Serbia leggendaria ed eroica

Serbia leggendaria ed eroica Serbia leggendaria ed eroica (Dal nostro Inviato speciale) OEVGELIA (Serbia), aprile. — Permeitele-. vi presento un eroe: ferito due volte nella guerra contro la Turchia, una volta nella guerra contro la Bulgaria, e ultimamente, una volta ancora, nella guerra attuale contro l'Austria, alla ripresa di Belgrado... Permettete: un altro eroe : ferito nella guerra contro la Turchia, ferito nella guerra contro l'Austria ; e questa volta ha avuto l'onore di essere colpito a pochi passi di distanza dal Re, mentre balzava alla testa del suo plotone fuori dalla trincea per l'attacco alla baionetta. Ah I quel giorno noi vedemmo molte schiene austriache ; e conquistammo due batterie... Permettete: un padre di eroi: de' suoi due figli, l'uno è morto alla battaglia di Tieicentkirid, nella guerra contro la Bulgaria ; l'altro è morto in questi giorni, all'ospdale di Belgrado, in seguito a tre ferite riportate nella battaglia di Hudnik. Padre di eroi, ed eroe egli stesso: combattè nelle guerre !del 1876-77 e del 1877-78 contro la Turchia, e fu ferito due volte alla battaglia di Scumatovotz. Presentazione di eroi ! 'I nomi dalla desinenza slava patronimì"ca in vie si susseguivano nella presentazione, tutti preceduti dall'aggettivazione gloriosa di « eroico » ; e davanti ai miei occhi si susseguivano le figure degli individui, fiere figure di soldati quali voi sogna mo i soldati, con lineamenti sobrii e forti, con gesti brevi e decisi, con occhi luminosi di ardimento ; e la mia mano sentivo nelle strette del saluto il vigore sano e sincero delle mani bene avvezze a brandire la sciabola, a impugnare il moschetto. ■ — Ma non vi sono dunque che eroi in questo paese ?! — Gospodine, quando i figli della vecchia 'te della nuova Serbia sono chiamati alle armi, a combattere e a morire per il Be e per ia Patria, ogni riva, ogni balza, ogni zolla del suolo travagliato tra la DTina e il Timòk, tra il Danubio e la Morava e il Var\dar, esprime un soldato ; e ogni soldato riscuote in sè gli sviriti degli eroi immortali di nostra gente, e a somiglianza di quelli, spontaneamente, necessariamente si foggia. Le nostre truppe, prima che dal principe Alessandro, prima che dal maresciallo, o voivòd, come noi diciamo, Putik, dal maresciallo Stepanovic, dal maresciallo JuriscicSturm, dal.maresciallo Miscic, e dai generali Goikovic e Popovic, protagonisti della gesta odierna, sonò guidate dall'epica memoria di Marco Kralevic e di Milosc Obilic, di Stefano Dusciàn il Potente e di Haiduk Velko, di Giorgio Petrovic il Nero e di Mi losc Obrenovic. In questi nomi è sublimata tutta la Serbia, attraverso tutti i suoi secoli di abiezione di pianto di sangue di lotta di rinascila- di splendore! Ecco:' t Marco Kralevic, il più schietto eroe nazio naie, Orlando a un tempo e Bajardo del sangua slavo, leva l'invitta spada per ogni giusta rivendicazione del debole contro il superbo, cavalca ad ogni avventura più perigliosa e più degna cinto del duplice usbergo della sua inlemeratezza e del suo valor et, c, vuotata la sua enorme coppa di vino, cavace di cento litri, si addormenta nel segno della Santa Croce in una caverna della montagna di Sciar, e promette che il giorno che i Serbi si libereranno dal giogo turco egli cavalcherà innanzi ad essi nella battaglia. E i soldati della nuova Serbia l'hanno veduto, l'hanno veduto coi loro occhi mortali, il giorno della battaglia di Prilcb, caricare alla loro testa contro le schiere ottomane fuggenti, redivivo e immortale ! Ecco ; e Milosc Obilic uccide sultano Murad alla battaglia di