Replica al comunicato tedesco sulla tutela dei diritti privati

Replica al comunicato tedesco sulla tutela dei diritti privati Replica al comunicato tedesco sulla tutela dei diritti privati Roma, SS7, notte. L'Agenzia Wolff pubblica il seguente comunicato; « Nella stampa italiana da alcuni giorni, con intenzione, manifesta, si sta cercando di fuorviare l'opinione pubblica d'Italia mediante non giuste o sviate asserzioni circa alcuni provvedimenti tedeschi in materia di diritto privato. Sembra opportuno di contrapporre -a queste mene il semplice stato di fatto. Il 21 maggio 1915 fra il segretario di Stato signor Von Jagow e l'ambasciatore italiano Bollati fu concluso un accordo per il trattamento dei'sudditi dei due paesi e delle loro proprietà. L'accordo assicurava, ai sudditi dei due paesi la protezione delle persone edei beni nel senso che le misure, prese in modo contrario ai principi del diritto delle genti, detll'Inghilterra, della Franerà e delll'a Russia, come l'internamento delle persone civili, il sequestro e' la liquidazione del*» proprietà privata, la manomissione dei brevetti, come pure il divieto di soddisfare crediti di ragione privata, non avrebbero dovuto trovar luogo tra la Germania e ritalia. Fu inoltre garentita la continuazione del pagamento agli aventi diritto de'fle rendite di assicurazione per infortunio. Ai bastimenti mercantili dei due paesi ancorati nei porti' dell'una e dell'altra parte si dovevano applicare le disposizioni della sesta convenzione dell'Aia sul trattamento dei bastimenti mercantili, nemici .all'inizio delVostilità. Poiché lo stato di .guerra fra la Germania e l'Italia finora non è sopravvenuto, l'accordo, in conformità dei suoi termini letterali, non era da applicarsi, ma, secondo il supVpirito e il suo scopo, non- poteva essere "dubbio che i rispettivi diritti privati non avrebbero dovuto esser trattati, prima che si verificasse lo stato di guerra, in un modo più sfavorevole di quello previsto per il caso di ostilità. Insieme all'accordo, evidentemente, si dovevano osservare fino a che lo stato di {ruerra non sussistesse, le.dispo sizioni del Trattato di commercio itaìo-ger mànico. R Governo italiano invece si sottrasse in modo arbitrario così alle' obbliga ziohi derivarti dal Trattato di commercio come a quelle dell'accordo del maggio. Del la prima grave offesa al Trattato di commercio, il Governo italiano sì rese colpevole quando, sotto la pressione dell'In,r;h;lte,ri'a, requisì il 3;novembre 1915 i bastimenti mercantili germanici ancorati nei porti ituluini. « Il passo successivo fu compiuto il 10 febbraio 1916 quando, nel giorno dell'arrivo a Roma del presidente dei Consiglio fran cese, s'ignor Briand. venne Dubbliicnto il Decreto del 4 febbraio, M quale, in evidente opposizione al Trattato di eomroiercio, proi biva pena, la confisca, qualsiasi traffico diretto o indiretto con la Germania. Allo stesso modo che per il Trattato di commercio il- Governo italiano si comportò quanto al citato accordo. Anzitutto le autorità italiane sistemiatiicamente procurarono di impedire le esazioni di crediti germanici, specialmente il ritiro degli effetti cambiari, mediante l'opera della censura postale e opportuni avvertimenti alle grandi Banche. Nel marzo 1916 fu quindi comunicato alle Banche svizzere dai loro corrispondenti italiani che, in seguitò a disposizioni ufficiali, non do vevano essere spedite in Italia cedole per pagamento di interessi e dividendi se non fossero accompagnate da una dichiarazione giurata, che il loro proprietario non era suddito di unto Stato nemico all'Italia od alleato di uno Staio nemico. Con ciò era proibita "formalmente ogni esazione di oe dole, di interessi e dividendi in possesso te deseb. Unr successivo colpo contro l'accordo fu portato dal Governo italiano «ol rifiuto opposto di pagare durante la guerra, qualsiasi : indennità per la proprietà germanica requisita e più speoialmente per i basti menti requisiti e i loro carichi, quantunque a ciò fosse tentilo dalla sesta convenzione dell'Aia. Inoltre la Direzione generale del la Marina, mercantile emanò, per le merci germaniche sbarcate forzatamente, dispo sizioini tali» ohe ai proprietari non rimaneva che la vendita forzata all'incanto e la vendita a- prezzi irrisori. Per tutti 'qivesti provvedimenti il Governo italiano, di fronte a reclami del Governo germanico, cercò con motivi "infondati, di sostenere il punto di vista che non si trattava