La roccia dell'Isonzo

La roccia dell'Isonzo La roccia dell'Isonzo (Nostra corrispondenza particolari) C1VIDALE, loglio. Un vulcano fra le Alpi Il nostro liei Ponte del Diavolo era affoliallssimo l'altra sera. E non soltanto per il magnifico panorama di luci, di «reti e di monti che vi si gode, specialmente d'estate. L'acciua del fiume scorre profonda fra le ghiaie del letto, e da un grosso macigno — che la leggenda vuole lionato in mezzo al fiume dalla stessa madre del diavolo In una notte tempestosa — balza su il pilone centralo, che lancia f due bianchi archi alle rive cupe di cespugli c di rami spenzolanti nel vuoto. DI qua e <li là ridono orti pensili pieni-di gliclnie, e guardano come occhi finestre di vecchie case e bifore ogivali di ville Manche ombrate, di plM. E lont«no i'a cerchia dei nostri],monti,-'e .d Valle file. di alberi, che taglilo ^o1riz"?onte'e trascolarono: col cielo. Uni^olcezza tenue emana da tutte le cose, mentre, le due cascate vicine cantano continuamente la loro fresca canzone. E1 un angolo meraviglioso di bellezza e di pace, è un panorama divinò, che pare rubato in Isvizzera. ■Ma i cividalesi e le truppe qui di passaggio guardavano l'altra sera ad- altro: al potente massicciò del Mo.p.tc Siero,.,che nel.vapori dellR sera si colorava di viola e pel costoni più scuri d'ombra aveva brividi e baleni! e vampate di fuoco. Erano le nostre batterie che ruggivano contro le formidabili posizioni di Tolmino. EgU austriaci evidentemente rispondevano, perchè tratto tratto un ciuffo di fumo bianco s'abbarbicava alla montagna come se una mina ne lacerasse 1 fianchi rocciosi; ondeggiava un poco nell'aria, si «fioccava, svaniva: granate da 305, i cividalesi ormai le conoscono. Anche il rombo dello cannonate lontane arrivava fin qui. E il loro cupo rumore e il vivo lampeggiare dei colpi durarono a lungo, più oro. La montagna sembrava avvolta di fiamme e di ■fumo e di tuoni come un vulcano. Lo spetta'colo era magnifico e terribile: tutta l'aria in 'tomo ne tremava. /( primo morto E" fin dal primi giorni della guerra che le 'artiglierie tuonano lassù con insistenza quasi ininterrotta. . Sulla linea del confine, lungo i pendii dei iMatajur e del Colanrat, dietro le rocce e gli 'sterpi e i casolari, le nostre truppe erano ve inule ammassandosi in silenzio. E quando alla, 'primissima alba del 24 maggio scorso fu dato ! l'ordine dell'avanzata, esse giunsero di un prl lino balzo impetuoso fin sulle rive dell'Isonzo. Poche fucilate contro qualche gendarme, che •fuggiva a • gambe levate, qualche prigioniero, che s'era sperduto fra i boschi; qualcuno deb jnostri ferito per essere caduto malamente in "mezzo ai dirupi, e un solo morto: un alpino <La sna compagnia s'era incontrata in tre guarjdie di finanza austriache, di cui due erano riuscite a fuggire* la terza, presa Ih mezzo dai .nostri, aveva gettato le armi ed alzato le ma ;ni. Ma quando gli furono presso e uno gli .mise una mano sulla spalla per prenderlo, e strasse improvvisamente la rivoltella e lo ned dò. Era uno slavo, e cadde poco discosto dalla casa che lo vide nascere. Al domani fu sepolito a Liessa, e i, valligiani gli fecero funerali commoventlsslmi: le donne piangevano, gli uomini seguivano il suo feretro.in silenzio, ijuast fieri che quel morto della nostra guerra fosse della loro razza. Ogni villaggio aveva .mandato corone di fiori. Sotto quei fiori. In riva al torrente natio, egli ora dorme per sempre. La guardia austriaca, che a quest'ora de- ve avere avuto parecchie pallottole nella schiena, giace sepolta a ridosso dì qualche altro cimitero più lontano; ma qui nessuno più la ricorda. La guerra travolge tutto sul suo passaggio: ora urla lontano, fra le gole del Monte Nero, e gli episodi scompaiono come grani di •polvere nei vortici di un uragano. Mine e pupazzi Mentre gli alpini e l'artiglieria da