Kossovo, là ove, in un nembo senza uguale di co munc sacrificio c di gloria comune, cadde tutta la nobiltà serba, falciata come \-n prato fiorito a maggio. Ecco ; e Stefano Dusciàn s'incorona imperatore a Skopljc, e seguito dai -primati di tutti- i Balcani, dai principi serbi e rumeni e bulgari e greci valica il grande ponte sul Vardar, e ascolta la Messa nella chiesa del San Salvatore 'davanti al meraviglioso altare scullo in le gno cui per nove anni lavorarono tre mo naci artefici bizantini con la più umiliata pazienza e con il più estatico ardore. Ecco e Haiduk Velko, il Pietro Micca serbo, sep pellisct se stesso e i suoi cinquecento uomi ni e tremila turchi sotto le rovine della foltezza di Nisc, avendo appiccalo lui, con la sua mano che non tremò nell'atto, il fuoco alle -polveri, nella Santabarbara. Ecco Giorgio Petrovic, il fondatore della dinastia dei Karageorgevic che oggi regna in ''Serbia, conduce, al principio del secolo scorso, la nuova rivolta contro i Turchi, ed acquista, per la terribilità della sua guerra e per l'implacabilità del suo imperio, il soprannome di Nero: onde il suo nome di Karageorge — kara in turco, nero — onde <l nome di Karageorgevic ai suoi discendenti. Ecco ; e Milosc Obrenovic, ingannato astutamente il vali ottomano di Belgrado, che lo teneva prigioniero, comparendo, vestito dei suoi più ricchi abili di voivoda, sulla piazza di Takò, dice al popolo adunato le immense parole, profetiche della lotta piti vittoriosa- — Eccomi! ed eccovi! dunque, guerra ai Turchi! — E questo, credete, gospodine, e il paese ove la sublimità iella leggenda ridiviene storia del giorno, \ la storia assorge alle grandiosità solenni aV&a leggenda. Ciascun soldato, ciascuno dei nostri soldati che ieri combatteva contro la Turchia o contro la Bulgaria, che oggi combalte contro l'Austria, ha pieno l'animo di questi splendidi nomi e di queste epiche gesta: la tradizione vive imperi tura nella esaltazione dei canti popolari ; e ciascun serbo l'ha innovata, ricantandola in tante e fante sere di feste familiari, sull'accompagnamento basso della guzle u Qualmente tradizionale; ed essa, la tradìnone —■ leggenda, storia, poesia, imperativo categorico del dovere eroico, del sa erificio e del valore — è sua, cosa intimamente e inviolabilmente sua, come il sangue e il latte che gli ha dato la mamma, come la casa e il campo che gli ha trasmesso in eredità il padre, come lo scapolare e la fede che gli ha donato la Adontata. Coti è, gospodine: cercate, di penetrare i tentìmen tiacssrpsinb—tecpamta'pmcdvmgpodfltmccmdtcfsdtrpfittcdirpbtgtdccndssmscecnsqdfibvfrraptggpfsnnllcsmcc e e n a , ti del nostro popolo, dal più nobile voivoda al più umile conladino ; ascollate i nostri canti ; studiate lo svilito delle nostre tradiioni ; meditate la significazione delle nostre leggende ; e voi vedrete emergerne questo, che io vi ho detto, imperativo categorico del dovere eroico ; e voi comprenderete perchè noi siamo un popolo meglio che di soldati, di eroi: perchè dopo tre guerre, in tre anni, ciascun nostro soldato, il nobile voivoda e l'umile contadino chiedono: — Qual'è la nuova guerra che noi combatteremo per la più grande Serbia ? Cosi ù, difatto. E il piccolo popolo serbo, che da tre anni non conosce più attività pacifiche, non pratica più commerci, non arti, non professioni, non industrie, non mestieri, ma solo infaticatamente accanitamente, disperatamente combatte: questo 'popolo che è tutto unanime nel convincimento e nel proposito che non si possono, che non si devono posare le armi se non dopo avere conquistata la vittoria decisiva: questo popolo