Come si sente la guerra da una città del Friuli

Come si sente la guerra da una città del Friuli Come si sente la guerra da una città del Friuli Notizie da Podgora, da San Michele, dal Carso (Dal nòstro inviato speciale) X, nei Friuli, luglio. Sono arrivato. Dio sa come, in questa cittproibita, tutta sole o temporali: sole al mattino, temporali al pomeriggio o viceversaLo stratagemma usato per entrarvi nou vlo saprei ridire: e lo saprebbero certo mendi me, lo sentinelle, i carabinieri, i poliziottche avrebbero dovuto impedire l'Ingresso a uuomo reo di essere giornalista. Fatto sta chci sono, che me ne andrò prestissimo, e chquando me no sarò andato, nessun santo mfarà ritornare. E meritava davvero di venirciE' una città completamente militare, la ver.citta della guerra. I militari si sono sovrapposti alla popolazione, tanto che questa quasi sparita. Se ne vede soltanto la partfemminile, che va e viene febbrilmente iquesto ambiente di febbre, tra le fiumane dufficiali e soldati, che ogni giorno si riversano in queste vie belle di antichità, • bizzarre di contorsioni, e ogni giorno si avvianvèrso II fronte, al Carso e all'Isonzo, per lasciare il posto ad altre fiumane. Anche glstorici palazzi dagli oscuri porticati, dai cortili tappezzati di erba ed ornati di piante « di fiori, sono militarizzati : trasformati ' in caserme, in uffici di Comandi, In ospedaliSentinelle dappertutto: ogni tanto vi è un angolo di strada dove non si passa. Si dà ! un'occhiata furtiva nel tratto di via proibito e si vede l'ingresso a qualche Comando segreto, a qualche deposito più segreto ancoraOgni buca delle lettere è sorvegliata da un 'carabiniere, ogni ritrovo di borghesi, si potrebbe quasi dire ogni borghese, è posto sotto ■una sorveglianza speciale. Un giornalista, che ;ebbe la dabbenaggine di apparire ieri nella ,vla principale in perfetta tenuta da corrispon■ dente di guerra — abito-sport, gambali, macchina fotografica e revolver — ebbe la gra:dlta sorpresa di vedersi, dopo pochi passiun carabiniere a destra e un altro a sinistraiche gli indicavano gentilmente la strada per arrivare più presto in Questura. I veicolsono tutti militarizzati. Soltanto 1 trams, questi poveri trams da città di provincia dipintin giallo sporco, ricordano la vita normale idi X, quand'essa dormiva, solitaria e tranquilla, in faccia alle sue montagne, all'om bra dei suoi vetusti palazzi, tra le sue statue, tra i suoi giardini. Adesso le strade sono percorse da mattina a sera da un fremito convulso di vita eccezionale. Automobili, camlonsmotooiclette, biciclette, carri, vetture, vi s Incrociano continuamente. Par d'essere in una piccola Parigi... prima della guerra. E questi veicoli di tutte le specie vanno o tornano dal fronte trasportando generali, ufflciali, soldati, feriti, infermieri, preti, armi munizioni, barelle. Parrebbe la capitale decaos, questa caratteristica X friulana, ed è Invece semplicemente la capitale della guer ra, il centro di una vasta e perfetta organizzazione. E pure in questa atmosfera impressionante attraverso la quale passa ogni giorno, tal volta, persino ogni ora, l'eco di qualche cannonata, si può godere, qualche momento dvlta lieta e riposante. Al mattino, prima di mezzogiorno e prima delle 19 alla sera, nel cuore della! città, dinanzi al caffè più noto, dinanzl al bar più affollato, si radunano in massa, la una confusione bizzarra, ufficiali di tutti i gradi, dal generalissimo all'ultimo tecentìno, quelli che arrivano dalla linea del fuoco, quelli che ci andranno domani, fra 1 quali v"è sempre, inesorabilmente, qualcuno destinato a non ritornare più. Tutti, o quasi tutti i valorosi caduti in questi primi mesi di guerra, nel fatti d'arme dell'Isonzo, sono passati di qui, trascorsero qui le loro ultime ore mondane. Poiché questo punto, due volte al giorno, è anche il ritrovo di tutte le belle signore e le belle ragazze di X, che elargiscono in gran copia sorrisi e occhiate al militati, che ne hanno tanto bisogno. E' l'ultimo rinfresco femminile prima di lanciarsi a capofitto nell'incendio della guerra. E' passato di qui, prima di recarsi ai fronte in Cadore, anche, un famoso generale genovese, che à.veva già fatto molto- in Trentino, ed ora, Chiamato a un più alto grado era destinato a fare moltissimo. Egli è uno di quelli che non ci passeranno più. Sprezzante del pericolo com'era sua abitudine, si recò oltre gli avamposti a ispezionare una trincea abbandonata per dirigere 1 tiri delle