montagna scavalcavano il Colanrat e si gettavano giù per ogni viottolo e per ogni mulattiera, attraverso anfratti profondi e valichi infernali, verso l'Isonzo, le cui acque verdi scintilla vano giù in fondo alla valle, un reparto di bersaglieri avanzava per la strada polverosa che da Pulfero conduce a eaporetto. Oltre Robic, presso Stórtiselo, erano appena passati i ciclisti che una mina scoppiò, facendo.franare un tratto della strada. Le truppe sopravvenienti la riattarono, e avanti U giorno dopo fu scoperta l'unica vittima della mina un ufficiale austriaco che l'aveva accesa e che fu trovato a brandelli fra le ghiaie del Na- tisone. Sulla porta- di Caporetlo ai bersaglieri ci cìisti si fece incontro una. folla di donne e tìl bambini, che si gettarono in ginocchio implorando. Gli austriaci avevano loro detto che gli italiani avrebbero messo a ferro ed a fuoco Il paese e trucidata la popolazione. Imploravano grazia della vita. Ma i nostri soldati che non capivano un'acca di.quel diluvio di consonanti slave, si misero a carezzare i barnbini e a dar loro del pane. Allora furono he nedizloni e lagrime di gioia. Quella povera turba di donne affamate volevano baciare ai soldati le mani, i lembi della giacca, il terreno dove camminavano. Sul campanile fu issatn la bandiera tricolore, ed il paese matilfestò in mille modi la sua gratitudine alla bontà delle truppe. Le quali proseguirono oltre. • Giunte al ponte romano sull'Isonzo, trovarono una trincea piena di austriaci. Finalrniente 1 Ma gli alpini, ch'erano passati e si arrampicavano già pei fianchi del Volinikfecero dall'alto .dei segnali: la trincea era difesa do... pupazzi. I bersaglieri scoppiarono ir( un'omerica risata', poi li scaraventaronopieni d'J,ra. in mezzo .aUe.&caue cerule del fiume. .1 tonto ceraio I fuochi dei bivacchi si accesero, quella sera, sulle due rive dell'Isonzo, mentre lonano tuonavano le artiglierie e le nostse prime granate cominciavano a rodere e sgretoare i forti di Tolmino. Quando alle nostre truppe, che procedevano guardinghe per 11 costone brullo del Colanrat. verso Ilaune e Lonic*o, apparve dinanzi la vallata dell'Isonzo ed in fondo il letto del fiume, che ha le acque color del mare e getta riflessi azzurri sulle rupi nude che lo chiudono, un gran grido'di gioia eruppe dai loro petti. Era un lembo di terra promessa che appariva ai loro occhi: :snn piccolo angolo ridente, pieno di bellezza e di gioia: una visione di sogno che non si può mirare senza commozione. Gli alpini si gettarono giù ruzzoloni per la china erbosa, coprendo col loro^ corpi tutta la montagna; e dietro .di loro si'gettò anche la fanteria a precipizio, gridando. Fu come se una valanga precipitasse verso i paesettl della valle: una valanga urlante e luccicante d'armi, che sbigottì i paesani, tanto che si nascosero in casa, esponendo alle finestre chiuse delle "bandiere bianche in segno... diarresa, L'Isonzo sbocca a Caporetto da una stretta di rocce candide, fra cui scorre profondo — come incassato — fino a Piava, dove le-alto ripe scendono e iT fiume s'allarga gradatamente, tuffandosi In mezzo ni verde della campagna. E il panorama, di quelle "rupi nude, spaccate da crepacci e stilature, addolcite in'alto da qualche cespuglio selvaggio che spenzola sull'acqua, è quanto di più incantevole st possa pensare. Siamo ancora nelle Alpi Giulio, ma la montagna ha già caratteri carsici. E tutta la vallo presenta un considerevole sviluppo di terrazzi e gradinate, ciré danno al paesaggio un aspètto caratteristico, c sono rotte dal lotto bianco di qualche torrente. Poi comincia il verde: boschi scuri di castagni, di roveri, di faggi, tra cui ride, bianco, qualche casolare. 