che ha già avuto i suoi maschi decimati d'un terzo, che solo nella guerra contro l'Austria ha lasciato sui campi di battaglia più di centomila uomini, che oggi, travagliato dalle epidemie, estenuato dall'immane sforzo, si prepara con il più fervido e allegro entusiasmo a riprendere l'offensiva contro il nemico, a invadere il territorio del nemico, questo popolo ben dimostra che l'armi hanno scarso valore in confronto alla mano che le impugna, in confronto al cuore che guida la mano: dimostra che la suggestione d'una bella tra dizione ha ancor oggi un'incalcolabile virtù animaliva, può-ancor oggi sconvolgere i calcoli eccessivamente ragionati, i calcoli fondali unicamente- sul giuoco dei numeri, sul contrasto delle forze materiali palesi: dimostra sopratutto, che la più grande vittoria non è che la conseguenza del più duro sacrificio, non è che l'atto della volontà più tenace. Questo popolo di contadini, di figli della terra, ha, come la terra, un'intima sanità e un vigore pertinace che continuamente si rinnovano: i campi serbi, che oggi le donne coltivano, in sostituzione degli uomini, ridanno regolarmente, senza interruzione negli anni della, guerra, il loro pingue frullo agreste, il pane di domani per le schiere' combattenti ; e l'esercito serbo, diminuito nel numero, ma non indebolito nella compattezza e nello slancio, rida giorno per giorno alla storia eroi ed eroi — Olà le canzoni paesane li esaltano e li transfigurano gloriosamente, le canzoni che domani ecciteranno i nuovi combattenti. rolusilatrmre dlancgupTriste viaggio . Siamo partiti stamane da Salonicco, tre corrispondenti di guerra di giornali francesi ed io. La città, che insieme con la penisola Calcidica e con le basse valli del Vardar e della Struma, è da due anni in possesso dei Greci, ma verso cui già si protesero, per il dominio della grande via di co municazionc tra l'Oriente e l'Occidente, tra i scali levantini e il centro dell'Europa, si protesero le più avide ambizioni austriache, oggi avviate forse all'ultima delusione e alla più nefasta rovina, e attorno a cui contrastano ancora, tacitamente ma accanitamente, le inesauste aspirazioni di ciascuno stato balcanico, ci era apparsa ieri, quando vi giungemmo dal mare, splendida di sole, con il suo porto affollato di piroscafi e di velieri, con i suoi diversi quartieri bianchi e grigi e rossigni sparsi lungo la riva e al declivio di qualche altura, con le ferrigne mura merlate della sua antica rovinala fortezza in allo. Da ogni quartiere i minareti delle moschee si elevavano appuntandosi nell'azzurro, lunghi esili steli per il fiore ideale della preghiera ; e nell'aria serena, in cui si spandeva il confuso tumulto dei traffici e dei mercati, ed echeggiavano voci sonore nei più diversi linguaggi di lutti i paesi mediterranei, nell'aria primaverile ondeggiavano, alternandosi mescendosi, gli odori della salsedine corrotta e del pesce conservato e del fradiciume fangoso e i profumi delle spezie asiatiche e degli agrumi delle isole. Stamane, invece, Salonicco scolorava, sotto un ciclo burrascoso, avvolta in un nembo scrosciante di pioggia. Alla stazio ne, sui marciapiedi interrotti qua e là da larghe pozze d'acqua, sotto gli stillicidii delle tettoje sforacchiale, si premeva una folla diversa e disordinata. C'erano una trentina di medici militari francesi, in divisa, che formavano l'ultimo scaglione della mis sione sanitaria avviata in Serbia; c'erano molti russi, uomini e donne, che tornavano in patria per la via di Nisc e Bukaresl, c'erano parecchi commercianti, di quelli cui le. eccezionali condizioni dei paesi in