di violazioni del Trattato. Ma il 30. aprile 1916, nell'imminenza della visita del 'ministro Glementel. mutò contegno ed emanò un'ordinanza la quale soppresse l'esazione di crediti germa nioi derivanti da cambiali e da altri titoli mediante il divieto formale deli'iintroduzio ne in Italia di simili titoli, e rese assoluta mente impossibile ai tedeschi, mediante una spieciale disposizione circa il divieto di corrispondenza commerciale, ogni privata salvaguardia ' dei loro, interessi d'affari in Italia . « Il Governo tedesco levò contro queste continue violazioni contrattuali energica protesta. Tuttavia, finché parve possibile di mantenere in vita l'accordo, esso procurò in ogni modo che ciò avvenisse. In special modo sconsigliò le banche dal respingere gli effetti bancari italiani1 e indusse molte associazioni professionali a continuare il pagamento delle rate che, in vista del contegno dell'Italia, esse avrebbero voluto sospendere. Óltre a ciò perfino nei territori nemici caduti sotto l'amministrazione civile germanica,, dove, prima della guerra, erano occupati come operài molti italiani, le autorità germaniche, iu via amministrativa, incassarono i salari a costoro ■ dovuti e li fecero pervenire agli interessati. Non ostante questo ' contegno leale del Governo germanico nel muggio 1916 il Governo d'Italia dichiarò di riservarsi, di fronte all'accordo, completa libertà di decisione. Questa dichiarazione era motivata con la lagnanza che le autorità militari germaniche, contro l'accordo, facevano difficoltà alla partenza degli italiani. Ora l'accordo stabilisce bensì che i sudditi dei due paesi ottengano il_permesso di abbandonare il territorio dell'altra parte, ma aggiunge espressamente la nartenza deve essere effettuata dentro quei termini di tempo e per quella via che saranno designati dalle autorità competenti a loro discrezione, Non era quindi vietato alle autorità germaniche di ritardare temporaneamente, per adeguati motivi, la concessione del permesso di' partire. Del resto il Governo tedesco si adoperò sempre per evitare ritardi, che noni fossero disposti da impellenti ragioni mili-1 itari e indusse, nello stesso maggio 1916, il Comando Supremo ad intervenire per sollecitare la decisione di tutte le domande di partenza pendenti. Con ciò esso venne a togliere alle lagnanze italiane ogni fondamento, ma ricevette la risposto che il Governo d'Italia non si sentiva più legato all'accordo e considerava ormai come inutile ogni ulteriore discussione. « Di fronte a questo contegno del Governo italiano, il Governo germanico non poteva più a. Jungo vietare alle banche, che da un anno non possono più disporre dei loro Eondi presso, le banche italiane, di usare un simile trattamento verso i fondi italiani. Corrie pure non fu possibile nascondere alle associazioni professionali il fatto che l'obbligo speciale contenuto nell'accordo circa il continuato pagamento delle rendite di assicura zione agli italiuni residenti fuori dal terriorio germanico era ormai caduto. Le decisioni prese poi dalle banche e dalle associar zioai professionali riposano sopra il loro li bero apprezzamento e sarebbero state adotta, te, nelle stesse circostanze, sicuramente di fronte ti qualsiasi paese. Un divieto di pagamento, come è stato accennato dalla stampa italiana, non è stato quindi, emanato. Riassumendo, è assodato, non la Germania ma l'Italia ha rotto i trattati di commercio l'accordo itelo-germanico, e si è dichiarata espressamente sciolta dagli obblighi internaionali derivanti da quelle convenzioni. Se la stampa italiana presenta la cosa altrimenti, ciò è un grossolano e malevolo fuorviare l'opinione pubblica d'Italia». /I comunicato Wolff, il quale Insinua che la stamva italiana possa malignamente e grossolanamente fuorviare l'opinione putfbTica d'Italia, fa, per suo conto, evidenti insinuazioni tendenziose, attribuendo provvedimenti legislativi italiani a supposte pressioni straniere, che vorrebbe far apparire prò•!atn da coincidenze di date. Non seguiremo l'agenzia germanica in questi metodi, ma ci l'imiteremo a distruggere le sue asserzioni circa supposti fatti positivi, dimostrando che esse mancano di qualsiasi base di verità. l'Agenzia Wolf muove, fra l'altro, colpa al regio Governo di aver negato il pagamento per i piroscafi requisiti e per il carico a bordo dei medesimi, lasciando ai proprietari dei carichi non requisiti la scelta fra la vendita forzoza all'asta pubblica e la