15 poi ancora la roccia nuda. 15 poi, come un gigante, il massiccio e la vetta del Monte Nero ». II Monte Nero Quando i primi comunicati del generale Cadorna parlarono di questo monte, i friulani cascarono dallo nuvole. Monte Nero? Mai sentito nominare! E la meraviglia crebbe quando si vide che sullo carte dello Stato Maggiore, dei T. C. I. e dell'Istituto Da Agostini di Novara era indicato con. questo nome il Kern, nome che in sè non contiene alcuna significazione di nero. Vero ò che gli slavi chiamano cerni prst (dito nero) la sua più alta cima, e più a nord-est, verso il lago di Woclieim, sorge una punta che si denomina cerna, gora (monte nero), una dello, tante montagne nere caratteristiche dei paesi abitati da slavi; ma il massiccio del monto — che ha più vette — si chiama Kern, il quale non 6 affatto un nome slavo o barbaro che occorra italianizzare, derivando dalla radice gallo-celtica eger o car, che vuol dire: rupe, roccia, sasso. II primo a rivendicare l'Italianità di questo nome 6 stato saturnino Freschi sull'^dnniico, a lui poi si è aggiunto Gino Piva sul Resto del Carlino, ed oro., da ultimo, è venuto; autorevolissimo, Bruno ..Guyon sul Marzocco. Questi sostiene veramente che la lontana o. rigine di questo nome derivi dal latino corna (corno). Ma tutti gli studiosi del bacino dell'Isonzo scartano questa ipotesi e sostengono che sì tratta di una sopravvenienza ultima nella nostra toponomastica, come, del resto, nella nostra lingua; perchè da c«cr o car sono derivati anche: Carola. Carniola, Carinzia e 11 ladtno-friulano clas (sassi). Se, dunque, si volesse fare una traduzione' italiana di Kern, bisognerebbe chiamare il monte: Roccia o Rupe o Sasso dell'Isonzo. Ma le leggi ideologiche che regolano i nomi locali e la continuità storica che li riallactìia al passato si oppongono a simili nuovi battesimi, ai quali la tradizione popolare. resiste accanitamente. La leggenda di gloria che i nostri alpini hanno scritto lassù col -loro sangue, ha avvolto di un'aureola anche ii nuovo nome che sembra scolpito su quelle lastre di pietra con caratteri più indelebili dei bronzei. Ma nessuna forza potrà distruggere l'antico monte e Io popolazioni slave e friulane continueranno una delle più profonde tradizioni storiche di queste terre, chiamando il monte col suo nome vecchio e caro di Kern. Una acalata fantastica Quando il tempo sarà venuto di narrare la stordì della conquista del Kern fatta dai nostri alpini, allora soltanto l'Italia e il mondo sa prunno gli eroismi incredibili e inverosimili che hanno dato alla patria questo colosso alpino indispensabile alla sua difesa. La cima raggiunge solo -in. Sila sul livello del mare, ma sovrasta per ben Jtxio il fondo della valle e le sue masse calcaree sovraspinte siti terreni che costituiscono i fianchi della vai le stessa hanno un aspetto veramente imponente e di alta montagna. Queste in asse si affondano tratto tratto in cavità carsiche « in conche, si spaccano in precipizi inaccessibili, e infine si elevano |n un gigantesco lastrone die, quale piano inclinalo, si eleva fino alla vetta o dà al profilo del monte visto da occidente, il suo caratteristico aspetto. Gli slavi, come ho dpttn. chiamano questo lastrone « dito nero » e i friulani «nas« (naso). ph Caporetto la salita al Kern è un po' più ripida che da Tolmino ? lunga e faticosa. Ma le strade carrariccie e i sentieri orribili e mal seguati nel sa^so vivo erano tutti dominati dalle trincee austriache: trincee nascoste nella roccia e blindate e rese più formidabili da po lentissime, costruzioni in calcestruzzo. Le nostre artiglierie di piccolo e medio calibro erano state trascinate a braccia sul dorso del Colanrat e sulle falde del monte Cucco donde avevano cominciato « tempestare di proiettili i fianchi del Kern. Poi erano discese giù nella valle e si erano arrampicate su quo sto monte, accovacciandosi sulle prinie alture colle bocche aperte contro le cinte di Kozliah (che iti slavo vuol dire pascolo di capre). Sterne (eolmo), Mrzli vrh (vetta «recida), le quali verniero scorticate da raffiche violente di Ter ro e. d'acciaio. / Ma -era come gettar sassi centro ima niu raglia di gomma. Il cemento delle trincee austriache è di una elasticità meravigliosa e le granai*1 anche di medio calibro vi schizzano via o no rimbalzano senza produrre alcuna scaiflttura di qualche importanza. Allora entrarono in scena gli alpini. 