artiglierie. Erano con lui pochi ufficiali e una piccola pattuglia di soldati. Pochi metri più in là c'erano le trincee nemiche. Era un punto pericolosissimo. «Non si esponga generale!» gli raccomandavano gli ufficiali intorno. Ma egli, come al eolito, scrollò le spalle e di?se la sua celebre frase: avanti! avanti!, e si drizzò sulla trincea per meglio osservare la posizione. In quel momento una palla lo colpi in fronte, e il generale senza paura, che soleva affermare di essere invulnerabile, stramazzò al suolo, morto.Dopo il flagello E, insieme agli ufficiali, nel cuore della elttà, passano anche due volte al giorno le notizie — quelle buone • che vengono direttamente dal fronte. I tragici combattimenti di Podgora, une impegnarono per alcuni giorni centinaia di pezzi d'artiglieria e migliaia di fucili, poterono essere séguiti di qui, attraverso gli echi che ne giungevano man mano coi treni del feriti, o coi ■ oamions». E Podgora, la collina infernale, è finalmente caduta. Si può dire anzi che non esista più. Le artiglierie e lo baionette italiane l'hanno spazzata delle migliaia di nomici che vi si annidavano nei io trincee di cemento armato, e non hannp soltanto spazzato Bili uomini, hanno spianato il terreno. Le poche case, cho si .trovavamo sulla collina, gli alberi, t cespugli, gli arbusti, tutto è scomparso, raso, incenerito. La stessa configurazione della collina appare cambiata. Podgora è ormai un mucchio di terreno arso e minato, sul quale è passato un flagello. Qualche incendio arde ancora qua e là, levando al cielo torbide colonne di fumo... e nient'altro... Ho già narrato molti degli infiniti episodi successi in quelle drammatiche giornale di battaglia. Ne ricorderò ancora qualcuno. In uno dei famosi attacchi notturni —poiché intorno a Podgora si è combattuto quasi sempre ui notte — una nostra compagnia era singolarmente esposta. Il capitano, ferito, era già all'ambulanza, e il coniando era stato prete da un tenente, che continuò a dirigere l'attacco benone due volte ferito. La compagnia, impegnata a fondo, stava per respingere impetuosamente il aemico alla baionetta, o il tenente non voleva in quel momento abbandonare U suo posto. Sentiva che gli andavano mancando le forze, ma colla rivoltella In pù- guo con^uigft a cagata ai p^^sm» gnia, mentre i suol soldati, nella esaltazione ]della battaglia, lo seguivano al grido di . Sa- !volali. Gli altri ufficiali caddero accanto a.lui ed «gli rimase l'unico del reparto. La sorto di questo era dunque nelle sue mani, E .resistette ancora. Ma all'Improvviso una terza pallottola lo colpi, e questa gli perforò il polmone. L'eroico tenente cadde, mandando una imprecazione. Avrebbe. voluto cadere dopo, quando la sua compagnia avesse vinto! Ma ebbe una consolazione. Vistisi soli 1 soldati, non si sgomentarono, e gridando : « Arrivederci signor tenente I » partirono per conto loro in un assalto cosi furioso che il nemico fu respinto lontano. E mentre lo trasportavan via <n barella, il tenente potè udire ancora una volta l'urlo magnifico: « Savoia! », che 1 suol soldati vittoriosi levavano al cielo. Amici «no alla morte! Un altro episodio di Podgora: una notte fu mandata una pattuglia a minare le posizioni nemiche con le cosidette a pertiche glappo- 5Sl ». Quando c'era bisogno di impiegare uomini in questa difficile impresa, si chiedeva sempre chi volesse andare. Recarsi fuori delle nostre trincee, avvicinare quelle nemiche, deporvl la dinamite, e fuggire, significava giocare la vita sopra una carta. Per questo si inviavano soltanto coloro che volontariamente si offrivano. Il numero' di questi, manco a dirlo, superava sempre il necessario. Quella volta ottennero di andare il- tenente di cavalleria principe di T., con um tenente del genio e una pattuglia di otto uomini. SI trattava di munirsi di lunghe pertiche, recanti ciascuna sulla cima una cartuccia di dinamite. Il soldato cosi poteva deporre la cartuccia senza avvicinarsi troppo. Nello stesso tempo 1 componenti la pattuglia erano muniti delle tenaglie per tagliare l reticolati. L'operazione di quella notte era della massima importanza. Si trattava di distruggere una trincea delle più tormentose per noi, di liberarci di un reticolato, che più degli altri ostacolava la nostra avanzata, e pel quale tanti dei nostri avevano lasciato la vita. Si sa peva anche come il nemico avesse deciso di difendersi con tutti i mezzi in quella posizione, che voleva gelosamente custodire. Ciò nondimeno la