 giorni' ai reclusione. Difesa avv. Torchio. gagvdlof1 ?°,c,° i rgfamtanFrine Margherita Carlctto, una povera stradaiuoia, non è nuova al processi penali. Ne fanno fede le sue sodici condanne, le qauli non hanno in ossa molta varietà di causali: ubbriachezza ed oltraggio al pudore. Ma la Carlctto na una corta celebrità per un episodio, che non è ancora dimenticato dai consueti freQuentatori dello nostre aule giudiziario. Un giorno, la disgraziata, condotta dinanzi ai fiiudici per una dello suo solite trasgressioni ni buon costume ed alla morale, credette, rinnovando l'ardito gesto di Frlne, di ottenere srazia dal Tribunale. Ma, o che le sue grazie fossero molto e molto meno apparifcenti e persuadenti di quelle di Frine, o che jl Tribunale fosse composto di giudici più ■ustori ed incorruttibili, Margherita Carlctto fu condannata seduta stante per l'ostentaziono del suoi argomenti persuasivi. Pare che un giorno dello scorso dicembre ella abbia di nuovo fatta mostra di sè in pubblico, come la famosa etera di Tespi e senza avere nemmanfo la scusa di dovere guadagnar tanto per TcKtoscntrllocpitieesesl'cpntdpdprensti!mspgacdhpdricostruire le mura di Tebe. Fu per ciò oggi 'teni nuovo tradotta dinanzi al Tribunale. Male,questa volta il suo difensore non ebbe bisogno di ricorrere al consiglio d'-Iperide, il famoso patrono di Frlne, e senza rinnovare il gesto ostensorio, ,la povera Margherita Carlctto che è una disgraziata non troppo sana ili mente, trovò discreta pietà presso 1 suol giudici. Difesa avv. Torchio. Presidente Aliberti — P. M. Ferrerò — Canfelllere Decaroli. La moglie scappata Alessandro Vaudeville (ahimè certe ironie (lei nomi!) nella sua vita tribolata aveva aruta una sola grande fortuna: gli era fuggita ili casa la moglie! — A nemico che fugge ponti d'oro — escla- dpsugIusfdgsdfnsnava oggi ali udienza lavv. Lettel. Ma il po-|.p.-ero signor Vaudeville non fu del parere del-'c; arguto avvocato. Certi uomini, ovvero qual- ì trun altro, non si mentano la fortuna elio loro]drapita. Il signor Alessandro Vaudeville, che lf una gran brava persona, e che dopo tutto Mnnava sua moglie, fu costernato dell'inciden- vle coniugale, che uno spiritoso nostro coni- ajnediografo paragonò all'improvvisa ed inat- piesa grazia sovrana concessa ad un condan- n(iato all'ergastolo. E poiché i grandi dolori fpendono confidenti e le lacrime ci fanno e- ttpansivi, il povero signor Vaudeville andò pfon amici e conoscenti rammaricandosi e do- sndosi di quanto gli era avvenuto. Tra quelli rtile gli recarono parole più persuasive fu Va- 'pnico e connazionale Augusto Mamet. Que- citi. come uomo che ha sempre in riserbo ( p pagato un occhio della testa'per riavere la infedele compagna, che gli pareva, ora che gu ora scappata, d'amare ancor di più, fu ueto del contratto. Offri il biglietto da cento, cne avrebbe sborsato ad impresa finita, e con- segnò per intanto al poliziotto segreto sei lire per ic prime spese. Combinata cosi ogni cosa, ]a comitiva si mise a zonzo per la città e Bortolan, l'agente, faceva giri e rigiri mistejrjosi, assicurando d'essere sulle piste della ! fuggitiva. Alla sera i tre. col quali era pure delle buone risorse, gli battè sulle spalle confidenzialmente e gli disse: «Non crucciatevi: ritroveremo la pecorella smarrita. Conosco 10 un certo cane da pastore che saprebbe ricondurre all'ovile qualunque pecorella sbandata». Il cane da pastore era un certo Nicola Bortolan, amico del Mamct, il quale fu presentato al Vaudeville e da questi accolto come un salvatore. .Mamet confidò in gran segreto al marito addolorato, che 11 Bortolan