1 comunicati dello .Stato Maggiore hanno j,'i;ì messo in evidenza le loro gesta epiche, che il popolo ha già cominciato a vestire di leggenda e il poeta della nuova Italia celebrerà in un poema di luci e di gloria. Poiché tutte le vie d'approccio .alla vetta erano sbarrate, da trinceramenti che nessun folle assalto sarebbe riuscito a prendere di fronte, essi decisero di girare la posizione e Piombare sugli austriaci dall'alto. Non era in antecedenza mancato fra gli alpinisti il tentativo di dar la scalata al Kern dal lastrone a piombo che. si ■ vede anche a dl-i stanza sul lato nord-ovest della montagna. Fu- ! rono anche posti dei premi lusinghieri e vistosi; Ma nessuno Vi era mai riuscito. Ci riuscirono gii alpini. In una nptte buia, armati del fucile e di bombe a mano, senza scarpe e coi piedi avvolti nelle fasce per non far rumore, attraverso un burrone impraticabile e lungo un canalone quasi a piceo pieno di asperità rocciose e' di strapiombi che danno la vertigine, aiutandosi colle piccozze e colle funi, montando l'uno sulle spalle dell'altro e poi un terzo è un quarto sulle spalle degli' altri tenendosi alla rup*e colle unghie e col denti salirono e salirono, s'aggrapparono alla cima, tirarono su i compagni, innestarono la baionetta e poi giù in silenzio in un lungo vallone fino alle spalle del nemico. Quando le sentinelle austriache 11 videro piover giù come dal ciclo, restarono inchiodate dallo spavento. E un folle terrore invase tutti nelle trincee. Avvenne un macello incre-' dibile. Nei fossati i cadaveri nuotavano nel sangue e di cadaveri a mucchi fu coperto' anche il. pendio". Dèi nostri pochi uomini feriti, che quando passarono per Cividale, sporsero il capo dai camlons e dai carrozzoni della Croce Rossa agitando bandiere, sventolando fazzoletti, urlando in un' delirio di gioia: — Siamo feriti, ma vittoriosi! EvvivaI E la folla, commossa, rapita, astringer loro la mano, a baciarli* a chiedere particolari, ■ adjj saccompagnarli ai vari ospedali con altre grida di evviva. lfmpnctTscqdm'pSgvn sole, abbrividendo alla brezza dell'Adriatico ri¬ Poi vennero 1 prigionieri: oltre '600, una lunga fila di soldati sporchi, Impolverati, affamati che passarono per le vie della citta in mezzo a un luccichio di baionette e fra due plotoni di càvalleggeri colla' 'sciabola sguainata. La breccia aperta La conquista del K«m è stato un fiero cctpo alla resistenza avversaria sulla linea dell'Isonzo, L'opera di assestamento e di rafforzamento delle posizioni conquistate contro ì numerosi controattacchi che il nemico ha tentato é stata lunga e faticosa. Ma ogni giorno ha segnato un nuovo balzo in avanti, verso gli ultimi trinceramenti avversari, che ora si sono ridótti allo Sleme sotto la protezione dei cannoni di Tolmino. Ma le operazioni continuano. Non se ne possono ancora dare particolari, ma basti sapere che la Nazione può attendere l'avvenire colla più sicura fiducia. Il cannone tuona ancora spesso lassù fra quelle aspre giogaie e le vampate accendono il cielo di luce cosi viva, che i bagliori si vedono talvolta fino a Cividale. Ma si tratta di moti convulsi di una difesa che agonizza. ', Nel potente baluardo dell'Isonzo è stata aperta un* breccia e per la breccia domani le aquile romane si libreranno'a vedo verso la Selva di Teroove e le grotte del Carso, dove già un di fecero il nido. E dietro il loro volo, spinte dal destino, muoveranno lo nostre bandiere sventolando nelnalmente nostro. MTHGHIS.