Tre giorni fra i profughi della Serbia

Tre giorni fra i profughi della Serbia (Nostra corrispondenza particolare) BRINDISI. line d'uno. Il primo incontro con profughi serbi è avvenuto in ferrovia. Il treno che mi portava a Brindisi s'è fermato in una stazione litoranea, tra Barletta e Bari, ad attendere il diretto che da Brindisi veniva su con qualche ritardo. C'è stato un affacciarsi curioso tigli sportelli: la lunga fila delle carrozze, dalla parte del binario vuoto, pareva una siepe di teste umane ciarliere. Su la banchina,- tra il capo-stazione e un gruppo di territoriali, quattro damine della Croce Rossa attendevano co' vassoi carichi di panini imbottiti e di bicchieri irrequieti. Giovinetto: battevano i piedini d'impazienza e di freddo, e ridevano. Attendono così da selle mesi tutti i treni quotidiani e ancora battono i piedini d'impazienza e ancora sanno ridere. l^io di quei soldati s'ò accostato alla dnmina più prossima, le ha fatto : — E a me non me la dai una limonata? Ilo sete. E', si vede, un buon grosso bifolco, ma, da tanto tempo che è qui, ha preso confidenza con la signorina. La quale lo ha guardato seria seria, sgranando gli occhi di stupore: — E la fontana, perchè c'è, allora? Poi gli ha calcato la visiera del berretto su gli occhi: — Quando verrai col braccio al collo anche tii, te lo darò il bicchiere: magari di vino. Ora va a far l'uomo, su. Il ragazzone seguitava invece a fare il bambino, e accennava che feriti da Brindisi non ne vengono : i feriti scendono non salgono. E dunque In limonata si sarebbe inacidita. Ma il diretto di Brindisi è giunto rombando a interrompere la conversazione, Dai finestrini di una delle carrozzo, ver fio lo coda, s'è sporto qualche braccio in uniforme turchina, di marinaio, e le damine sono accorso verso quelle braccia, in uniforme turchina. Min quelle braccia facevano tutte un cenno, in una. stessa direzione, verso il vagone seguente: e le damine sono rimaste su la banchina qualche istante interdette, poi son balzate tutte insieme ver so la carrozza indicata, levando in alto i vassoi. Insieme con quelle mani accennanti ora uscivano dagli sportelli altre mani che agitavano i berretti come bandiere. E il grido : — Viva la Serbia! E dall'altra vettura, ove le signorine ora s'erano aggrappolate, sorrette da un premuroso e allegro accorrere dei territoriali, si mostravano su gli sportelli, senza sporgersi, alcune facce brune, chiuse, devastate d'angoscia, di profughi serbi. Il ripartire del treno mi ha vietato di meglio osservare quella scena piena di sorrisi. Lo mani di quegli uomini stentavano a tendersi verso l'offerta; ma quando s'eran protese ho veduto che preferivano accostarsi al vassoio dei panini. Niente interviste Venivano du Brindisi. Altri ne eran passati col treno precedente,.con tutti i treni da una settimana. Altri ne passeranno ancora. Il doloroso pellegrinaggio trascorrerà tutto por questa via. E di tappa in tappa si alleggerirà del suo pesante manto di tristezza, a mano a mano che trovi in ogni paese, in ogni stazione, in ogni casa, delle braccia che si tendono ad abbracciare e a soccorrere, dei volti soiridenti, delle parole cordiali, degli sguardi incoraggianti. Questo che sembra il funerale di un popolo diverrà una marcia silenziosa e accorata verso la redenzione. A Brindisi ne sono giunti parecchie centinaia. Ogni giorno tutti i piroscafi che approdano dai porti dell'Albania ne sbarcano di nuovi. La città li raccoglie tutti e li distribuisce noi dintorni o li manda più su, ■li'h dove possono arrivare. I primi giunti sono già lontano. Vengono da ogni parte, di ogni età e. di ogni condizione, dalla Vecchia e dailila Nuova Serbia, soldati e pastori e taglialegna e mercanti; 'si trovali qui che non si son mai conosciuti, si ritirovan qui e si riconoscono vecchi amici, vecchi compagni e parenti, che i travagli della patria, du tre anni in guerra, aveau divisi c dispersi. Ma hanno tutti k> stesso sguavdo negli orchi corvini, scintll'lamti sotto le palpebre appassite di sofferenza; ma han tutti la stessa ruga scavata nella fronte stretta e quadra o prominente, nelle gote incavate sotto l'osso degli zigomi.duri- Uomini di politica, uomini dà finaaizu, uomini d'arte e di letteratura e di scienza, generali, medici, deputati, pittori, sono stati i primi ad arrivare e son tutti- ripartiti. Non importa. Meglio cosi. Interviste? Colloqui? Niente. Lasciamoli soffrivo in silenzio questi martiri, lasciamoli meditare in silenzio, K aspettare. E sperare. E credere. E qua<n do intendono operare soccorriamoli, come •a Pipi a mo, nell'azione. Il resto è chiaceheru Non possono dirci se non quello che debbono 'dirci, so non quello che han ragione di dirci, se non quel'lo che sappiamo che è eternamente vero; un popolo stroncato e più diritto, calpesto è più alto, annientato è più grande, e più la violenza lo incurva e più la fede lo risolleva. Percliè, centomila uomini possono essere trucidati, una terra rigogliosa può esser saccheggiata; ma il ferro e il fuoco, la devastazione, le ruberie, lo stupro, il macello non valgono ad uccidere l'anima di un popolo. Nemmeno a stancarla. Da soldati a pastori Dunque, niente interviste. Andiamo inve ce tra i popolani, cerchiamo di sentire nelle radici l'anima di questa razza, indomita Cerchiamo di guardarla negli occhi questa gente che ha sofferto il più atroce dei martini, che eoa quell'i occhi ha veduto la più irreparabile delle rovine, rubata del focolare e della chiesa, delia sposa e -'dell'armento, della tetra, del pane, del fucile, della scure, di tutto. Ci sembra che non debbun somigliarci, che appartengano ad un'altra apeoie umana. Sono uomini invece calmi e buoni, senibrerebber mansueti se non avessero delle vampate negli sguardi, sembrerebber pa-!a lavorar di piccone e di pala prima che di zient.i so non mostrassero spesso sotto 1 baffi ispidi e spioventi l'amarezza di un riso stridente : parlano poco, non si mostrano curiosi di guardare il prossimo, ispidi e scontrosi anche verso l'ospitalità più abbondante e rumorosa. Mi dicono della generosità aperta ed esuberante onde questo popolo saJentiimo li accoglie. I primi profughi arrivarmi di sabato; quella sera mi -raccontano che tutte le osterie brindisine risonarono di allegria : è il primo dono che si offre all'ospite, il bicchiere del buon vino. CAi ospiti accettarono, ma circospetti, ritrosi, senza abbandonarsi alla cordialità. Dopo il vino ebbero il pane, e lo accettarono meglio. Dopo il pane, ebbero l'offerta di lavoro: piegarono il capo con un borbottio che voleva essere di assentimento e si recarono al lavoro. Ora comincia a vedersi qualche volto più aperto, degli ocelli che non si tissan soliamo su le ginocchia a guardarsi le brache a brandeiìi, delle mani che san dare di forti strette, da buoni camerati. I profughi che soprnggaungono, tirovano, sbarcando, qualche compagno e sorridono al!)'illusione di andare ancora nella terra della patria. Specialmente si accontano coi sdidati : un fucile con una baionetta inastata li attira come una tentazione. C'è qualche uccello sperduto che non trova fi suo nido se non in un bivacco. Molti eran soldati essi stessi. Presero parte ni primi scontri sul Danubio, vietarono il posso all'invasore inchiodati lì su la soglia di casa, finche munizioni e viveri li soccorsero. I viveri vennero a mancare presto e allora si lottò con le sole munizioni. Finché restavano venti cartucce il pane ora un oggetto superfluo. Quando le venti cartucce furono sparate, allora fu sgombrata In soglia. A Kragujevatz si rifornirono, Quando Kragujevatz fu. presa, eran rimasti più fucili eiie cartucce. Dopo Pristina anche i fucili divennero superflui. Si sparsero a raccogliere il bostiahie sbandato, a spingerlo verso il confine. Erano da tre anni soldati, ridivennero pastori. Ora non hanno nò gregge nè fucili. M.a ritorneranno soldati. Perciò non vogliono esser mandati lontano. E quando la nuova guerra richiamerà tutto il popolo della Serbia, vogliono essere i primi pronti all'appello. Ce n'è di rassegnali, un po' intontiti, che si son lasciati pigiare in un treno e sono andati oltre Bari, anche oltre Foggia; e ce n'è che han detto no, ostinatamente, che han voluto restare qui, quasi imperiosi. Ecco, e non son quello laggiù su lo specchio dell'Adriatico lo montagne dell'Albania? E non sono in quei monti, ora, fratelli sbandati che si raccolgono intorno ti vecchio Re, intorno al vecchio voivoda? E non è, oltre quei monti, la patria martoriata? // piccone e il fucile Lavorano. Son diventati presto utili. Ne ho veduti tre nel porto- Ma questi aveano su la faccia la sofferenza del tedio e della fatica mal tollerata? Non so che cosa facciano. Un facchino qui del porto mi dice ridendo che non ne teme la concorrenza : del resto ora su questo molo c'è lavoro per chi ne voglia e non mancano invoce che le braccia. Hnn preso braccia serbe; ma per pochi giorni, finché noti abbimi trovato da applicarlo a fatica più adatta. Questa del porto non è per esse. Caricare e soaricare ceste e sacchi tutti sanno; ma non ci si abitua facilmente all'odor del catrame e della resina, al mare oleoso e putrido, al cielo sporco di fumo e visto traverso le grate del sartiame fitto. • I serbi sono piuttosto uccelli di bosco. Per questo preferiscono, quando possono, j lavori della campagna. Ma questa piana eguale aperta campagna pugliese non è proprio la meglio fatta per le loro attitudini montanare. Dov'è qui una qualunque collina? dov'è un fiumiciattolo, un canale, un condotto da risciacquarvi la pezzuola insanguinata? La vite, la vite e l'olivo, la vite l'olivo e il frumento. E non un bosco da dicioccare e non una torma di puledri da guidare e non una roccia da dirompere. Li han messi nel giardino a coltivare i cavoli, a rincalzare i cardi, a legar fascine di strame. Ma si tratta di cominciare. Per continuare, chi no abbia voglia,- aaran mandati nelle gravine delle M'urge. Trovai! presto chi si curi di loro. A parte le autorità, conviene dar lode a tutti quei cittadini volonterosi che ne han presi a diecine e li han mandati nei loro campi o noi loro magazzini. Gli operai che lavorano a giornata non hanno avuto a dolersene: a Brindisi e nei villaggi prossimi il lavoro avanza alle braccia. I contadini invece han frignato un po', ma si son presto quietatiQueste nuove braccia non son venute a toglier loro lavoro; sono state occupate in opere che altrimenti non sarebbero stato compiute. Quest'anno molto si tralascia da fare in questa campagna. Con lo scarso frutto dei campi c dell'olivo, col frutto nullo della vite il proprietario è deliberato di lasciar la terra incolta so non per quel tanto che è necessario al lavoro dei suoi uòmini fissi. Ora si trova chi per compiere un'opera buona, ha messo l'aratro e la vanga anche nella grillaia. E l'opera buona, si comprende, non rimane sterile. C'è anche il mediatore di lavoro. Una volta venne da Ceglie uu imprenditore di opere stradali: — Chi mi trova venti braccia? — La revisione dei riformati gliele aveva tolte. Gli trovarono venti braccia sorbe, che eran giunte il giorno innanzi. No fu contento perchè tornò l'indomani e poi vennero altri imprenditori da altri paesi. A maneggiare il piccone e la pala son braccia valide. Dicono che da un anno in patria non facevan che questo: dirompere e riattar strade su le montagne; crearne dietro a sè sul ciglio dei burroni, tra le radici delle foreste sospese nel vuoto, e poi innanzi a sè, ritirandosi con hi fronte sempre rivolta al nemico, sgretolarle per ritardare la marcia procellosa delle batterio tedesche. Ora son contenti di seguitar lo stesso mestiere, por non perder hi pratica, porche domani dovranno lornuie in quelle montagne laggiù fucile c di-baionetta Alcuni eran minatori a Cestin e a Godacica. Tra gli operai della Serbia, gente da pochi anni iniziata al senso e all'abitudine del guadagno meglio che modesto, eran quelli che insieme con i metallurgici-di Kragujevatz, avevan buona mercede. All'inizio della guerra, nell'agosto dell'anno scorso, furon chiamati alle armi, come tutti i giovani validi. Conobbero le prime disfatte austriache e giunsero in quell'ottobre cosi radioso di promesse a vedere sul cielo del crepuscolo le torri di Serajèyo. Poi il Governo li rimandò alle miniere e ve li tenne rigorosamente, quasi li sorvegliò perchè non fuggissero: soldati ce n'erano piti chef non ne