Come si sente la guerra da una città del Friuli

Come si sente la guerra da una città del Friuli Come si sente la guerra da una città del Friuli Notizie da Podgora, da San Michele, dal Carso (Dal nòstro inviato speciale) ,, gSono arrivato. Dio sa come, in questa città, proibita, tutta sole o temporali: sole al matino, temporali al pomeriggio o viceversa. Lo stratagemma usato per entrarvi nou ve o saprei ridire: e lo saprebbero certo meno di me, lo sentinelle, i carabinieri, i poliziotti he avrebbero dovuto impedire l'Ingresso a un uomo reo di essere giornalista. Fatto sta che i sono, che me ne andrò prestissimo, e che quando me no sarò andato, nessun santo mi arà ritornare. E meritava davvero di venirci. E' una città completamente militare, la vera itta della guerra. I militari si sono sovrapposti alla popolazione, tanto che questa è quasi sparita. Se ne vede soltanto la parte emminile, che va e viene febbrilmente in questo ambiente di febbre, tra le fiumane di ufficiali e soldati, che ogni giorno si riverano in queste vie belle di antichità, • bizarre di contorsioni, e ogni giorno si avviano vèrso II fronte, al Carso e all'Isonzo, per laciare il posto ad altre fiumane. Anche gli torici palazzi dagli oscuri porticati, dai corili tappezzati di erba ed ornati di piante « i fiori, sono militarizzati : trasformati ' in aserme, in uffici di Comandi, In ospedali. Sentinelle dappertutto: ogni tanto vi è un ngolo di strada dove non si passa. Si dà n'occhiata furtiva nel tratto di via proibito si vede l'ingresso a qualche Comando segreo, a qualche deposito più segreto ancora. Ogni buca delle lettere è sorvegliata da un arabiniere, ogni ritrovo di borghesi, si porebbe quasi dire ogni borghese, è posto sotto na sorveglianza speciale. Un giornalista, che bbe la dabbenaggine di apparire ieri nella la principale in perfetta tenuta da corrispon- ente di guerra — abito-sport, gambali, machina fotografica e revolver — ebbe la gralta sorpresa di vedersi, dopo pochi passi, n carabiniere a destra e un altro a sinistra, he gli indicavano gentilmente la strada per rrivare più presto in Questura. I veicoli ono tutti militarizzati. Soltanto 1 trams, queti poveri trams da città di provincia dipinti n giallo sporco, ricordano la vita normale i X, quand'essa dormiva, solitaria e tranuilla, in faccia alle sue montagne, all'omra dei suoi vetusti palazzi, tra le sue statue, ra i suoi giardini. Adesso le strade sono perorse da mattina a sera da un fremito conulso di vita eccezionale. Automobili, camlons, motooiclette, biciclette, carri, vetture, vi si ncrociano continuamente. Par d'essere in na piccola Parigi... prima della guerra. E uesti veicoli di tutte le specie vanno o torano dal fronte trasportando generali, uffliali, soldati, feriti, infermieri, preti, armi, munizioni, barelle. Parrebbe la capitale del aos, questa caratteristica X friulana, ed è nvece semplicemente la capitale della guera, il centro di una vasta e perfetta organizazione. E pure in questa atmosfera impressionante ttraverso la quale passa ogni giorno, talolta, persino ogni ora, l'eco di qualche canonata, si può godere, qualche momento di lta lieta e riposante. Al mattino, prima di mezzogiorno e prima delle 19 alla sera, nel cuoe della! città, dinanzi al caffè più noto, dianzl al bar più affollato, si radunano in massa, la una confusione bizzarra, ufficiali i tutti i gradi, dal generalissimo all'ultimo teentìno, quelli che arrivano dalla linea del fuoo, quelli che ci andranno domani, fra 1 quali "è sempre, inesorabilmente, qualcuno destiato a non ritornare più. Tutti, o quasi tutti valorosi caduti in questi primi mesi di guera, nel fatti d'arme dell'Isonzo, sono passati i qui, trascorsero qui le loro ultime ore mondane. Poiché questo punto, due volte al iorno, è anche il ritrovo di tutte le belle gnore e le belle ragazze di X, che elargiscoo in gran copia sorrisi e occhiate al miliati, che ne hanno tanto bisogno. E' l'ultimo infresco femminile prima di lanciarsi a caofitto nell'incendio della guerra. E' passato i qui, prima di recarsi ai fronte in Cadore, nche, un famoso generale genovese, che àeva già fatto molto- in Trentino, ed ora, hiamato a un