guerra forniscono l'opportunità degli affari più ardili c inverosimilmente vantaggiosi; e c'era qualche famiglia di povera gente, qualche gruppo di cenciosi, qualche donna smunta e affiacchita coi bambini aggrappali alle gonne scolorate e lacere, con un poppante dallo sguardo senza luce in collo-. donde venivano? dove andavano? perchè migravano? Non so bene il perchè: vieti fatto di pensare la miseria come qualcosa di stabile in un luogo, di immoto in questo o in quel paese; e invece la vera miseria, la miseria più affamata e più affaticata, è nomade. E voi la ritrovate ovunque, senza caratteristiche speciali, ossia con gli stessi identici aspetti ovunque, accosciata alla prua d'un transatlantico, pigiata entro il vagone d'una grande linea transcontinentale, distesa sulle pietre d'uno scalo portuario o sul marciapiede d'una stazione. Mà perchè vanno, questi miserabili? perchè mutano paese, se ciò che è per essi più triste, se il loro destino perverso permane immutabile? — In quanto che vi pare, o pare almeno a chi viaggia lungamente, che siano sempre gli stessi — tanto la miseria ha identici aspetti e modi — siano sempre gli stessi che s'incontrano, sotto tutti i cieli, per tutte le grandi vie di transito del mondo. E sono, forse, gli stessi..., E si trascinano interminabilmente, vagabondi i cui volli paiono tratteggiati dalla matita di un Rembrandt nevrastenico o di un Goya misantropico, i cui cenci paiono idratati e rappezzati e sfrangiati nella più ridicela tgvumu éi un Caltot p» nnmndrgtfillepltpmlimdpddlscoguenvvtciclrcscavdltppdnrotdctPmmtfdtns rodisla, si trascinano interminabilmente lungo tulle le vie di maggior transito, quasi trasportati su questi canali centrali della civiltà dalle correnti che producono, trascorrendo, gli enormi carichi dell'alimentazione umana, i più vasti flussi della ricchezza dei continenti. Cosi, li ritrovale e li riconoscete sulle banchine di Genova o di Le llavre e sugli scali dell'Hudson o della Piata, a una stazione della transiberiana in Manciuria o alla stazione di Salonicco, in una fredda e fosca mattina di pioggia, fra la confusione e il trambusto di una folla affamala nelle pratiche e nei preparativi ultimi di un lungo viaggio. In treno o i o a e e , n a , o , i n a e n n ? : n iia cia ua ar o vi ao atdi salo al» II treno parti verso le 8. Appena in vagone, cominciammo a prendere le precauzioni antisettiche che c'erano state replicatamente consigliate dai dottori della missione sanitaria francese per il paese dove andavamo, per la Serbia che, dopo la più rude prova di tre guerre consecutive, è oigi flagellata da una terribile epidemia di tifo: più precisamente, d'una sorta di tifo finora assai poeo conosciuta e poco studiala dagli scienziati, simile al tifo petecchiale, ma a volte più blanda e a volte più rapida e. più implacabile di questo. Una malattia atroce, che ha mietuto vittime a centinaia, a Belgrado e a Nisc, e negli accampamenti militari e nei campi di concentramento dei prigionieri austriaci e in tutta la popolazione cittadina e rurale. Pare che il mezzo di propagazione dell'epidemia, il mezzo più comune e più efficace, sia il pidocchio: questo piccolo insetto, assai poco pulito, ma pensalo finora innocuo, considerato come un silenzioso e mite abitante delle capellature e delle barbe troppo prolisse e non abbastanza esperte di pettine, sarebbe il funesto veicolo del contagio. E chi si avvia in Serbia, per poco che presti orecchio- a tutto ciò che si dice del conta gio stesso, per la cui descrizione ogni più umile raccontatore pare ritrovi i colori più efficacemente lividi della