occorressero sul confine e oltre il confine: mancavano lo munizioni, mancavano le materie prime- Ed essi lavorarono alle miniere, per qualche tempo non si mossero dal loro posto di lavoro, disciplinati come sa essere una. gente che ha una sola compatta diritta volontà, la volontà di non esser vinta; finché un giorno il rombo del cannone non venne a sorprenderli nel profondo dei loro antri : la guerra era giunta li, nel cuore della patria. " Tutto per domani ! „ Non c'era più sorveglianza. E anche ci fosse stata? Balzarono su le montagne come si trovavano, con quelle armi che prima trovarono, con, la certezza innanzi tutto elio in ogni modo i predoni 11 non sarebbero giunti, li ove il sangue vivo della resistenza e della vittoria aveva le sue sorgenti. Parvo come so osso le montagne avessero un movimento di rivolta, si animassero di un'enorme vita umana. E sgominarono il nemico, lo avvilupparono, lo dispersero. Dopo, i minatori tornarono alle loro miniere. Ora, quando il .nemico tornò a minacciare la Serbia, o con altro forze, e con altra preparazione, e con altre guide, i minatori furon lasciati alle loro miniere. La guerra intanto si era venuta trasformando anche in quel paese: e a fianco alla mobilitazione militare fu mantenuta sino all'ultimo momento la mobilitazione civile. Ma quando dopo venti giorni d'impari lotta, l'invasore si affacciò con la sua macchina formidabile di batterie su gli spalti dello montagne, i minatori insorsero nuovamente, ma la volontà di vincere non bastava, più questa volta a conseguir la vittoria. Il nemico premova da nord, da est, da ovest ; e potere umano non bastava a contenerlo. Corse un grido: — Perchè si salvino gli uomini, si abbandoni la terra. Uri braccio che impugni un fucile vale più di qualunque ricchezza. Non un uomo valido cada in mano al nemico. Tutto per domani ! — l(%f..l Tutto por domani. E i minatori si ritirarono. Divennero anch'ossi mandriani e pastori. Soccorsero le donne, si caricarono dei feriti, spinsero innanzi i prigionieri dell'anno' scorso. L'unica via di scampo aperta por Mitroyitza. Ma prima che essi giungessero a quella città gli austro-tedeschi avevano invaso la pianura di Kossovo. Allora risalirono l'Ibar mettendosi In salvo nel Montenegro e di là costeggiando il baluardo delle Alpi albanesi del nord raggiunsero Scutari. La Croce Rossa italiana non spende meno di tre milioni al mese per la sua optra santa di assistenza ai feriti in guerra. Bisogna aiutare la Croco Rossa; L'Associaalone della Stampa e il Sindacato del Corrispondenti offriranno ai cittadini torinesi, nell'ultimo giorno dell'anno e a Capodanno, migliaia di mazzetti di «gui», per raccogliere denaro.a beneficio del Comitato torinese della Croco Rossa. Nessuna famiglia, nessun cittadine vorrà sottrarsi al tributo gentile: in tutto le case, sabato e domenica, dovrà esservi almeno un mazzetto di «vischio» acquistato a favore della Croce Rossa. Serbi, non servi Ora questi minatori iavoran di schiena a rassodare una strada maestra. Come ho detto, spno stati i primi a trovar lavoro. Mu c'è della brava gente che si dà attorno invece a cercare i più timidi, i più deboli, più scontrosi; quelli che si lasciano cadere a una cantouuta e guardano il soie, questo bel sole salentino che par loro un prodigio, quelli che han da nascondere la miseria di un abito a brandelli, quelli che han da curare una ferita non-rimarginata. E quelli che han troppa fame per chieder da mangiare: quanto mangerebbero? Non c'è porta chiusa, alla tavola si mettono unn sedia e un piatto di più ; e il letto si divide in due facilmente: il materasso di lami per l'ospito, por il padrone il saccone di paglia. Cosi per una notte o due, finché l'ospite non trovi lavoro. Brindisi è divenuta in un anno una città ricca, dunque può concedersi il diletto di alleviar lu misoria. E quanta miseria ih questi corpi consunti, tenuti in piedi dall'istinto co ino per un'anima d'acciaio ! Mi diceva un popolano: — Ho una superstizione. Temo che da un giorno all'altro mi debba capitar una disgrazia. Non ho figli e non ho fratelli sotto lo armi, il lavoro non mi mar, ca, che anzi debbo rifiutarne, guadagno più di prima o il pane non mi costa, più caio degli altri anni, perché non devo comperarlo: c'è quel pezzo di terra di min moglie che me lo dà. Possibile che delli guerra, se tutti ne soffrono, non debba sof frirne anch'io? Si, temo elio da un giorno all'altro debba capitarmi una disgrazia. — E allora, ti scongiurare un maggior danno cho gli pareva inevitabile, ha preso cento Uro e Io ha dispensate al primi profughi della Serbia. Era tutto quello che poteva fare. Ma poi hu fatto di più ; se n'è preso uno, di questi profughi, o se lo tiene con sè finché non vorrà ripartire. Ripartire cioè per la Serbia. E' contento perchè gli pare di non esser più debitore verso la guerra. Altri profughi sono stati accolti comò domestici in alcuno case signorili. Si compie un'opera di beneficenza e intanto non si rinunzia al piacere di avere al proprio servizio una faccia esotica. Poco lavoro, intanto da dormire e du mangiare comodamente, in ultimo il gruzzolo por riprendere il mare. L'idea può non esser cattiva, ma certo è quella a cui più diffìcilmente i sorbi si rassegnano. A tutto sanno adattarsi, tranne che a servire: lavoro'da femmine, che non. richiede forza, che non stanca. Bazza indomabile. Bicordo un vecchio proverbio del loro paese: - inerbi, non servi. MICHELE SAPONARO. La Everte del senatore De Cristoforis Milane, 28, sera. .Stamane, nelì'a hi» abitazione, è morto il senatore Malachia Ile Cristoforis, che da circa sei mesi era costretto a ietto per un esaurimento generale fi per una malattia di fegato. La notizia della svia mòno si sparse immediatamente per hi città, il stendo vivo dolore. Il senatore Maialimi He Cristoforis. elio apparteneva ad una famiglia di eroi e fu fratello di uno dei più puri e sereni eroi garibaldini, Carlo, caduto ti .