pattuglia parti, incurante del pericolo,, ma consapevole. Prima di partire i due ufficiali, uno dei quali era un principe, é gli otto soldati si riunirono, e colle mani tese pronunciarono un solenne giuramento. Giurarono che, quanti fossero tornati vivi da quell'impresa, sarebbero stati legati sempre, in qualsiasi circostanza della vita, da un'amicizia fraterna. E andarono... Le mine furono collocate, 1 reticolati'furono tagliati. Ma non tutti ritornarono. Il principe rimase ferito, e. il tenente del genio, che aveva assunto il comando della pattuglia, cadde vittima della propria generosità. KJno del suoi soldati era intento a tagliare un reticolato. A un tratto un'ombra si avvicinò senza ch'egli se ne accorgesse. Era un austriaco armato di baionetta. Il colpo stava per essere vibrato, e il nostro soldato sarebbe caduto ucciso, indubbiamente. Ma il tenente,* che aveva veduto, si precipitò innanzi, gridando: « Bada che ti ammazzano! », e parò col suo corpo il corpo del soldato. La baionetta gli trapassò il cuore. Il tenente aveva mantenuto il giuramento: aveva salvato la vita all'amico. Questo giovane eroico ufficiale del genio aveva 25 anni, e da cinque mesi appena era sposato! Le notti di San Michele Qualcosa di simile a quanto accadde a Podgora, a destra dell'Isonzo, successe più a sud, sulla sinistra del fiume, a San Michele della Battaglia, una collina alta 275 metri, che si innalza di fronte a Gradisca. Qui si combattè per parecchie notti di seguito cotn furia tremenda. Dalla città donde scrivo si udiva il rombare continuo delle cannonate e si vedevano levarsi in cielo,' nella notte, riflessi lontani d'incendio. SI racconta che In tutto, in questa battaglia, nel solo secondo attacco, siano stati sparati 72 mila colpi di cannone. Io però credo che nessuno abbia avuto tempo di contarli. Durante la lunga battaglia, alla cui violenza ha perfino accennato il comunicato ufficiale, il colle di San Michele fu preso, abbandonato, ripreso. Si è combattuto qui con tutti i mezzi possibili e impossibili, colle-granate, cogli shrapnels, a fucilate, a baionettate, colle bombe a mano, colle bombe asfissianti, con speciali valanghe di sassi, che venivano fatte rotolare sul nostri mentre s'arrampicavano per la collina negli attacchi alla baionetta. Vi furono, terribili a corpo a corpo, sostenuti mirabilmente dal bersaglieri e dagli alpini. E finalmente la vittoria fu nostra e gli austriaci furono posti in rotta, sterminati. La difficoltà di questa grossa battaglia tu de. terminata sopratutto dalla natura del terreno, che già si presenta colle caratteristiche del Carso, offrendo al nemico molte e comode serie di trincee naturali. Le grotte sul tipo di quella famosa che ha 14 chilometri di lunghezza e in certi punti un chilometro di larghezza, abbondano sul Carso ed è all'imbocco di molte di esse che si svolge la battaglia tra gli austriaci e i nostri alpini. Queste grotte sono dovute in gran parte ai fiumi del Carso che hanno • corsi Irregolari curiosissimi, in certi tratti invisibili, perchè scorrono sotto terra, in certi altri sperduti in mille rigagnoli, cosicché il letto scompare e non lo si ritrova che più lontano. Le acque, che si scavano le gallerie nella roccia, a volte si ritirano, lasciando le grotte libere o vuote, ed è precisamente di queste cho si valgono a meraviglia gli austriaci nella guerra che oggi si combatte. I cannoni sulle rotaie ■ DU solito essi costruiscono' le loro trincee dinanzi all'ingresso di queste grotte. Cosi, quando le nostre truppe pronunciano un atacco e s'impossessano alla baionetta di una trincea, il nemico che ha sparato di là fino all'ultimo, fugge, all'istante in cui si vede perduto, per la galleria sotterranea, che lo porta dall'altra parte della roccia presso i suoi accampamenti. E gli Italiani, che avevano sperato d'inchiodare colle baionette 1 nemici nelle loro posizioni, non trovano nessuno c debbono accontentarsi di conquistare la trincea vuota. Ciò fa irritare sopratùtto gli alpini, 1 quali, appena lo possono, si vendicano con gesta prodigiose. Un coso di vendetta di alpini è appunto accaduto qualche giorno fa presso una dello grotte del Carso, nelle vicinanze di Monfalcone. Trecento austriaci avevano disturbato un nostro battaglione di alpini, sparando al riparo d'una trincea naturale: una delle tante spezzettature che tagliuzzano la roccia. Poi, all'improvviso, quando gli alpini erano mossi par cacciarli di là, 11 fuoco «ra cessato. Allora