tavolozza manzoniana per la peste famosa, comincia ad avere una specie di incubo dell'insetto divenuto improvvisamente cosi malefico, esita davanti ad ogni contatto con un letto con un cuscino con un sedile, e sente già irresistibili prurigini corrergli la cute del capo, diffondersi per tutto il corpo... Ah! lo schifo del parassita sudicio, della cosa repugnante, che si uniste al timore deli contagio, all'orrore del male mortale! E noi, mentre il treno correva attraverso vaste praterie e campi a metà allagati, ci affannavamo nell'opera della protezione antisettica: spargevamo di naftalina i divani dello scompartimento, ci ungevamo d'olio canforato le braccia e il collo, come lottatori romani nell'apprestarsi al cimento, ci spargevamo di polvere insetticida i panni, ci strofinavamo i capelli con non so più quale medicamento, di nauseabondo ,.odorè. Una signorina, seduta di fronte a noi, la cui bellezza ricordava quella prosperosa delle donne di Lombardia, e nei cui occhi la malinconica pensosità slava si alternava con lampi di prorompente giocondità, levò gli occhi da un volume di Marcel Prevost che stava sfogliando, e ci contemplò qualche momento curiosamente. Poi ruppe in una risata fresca come una mattina rugiadosa di marzo e sonora come un piovasco improvviso sopra una ve trata. — Pardonnez, messieurs, mais vous offrez en ce moment un des spectacles plus dròles de ma vie ! C'era di che essere lusingati! Ci affrettammo a spiegare alla compagna di viaggio la ragionevolezza, più ancóra, la necessità di tutte le nostre precauzioni, la necessità ch'ella stessa ne prendesse di consimili; e le offrimmo insistentemente i nostri unguenti e le nostre polveri. — Ah. non! absolunient! Je vous en remercie! Vos medicaments puent d'une fa con offreuse. Et avant une demi heure je vous dovrai déjà una migrai ne iu?up portatile. Ah, non! Je ne m'en doutais pas que quatre jeunes hommes auraient tant peur d'une ménace de typhus! E tratta dalla borsetta una fiala d'Acqua di Colonia, se ne sparse il contenuto sulle vesti, nel fazzoletto, nelle mani, per avvol gersi d'un'atmosfera di profumo contro il cattivo odore dei nostri disinfettanti. E ci disse, con un molto grazioso sorriso: — Achille se preservait avec son bou clier: c'était noble. Vous n'avez pour cui rasse qu'un produit pharmaceutique : c'est dégoùtant! La pioggia era cessata. {I velame delle nubi in cielo andava sfrangiandosi e rompendosi: apparivano tra il grigiore lembi lucidi di sereno. Il treno correva tra siepi fiorite di biancospino, lungo campi verdi del tenero grano, verso la frontiera serba. A Gevgelia Siamo arrivati a Gevgelia, il primo paese serbo oltre la frontiera, poco dopo mezzogiorno. E discendendo dal treno, che fa oggi qua una sosta di più di tre ore, sentimmo spirarci in volto un vento di primavera frizzante, saturo di profumi agresti: il vento che scuoteva da qualche albero di frutta e da qualche glicinia, fiorita intorno alla stazione, petali bianchi e rosei e violacei, che trascorreva carico di pollini sulla campagna verdeggiante della nuova Serbia, lungo le rive del Vardàr. E assistendo al ricevimento che le autorità governative è militari serbe hanno offerto ai medici della missione sanitaria francese, allo scaglione che ha viaggiato con noi, ricevimento la cui sotennità e la cui bellezza erano tutte nella sua soldatesca impronta di sincerità e nella sobrietà della sua esplicazione, nei modi e nelle forme quali meglio si addicono a un popolo in guerra che saluta alleati di guerra; e iniziando le prime conoscenze con qualche ufficiale e con qualche soldato serbo; e