--'an l'ermo, ora davvero un glorioso veterani.. Dodicenne appena, durante 10 giornate del 1848 fondeva lo pallottole del fucili per gli insorti. Nel 1859 c nel 18W, fu magnifico soldato di Garibaldi, a Varese ed a San Fermo ; nel 1866 tu a Condino, capitano medico e combattente. Nella campagna Meridionale guadagnava la medaglia d'argento al valore militare, ed in quella del Trentino la croce al merito militare ili Savoia. Come professionista, predilesse il ramo ostetrico-ginecologico e vi acquisto rinomanza. DI lui si hanno numeroso pubblicazioni in materia, tra l'altro un testo di 'ostetricia e sinecologia, ch'ebbe l'onore di traduzioni ali '.-stelo. Nella vita pubblica, oare che deputato, fu assessore per r:sintziorie pubblica nella Giunta popolare Mussi, e ai problemi della scuoia dedico poi sempre particolare attenzione. La popolarità nel sen. Ue Cristoforis derivava anche dalle numerose cariche che egli occupava nel campo della scienza, della politica, della, beneficenza, dei pubblici Istituti. Faceva parte del Consiglio sanitario della. Provincia: dava la sua opera, alla Lega popolare contro i'aleoolismo elio lo aveva presidente, o si occupava pure attivamente dell'assistenza scolastica: nell'Associazione per l'incremento dell'assistenza agli alunni rappresentava 111 opeia per la cura ellmutlca di via San Giovanni in Conca, N. 7. In questo campo specialmente egli si era acquistato molte benemerenze, quale consigliere di amministrazione del Pellagrosario provinciale di Inzago e presidente dell'Istituzione per la cura climatica gratuita ai fanoiulli poveri delle scuole elementari di Milano. Presiedeva la Commissiono internazionale permanente per lo stadio dèlie malattie professionali presso la Clinica di via Santa Barnaba ed aveva la presidenza effettiva della Società per la cremazione dei cadaveri. Era anche pres'dente della Società anonima cooperativa * La casa economica moderna » e dell'Associazione di M. S. ria impiegati della Società Edison. Il senatore De Cristoforis era infermo da circa sei mesi, ma nonostante la gravo età di 84 anni, nulla faceva provedere una catustro fe imminente. Egli ha conservato fino a ieri piena lucidità di mente. Leggeva assiduamente tutti i giornali, e la famiglia non aveva voluto che in-poriiiieria venisse esporto ij bollettino medico sulle condizioni dell'illustre uomo per evitare elle tali notizie, riprodotte dalla stampa, potessero impressionare l'ammalato, che sereno attendeva la grande ora auspicando aila vittoria delle anni italiane. Un aggravamento improvviso della malattia si ebbe ieri ed i medici curanti non nascosero le loro preoccupazioni alla famiglia del senatore, il quale verso lo,ore 20 entrò in agonia e stamane allo ore 9 e un quarto ha cessato di vivere. La luttuosa notizia é stata subito comunicata all'unico figlio ilei senatore De Cristoforis, ingegnere Giovanni, che trovasi alla fronte In qualità, di ufficialo del genio : fu pure comunicata alla Prefettura 6 telegrafata al Gran Maestro della Massoneria Ettore Ferrari, essendo 11 defunto Gran Maestro onorario della Massoneria italiana. La salma, vestita completamente di nero, giaco ora nella stessa stanza, mente si provvede a preparare la camera ardente. Verso le ore 11 si f> recaio a visitare la salma il Commissario civile marchese Cassis. Il defunto non ha lasciato alcuna disposizione pel funerali, essendosi limitato nel testamento ad esprimere la volontà di essere cremato. Giornali e Riviste I nostri valorosi Uno stendardo col colori francesi donato al Papa Roma, 78. sera. Qualche giornale cattolico francese, ricordando il dono fatto al Papa dal Belgio di una bandiera dai colori nazionali, ornata del Sacro Cuore, suggerì ad un Comitato di cattolici di Lione di farsi promotore di egual dono. Lo stendardo dai colori nazionali francesi, finemente ricamato, è riuscito una vera opera d'arte e sarà presentalo prossimamente a Benedetto XV da padre Emanuele Bailly, superiore generale degli Assunzionisti. Il conte Maggiolino Capello, di Torino, nuovo ministro plenipotenziario ed inviato straordinario del principe Alberto di Monaco presso la Santa Sede, soni ricevuto il 30 corrente dal Papa per la presentazione dello credenziali. Il Papa lui ricevuto starnano nel suo privato appartamento una parto dei componenti il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. I diplomatici ricevuti sono: l'ambasciatore di Spagna ed i ministri del Brasile, della Russia, del Belgio e della Gran Bretagna. Il Pupa ha ricevuto starnano in privata udienza padre Mlccinelli, rettore dell'Istituto Massimo, c l'avv. Scala. Borodin, l'autore del Principe Igor, non era un musicista di professione ina medico 1 Dopo una giovinezza avventurosa, nel 1*56 Borodin fu ammesso in dualità di medico del secondo ospedale nelTarmata territoriale. Lia. sua sensibilità fu mussa a dura prova, .si narra che per debutto, ebbe da curare sei seni/', ai quali un colonnello aveva faito dare colpi di knout. La schiena di linei disgraziati non era che una piaga. Borodin non potè sopportare questo spettacolo t> svenne. L'elemento nazionale non prose, in fatto di musica, su di lui il predominio su quello germanico, se non dopo la sua conoscenza coll'onerista Moussorgsky. il quale era nel 185G ufficiale nel reggimento Piéobojensky. Conobbe anche il maestro Balakirew e da allora comincia la sua carriera, artistica. Noi 1858, si presentò all'esame di dottoro in medicina, c l'anno seguente lu inviato all'estero per perfezionare I suoi studi scientinci. Vi rimase ire anni c- passò la. più grande parto ! di questo tempo a Heidelberg. Venuti i bei j giorni estivi, si diede a viaggiare. Nella primavera del 1860. visito Venezia, Verona. Mlln.no, Roma, e gli capito questa avventura interessante. Vicino a Verona il suo vagone venne visitato dalla polizia austriaca, che era alla ricerca d'un prigioniero italiano, condannato per affari noliliei ed evaso. Il tipo meridionale, di Borodin attirò l'attenzione della polizia che credette aver scoperto l'uomo che essa, cercava. Si frugò nel bagaglio, lo si interrogò, ma non si tardò a riconoscere che lui e i suoi compagni erano studenti russi e li lasciarono tranquilli. Ma appena varcata la frontiera austriaca per entraro negli stali Sardi, gli studenti russi festeggiarono il condannato italiano che si trovava con essi ed era passato inosservato, grazie ai sospetti provocati dalla fisionomia di Horodin. Borodin dovette alla musica la conoscenza della sua compagna che egli ho sempre amato, malgrado sovente sia stato costretto a viverne lontano: la signorina Caterina Sergeiewna Protopopnwa.