gii àkw iptoiam il mm aìojspmm» che 11 nemico tentava la fuga per una delle solite grotte. Alcuni di essi, che nel giorni precedenti avevano perlustrato 11 terreno, in dovlnaroho quale doveva essere la grotta scelta dal reparto austriaco per la fuga, e guidarono i compagni attraverso un passaggio segreto sino allo sbocco opposto della galleria Gli alpini, pel quali arrampicarsi pel Carso è uno scherzo, arrivarono facilmente colà e una gran parte del battaglione s'appiattò ai lati dell'uscita. Un respiro di gioia sollevò i petti degli alpini quando si accorsero che 1 nemici non erano ancora sbucati. Attesero parecchio in un'ansia vivissima. E finalmente il primo austriaco apparve. Non ebbe il tempo di mandare un grido. I pugni di due alpini gli calarono sul capo, e fu finita, n secondo fu.baionettato, e consimile fu la sorte del terzo. Ed uno alla volta quasi tutti l trecento... coraggiosi furono presi e massacrati in quella specie d'imboscata. Soltanto pochissimi riuscirono per combinazione a salvarsi. Le frasi degli alpini durante quella spederai « pestaggio erano le più amene che si potesse immaginare: « ci siete... vigliacchi!... V'insegnamo noi a lasciarci le trincee vuote nelle mani!. Avete visto a che cosa conducono le grotte del Carso? ». E se la godevano un mondo. Erano stati, giuocati tante volte: adesso vendicavano. Avevano ragione. Un altro uso a cui gli austriaci adibiscono le grotte del Carso è quello di mascherare le artiglierie. Essi gettano entro le grotte più comode certi binari speclaU, su cui fanno scorrere i cannoni. All'Imboccatura della grotta verso il campo italiano, il cannone spara il colpo, poi, appena sparato, scórre sulle rotale e scompare nella galleria, sbucando dall'altra parte nella fossa austriaca. I nostri pezzi percuotono il punto dal quale il colpo è partito, ma il cannone non c'è più ! Ma anche di questo inganno gli austriaci avranno a pentirsi, come si sono pentiti quel trecento che subirono la vendetta degli alpini. Audacie d'aviatori La nostra azione sul Carso e sull'Isonzo è stata dall'inizio della guerra magnificamente coadiuvata dagli aviatori. SI può dire che la dichiarazione di guerra all'Austria all'estremo confine orientale la portarono 1 nostri areoplani. Quando si apersero le ostilità, alla mattina all'alba quaranta areoplani rapidi a sicuri come falchi, oltrepassarono il confine... celeste e volarono sul campo austriaco gettando bombe in quantità! e ritornarono*tutti. Poi, sempre, di ogni azione furono i coadiuvato ri potenti. Gli areoplani italiani volano ogni mattina con costanza incredìbile sul campo nemico, e non gettano bombe al solo scopo d'Intimorire le popolazioni, quando ciò non è necessario, ma fanno ben altro. Accanto all'aviatore vi è l'ufficiale osservatone che stm dia le posizioni nemiche, osserva ove si trovino le batterie, e quali spostamenti siano avvenuti nelle trincee. Per eseguire col massimo scrupolo le loro osservazioni, i nostri valorosi aviatori non badano a rischi. Discendono dalla quota di 2000 anche a quella di 1000 o di 600 metri, a costo di essere -colpiti dalle mitragliatrici. Uno di essi, recatosi a bombardare Duino, sul golfo di Panzano, discese sino: a;40 metri da terra, e da quell'altezza Incendiò colle suo bombe il parco deposito di munizioni. Fu assalito da una vera tempesta di proiettili. ■ Sembrava — egli ha raccontato — che avessi l'inferno sotto di me ». Per sfuggire si gettò sopra il mare con una manovra cosi violenta, cho lo ali sfiorarono l'acqua— Mail motore funzionava bene. e.quando stava per cadero in acqua l'areoplàno Riprese il volo, levandosi tosto a un'altezza" ove 1 proiettili austriaci non potevano toccarlo più- E ritornò al campo d'aviazione italiano sano e salvo. Un altro aviatore nostro che volava da oltre un'ora sur un accampaménto austriaco per compiere importanti osservazioni, ,fu a un tratto inseguito da due apparecchi nemici. Uno gli volava sopra e l'altro sotto, tentando di prenderlo in mezzo. Furono minuti atroci d'ansia. Tutti tre gli aviatori erano disposti a morire piuttosto che cedere. Ma la fortuna arrise all'italiano, che riuscì a sfuggire a quella caccia, per la sveltezza della sua manovra per l'agilità delle sue evoluzioni. I soldati dei nostri avamposti, che assistettero a quella scéna stupenda, gli gridarqno: « Bravo! ». con tutta la loro vóce, come se egli avesse potuto sentire. GIOVANNI CORVETTO.

Persone citate: Battaglia, Duino, Giovanni Corvetto, Panzano