accogliendo le prime impressioni, e concretando le prime osservazioni di quetta nazione serba, sul cui suolo appena da un'ora sono entrato, con i cui figli vivo appena da un'ora, rubilo ho tenttto ventarmi m—atro atte»Celile cr*W cotrlasondd'trdefrtrtalauegmlaspcpnpblatpbmpcgèpmnnsSilGrccèllvgipsqnpaIcGsspgltarcrqcdiHldsspsvss—prbsricEsspsosd i l a i n o W co che spira epicamente per lutto il pacsej tra la Drina e il Timòk, tra il Danubio e la Morava e il Vardàr: questo leggendario soffio di epopea che si perpetua e si rinnova attraverso i secoli, questo soffio vivo d'innumeri virtù guerresche individuali, d'un esaltalo valore collettivo, che agita e traslorma già in poesia di gesta la cronaca del giorno. A ricevere lo scaglione, della missione francese, condotto dal dottore-capo Bertrand, è venuto a Gevgelia, in rappresentanza del Governo serbo, il capitano Milan V. Georgevic. Il cUpilano Georgevic è ufficiale della riservai in tempi normali egli fa parte della diplomazia; e ultimamente copriva la carica di rappresentante la Serbia a Costantinopoli -, ha lascialo il suo ufficio e le pratiche e le noie e gli studi per impugnare lu spada, per guidare una compagnia nella guerra contro la Turchia, poi nella guerra contro la Bulgaria, poi nella guerra contro l'Austria ; e la sua compagnia è diventata famosa nell'esercito serbo, ove trur non è facile eccellere particolarmente per valore ; e il diplomatico fattosi soldato, -ferito due volte nelle due prime guerre, ha conquistalo sui campi di battaglia la medaglia d'aroenlo, quindi la medaglia d'oro al valor militare. Mi ha promesso che uno di questi giorni mi racconterà l'episodio che gli valse questa,magnifica decorazione. In questi giorni egli è stato inviato, sul confine serbo-bulgaro, per condurre l'inchiesta sui nefasti dei comitale!, che dalla Bulgaria sconfinarono nel paese tra Valandovo e Strùmitza-Stazione, e compirono gli atroci eccidi e le devastazioni del 30 marzo u. s. Da StrùmitzaStazione, ove si trovava stamane, è venuto incontro alla missione francese • e l'ha salutata a nome del Re e del Governo. A Gevgelia egli ha qualche diritto... come dire ? di padronanza ■lamiliare acquisita. La città — ch'è in realtà un grosso paese di campagna, abbastanza ridente e pulito è stata conquistata da suo fratello, sottolenente di cavalleria, nella guerra contro la Turchia: conquistata con quaranta cavalleggeri, facendo prigioniera la guarnigione turca di circa duemila uomini! Una impresa come se ne compivano in altri tempi, o, meglio, come si legge nei poemi che se ne compissero in altri tempi. Ma non i questo il paese dove la poesia eroica divie ne vita, e la vita cotidiana è così fiera che pare poesia?... Un'impresa, d'altro lato, abbastanza semplice, almeno a raccontarsi. Il sottotenente Gcorgcvic, mandato avanti col tuo plotone in ricognizione, entrò in Gevgelia, e capitò inaspettato e, senza a spettarselo sulla guarnigione naca. Nel disperalo frangente, giuoco d'audacia, della più folle audacia. Dichiarò d'essere l'avan guardia della divisione del generale X.. la quale, disse, aveva già circondato la ritta ; e invitò, senza patteggiare, i turchi ad arrendersi. E i turchi bonariamente si arresero, consegnando le armi. Georgevic li chiuse nella caserma ; e inviò due cavalle ri, a spron battuto, a recare la notizia al quartier generale. Il principe, Alessandro, comandante, quando gli riferirono la cosa dichiarò che il sottotenente Georgevic era impazzito ; ma a buon conto inviò a Gevgc Ha un reggimento — almeno un reggimeli lo, diamine! non fosse, altro che per ren dere meno ridicoli quei duemila turchi che s'erano fatti prigionieri da se stessi. 