-era una eccellente musicista, che l'iniziò agli stili di Schumaim e. dì Chopln. Heidelberg tu dunque il nido d'amore di Borodin e di Caterina, a si comprende come ritornatovi ne] luglio del 1877, egli esprimesse in lettera a lei dirette il dolore di non averla ancora accanto o la nostalgia da cui era investito nel rivedere quei luoghi che insieme avevano visitato. Una di queste lettere e una musica, triste, a cui non mancano che. le noto musicali perchè ne esca una melodia, di Chonin. Alessandro Borodin compose fi Principe Igor, noi 1880. ed era stato destinato da principio nd una rappresentazione di quadri viventi, che doveva aver luogo nel teatro di Pietiogrado nell'occasione del 2ó.o anniversario dell Imperatore Alessandro ir. So. particolarmente, nel Beia-io. Borodin venne accolto a braccia aperte lo dive in gran parte non solo alla, contessa aMercy-Argenteaii. ma all'abate Listz, la di cui lama e autorità, dava valore ad ogni parere da lui espresso. Per cut Borodin, nell'agosto del 188-i. scriveva a sua moglie: » t Belgi sono dei Moscoviti per la loro amabilità ed ospitalità, li tedesco. l'Inglese il francese, sanno sovente essere amabili al" di 'à di ogni espressione, ma essi el tengono a farvela sentire ». Degl'italiani Borodin non elice una parola, come non esistessero E si che era staio a lungo in Italia ! Cosi In Perse, vemma. 1 teatri imperiali eli Russia comprendono il teatro d'opera e baUo Marlnsku, il teatro drammatico Alessandro — stabili — e 11 teatro Micheie dove agiscono compagnie scritturate volta per volta o dove per quattro mesi all'anno recita una compagnia francese. (Jliro a eiuesti tre teatri di Pietrogrado, fanno parte dei teatri imperiali l'Opera e il tearto drammalieo di Mosca. L'organizzazione artistica dei1 Impresa _> veramente mirabile, i teatri d'opera assumono «11 artisti per concorso ed esame solamente gli artisti die hanno una celebrila vengono scritturati anno per anno. I coristi sono anche essi assumi per esame- l'orchestra e costituita per concorso ed esame. Per 1 ballem. il iiersònole proviene tulio dalla scuoia di ballo. Tutto il personale dei teatri imperiali ha diritto alla pensione, la quale si divide in pensiono di primo grado e pensiono di -econdò grado. La prima è assegnata agli artisti primari, ai direttori di scena e d'orchestra, ai professori d'orchestra e alle primo voci ed è di 1140 rubli all'anno; la seconda è assegnala a unti gli altri artisti e al basso personale °d i'ì di 750 rubli all'unno. La pensione viene ìienudata dopo vent-'annl di servizio. Con l'asse enazione della pensione ranista va a riposo. Ma poiché Vi sono molti casi in cui dopo ventanni di servizio l'artista e ancora in condizioni da lavorare, cosi, la legge « dei limiti d'eia » è mitigata da alcune disposizioni speciali. Gli artisti che ricevono per meriti spedali il t.iiolo di « virtuosi dell'imperatore » o di a artista emerito dei teatri imperiali. » hanno in forza di questo titolo il diritto di continuare a prodursi nei teatri imperiali anùhe dopo ottenuta la pensione, la quale ascende per loro a tremila rubli all'anno. L'organizzazione amministrativa dei teatri imperiali — dice la Suzioni! — è anch'essa tanto perfetta come quella artistica; l'acquisto delle opere il funzionamento delle biblioteche, il mantenimento del personale, la creazioni; degli scenari e dei costumi costituiscono un'organizzazione vasta, complessa, ma spedila e perfetta. L'or gonizzazionc- artistica ed amministrativa di tutti i teatri imperiali fa capo all'Intendenza generale elei tenlri. che ha sode a Pietrogrado, L'intendente generale è una specie di Czar della vita teatrale di Russia. Ouesta carica equivale a quella di ministro. L'intenelonte generale dei teatri divienile esclusivamente e personalmente dallo Czar e le sue decisioni suoi provvedimenti sfUKrion0 au ogni controlio e ad ogni critica. Ricopre attualmente la carica d'intendente eonerale Wladimlro Taliakowslsy, uomo d'intelligenza aperta e di grande cultura. RODOLFO CASTELLIMI, da Spezia, capitano) di fanterìa. E/.io PA PINI, da Genova, sottotenente dti lanteria. Il capitc.no Fenolio , „ , . I uagua • o a metra*iia » designava ogni ; vittima della tr.-gc&a pasuaaale di Fonia I ili minuterie a ogni e orla di fwraglia da, Un noto economista francese, Edmond Théry. dà il riassunto di tutte le somme favolose create dalla guerra. Alla fine del primo anno di guerra abbiamo — dice il Lavoro di Genova — un totale di 45 a 46 miliardi di franchi in cifra tonda per ì tre paesi alleati, ai quali bisognerà aggiungere quattro o cinque miliardi per lo spese del Belgio. Serbia, Montenegro e Giappone. Le sette nazioni alleate avranno, quindi, una spesa di 50 miliardi di franchi. Ricapitolando tutti i dati esposti sulle spese dei vari paesi in guerra, si può arrivare alla conclusione che mentre il gruppo capeggiato dalla Francia, dalla Russia e dall'Inghilterra spenderà 50 miliardi, il gruppo austro-tedescoturco ne spenderà 37 solamente. Tale differenza fu dovuta per la maggior parte al fatto che le nazioni alleate non èrano preparate alla guerra, motivo per cui hanno dovuto spendere quantità rilevantissimo di danaro per gli impianti ili fabbriche, costruzioni di materiale da guerra e munizioni, die i nemici invece già possedevano. Ma, date le ricchezze acquisite e le riserve monetario e lu maggior potenza economica Interna del gruppo degli alleati, questo sopporterà molto più facilmente le spese della guerra che non il gruppo germanico. La spesa ner l'insieme dei belligeranti e attualmente di 7 miliardi e 250 milioni al mese, vaio a dire 242 milioni al giorno, ovvero 10 milioni all'orai E si noti che si tratta delle spese militari puramente dette diffalcando le spese di assistenza e le spese che derivano dai danni causati dalla guerra. Opportunamente la rivista Minerva illustra, da quando è scoppiata la guerra, il significato dei vocaboli guerreschi. « Plotone > o « patatone » — dice la popolarissima rivista — deriva dal franoese péloton. accrescitivo