più alto grado era destinato a are moltissimo. Egli è uno di quelli che non passeranno più. Sprezzante del pericolo om'era sua abitudine, si recò oltre gli avamosti a ispezionare una trincea abbandonata er dirigere 1 tiri delle artiglierie. Erano con ui pochi ufficiali e una piccola pattuglia di oldati. Pochi metri più in là c'erano le trinee nemiche. Era un punto pericolosissimo. Non si esponga generale!» gli raccomanavano gli ufficiali intorno. Ma egli, come al olito, scrollò le spalle e di?se la sua celebre rase: avanti! avanti!, e si drizzò sulla trincea er meglio osservare la posizione. In quel momento una palla lo colpi in fronte, e il geneale senza paura, che soleva affermare di esere invulnerabile, stramazzò al suolo, morto. Dopo il flagello E, insieme agli ufficiali, nel cuore della eltà, passano anche due volte al giorno le nozie — quelle buone • che vengono direttamente dal fronte. I tragici combattimenti di odgora, une impegnarono per alcuni giorni entinaia di pezzi d'artiglieria e migliaia di ucili, poterono essere séguiti di qui, attraerso gli echi che ne giungevano man mano oi treni del feriti, o coi ■ oamions». E Podora, la collina infernale, è finalmente caduta. i può dire anzi che non esista più. Le artilierie e lo baionette italiane l'hanno spazzata elle migliaia di nomici che vi si annidavao nei io trincee di cemento armato, e non hanp soltanto spazzato Bili uomini, hanno spiaato il terreno. Le poche case, cho si .trovavao sulla collina, gli alberi, t cespugli, gli arbui, tutto è scomparso, raso, incenerito. La stesa configurazione della collina appare camata. Podgora è ormai un mucchio di terreno rso e minato, sul quale è passato un flagelo. Qualche incendio arde ancora qua e là, evando al cielo torbide colonne di fumo... e ient'altro... Ho già narrato molti degli infiiti episodi successi in quelle drammatiche iornale di battaglia. Ne ricorderò ancora ualcuno. In uno dei famosi attacchi notturni —poihé intorno a Podgora si è combattuto quasi empre ui notte — una nostra compagnia era ngolarmente esposta. Il capitano, ferito, era ià all'ambulanza, e il coniando era stato pree da un tenente, che continuò a dirigere l'atacco benone due volte ferito. La compagnia, mpegnata a fondo, stava per respingere imetuosamente il aemico alla baionetta, o il teente non voleva in quel momento abbandoare U suo posto. Sentiva che gli andavano mancando le forze, ma colla rivoltella In pù- uo con^uigft a cagata ai p^^sm» gnia, mentre i suol soldati, nella esaltazione ]della battaglia, lo seguivano al grido di . Sa- !volali. Gli altri ufficiali caddero accanto alui ed «gli rimase l'unico del reparto. La sorto di questo era dunque nelle sue mani, E .resistette ancora. Ma all'Improvviso una terza pallottola lo colpi, e questa gli perforò il polmone. L'eroico tenente cadde, mandando una imprecazione. Avrebbe. voluto cadere dopo, quando la sua compagnia avesse vinto! Ma ebbe una consolazione. Vistisi soli 1 soldati, non si sgomentarono, e gridando : « Arrivederci signor tenente I » partirono per conto loro in un assalto cosi furioso che il nemico fu respinto lontano. E mentre lo trasportavan via <n barella, il tenente potè udire ancora una volta l'urlo magnifico: « Savoia! », che 1 suol soldati vittoriosi levavano al cielo. Amici «no alla morte! Un altro episodio di Podgora: una notte fu mandata una pattuglia a minare le posizioni nemiche con le cosidette a pertiche glappo- 5Sl ». Quando c'era bisogno di impiegare uomini in questa difficile impresa, si chiedeva sempre chi volesse andare. Recarsi fuori delle nostre trincee, avvicinare quelle nemiche, deporvl la dinamite, e fuggire, significava giocare la vita sopra una carta. Per questo si inviavano soltanto coloro che volontariamente si offrivano. Il numero' di questi, manco a dirlo, superava sempre il necessario. Quella volta ottennero di andare il- tenente di cavalleria principe di T., con um tenente del genio e una pattuglia di otto uomini. SI trattava di munirsi di lunghe pertiche, recanti ciascuna sulla cima una cartuccia di dinamite. Il soldato cosi poteva deporre la cartuccia senza avvicinarsi troppo. Nello stesso tempo 1 componenti la