11 banchetto del benvenuto Il vice-presidente della Camera serba, il signor Guuovic, clis. ha accompagnato il capitano Georgevic nell'incontro con la missione francese, ci invita al pranzo di benvenuto. Il signor Guyovic, bell'uomo di vasta corporatura, barbuto e bonario, illustre anch'egli per un bel passato miliare — capitano nella guerra contro la Tifr-chia, prese d'assalto e conquistò la città di. Prizeren — veste il costume nazionale: il giubbetto corto e i larghi calzoni di stoffa pelosa, di lana color cappuccino, con involuti ricami di trecciuole nere, gli stivaloni da caccia, il berrettone di pelo d'astfakan. E secondo l'uso tradizionale della più schietta ospitalità serba, egli non siede a tavola con noi : malgrado la sua età e il suo grado, resta in piedi a servirci. Egli ben ricorda la leggenda secondo cui Vituperatore Dusciàu sarebbe stato còllo da flerissima sventura, avrebbe perduto una battaglia, soltanto per avere, il giorno della sava — la festa familiare serba più caratteristica e sacra— trascuralo di servire i suoi ospiti, per essersi, invece, assiso egli stesso a mangiare e a bere. L'imperatore Dusciàu! Ogni serbo freme d'orgoglio ripetendo il nome del Potente che raccolse sotto il suo dominio, coi Serbi, i Rumeni e i Bulgari e i Greci, u cjie nell'anno 1343, a Skopljé — l'Uskub dei Turchi — s'incoronò sovrano di tutti i Balcani. E oggi, in ogni serbo, alla venerazione per il grande imperatore dell'età gloriosa, si unisce l'ammirazione per il re d'oggi della Serbia, per il re Pietro Karageorgevic. L'un sentimento e l'altro hanno comune il fondamento guerriero, la vibrazione eroica. Che ogni serbo ri citerà prima di lutto, come argomento della sua entusiastica ammirazione per il Re, l'episodio del Re-soldato volontario. E' un episodio della guerra attuale, contro l'Austria. Quando gli Austriaci, varcato il Danubio, invasero il suolo serbo, il Re era gravemente ammalato. A Vrania, tiella piccola città d'acque, il sovrano settantunenne, immobilizzato in un letto, tormentato dalla gotta e dai reumatismi, soffriva dolori atroci. In queste condizioni egli riceve il bollettino di guerra del 30 novembre, che annunzia che gli 'Austriaci, avanzando, sono giunti ai piedi del massiccio di Rudnik, a tuia ventina di chilometri da Topaia e da Tàìtòvo. I due paesi sono sacri nella tradizione serba: è da Topolà onde Giorgio Petrovic, il grande antenato di re Pietro, iniziò, nel 1804, il moto di rivolta contro i Turchi ; ed è nella chiesa di Topolà che riposano le ossa dell'eroe e dei tuoi discendenti, di tutta la famiglia dei Karageorgevic ; ed è a Takòvo, sulla gran piana, che Milosc Obrenovic, spiegando per la seconda volta, nel «ìlfc «* èanUera «natala itila rivoli crmVnhVnasspdAaspglsctadcsapddcnvrosnvd■pnpc ne, disse al popolo adunato le parote indimeli tic ab ili: — Eccomi! ed eccovi T dnn que, guerra ai Turchi! — Ora, il 39novembre tlcll'aiino scoi'.', gli Austriaci ei-ano giunti a una ventina di chilometri do. Topolà e da Takóvo: ancora poche ora, e la fanteria croata avrebbe accampata sulla piazza di Milosc Obrenovic, e i eavtilli ungari avrebbero scalpitato sul sepolcro di Giorgio Pctromc il. Nero...