della parola pelote (spagnuolo pelota), che significa « palla, gomitolo, gruppo, aggruppamento », e, per estensione, anche « piccola banda di soldati ■•.In latino troviamo pila « palla, sflera •. « Mitraglia », più usato che » mctraglia » sebbene quest'ultima romei sia preferita In alcune Riviste tecniche militari. corrispoiiCo alto spaglinolo meiiulln e all'antico francese mitallir., donde con un r epentetico si è fatto U moderno mitrante (similmente « registro « da regesto). Mitaìlle alla sua volta derivava dall'antico francese mite » pezzetto di metallo, piccola moneta » (confronta il piemontese mii troia « piccola moneta »! che conduce all'anI glo-sassone mite, da una radice che deve aver i avuto il senso di e piccola cosa, minuzia » : come si arguisce dall'islandese metta « ta; vliare .. Anticamente la voce italiana « mi, t raglia > o a metraxlia » designava, ogni sorta D.iCnMO Cinto, da Alba, aspirante sotto-1 tenenti derjli alpini, di anni 19. PEIUtiSO ERNESTO, da Mondovi, caporalemaaglore dei bersaglieri, cadde gloriosamente per la Patria il giorno 26 novembre u. ». PAOLO TALENTI, da Castellazzo Bormida. d'anni. 27, càporal mànnlOTt:, caduto valorosa* mente Co.iuUa.llumin net novembre scorso. BERTON ALFREDO, nato a Marsiglia, domiciliato a Sanse di Cestina, soldato alpino. ANTOXIO -***V»*».TQ, éW Azeglio, Tre giorni fra i profughi della Serbia Tre giorni fra i profughi della Serbia (Nostra corrispondenza particolare) BRINDISI. line d'uno. Il primo incontro con profughi serbi è avvenuto in ferrovia. Il treno che mi portava a Brindisi s'è fermato in una stazione litoranea, tra Barletta e Bari, ad attendere il diretto che da Brindisi veniva su con qualche ritardo. C'è stato un affacciarsi curioso igli sportelli: la lunga fila delle carrozze, dalla parte del binario vuoto, pareva una siepe di teste umane ciarliere. Su la banchina,- tra il capo-stazione e un gruppo di territoriali, quattro damine della Croce Rossa attendevano co' vassoi carichi di panini mbottiti e di bicchieri irrequieti. Giovinetto: battevano i piedini d'impazienza e di freddo, e ridevano. Attendono così da selle mesi tutti i treni quotidiani e ancora battono i piedini d'impazienza e ancora sanno ridere. l^io di quei soldati s'ò accostato alla dnmina più prossima, le ha fatto : — E a me non me la dai una limonata? Ilo sete. E', si vede, un buon grosso bifolco, ma, da tanto tempo che è qui, ha preso confidenza con la signorina. La quale lo ha guardato seria seria, sgranando gli occhi di stupore: — E la fontana, perchè c'è, allora? Poi gli ha calcato la visiera del berretto su gli occhi: — Quando verrai col braccio al collo anche tii, te lo darò il bicchiere: magari di vino. Ora va a far l'uomo, su. Il ragazzone seguitava invece a fare il bambino, e accennava che feriti da Brindisi non ne vengono : i feriti scendono non salgono. E dunque In limonata si sarebbe inacidita. Ma il diretto di Brindisi è giunto rombando a interrompere la conversazione, Dai finestrini di una delle carrozzo, ver fio lo coda, s'è sporto qualche braccio in uniforme turchina, di marinaio, e le damine sono accorso verso quelle braccia, in uniforme turchina. Min quelle braccia facevano tutte un cenno, in una. stessa direzione, verso il vagone seguente: e le damine sono rimaste su la banchina qualche istante interdette, poi son balzate tutte insieme ver so la carrozza indicata, levando in alto i vassoi. Insieme con quelle mani accennanti ora uscivano dagli sportelli altre mani che agitavano i berretti come bandiere. E il grido : — Viva la Serbia! E dall'altra vettura, ove le signorine ora s'erano aggrappolate, sorrette da un premuroso e allegro accorrere dei territoriali, si mostravano su gli sportelli, senza sporgersi, alcune facce brune, chiuse, devastate d'angoscia, di profughi serbi. Il ripartire del treno mi ha vietato di meglio osservare quella scena piena di sorrisi. Lo mani di quegli uomini stentavano a tendersi verso l'offerta; ma quando s'eran protese ho veduto che preferivano accostarsi al vassoio dei panini. Niente interviste Venivano du Brindisi. Altri ne eran passati col treno precedente,.con tutti i treni da una settimana. Altri ne passeranno ancora. Il doloroso pellegrinaggio trascorrerà tutto por questa via. E di tappa in tappa si alleggerirà del suo pesante manto di tristezza, a mano a mano che trovi in ogni paese, in ogni stazione, in ogni casa, delle braccia che si tendono ad abbracciare e a soccorrere, dei volti soiridenti, delle parole cordiali, degli sguardi incoraggianti. Questo che sembra il funerale di un popolo diverrà una marcia silenziosa e accorata verso la redenzione. A Brindisi ne sono giunti parecchie centinaia. Ogni giorno tutti i piroscafi che approdano dai porti dell'Albania ne sbarcano di nuovi. La città li raccoglie tutti e li distribuisce noi dintorni o li manda più su, li'h dove possono arrivare. I primi giunti sono già lontano. Vengono da ogni parte, di ogni età e. di ogni condizione, dalla Vecchia e dailila Nuova Serbia, soldati e pastori e taglialegna e mercanti; 'si trovali qui che non si son mai conosciuti, si ritirovan qui e si riconoscono vecchi amici, vecchi compagni e parenti, che i travagli della patria, du tre anni in guerra, aveau divisi c dispersi. Ma hanno tutti k> stesso sguavdo negli orchi corvini, scintll'lamti sotto le palpebre appassite di sofferenza; ma han tutti la stessa ruga scavata nella fronte stretta e quadra o prominente, nelle gote incavate sotto l'osso degli zigomi.duri- Uomini di politica, uomini dà finaaizu, uomini d'arte e di letteratura e di scienza, generali, medici, deputati, pittori, sono stati i primi ad arrivare e son tutti- ripartiti. Non importa. Meglio cosi. Interviste? Colloqui? Niente. Lasciamoli soffrivo in silenzio questi martiri, lasciamoli meditare in silenzio, K aspettare. E sperare. E credere. E qua<n do intendono operare soccorriamoli, come •a Pipi a mo, nell'azione. Il resto è chiaceheru Non possono dirci se non quello che debbono 'dirci, so non quello che han ragione di dirci, se non quel'lo che sappiamo che è eternamente vero; un popolo stroncato e più diritto, calpesto è più alto, annientato è più grande, e più la