Per le vie di Gorizia

Per le vie di Gorizia Per le vie di Gorizia (Dal nostro inviato speciale al fronte) i a à ; FRONTE DELL'ISONZO. 11 agosto. Dalle alture del Podgora e del Sabotinu i soldati austriaci della difesa, per strade e per sentieri, si difilavano verso il fiume, lo attraversavano di notte ed entravano in città. Lì, specie nei primi tempi, alcuni riparti di truppe alloggiavano, indisturbati. La città alla quale i nostri si prò; tendevano ci era sacra. Non abbiamo mai avuto istinti di distruzione. Abbiamo dovuto alfine, per necessità delle cose, per legge di guerra, prendere esempio dal nemico. Ma la città è stata per lungo tenipo. un elemento della difesa : rappresentavaper il nemico una zona relativamente tranquilla e. sicura. Sette od otto ponti la. congiungevano all'altra riva: per essi si rifornivano di uomini, di materiali, di proiettili le antistanti difese. Con la popolazione militare viveva la civile. Al nostro ingresso hanno assistito circa novemila abitanti: in gran parte celati nelle case. Mentre i fischi delle granate passavano e s'incrociavano sui tetti, mentre le mitragliatrici crepitavano pei sobborghi, non sembrava piacevole sporgere il capo fuori dell'uscio. Specie il nostro bombardamento di domenica scorsa aveva atterrito la popolazione. Quel giorno, dopo quattordici mesi, i goriziani avevano veramente vissuto nel terrore della guerra. Le cantine non sembravano abbastanza profonde. I rimasti erano in maggioranza povera gente, donne d«l" popolo, vecchi, fanciulli, bambini; qualche infilato: in genere, la debolezza, la miseria, il fondo grigio di ogni città. Entrando per le vie che salgono dal fiume abbiamo cominciato a vedere molti visi pallidi. L'aria delle strade, dei bei corsi alberati, non 'pareva molto rassicurante. Dei cadaveri erano stati tolti il giorno prima di1 sul lastrico, di sulla polvere. Soli, abbandonati, riempivano le vie deserte di se medesimi, come fanno i fantasmi. Nostri soldati hanno dovuto provvedere subito al seppellimento, e non era facile. Dove si potevano seppellire ouei morti? Chi era in grado di riconoscerli? Ce n'erano relativamente non pochi. Alcuni ri-, masti ignorati entro le stesse case, nei loro letti, sotto le macerie di un tetto crollato, nel vano di una cantina, nella oscurità di un corridoio. Si socchiudeva un uteio che dava sulla strada, si sentiva un intoppo* era un cadavere. Se ne è trovato uno di un-ufficiale austriaco; ieri non aveva potuto ancora essere sepolto. Dalla città tutta linda, fresca, ridente, che come tutte le citlà cannoneggiate non rivela all'occhio che una piccola parte dei danni clie sopporta, ci giungono a tratti quei caratteristici sentori di morte, che rattristano i luoghi dove si è combattuto da poco. 11 j>v!>mo giorno della nostra occupazione, occorse a un ufficiale un pietoso caso. Una povera madre, che aveva avuto 11 figliolo ucciso dà' una •granata, andò .1 lui piangendo per chiedergli dove potesse seppellirlo. L'ufficiale che poteva dirle? La donna pregava le si desse una cassa di legno per il suo cadaverino. Come poteva dargliela l'ufficiale, che era entrato in città la notte, coi primi uomini, e che aveva ben altre mansioni? Mentre passavamo dinanzi alla chiesa dei Cappuccini, una vecehierella parlava con un carabiniere. Veniva da un sobborgo vicino, volava recarsi in un non : luogo nei pre-si del duoli! ! suo dialetto goriziano, e non iium-iwi a i farsi capire. M carabiniere era siciliano, che l'urlava il riusciva a cercava di intendere. La vecehierella ve- niva di casa. «Perchè venite via?». « Per- che ci titano », diceva la poveretta, « Ma j {quotidiani a dove volete andare?». In una casa verso i duomo voleva andare, .dove aveva qualcuno, dove forse gli austriaci non tiravano. ' Naturalmente gli ordini erano severi. Non .si può circolare troppo liberamente in questi primi giorni, mentre a pochi chilometri dalla cittàlla battaglia infuria e Gorizia è tutta in vista, al nemico. «A casa vostra — diceva il carabiniere — avete da man giare?». Aveva le vecche nella stalla, ma lé vacche non avevano latte. La vecehierella andava anche per cercar pane. In quel .gran frastuono di cannóni, che comin ciavaho a battere qualche borgo sotto il pericolo' incombente, nel mezzo della zuffa, di due eserciti, nel punto di incrocio di una irruzione e di una fuga, tra una ritirata e un inseguimento, sul campo di bat taglia di' uh vecchio Impero e di un 'gio vane Regno, menire centinaia di vite li presso, erano al rischio ultimo e alla nior te, dramma di' quella vecchietta era nulla, non. contava nulla. Non c'è nulla che conti in guerra, all'infuori della vittoria e della sconfitta. Era^ a ogni modo un piccolo dramma. Anche gli umili, an che gli anonimi hanno il loro. Ed è sempre ignorato. E' per questo che qualche volta è umano parlarne. Vedemmo dei fanciulli per le vie. Una bambina, rosea, bionda, scalza, ferma un crocicchio, ingenua e senza paura co me un