- Re Pialro fece chiamare il suo medico-. — Ilo necessità assoluta — gli dvssx — di rientrare a Nisc per conferire col* primo ministro. — 7o dichiaro — rispose il dottone — che Vostra Maestà non può per nessuna ragione muoversi. — Credo che voi non abbiate bel.i capito: ho necessità assoluta ! — lo debbo ripetere che le condizioni di Vostra Maestà suno tali che non -permettono nessun movimento. — Va bene ! E si alzò ; e si fece portare al treno ; e andò a Nisc. Il primo ministro, s'ugnor Pasic, quando a Nisc si vide davanti il Re, stupì. Il Re gii parlò breve e deciso : — Gli Austriaci stanno per entrare a Topolà. Io non posso permettere che le tombe della mia famiglia siano profanate. O ali Austriaci non arriveranno a Topolà, o per arrivarci dovranno jiassnre sul mio corpo. Il signor Pasic osservò, con tutto il rispetto ma anche con molla fermezza, che il piano di guerra, formulato dallo Stato Maggiore, comportiivu, per necessità inevitabili, l'abbandono di Topolà: doloroso, ma indiscutibilmente necessario. Il Re allora dichiarò : — Voglio andare sul fronte. Fatemi portare al quartiere generale. — Sono costretto — rispose il ministro ad oppormi al desiderio di Vostra Maestà. lo sono il Re; e comando: voglio andare tra i miei soldati. E il settantunenne ritrovò, per un miracolo di esasperata volontà, qualcuna delle sue forze giovani. E fu in piedi e a piedi andò fino all'automobile ; e parti perii campo. Al campo, il capo di Slato Maggiore dell'esercito, maresciallo Putik, e i comandanti d'armala Juriscic-Slurm e Miscic, circondarono il Re, lo scongiurarono a ritornare indietro, gli dichiararono ch'essi dovevano proibirgli assolutamente di avanzare ancora verso le linee, ch'essi declinavano ogni responsabilità per qualsiasi latto che sarebbe potuto seguire. Il Re lasciò i generali, e jiarlò ai soldati: — Gli Austriaci sono quasi alle porte di Topolà e di Takòvo. Io non posso permettere che, me vivo, essi violino i luoghi sacri di Giorgio il Nero e di Milosc Obrenovic. Voi avete fatto due giuramenti di fedeltà: l'uno a me, l'altro alla Patria. Dal ■primo vi sciolgo. Non ho il diritto di sciogliervi dal secondo ; ma dichiaro che chi non si sente l'animo di restare qui può tornare indietro, può andarsene. Io non lo perseguiterò, e non gli serberò rancore. Ma chi vorrà restare qui, a combattere con me, deve essere ben deciso a restare per morire. — E voltosi allo Stato Maggiore, disse — Conducetemi sulla linea, di fuoco. Ancora i generali lo supplicarono di desistere da questo progetto, da questo atto di follìa: gli ricordarono te sue condizioni di salute. — Macché ! — rispose il Re : — Dal giorno di Orléans io non mi sono mai sentito cosi bene. — Re Pietro, che come sottotenente dell'esercito francese combattè la guerra del 70 contro la Germania, alla battaglia di Orléans fece tale prova di valore che fu decoralo sul campo della -.roce della Legion d'Onore. E il Re insisteva: — Voglio andare a sparare, io ! Allora il principe Alessandro, Principe Ereditario, esclamò giocondamente : — Papà, tu sci inatto ! Ma mi piaci tanto, cosi! Andiamo! E presolo a braccio, e presolo in mezzo tra lui e il principe Giorgio, lo condusse alle trincee. Il fuoco, in quel momento, riprendeva su tutta la linea. Il Re si levò su la trincea: — Li vedo ! — disse tendendo il braccio verso la fanteria austriaca che appariva. E impugnando il fucile di un soldato morto, cominciò a sparare. Le palle gli fischiavano intorno, furiosamente. Il terzo soldato alla sue destra cadeva morto. Il secondo soldato alla sua sinistra cadeva ferito. E il Re settantunenne, lieto in volto, ringiovaitilo di trent'anni, sparava, sparava... Quel giorno — 3 dicembre — i Serbi respingevano l'attacco austriaco, s'impadronivano alla baionetta di due batterie, riprendevano l'offensiva su tutto il fronte. E dodici giorni dopo, il principe Alessandro riconquistava Belgrado, rientrava nella cu pitale alla testa delle truppe vittoriose. MARIO BASSI.