violenza lo incurva e più la fede lo risolleva. Percliè, centomila uomini possono essere trucidati, una terra rigogliosa può esser saccheggiata; ma il ferro e il fuoco, la devastazione, le ruberie, lo stupro, il macello non valgono ad uccidere l'anima di un popolo. Nemmeno a stancarla. Da soldati a pastori Dunque, niente interviste. Andiamo inve ce tra i popolani, cerchiamo di sentire nelle radici l'anima di questa razza, indomita Cerchiamo di guardarla negli occhi questa gente che ha sofferto il più atroce dei martini, che eoa quell'i occhi ha veduto la più irreparabile delle rovine, rubata del focolare e della chiesa, delia sposa e -'dell'armento, della tetra, del pane, del fucile, della scure, di tutto. Ci sembra che non debbun somigliarci, che appartengano ad un'altra apeoie umana. Sono uomini invece calmi e buoni, senibrerebber mansueti se non avessero delle vampate negli sguardi, sembrerebber pa-!zient.i so non mostrassero spesso sotto 1 baffi ispidi e spioventi l'amarezza di un riso stridente : parlano poco, non si mostrano curiosi di guardare il prossimo, ispidi e scontrosi anche verso l'ospitalità più abbondante e rumorosa. Mi dicono della generosità aperta ed esuberante onde questo popolo saJentiimo li accoglie. I primi profughi arrivarmi di sabato; quella sera mi -raccontano che tutte le osterie brindisine risonarono di allegria : è il primo dono che si offre all'ospite, il bicchiere del buon vino. CAi ospiti accettarono, ma circospetti, ritrosi, senza abbandonarsi alla cordialità. Dopo il vino ebbero il pane, e lo accettarono meglio. Dopo il pane, ebbero l'offerta di lavoro: piegarono il capo con un borbottio che voleva essere di assentimento e si recarono al lavoro. Ora comincia a vedersi qualche volto più aperto, degli ocelli che non si tissan soliamo su le ginocchia a guardarsi le brache a brandeiìi, delle mani che san dare di forti strette, da buoni camerati. I profughi che soprnggaungono, tirovano, sbarcando, qualche compagno e sorridono al!)'illusione di andare ancora nella terra della patria. Specialmente si accontano coi sdidati : un fucile con una baionetta inastata li attira come una tentazione. C'è qualche uccello sperduto che non trova fi suo nido se non in un bivacco. Molti eran soldati essi stessi. Presero parte ni primi scontri sul Danubio, vietarono il posso all'invasore inchiodati lì su la soglia di casa, finche munizioni e viveri li soccorsero. I viveri vennero a mancare presto e allora si lottò con le sole munizioni. Finché restavano venti cartucce il pane ora un oggetto superfluo. Quando le venti cartucce furono sparate, allora fu sgombrata In soglia. A Kragujevatz si rifornirono, Quando Kragujevatz fu. presa, eran rimasti più fucili eiie cartucce. Dopo Pristina anche i fucili divennero superflui. Si sparsero a raccogliere il bostiahie sbandato, a spingerlo verso il confine. Erano da tre anni soldati, ridivennero pastori. Ora non hanno nò gregge nè fucili. M.a ritorneranno soldati. Perciò non vogliono esser mandati lontano. E quando la nuova guerra richiamerà tutto il popolo della Serbia, vogliono essere i primi pronti all'appello. Ce n'è di rassegnali, un po' intontiti, che si son lasciati pigiare in un treno e sono andati oltre Bari, anche oltre Foggia; e ce n'è che han detto no, ostinatamente, che han voluto restare qui, quasi imperiosi. Ecco, e non son quello laggiù su lo specchio dell'Adriatico lo montagne dell'Albania? E non sono in quei monti, ora, fratelli sbandati che si raccolgono intorno ti vecchio Re, intorno al vecchio voivoda? E non è, oltre quei monti, la patria martoriata? // piccone e il fucile Lavorano. Son diventati presto utili. Ne ho veduti tre nel porto- Ma questi aveano su la faccia la sofferenza del tedio e della fatica mal tollerata? Non so che cosa facciano. Un facchino qui del porto mi dice ridendo che non ne teme la concorrenza : del resto ora su questo molo c'è lavoro per chi ne voglia e non mancano invoce che le braccia. Hnn preso braccia serbe; ma per pochi giorni, finché noti abbimi trovato da applicarlo a fatica più adatta. Questa del porto non è per esse. Caricare e soaricare ceste e sacchi tutti sanno; ma non ci si abitua facilmente all'odor del catrame e della resina, al mare oleoso e putrido, al cielo sporco di fumo e visto traverso le grate del sartiame fitto. • I serbi sono piuttosto uccelli di bosco. Per questo preferiscono, quando possono, j lavori della campagna. Ma questa piana eguale aperta campagna pugliese non è proprio la meglio fatta per le loro attitudini montanare. Dov'è qui una qualunque collina? dov'è un fiumiciattolo, un canale, un condotto da risciacquarvi la pezzuola insanguinata? La vite, la vite e l'olivo, la vite l'olivo e il frumento. E non un bosco da dicioccare e non una torma di puledri da guidare e non una roccia da dirompere. Li han messi nel giardino a coltivare i cavoli, a rincalzare i cardi, a legar fascine di strame. Ma si tratta di cominciare. Per continuare, chi no abbia voglia,- aaran mandati nelle gravine delle M'urge. Trovai! presto chi si curi di loro. A parte le autorità, conviene dar lode a tutti quei cittadini volonterosi che ne han presi a diecine e li han mandati nei loro campi o noi loro magazzini. Gli operai che lavorano a giornata non hanno avuto a dolersene: a Brindisi e nei villaggi prossimi il lavoro avanza alle braccia. I contadini invece han frignato un po', ma si son presto quietatiQueste nuove braccia non son venute a toglier loro lavoro; sono state occupate in opere che altrimenti non sarebbero stato compiute. Quest'anno molto si tralascia da fare in questa campagna. Con lo scarso frutto dei campi c dell'olivo, col frutto nullo della vite il proprietario è deliberato di lasciar la terra incolta so non per quel tanto che è necessario al lavoro dei suoi uòmini fissi. Ora si trova chi per compiere un'opera buona, ha messo l'aratro e la vanga anche nella grillaia. E l'opera buona, si comprende, non rimane sterile. C'è anche il mediatore di lavoro. Una volta venne da Ceglie uu imprenditore di opere stradali: — Chi mi trova venti braccia? — La revisione dei riformati gliele aveva tolte. Gli trovarono venti braccia sorbe, che eran giunte il