pattuglia erano muniti delle tenaglie per tagliare l reticolati. L'operazione di quella notte era della massima importanza. Si trattava di distruggere una trincea delle più tormentose per noi, di liberarci di un reticolato, che più degli altri ostacolava la nostra avanzata, e pel quale tanti dei nostri avevano lasciato la vita. Si sa peva anche come il nemico avesse deciso di difendersi con tutti i mezzi in quella posizione, che voleva gelosamente custodire. Ciò nondimeno la pattuglia parti, incurante del pericolo,, ma consapevole. Prima di partire i due ufficiali, uno dei quali era un principe, é gli otto soldati si riunirono, e colle mani tese pronunciarono un solenne giuramento. Giurarono che, quanti fossero tornati vivi da quell'impresa, sarebbero stati legati sempre, in qualsiasi circostanza della vita, da un'amicizia fraterna. E andarono... Le mine furono collocate, 1 reticolati'furono tagliati. Ma non tutti ritornarono. Il principe rimase ferito, e. il tenente del genio, che aveva assunto il comando della pattuglia, cadde vittima della propria generosità. KJno del suoi soldati era intento a tagliare un reticolato. A un tratto un'ombra si avvicinò senza ch'egli se ne accorgesse. Era un austriaco armato di baionetta. Il colpo stava per essere vibrato, e il nostro soldato sarebbe caduto ucciso, indubbiamente. Ma il tenente,* che aveva veduto, si precipitò innanzi, gridando: « Bada che ti ammazzano! », e parò col suo corpo il corpo del soldato. La baionetta gli trapassò il cuore. Il tenente aveva mantenuto il giuramento: aveva salvato la vita al'amico. Questo giovane eroico ufficiale del genio aveva 25 anni, e da cinque mesi appena era sposato! Le notti di San Michele Qualcosa di simile a quanto accadde a Podgora, a destra dell'Isonzo, successe più a sud, sulla sinistra del fiume, a San Michele della Battaglia, una collina alta 275 metri, che si innalza di fronte a Gradisca. Qui si combattè per parecchie notti di seguito cotn furia tremenda. Dalla città donde scrivo si udiva il rombare continuo delle cannonate e si vedevano levarsi in cielo,' nella notte, riflessi lontani d'incendio. SI racconta che In tutto, in questa battaglia, nel solo secondo attacco, siano stati sparati 72 mila colpi di cannone. Io però credo che nessuno abbia avuto tempo di contarli. Durante la lunga battaglia, alla cui violenza ha perfino accennato il comunicato ufficiale, il colle di San Michele fu preso, abbandonato, ripreso. Si è combattuto qui con utti i mezzi possibili e impossibili, colle-granate, cogli shrapnels, a fucilate, a baionettate, colle bombe a mano, colle bombe asfissianti, con speciali valanghe di sassi, che venivano atte rotolare sul nostri mentre s'arrampicavano per la collina negli attacchi alla baionetta. Vi furono, terribili a corpo a corpo, sostenuti mirabilmente dal bersaglieri e dagli alpini. E finalmente la vittoria fu nostra e gli austriaci furono posti in rotta, sterminati. La difficoltà di questa grossa battaglia tu de. erminata sopratutto dalla natura del terreno, che già si presenta colle caratteristiche del Carso, offrendo al nemico molte e comode serie di trincee naturali. Le grotte sul tipo di quella famosa che ha 4 chilometri di lunghezza e in certi punti un chilometro di larghezza, abbondano sul Carso ed è all'imbocco di molte di esse che si svolge a battaglia tra gli austriaci e i nostri alpini. Queste grotte sono dovute in gran parte ai fiumi del Carso che hanno • corsi Irregolari curiosissimi, in certi tratti invisibili, perchè scorrono sotto terra, in certi altri sperduti in mille rigagnoli, cosicché il letto scompare e non lo i ritrova che più lontano. Le acque, che si cavano le gallerie nella roccia, a volte si riirano, lasciando le grotte libere o vuote, ed è precisamente di queste cho si valgono a meraviglia gli austriaci nella guerra che oggi si ombatte. I cannoni sulle rotaie DU solito essi costruiscono' le loro trincee dinanzi all'ingresso di queste grotte. Cosi, uando le nostre truppe pronunciano un atacco e s'impossessano alla baionetta di una rincea, il nemico che ha sparato di là fino all'ultimo, fugge, all'istante in cui si vede peruto, per la galleria