La fiera mondiale

La fiera mondiale La Germania durante la guerra La fiera mondiale <r>al nostro inviato speciale) LIPSIA. Marzo, Sa Dresda avrei voluto filare su dirittoa Berlino, soffermarmi qualche giorno nellacapitale, e, fatta una punta ad Amburgo,rkomarmene ffiù per l'Hannover la Westfa-Ita il Wurtsmberg in Italia. Si comincia aparlare con insistenza della nostra entrata'in guerra, e la aera prima d'addormentarmi[penso che sarebbe seccante andarmene a fi-ftno di una tale parola. Tra la nuvolagliabassa del cielo, le frustate schioccanti dipioggia e il fango appiccicoso delle strade,tatto questo sbandieramento multicolore oanpotrebbe apparire più intempestivo e piùtriste. Bisogna armarsi -di galoches, rimba-cuccarei nell'impermeabile e «scalducciarsi,in un campo di concentrazione Ma «1 vice-console di Dresda, cav. Cosscìii, ini ha' persuaso a fare una breve fermata a Lipsia. — Proprio oggi a Lipsia si è inaugurata 'la grande fiera di mano (Vormesse) : vale la 'pena di andarla a vedere. Sono giunto a Lipsia stamane' ed ho trovato la citta imbandierata in segno di .festa, i Tale, per lo meno, è l'intenzione. Ma il .tempo orribile sembra prendersi giuoco per' ai pensiero ohe sismo nella città delle peliicIm. E bastasse! ' Come Dio vuole, trovo Un italiano che 'mi offre la sua compagnia fino a sera, che [mi si presta a fare da cicerone, e che mi dice male della Germania, i Mi dice male, intendiamoci'. Mi dice che non crede nella vittoria delia Germania. Viva qui da molti anni, ma ha vissuto a lungo ■in Inghilterra, e, a suo parere, l'Inghilterra comincia appena adesso la guerra, mentre la Germania c'è dentro tutta, Ano al collo, 'impegnata a fondo. E' uno di quei connazionali che fanno piacerò all'anima quando s'incontrano all'eefcero, tanto hanno conservata intatta la propria italianità critica e intelligente', il proIprio temperamento regionale, la forza invincibile dell'animo latino, che non si piega sotto il martellare tedesco, che scatta come acciaio sotto ogni colpo, guizzante, lampegigiante, irriducibile, protervo. Questa magnifica razza latina fu pure un giorno conquistatrice del mondo. E colonizzatrice. Allora avevamo tutti la tempra di questo modesto impiegato italiano: che da vent'armi non vede la patria e pure l'ha tutta nel sangue, nei nervi, nella bella faccia selvosa e irrequieta e brontolona. Io lo guardo camminare sul marciapiede del Brìi hi : col bavero del cappotto rialzato attorno agli orecchi, cou la andatura agitata e nervosa, incurante e sprezzante mi pare uno che calchi un pezzo di terra conquistata. Si sofferma og-ni dieci paesi, per indicarmi con la punta del bastone questo o quel negolio, espande la sua favella sonora nell'aere grigio e pieno dello stropiccìo di mille passi audanti e regolari. La sua italianità espansiva e personale, la sua bizzarrìa, il suo chiasso, spiccano fra la gente che sfila quasi in corteo, senza volgersi, senza dialogare. A cento paesi di distanza tutti capiscono che siamo italiani. Diranno ohe siamo italiani convenuti alla nera di Lipsia. Poiché anche nell'anno della guerra i lipsiesi, diciamo meglio, la .Germania ha voluto che si facosse la fiera di Lipsia. Questo era un convegno mondiale, un mercato internazionale, uno di quegli avanzi della vita commerciale degli antichissimi tempi, quando la città di un paese raccoglieva entro le sue mura i mercanti di mezza la terra, che venivano con le carovane per viaggi lunghi «ettimame e mesi. Londra e Parigi invidiano a Lipsia questo mercato. Vorrebbero portarlo via ai tedeschi. I tedeschi, per tutta risposta, fanno la fiera anche net 1915. Neppure la guerra li smuove. Fanno la fiera perchè non vogliono farsela portar va un altro anno, non vogliono troncare l'abitudine, compromettere la tradizione. E c'è un principio di- ironia nel fatto di una fiera mondiale inaugurata nel bel mezzo d'un paese ormai chiuso a tutto il mondo, asserragliato contro tutti, in guerra con tutti. Ma questo i tedeschi non lo sentono. C'è invece un principio di' grandezza, del quale tutti partecipano. Anche qui la resistenza volontaria, la sfida consueta a tutto i] mondo, la pertinacia sorda, la insistenza che non si placa e non si riduce. — Bisognava essere qui gli altri anni, — mi dice il compagno, — e vedere la folla che gremiva le strade, le migliaia di stranieri qui affluenti da tutte le parti del mondo, le migliaia di vetrine improvvisate in tutti gli angoli, in tatto le gallerìe, nelle infinite stanze delle osse qui attorno. Era proprio quel oh* noi diciamo una fiera, per intendere il tumulto, la confusione, il carnevale. Quest'anno 