giorno innanzi. No fu contento perchè tornò l'indomani e poi vennero altri imprenditori da altri paesi. A maneggiare il piccone e la pala son braccia valide. Dicono che da un anno in patria non facevan che questo: dirompere e riattar strade su le montagne; crearne dietro a sè sul ciglio dei burroni, tra le radici delle foreste sospese nel vuoto, e poi innanzi a sè, ritirandosi con hi fronte sempre rivolta al nemico, sgretolarle per ritardare la marcia procellosa delle batterio tedesche. Ora son contenti di seguitar lo stesso mestiere, por non perder hi pratica, porche domani dovranno lornuie in quelle montagne laggiù a lavorar di piccone e di pala prima che di fucile c di-baionetta Alcuni eran minatori a Cestin e a Godacica. Tra gli operai della Serbia, gente da pochi anni iniziata al senso e all'abitudine del guadagno meglio che modesto, eran quelli che insieme con i metallurgici-di Kragujevatz, avevan buona mercede. All'inizio della guerra, nell'agosto dell'anno scorso, furon chiamati alle armi, come tutti i giovani validi. Conobbero le prime disfatte austriache e giunsero in quell'ottobre cosi radioso di promesse a vedere sul cielo del crepuscolo le torri di Serajèyo. Poi il Governo li rimandò alle miniere e ve li tenne rigorosamente, quasi li sorvegliò perchè non fuggissero: soldati ce n'erano piti chef non ne occorressero sul confine e oltre il confine: mancavano lo munizioni, mancavano le materie prime- Ed essi lavorarono alle miniere, per qualche tempo non si mossero dal loro posto di lavoro, disciplinati come sa essere una. gente che ha una sola compatta diritta volontà, la volontà di non esser vinta; finché un giorno il rombo del cannone non venne a sorprenderli nel profondo dei loro antri : la guerra era giunta li, nel cuore della patria. " Tutto per domani ! „ Non c'era più sorveglianza. E anche ci fosse stata? Balzarono su le montagne come si trovavano, con quelle armi che prima trovarono, con, la certezza innanzi tutto elio in ogni modo i predoni 11 non sarebbero giunti, li ove il sangue vivo della resistenza e della vittoria aveva le sue sorgenti. Parvo come so osso le montagne avessero un movimento di rivolta, si animassero di un'enorme vita umana. E sgominarono il nemico, lo avvilupparono, lo dispersero. Dopo, i minatori tornarono alle loro miniere. Ora, quando il .nemico tornò a minacciare la Serbia, o con altro forze, e con altra preparazione, e con altre guide, i minatori furon lasciati alle loro miniere. La guerra intanto si era venuta trasformando anche in quel paese: e a fianco alla mobilitazione militare fu mantenuta sino all'ultimo momento la mobilitazione civile. Ma quando dopo venti giorni d'impari lotta, l'invasore si affacciò con la sua macchina formidabile di batterie su gli spalti dello montagne, i minatori insorsero nuovamente, ma la volontà di vincere non bastava, più questa volta a conseguir la vittoria. Il nemico premova da nord, da est, da ovest ; e potere umano non bastava a contenerlo. Corse un grido: — Perchè si salvino gli uomini, si abbandoni la terra. Uri braccio che impugni un fucile vale più di qualunque ricchezza. Non un uomo valido cada in mano al nemico. Tutto per domani ! — l(%f..l Tutto por domani. E i minatori si ritirarono. Divennero anch'ossi mandriani e pastori. Soccorsero le donne, si caricarono dei feriti, spinsero innanzi i prigionieri dell'anno' scorso. L'unica via di scampo aperta por Mitroyitza. Ma prima che essi giungessero a quella città gli austro-tedeschi avevano invaso la pianura di Kossovo. Allora risalirono l'Ibar mettendosi In salvo nel Montenegro e di là costeggiando il baluardo delle Alpi albanesi del nord raggiunsero Scutari. Serbi, non servi Ora questi minatori iavoran di schiena a rassodare una strada maestra. Come ho detto, spno stati i primi a trovar lavoro. Mu c'è della brava gente che si dà attorno invece a cercare i più timidi, i più deboli, più scontrosi; quelli che si lasciano cadere a una cantouuta e guardano il soie, questo bel sole salentino che par loro un prodigio, quelli che han da nascondere la miseria di un abito a brandelli, quelli che han da curare una ferita non-rimarginata. E quelli che han troppa fame per chieder da mangiare: quanto mangerebbero? Non c'è porta chiusa, alla tavola si mettono unn sedia e un piatto di più ; e il letto si divide in due facilmente: il materasso di lami per l'ospito, por il padrone il saccone di paglia. Cosi per una notte o due, finché l'ospite non trovi lavoro. Brindisi è divenuta in un anno una città ricca, dunque può concedersi il diletto di alleviar lu misoria. E quanta miseria ih questi corpi consunti, tenuti in piedi dall'istinto co ino per un'anima d'acciaio ! Mi diceva un popolano: — Ho una superstizione. Temo che da un giorno all'altro mi debba capitar una disgrazia. Non ho figli e non ho fratelli sotto lo armi, il lavoro non mi mar, ca, che anzi debbo rifiutarne, guadagno più di prima o il pane non mi costa, più caio degli altri anni, perché non devo comperarlo: c'è quel pezzo di terra di min moglie che me lo dà. Possibile che delli guerra, se tutti ne soffrono, non debba sof frirne anch'io? Si, temo elio da un giorno all'altro debba capitarmi una disgrazia. — E allora, ti scongiurare un maggior danno cho gli pareva inevitabile, ha preso cento Uro e Io ha dispensate al primi profughi della Serbia. Era tutto quello che poteva fare. Ma poi hu fatto di più ; se n'è preso uno, di questi profughi, o se lo tiene con sè finché non vorrà ripartire. Ripartire cioè per la Serbia. E' contento perchè gli pare di non esser più debitore verso la guerra. Altri profughi sono stati accolti comò domestici in alcuno case signorili. Si compie un'opera di beneficenza e intanto non si rinunzia al piacere di avere al proprio servizio una faccia esotica. Poco lavoro, intanto da dormire e du mangiare comodamente, in ultimo il gruzzolo por riprendere il mare. L'idea può non esser cattiva, ma certo è quella a cui più diffìcilmente i sorbi si rassegnano. A tutto sanno adattarsi, tranne che a servire: lavoro'da femmine, che non. richiede forza, che non stanca. Bazza indomabile. Bicordo un vecchio proverbio del loro paese: - inerbi, non servi. MICHELE SAPONARO.