uccellino. Gli uccelli non si spa ventano più alle, cannonate. Ma non ca piva, non sapeva nulla di quel che accadeva. La guerra era una l'accenda de grandi, una lite che avevano fra loro, gen te che non conosceva, che non la riguar dava Altri fanciulli erano negli anditi a pian terreno delle case popolari, sporgevano il musetto fra le gonne della mamma, della zia, della nonna o di una vicina, spòrte sulla soglia, un poco più avanti, ma con la mano all'imposta, per ritirarsi subito aill'occasione, e per chiudere. Guardavano chi passava fuori, qualche soldato, quel che squadrone di cavalleria al trotto o al galoppo, qualche barella con un ferito so pra; chi andava verso la battaglia e chi ne tornava, chi già aveva avuto e chi ancora doveva dare. Qualcuno si avvicinava a loro, parlava, le. rinfrancava; mostravano piacere, gratitudine. — Avete da mangiare ? — Andremo a chiedere del pane. Abbiamo la carta. Ce ne tlaranno? _— Verrà il pane anche per voi, non dubitate, e ne avrete in abbondanza, per voi e pei vostri bambini. — Torneranno ? — Non tornano più, state tranquille. — Tireranno ? — Non andate troppo in giro. Preparatevi a ruggire in cantina. — Ci siamo da domenica. — Abbiate pazienza per qualche gio no ancora. Vedemmo passare un soldato con un cagnolino in braccio, un cucciolo bianco e nero. L'aveva trovato sulla soglia di una casa abbandonata, se lo era preso, se lo portava via. Un altro veniva con una gabbia in mano: c'erano dentro due canarini. Si pensa anche a queste piccole cose, nelle ore più drammatiche, l.a guerra non ù tutta nei colpi di cannone, nel fuoco, nelle feri'. té, nel sangue, nella morte. E' anche in questi contrasti, in questi episodi semplici e nulli, in questo eterno ricorrente ritorno jdegli istinti più elementari, più comuni, più Bisognerà descriverla., un gior- no, la guerra, nella sua umana elementare incredibile semplicità, I Un ufficiale, ex-giornalista, dei. nostri più brillanti, e però giornalista eterno, ci narrò molti di questi episodi. Ci disse, come la gente aveva comincialo a venir fuori, a farsi vedere, n poco a poco, dopo l'entrata dei nostri. Aveva comincialo qualche bambino. Poi qualche donna, qualche vecchio, un uomo o due, alcuni pochi rimasti. Ogni ora che passava, si vedeva girare qualcho faccia nuova. Ieri erano più dell'altro ieri. Oggi saranno stati più di ieri. Domani se ne vedrà più di oggi. A poco a poco verranno fuori tutti, se gli austriaci non hanno propositi feroci di rappresaglia. Su una villa che aveva le persiane chiuse, c pareva deserta, vedemmo una fantesca entrare, con la sporta della spesa. Incontrammo qualche signora, qualche cappellino piumato, qualche sottana nera, di vecchia zitella. E popolane gnoytfni che passavano fra i soldati, motteggiando famigliarmente. • 1 Discorsi Al Caffè dèi Corso ci sedemmo .sui velluti, fra le specchiere, e ci ristorantino. Lì veniva l'ufficialità austriaca a, passare qualche ora. ir proprietario "ci narra della fuga delle autorità*, dello scoramento che aveva preso gli -ufficiali negli ultimi giorni, della sorpresa'causata dalla nostra offensiva. Abbiamo un testimonio dei loro discorsi, che ci dico che gii austriaci non attendevano il colpo: fidavano negli effetti della offensiva nel Trentino. Immaginavano di averci fiaccati, per lo meno scorati. La nostra manovra li ha rovinati. Con le operazioni nel Trentino, a quanto ho sentito dire, pensavano di scendere al piano e prendere alle spalle il nostro esercito dell'Isonzo. Volevano fare cadere la linea cosi e battere l'Italia. Vediamo un farmacista, un vecchietto, entriamo nella farmacia, cominciamo ad interrogare. L'omeUino è prudente. E' d'un buon farmacista la prudenza: bilancie di precisione, barattoli dì cristallo, veleni. Ma di sentimenti italiani. Non può dirci molto. Gli ufficiali austriaci, osserva, non parlano di cose di guerra, coi borghesi. Non si fanno sentire. a parlarne. 1 semplici soldati non ne sanno nulla. E finalmente troviamo i patrioti non della ultima ora, gli scampati per miracolo, per fortuna, per combinazione alla deportazione. Andiamo a salutarli in Municipio, a inscrivere i nostri nomi su un. foglio di caria, destinato a qualche pratica austriaca. Qui troviamo l'esultanza, la gioia, la felicità. Ci fermiamo a sentir raccontare le ultime ore della città austriaca, quando le autorità stavano per partire, e avevano le carrozze ed i carri con la roba, pronti. E uno dei nostri, com'era convenuto, si mette a un tratto a gridare: — La cavalleria italiana ha passato il ponte, entra a Gorizia ! Non ci volle altro per farli precipitare. Quella fuga affrettata fu la salvezza di alcuni di nostri che avrebbero dovuto seguirli. E la cavalleria italiana, mentre si conversa, batte le. strado liberate. 'Si ode per le finestre aperte del bel palazzo comunale lo scalpitio numeroso, senza fine, dei cavalli.. A molti deve sembrare un sogno. LUIGI AMBROSINI.

Luoghi citati: Gorizia, Italia, Trentino