5 una miseria, al paragone, ma intanto l'hanno fatta ! Guardi il corteo degli nomini sandwich 1 Per il Bruhl, sotto la pioggia, avanzava una strana compagnia carnevalesca: una trentina di mezzi straccioni, imbandierati, incappellati, mascherati, ingoffiti sotto il peso dei cartelloni reclame, tirando o spingendo carretti, a piedi e a cavallo: la fanfaronata del commercio mondiale ridotto a poco più ohe alla sola Germania. Camminavano sotto la pioggia, in corteo, placidi, muti, come se avessero perso la propria voce e coscienza di uomini, con quella specie di mansuetudine idiota che prende un uomo quando diventa il naturale veicolo e motore di un cartello reclame, di una enorme bottiglia di dentifricio, di un botticello di birra; quando la sua schiena, le sue spalle valgono più della ria intelligenza e volontà, e della sua faccia. Era il commercio che passava, erano le fabbriche e la botteghe, non erano gli t a« gft oraioa» pu** s»ikaraéwh»i pellicce, giocattoli, le maioliohe, gli occhiali e to^ti gì* arnesi che si possono fare con l'oro, l'argento e il ferro, il materiale di tutti i hazar del mondo, e i tappeti e i fonografl. i motori elettrici e le casseruole, lo zinco, l'alluminio, il nickel, il bronzo, la terracotta ed il vetro. Erano trenta, erano pochi, ma dietro loro, ai lati, in alto e in basso centinaia e centinaia di nomi di laboratori e di negozi e di fabbriche inscritti su kminette bianche richiamavano l'attenzione dei passanti verso gli usci e le vetrine, verso le finestre e i balconi. Il centro della città non era che una esposizione sola. — Avesse veduto gli altri anni quante bandiere! — mi dice l'amico. — I colori di tutte le nazionalità, spenzolavano, sventolavano alle finestre: l'Inghilterra, la Francia, l'America, il Belgio, il Giappone, la Russia, l'Italia. Era una Babilonia, la oonfusione di tutte le lingue, il mercato di tutta l* terra, e eì facevano affari per centinaia di milioni. Ogni grand© e piccola oasa inviava qui 1° sue novità, i suoi campioni: i compratori lasciavano le ordinazioni, e la eera baldoria, chiasso, spreco di danaro, org*a <*a n°n »i dire. Venivano le più belle mercantesse di piacere, e nelle birrerie, nei caffè, nei teatri, il danaro correva a fiumi. Quest'anno è un'altra cosa: gli affari sono magri. Il mercato delle pedliccie che era alimentato da Mosca e da Londra è ridotto a poca cosa. Ma i pellicciai di Lipsia hanno avuto ugualmente l'annata buona : pensi che hanno rifornito l'esercito per la campagna invernale ! Pensavo tra me e me: che cosa deve essere costata alla Germania la campagna di Polonia e di Francia, solo in fatto di indumenti ! Mi ricordavo d'avere visto appresela alcuni ufficiali e soldati automobilisti quasi corazzati di pelli, come affondati nel pelo, imberrettali, come esploratori polari. Pcchi uomini mi avevano dato un'idea vaga ma impressionante della lotta che i combattenti hanno dovuto sostenere per mesi contro il freddo, il gelo, il vento, la pioggia, il fango, per le strade, nelle trincee, sotto le tende, nelle vigilie, nelle invasioni, nelle ritirate precipitose. Chi mai descriverà il romanzo gigantesco di tutta quella carne umana in lotta con l'atmosfera, con la terra, coi fiumi, coi lagni, col mare? E intanto i magazzini di Lipsia, i fondachi enormi delle pelliccerie si sono vuotati, la nazione in armi si è vestita, coperta, imbacuccata, imbestiata sotto tutto le pelli, sotto tutti i pelami. La Geimania è diventata un enorme magazzino di rifornimento per i suoi soldati. Quando si pensa a questo cose, che di lon tano, e ai profani, sembrano particolari, e sono una parte essenziale del fantastico sforzo di guerra, un modo della guerra stessa, tanta parte della resistenza e deMa vittoria, vi sorprende la voglia di correre al fronte, di perdervi in mezzo alle file dei combattenti, di vedere la guerra sul posto, di rendervi conto coi vostri occhi della vita del campo, di quella umanità che dorme per terra, che non ha più tetto, ohe si ravvoltola nelle coperte e negli stracci e che tanto più vale quanto più è dura e resistente e feroce, come la bestia, come la fiera... Chi descriverà mai questa guerra senza teorie, senza preconcetti, come l'epopea e la tragedia di milioni e milioni di poveri corpi umani lanciati contro il ferro e contro il freddo e contro la fame? Giriamo, giriamo sempre fino a sera, entriamo nei negozi, saliamo le scale di appartamenti privati ridotti a sale di esposizione, assistiamo a piccoli e grossi contratti. Non è la furia dell'oro e la febbre del venderò e del comperare intorno a noi. In tutta questa