Tra i cosacchi del Kouban

Tra i cosacchi del Kouban Tra i cosacchi del Kouban // ferito - Per chi sottufficiale • continuare questa guerra ? » "Siete stupidi come ranocchi II discorso del " Per la di fesa della patria e pei nostri morti ! „ . L'urto del nemico. OLBIECIN (Krasnik), luglio. Una grande tristezza è scesa questa sera sull'accampamento dei cosacchi di Koubaiu Costantino Chirota, il più giovane cavaliere della sotnia, biondo e bello come una donna e che canta con voce melodiosa .accompagnandosi sulla balalaika, ha una larga ferita alla testa, e, sdraiato ai piedi di un albero, delira... Pazienza se la sua fosse una ferita rice vuta durante una carica, uomo contro no mo, da un nemico che si vede. Ma la ferita è stata prodotta da una maledetta palla perduta, ed ecco per molti giorni la. balalaika rimarrà muta, la balalaika da tre corde, che nelle peggiori ore della guerra rianimava il coraggio e l'allegria nelle file della sotnia. Nikifar Motzni, che'tenta di mettere una pezza di cuoio sul suo stivale destro irreparabilmente sdruscito, si lascia sfuggire un sospiro di stanchezza, e rivolgendosi a Yvan Dienkan, il piccolo tartaro rattrappito, che ha gli occhi di un cinese, gli dice: — Perchè continuare questa guerra? E' già da un anno che noi ci battiamo per la indipendenza della Polonia. I polacchi non vengono dalle stesse contrade nostre ; essi adorano un Dio differente dal nostro. E, dunque, perchè dare il nostro sangue per render libere delle genti che non sono nostri fratelli e nemmeno nostri cugini? Noi ci battiamo per l'indipendenza della Polonia — ecco la frase perfida che si agita in jondo al pensièro dei cosacchi del Kouban, nelle sere di stanchezza. Essi non l'hanno inventata da soli questa frase ; non l'hanno neppure letta nei proclami lanciati sovra le linee russe dagli aviatori nemici, per la buona ragione che i cosacchi del Kouban non sanno leggere. La frase perfida (; stata loro lanciata l'altro giorno a Lublino da quei pericolosi ebrei della Polonia meridionale che simpatizzano segretamente con i tedeschi ed augurano il loro trionfo. Da allora, i cosacchi si sono ricordati vagamente di un lontano proclama del Granduca Nicola, che prometteva l'autonomia della Polonia. Da allora, circa un anno fa, gli uomini del Kouban si consumano a d'Iaiderc questa terra che non è la lo ro. Stassera i cosacchi sono sfiniti; le forze umane hanno dei limiti. Essi rimpiangono il focolare lontano. Questa guerra è troppo lunga: troppi dei loro son. già caduti e perciò la frase perfida viene alla bocca degli slunchi cavalieri. Ma Jarochevilch, che è sottufficiale e che si vanta di avere un fratello pope, interviene bruscamente. La siiti parentela con un uomo di chiesa gli impone dei doveri intellettuali ed egli si vanta di non avere mai accettato senza discussione le idee degli altri e forse neppure le proprie. — .Siete stupidi come dei ranocchi! Se noi ci battiamo in Polonia, lo facciamo per difendere le frontiere della Santa Bussia. Se i polacchi diventa*««"•<> tedeschi, sarebbe presto anche il nostro turno, di cadere sotto il giogo prussiano. Non sapete che cosa sarebbe il giogo prussiano? Con quei mangiatori di sauer-kraut, tutto il Kouban diventerebbe una vasta officina; ci obbligherebbero a lavorare dalia mattina alla ttra nelle fabbriche; noi non avremo pie il diritto di portare le armi e ci pr, ro i nostri cavalli per farne delle sfalsicce. Jarochevilch, al quale il fratello pope conferisce prestigio più ancora che le sue stellette da sottufficiale, ha. toccato la corda giusta. Nikifar Motzni lascia cadere indignato il suo stirate.-. Tu dici che farebbero delle salsicce con i nostri cavalli? — Certamente, afferma Dienkan, poiché mangiano persino i cani. — Voi credete che sia [arile difendere la civiltà? — esclama faroctiévttch. Gli stanchi cosacchi non capiscono bene che civiltà difendono c neppure, in generale, che cosa sia la civiltà. Rimangono però impressionati di sapere che essi sono i campioni ri- oualche cosa di oscuro, inaccessibile e per conseguenza grandioso. Il Sotnik, capo della sotnia, che aveva inteso le ultime parole aggiunse un ultimo decisivo argomento. — Avete finito di lamentarvi come delle donnicciuole ? La guerra non è mai troppo lunga, quando si hanno fra i nostri tanti morti da vendicare ! — Se continua ancora qualche tempo, — brontolò il cosacco Motzni, considerando il suo stivale sdruscito, — io dovrò combattere a piedi nudi. Nessuno fece attenzione a queste parole, perchè gli sguardi, ed i pensieri dei cosacchi si erano rivolti all'estremità del parco, dove la sotnia accampava e di cui un'aiuola era punteggiata di croci di legno. Là dormivano il loro ultimo sonno trenta cosacchi del Kouban, trenta cosacchi della loro sotnia. Era stato un combattimento già remoto nel tempo. Era in settembre in quello stesso luogo, il secondo mese della guerra, a nord della strada di Krasnik, una brigata di cavalleria leggera russa aveva ricevuto l'ordine di resistere per sei ore contro un