sotterranea, che lo porta dall'altra parte della roccia presso i suoi acampamenti. E gli Italiani, che avevano sperato d'inchiodare colle baionette 1 nemici nelle loro posizioni, non trovano nessuno c debbono accontentarsi di conquistare la trinea vuota. Ciò fa irritare sopratùtto gli alpini, quali, appena lo possono, si vendicano con gesta prodigiose. Un coso di vendetta di alpini è appunto accaduto qualche giorno fa presso una dello grotte del Carso, nelle vicinanze di Monfalone. Trecento austriaci avevano disturbato un nostro battaglione di alpini, sparando al iparo d'una trincea naturale: una delle tante pezzettature che tagliuzzano la roccia. Poi, all'improvviso, quando gli alpini erano mossi par cacciarli di là, 11 fuoco «ra cessato. Allora gii àkw iptoiam il mm aìojspmm» che 11 nemico tentava la fuga per una delle solite grotte. Alcuni di essi, che nel giorni precedenti avevano perlustrato 11 terreno, in dovlnaroho quale doveva essere la grotta scelta dal reparto austriaco per la fuga, e guidarono i compagni attraverso un passaggio segreto sino allo sbocco opposto della galleria Gli alpini, pel quali arrampicarsi pel Carso è uno scherzo, arrivarono facilmente colà e una gran parte del battaglione s'appiattò ai lati dell'uscita. Un respiro di gioia sollevò i petti degli alpini quando si accorsero che 1 nemici non erano ancora sbucati. Attesero parecchio in un'ansia vivissima. E finalmente il primo austriaco apparve. Non ebbe il tempo di mandare un grido. I pugni di due alpini gli calarono sul capo, e fu finita, n secondo fu.baionettato, e consimile fu la sorte del terzo. Ed uno alla volta quasi tutti l trecento... coraggiosi furono presi e massacrati in quella specie d'imboscata. Soltanto pochissimi riuscirono per combinazione a salvarsi. Le frasi degli alpini durante quella spederai « pestaggio erano le più amene che si potesse immaginare: « ci siete... vigliacchi!... V'insegnamo noi a lasciarci le trincee vuote nelle mani!. Avete visto a che cosa conducono le grotte del Carso? ». E se la godevano un mondo. Erano stati, giuocati tante volte: adesso vendicavano. Avevano ragione. Un altro uso a cui gli austriaci adibiscono le grotte del Carso è quello di mascherare le artiglierie. Essi gettano entro le grotte più comode certi binari speclaU, su cui fanno scorrere i cannoni. All'Imboccatura della grotta verso il campo italiano, il cannone spara il colpo, poi, appena sparato, scórre sulle rotale e scompare nella galleria, sbucando dall'altra parte nella fossa austriaca. I nostri pezzi percuotono il punto dal quale il colpo è partito, ma il cannone non c'è più ! Ma anche di questo inganno gli austriaci avranno a pentirsi, come si sono pentiti quel trecento che subirono la vendetta degli alpini. Audacie d'aviatori La nostra azione sul Carso e sull'Isonzo è stata dall'inizio della guerra magnificamente coadiuvata dagli aviatori. SI può dire che la dichiarazione di guerra all'Austria all'estremo confine orientale la portarono 1 nostri areoplani. Quando si apersero le ostilità, alla mattina all'alba quaranta areoplani rapidi a sicuri come falchi, oltrepassarono il confine... celeste e volarono sul campo austriaco gettando bombe in quantità! e ritornarono*tutti. Poi, sempre, di ogni azione furono i coadiuvato ri potenti. Gli areoplani italiani volano ogni mattina con costanza incredìbile sul campo nemico, e non gettano bombe al solo scopo d'Intimorire le popolazioni, quando ciò non è necessario, ma fanno ben altro. Accanto all'aviatore vi è l'ufficiale osservatone che stm dia le posizioni nemiche, osserva ove si trovino le batterie, e quali spostamenti siano avvenuti nelle trincee. Per eseguire col massimo scrupolo le loro osservazioni, i nostri valorosi aviatori non badano a rischi. Discendono dalla quota di 2000 anche a quella di 1000 o di 600 metri, a costo di essere -colpiti dalle mitragliatrici. Uno di essi, recatosi a bombardare Duino, sul golfo di Panzano, discese sino: a;40 metri da terra, e da quell'altezza Incendiò colle suo bombe il parco deposito di munizioni. Fu assalito da una vera tempesta di proiettili. ■ Sembrava — egli ha raccontato — che t

Persone citate: Battaglia, Duino, Panzano