volontaria esposizione di prodotti è alcun che di ridotto, di triste, quasi di lugubre: come lo sforzo di un naufrago che nuoti ancora, ma sulle onde vuote, nel giro di un orizzonte in cui non appare traccia di vela, nè accenno lontano di sponda e rifugio di porto. Il mio duce borbotta ogni tanto: — Fanno quello che possono, più di quello che possono; ma non se la cavano, non se la cavano. Egli vede l'ombra scura dell'Inghilterra protendersi sulla Germania. — Però, — mi aggiunge — sono ammirabili. Egli è italiano, e sente la forza di questa gente e insieme la crisi di questa forza: la grande Germania e la grande Inghilterra, la lotta dei due titani. Ci soffermiamo dinanzi ai modelli stupendi delle bambole di Kàthe Kruso, l'artista di fama mondiale. Quest'anno Kàthe Kruse si è specializzato nelle bambole di guerra, ha lanciato in commercio i suoi magnifici soldati snodati che posson prendere tutto le posizioni, fare tutti i movimenti della persona viva. Si gioca anche con la guerra; si produce con un soldato meccanico una specie di siero immunizzatele della paura, del ribrezzo della guerra, della lotta, del corpo a corpo. Si lavora a vaccinare i ragazzi di sei di setto otto anni coatro l'epidemia pacifista. H microbo della guerra si polverizza a miioni nell'aria che si respira, nell'atmosfera che vi circonda. Ci dicono che in Germania non si sono mai veduti tanti soldatini di piombo, tanto- pattuelie, tanti battaglioni, tanti reggimenti, tanti eserciti quanti quest'anno.Per la mancanza di metallo molti oggetti di lusso mancano in questa mostra; non o'è l solito sfoggio di maioliche, di cristalli che venivano di Boemia ; ma è notevole lo sforzo della Germania per rimpiazzare i prodotti dei popoli nemici: c'è un reparto speciale di cosidetti prodotti protettivi, una specie di arginatura industriale alla concorrenza e superiorità inglese e francese: penne di acciaio nglesi fanno qui la loro ultima apparizione accanto alle nuove punto tedesche ; contro le decorazioni metalliche inglesi ostentano la propria praticità le tavolette di metallo nazionali; i pettini tedeschi si vantano superiori a quelli di altrove, e tutti gli articoli per cucire sono sostituiti; così pure i profumi, i mannequin* di Parigi, le parrucche. Oh le parrucche tedesche battono le francesi! Poiché non sono ai capelli caduti, ma di capelli recisi : hanno più forza, non incanutiscono. Mi torna a mente un barbiere di Dresda che mi ha venduto una spazzola l'altro giorno, facendomi prima vedere la sua compagna venuta dall'Inghilterra, e poi la indigena. La indigena era copiata su quella: recava un perfezionamento quasi invisibile, ma nella coscienza del mio barbiere quel perfezionamento riassumeva la superiorità della Germania. E sono così, tutti. Le parrucche di capelli recisi anzi che caduti possono essere un esempio. Parlando della Sezione protettiva un giornale esco in tali parole: * Questa esposizione è una delle più importanti ed è un ammonimento ai paesi nemici! ». Il mio amico dice: — Vede : i tedeschi minacciano il mondo perfino con le parrucche. In realtà questa minaccia, oggi, è più grave che per il passato. TI più espansivo commercio del mondo oggi è chiuso torno torno da barriere di armi © di armati. La fiera mondiale di Lipsia è spaventosamente edesca. Non è mai stata così. Era un emporio per tutto il mondo, questo: la Germania s'apriva a tutti, accoglieva tutti, sino a ieri. Oggi è sola, qui dentro, rinchiua, e il suo commercio straziato par che posi n arenato come una belva pronta a slaniarsi piena di furia. A vederlo qui a Lipsia si sente che è in gabbia. Arrota gli arigli. Aspetta la fine della guerra... E stasera, anche la fredda sera è tedesca, puramente tedesca. Gli altri anni si cantavano e si sonavano nei caffè gli inni di utti paesi del mondo. Era una folata di aria libera che entrava nei polmoni e nei cuori. Era il mondo lontano e diverso che si aceva sentire qui con i palpiti delle sue mille patrie e con gli accenti delle sue cento azze. 11 tedesco cantava: La Germania su tutto. E beveva, beveva la sua placida birra. Oggi non c'è qui cho Germania. Tutto l resto del mondo è fuori, è lontano, è ne mico. E il tedesco pensa : La Germania conro tutti. Sono isolati, sono chiusi. Questo li renderà Ano all'ultimo terribili. Guai all'uomo olo, guai al popolo solo! Le ultime voci dei passanti nella notte redda, piovosa, mi battono a! cuore con mprovvisi risentimenti. lugubri. LUIGI AMBROSINI. In uri 4egU Alititi aei Dtcduelli — Cu* ri caricai* i grecai eiMcii a berne li uà canuata ligie**

Persone citate: Bruhl, Kruse, Marzo