era un agente di polizia e che per un biglietto da cento avrebbe senza dubbio scovata la fuggitiva e l'avrebbe ricondotta sotto 11 tetto coniugale. Vaudeville, che avrebbe RTfaridimsugichdolil'Astun figliuolo del Vaudeville, presero riposo e ristoro al Caffè dello Scalo; ma in quel frattempo, cascando 11 figlio del Vaudeville dal sonno, il Bortolan, da zelante agente si propose d'accompagnarlo a casa. La proposta fu accolta con riconoscenza dal fiducioso Vaudeville, il quale fu trattenuto a chiacchierare dal Mamet, che era un piacevole conversatore ed un affettuoso amico.... Ma quando a tarda ora egli tornò a casa, l'attendeva una triste sorpresa... La moglie tornata spontaneamente sotto il tetto coniu titee dfinvaspog¥^mano' Il ficlio tranauillamente cosul letto, e l'alloggio svali- gale? Oh no addormentato giato... Naturalmente il signor Vaudeville non rivide nifi i suoi premurosi amici, se non quando, dopo regolare denuncia, si ritrovò con loro a faccia a faccia in Tribunale. Mamet fu condannato a 2 anni, 3 mesi e 15 giorni di i reclusione. Bortolan ad 1 anno, 10 mesi e 17 giorni. La Corte oggi confermò la sentenza. Difesa avvocati Maccari e Lettel. Peccato di vanità 'Raffaele Cocchiavella, studente, di distinta famiglia di Benevento, non pensava certamente che un peccato di vanità l'avrebbe portato sul banco degli accusati. Richiamato sotto lo armi colla classe 1890 nell'ottobre 1912 ed assegnato al suo antico nsipcumrirodmtoctembspdm Reggimento — 11 6' artiglieria da fortezra. tn Torino — egli, forse per non confessare alla famiglia che durante il suo servizio non era riuscito a conquistare alcun grado, si conferi di motu proprio il grado di caporale, assumendone i distintivi e facendo figurare la sua brava promozione sul libretto personale. Scoperta l'ingenua manovra dopo pochi giorni nei quali il Cocchiavella percepiva anche le competenze dovute al non sudato grado, egli fu rinviato dinanzi al Tribunale Militare per rispondere di truffa a danno dell'Amminlstrazlone militare, e di abuso di distintivi. rnfmdupgcEqti. Il Tribunale emetteva sentenza con tenne sussistere l'abusivo porto di distintivi, e per ciò condannò il Cocchiavella a mesi 2 di carcere, computato il sofferto, e col beneficio della non iscrizione sul cartellino penale. Presidente : colonnello Andrcani; P. M. : cavaller Forghicrl; Difesa: avv. Dagasso. Isf/epIl gelatiere intraprendente , „ ., , .. ,, „, „ pUna coorte di ragazze d ogni età, dI ogni a- aspetto e d'ogni esperienza venne .in rrfl>unale noggi per abusare il 8£vaM fftìat^Fran- u¥^J%Kh£mi£L w, ÌSSo 1?FSa£o sme 1^toSVtarSn^^d«: call'amore-Non solo: ina .Cerai-delia aveva una t così entusiasta ammirazione per le grazie me- lno evi-denti di sua moglie, che, al diire dello zsignorine testimonio, volevo, rendere parteci-. tpi nell'ammirazione estetica di tali grazie an-1 eche i suoi avventori. Da tutto ciò ne scaturì1 un processo molto complicato ed un dibatti¬ mento saporito... ma riservato a pochi udito ri. Gerardella, con un vivace profluvio di parole s'è difeso, dicendosi vittima ciii una trama di calunnie intessuta dalla malizia e dalla malvagità di suoi vicini, col quali aveva avuto dei litigi. Egli aveva sul groppone un sacco d'accuse: atti di mal costume, minaccio, tentate violenze, corruzioni, violazioni di domicilio, ottraggio al pudore. Alla fine del dibattimento nel sacco non gli rimase che quest'ultima amputazione, la quale però bastò per procacciargli una condanna a sette mesi di reclusione. Difesa: avv. Villabruna; P. C.: avv. Damiani. OINI. ! ntivzl

Luoghi citati: Benevento, Torino