vendila a prezzi irrisori. A questo proposito, giova osservare che la requisizione dei jyiroscaft fu fatta, come già fu pubblicalo, in base allo accordo italo-germanico del 21 maggio 1915 ed alla convenzione dell'Aia. Questa non contiene ,sia per le navi, sia per il carico, alcun obbligo di pagamento immediato dell'indennità di requisizione, la quale può dunque essere corrisposta quando le navi saranno restituite. Tale contegno adottato dal regio Governo è d>'l resto conforme ad opinioni manifestate hi materia dalla stessa delegazione tedesca alla -sesta conferenza dell'Aja del 1907, durante i lavori preparatori delta sesta convenzione. Ver quanto concerne l'accusa mossa al regi0 Governo nella seconda parte- del comunicato della scelta imposta ai proprietari delle merci non requisite fra una vendita forzosa all'in canto e una vendita a prezzi irrisori, basti accennare al fatto che le requisizioni delle navi germaniche e dei loro carichi cominciarono nell'ottobre 1915, mentre il termine utile stabilito per il rilascio delle merci non requisite, rimaste a bordo o sbarcate da quei piroscafi, venne a scadere il 7 giugno 1916. I proprietari ebbero perciò, normalmente, poco meno di sette -mesi per procedere al ritiro della loro merci. Ma questo termine, nonostante l'inconveniente del prolungato ingombro delle calate e dei magazzini nei porti, nei quali aveva luogo lo scarico, ingombro che ostacolava non lievemente le ordinarie operazioni di commercio, fu in vani casi prolungato, perfino di tre mesi, lasciando cosi ai proprietari ancora più ampio margine per provvedere nel modo più conveniente ai loro interessi. Da siffatte facilitazioni furono escluse soltanto alcune merci, le quali, 0 perchè preferibili o perchè di natura povera, quindi gravate di spese non facilmente rimborsabili, vennero, a cura delle, regie, autorità, poste in vendita all'asta pubblica. Giova altresì notare come il regio Governo, premuroso di conciliare il suo interesse legittimo di procedere allo scarico dei piroscafi ed allo sgombero delle calale, con gli interessi particolari altrui, non mancò, lo scorso giugno, accogliendo un desiderio espresso dalla rappresentanza estera protettrice degli interessi germanici in Italia, di autorizzare, sotto determinate condizioni, i proprietari delle merci non ritirate entro i termini prescritti ad immettere le medesime in magazzini privati. Ed infine non è molto il regio Governo, aderendo ad una nuova proposta fattagli a nome del Governo germanico dalla stessa rappresentanza diplomatica, ha consentilo che la alienazione delle merci sbarcate dai piroscafi requisiti, non richieste entro i termini prefissi e non immesse in depositi privati avvenisse a mezzo di un curatore designato dall'autorità giudiziaria. Questi fatti, che non ammettono smentite, provano la inesistenza dell'accusa contenuta nelle asserzioni dell'Agenzia Wolff. In risiiosta a un altro passo di quel comunicato occorre ricordare quanto scino.': il contegno assunto dalle autorità germaniche nella questione del rimpatrio degli italiani costituì, fin dall'inizio, una aperta e continuata violazione dell'aceordo del 21 maggio capnrd 1915. Dapprima si ricorse ad ogni sorta SS impedimenti ostruzionistici frapposti aWac- o n o a e i o coglimento delle domande di rimpatrio. Si arrivò in seguito al sistematico rifiuto del permesso di rimpatrio, cosi da indurre motti nostri connazionali a ritirare la domanda già presentata o ad astenersi dal presentarla. Fu anche affacciata dal. Governo imperiale la pretesa inaudita di subordinare l'ingresso degli italiani in territorio tedesco, alla condizione di non uscirne per tutta la durata della guerra : questa condizione covrir addiceva in modo assoluto a quella libertà di cui si era voluto, con l'accordo del 21 maggio, garantire il mantenimento. La pretesai tedesca era contraria alla lettera stessa dell'accordo, che contemplava espressamente il caso del rimpatrio, dichiarando' che i sudditi delle due parti sarebbero stati « lihrès de quiter le pays dans le délai et par les endroits que les autoritées competente* Croiront utile de fixer à cet égard». Quello che doveva essere una semplice limitazione temporanea di movimenti, determinala da chiare esigenze militari; si trasformava, cosi, in un divieto assoluto di rimpatrio, cioè in una vera e propria detenzione larvata. A tale pretesa il Governo del Re non poteva non opporsi. Ciò nonostante, . prima di denunziare