Corpo d'armata austriaco che minacciava la strada di Lublino. La brigata russa vi si mantenne per tre giorni. Essa resistette, sotto il fuoco delle mitragliatrici, sotto l'assalto delle baionette, sotto l'uragano dei cannoni. In quello stesso castello d'Olbiecin trenta cosacchi del Kouban si erano trincerati. L'ondata nemica traboccava, battendo il parco. I cavalli dei cosacchi erano stati uccisi fin dal principio del p combattimento : qualunque ritirala era impossibile. Non rimaneva ai cavalieri dai apelli biondi che morire bene. Morirono osì bene, che trecento austriaci caddero nel parco su quegli stessi prati ai piedi di quelle siepi tagliate simmetricamente Trecento per cento ; la proporzione era giù sta e i cosacchi avevano venduto la loro vita, a giusto prezzo. Ed ecco che dopo dieci mesi, dopo aver combattuto a Przcmysl, a Lemberg, dopo aver lottato fra le nevi dei Carpazi, la sotnia è ritornata nel luogo eroico dove trena dei suoi caddero. Dieci mesi di lotte spaventose, dieci mesi in. un diluvio di sangue, ed ecco che ci si ritrova nello stesso castello d'Olbiecin, mentre di nuovo un Corpo d'armata nemico, che segue la stessa strada di allora, sta marciando su Lublino ed urlerà qui stesso contro la cavalleria russa in gran guardia. Il nemico sta per urtare, urta già ; un colpo di fucile risuona dall'altra parte dela strada, poi due, noi tre, poi cento. Ma russi haii.no preveduto l'attacco; il leggero rialzo che domina la strada a sud è rasformalo in una. vasta trincea. Là un reggimento della guardia è nascosto ; solanto le canne dei fucili ne spuntano fuori. Già gli artiglieri sono avvertiti. Il bersaglio i: in vista, le batterie tuonano ; uno squadrone di dragoni gialli passa come un uragano: ogni cavaliere porta sulla groppa del cavallo un fantaccino. Al cadere della sera la battaglia, invece di calmarsi, sembra infuriare maggiormente: si stende a destra, a sinistra, davanti a noi. Un areoplano vola sopra di noi proveniente dalla Bystrika. I cosacchi del Kouban, lasciando i loro cavalli in custodia a pochi cavalieri, si dirigono verso la linea di fuoco portando delle casse di bombe. Nel parco non rimangono che i cavalli e i loro custodi. 1 piccoli cavalli dal pelo irsuto, abituati alla battaglia, si mettono a mangiare tranquillamente le cime delle siepi simmetriche. Costantino Chirota rantola con la fronte sanguinante, ai piedi dell'albero. E' venuta la notte. Dei prolettori scrutano quel mare d'erba. Una colonna, di carreggio passa sulla strada, portando delle munizioni; tornerà indietro carica di feriti. Ecco che già ne arrivano appoggiati penosamente sul fucile come su di una stampela, Un'ambulanza si colloca davanti al castello battuto dai proiettili. Un infermiere della Croce Rossa si accosta al cosacco Chirota, gli lava il volto sanguinoso e poi subito crollando-il capo se ne va. Qualunque cura sarebbe inutile ; il giovane suonatore di balalaika è perduto. Si accende un fanale 'che fa muovere delle ombre sulle siepi. A mezzanotte arriva un primo ferito au striaco : noi avanziamo ; altri nemici feriti raccolti dai nostri portaferiti passano sulle barelle. Alle 3 del mattino, il parco è pieno di sofferenti, che attendono di essere curati. I medici non si risparmiano ; e sempre continua la battaglia spaventosa. Onni dieci secondi una salve scoppia a poche centinaia di passi da noi. Tutto ciò continua fino al mattino. L'alba rischiara il cielo dele prime luci, ed è salutata da un grido possente. Hurrah ! che parte dalle linee russe e si disperde nel vento mattutino e nella distanza. La fanteria russa è uscita dalle rincee ed avanza alla baionetta sulla fanteria nemica. I dragoni, di carriera, si dirigono verso la sinistra per tagliare la ritirata agli austro-tedeschi in fuga. Il fuoco è cessato e soltanto un tyr*"\to di voci ci raggiunge, e il rumore H folla lontana. Si battono a corpo a corpo. Mezz'ora più tardi vediamo ritornare la sotnia a piedi inquadrando un gregge di prigionieri nemici. Uno di essi, un giovane imberbe, balbetta presso di noi: Ichgiaubte das sie waren nieht die Cosaken (io non credevo che fossero i cosacchi). Quei prigionieri si sono arresi credendo d'aver da fare con della fanteria di linea, ed ora il loro terrore dei feroci cavalieri è tale, che essi tremano e balbettano. II Sotnik, montato a cavallo, passa da¬ vanti ai prigionieri e brontola: uQuando voi prendete vivi i nostri fratelli li torlu rate, branco di vigliacchi che siete t Meriereste che vi facessimo altrettanto ». Nikifar Motzcni sorride, senza odio. Il suo odio è svanito nella gioia ch'egli prova sentendosi calzato d'un paio di magnifici stivali verniciati, bottino conquistato da lui su di un ufficiale degli ussari austriaci. Costantino Chirota, al- piede dell'albero, dorme per sempre col suo bel viso di donna pietrificato nell'ultimo riposo. Egli morto senza aver assistito al ritorno lieto dei cosacchi del Kouban, suoi fratelli. FERRI PISANI.

Persone citate: Yvan Dienkan

Luoghi citati: Krasnik, Lublino, Polonia