un patto, di evi appariva Vinefficacia pratica rispetto agli interessi italiani, che avrebbe dovuto tutelare, si volle fornire al Governo tedésco l'opportunità di provare con fatti e con formali dichiarazioni il suo leale proposito di rispettare quella libertà di rimpatrio che era parte integrante dell'accordo del 21 maggio. A tal fine fu prefisso un breve termine, entro il quale le autorità germaniche avrebbero dovuto dar segni di ravvedimento. Ma le risposte del Governo germanico alle rimostranze italiane e l'atteggiamento-di-quelle, autorità dimostravano , palesemente • ir proposito di non recedere dalla propria, linea di condotta. Le aretese giustificazioni del ■ divieto, nei singoli casi, risultavano categoricamente smentite da circostanze inoppugnabili giunte da sicure fonti, a notìzia del Governo italiano, consapevole delle sofferènze' a cui la vana attesa degli invocati permessi'Marinipatrio esponeva i nostri operai c le loro famiglie. L'asserito ossequio ai. contratti impenni assumeva l'aspetta di una mistificazione che aggravava la violazione del patto. Un elementare sentimento di dignità indusse,, pertanto, il Governo italiano a dichiarare ' senz'altro che non poteva ritenersi più oltre-vincolato da un accordo che il Governo germanico rinnegava sistematicamente coi fatti* Quanto al decreto i febbraio 19Ì6, circa « diviato di traffici con la Germania, si osserva r#e l'Italia non poteva né doveva, permettere che i propri mercati fossero invasi dalla superproduzione germanica, ciò che veniva a favorire gli interessi anche dell'AustriaUngheria, alleala della, Germania. Non era concepibile che l'Italia alimentasse indirettamente i traffici di uno Stato nemico. Le disposizioni contenute nell'art. 1 deli decreto 30 aprile 1910 non costituiscono cftei una legittima conseguenza di quelle contea nate nel decreto del i febbraio. Vietati i\ traffici, era logico che si dovessero proibirei le corrispondenze e tutte le operazioni ine.' retiti ai medesimi, senza di che i provvedi-', menti adottati col primo decreto avrebbero potuto essere in gran parte facilmente elusi. Il comunicato Wolff parla di avvertimenti fatti pervenire dal Governo italiano allo grandi banche. Circa questo punto possia-' mo dichiarare in modo esplìcito non esservi banc.a italiana che abbia mai avuto dal regio Governo il suggerimento di noni pagare. Il regio Governo si astenne sempre dal prendere ingerenza in affari privati riguardanti cittadini italiani nei loro rapporti con sudditi tedeschi. Per valutare, invece, il contegno subdolo del Governo imperiale in. questa materia, basta leggere-la circolare diramata dall'Associazione delle banche e dei banchieri di Berlino a tutte le banche della Germania. Ne diamo la traduzione letterale : « Per espresso desiderio del dipartimento imperiale degli affari esteri vi proponiamo di trattare in avvenire i sudditi italiani comò stranieri nemici. Un divieto legale di pagamenti non sarà tuttavia preso in considerazione fino a che l'Italia non abbia c-nianuto un provvedimento simile. Noi dunque vi proponiamo di sopprimere, a pagina li delle deliberazioni a stampa dell'Associazione .dalle banche e dei banchieri berli-, nesi circa il traffico con l'estero e con gli stranieri durante la guerra (adottato il 23 febbraio 1916), le decisioni 26 maggio 1915^ 22 e 25 febbraio 1916, concernenti l'Italia, e di sostituirle con la decisione seguente:; « A senso delle decisioni trascritte alle lettere A, B, C, i sudditi italiani sono da trattarsi come stranieri nemici, e precisamente, come i sudditi serbi. Mentre vi preghiamo di farci supere so accettate la nostra proposta, ci permettiamo di soggiungere cha il dipartimento imperiale degli affari eeteri ha manifestato il desiderio che non abbiano, luogo in pubblico discussioni sopra questa» materia». (Afl. Stefani). r-— | Contro la deportazione dei giovinetti , Parigi. 27. sera. - E' noto che le autorità militari tedesche col pretesto di urgenti lavori hanno scelti numerosi giovanetti e giovanetto dalle re* gioni di Lilla, Tourcoing e Roubaix e li hanno diretti verso destinazione ignota soie to la minaccia delle mitragllàtricT. Il vescovo di Arras e lé autorità ecclesia* stiche delle regioni hanno • già 'formulato una energica e dolorosa protentn. I giornali annunciano ■ che ii Governo francese protesterà pure quanto prima di« nunzi all'opinione pubblica mondiale.

Persone citate: Arras, Briand, Corrie, Von Jagow, Wolff