I nostri marinai

I nostri marinai I nostri marinai Nella fila delle torpediniere ormeggiate lungo lo scalo, una ha avuto una breve scossa, come il soprassalto di un fanciullo dormiente d'improvviso risvegliato, dà un guizzo e sfila via rapida e lieve, gira, al larfco ■su se stessa, quasi sosta alquanto coma per prendere la rincorsa, poi senza l'urlo della sirena, appena piumata da una nuvola diafana di fumo, infila, agilmente il yawro e scivola silenziosa sul mare grande. Qualche passante si è fermato presso la balaustrata, segue con gli occhi distrattamente il naviglio che si allontana, ma già un'altra torpediniera ha dato il suo balzo, come per sciogliersi dalla stretta delle'compagne, gira al largo su se stessa. Anche questa si ferma un istante come per prendere la rincorsa, poi infila il varco nel solco aperto dalla prima e non ancora ricolmo da un mare senza movimento. Su la balaustrata molte teste già si affacciano. Ora cèrto una terza torpediniera salperà. Quale, fra tonte? Sembrano tutte egualmente assopite, non si sa in quale la vita sia più pronta a insorgere. Certo una di esse, forse più di una, ha le macchine sotto pressiooae; ma nessuna lo mostra: pare come la scelta sia affidata al caso. E invece un'intelligenza vigile le guida. Qu«l l'intelligenza, ecco, ne ha spiccata un'altra dal gruppo e la lancia sulla traccia 'delle prime due. Poi ancora un'altra, ancora un'altra. Cinque. Le prime già han raggiunto le isole, l'ultima attira ancora sul suo pugno di uomini diritto e immobile, sui tre tubi lanciasiluri, su l'esiguo cannoncino di prora lo sguardo seguace della folla ora assiepata su la balaustrata. Si allontanano, sembrano i cinque sugheri natanti di una rete tesa in alto mare, dispaiono. Dove vanno? Quando torneranno? Quale mistero d'ignota avventura recano con sè lontano? E quando gli occhi umani non possono più scorgerle, pare a tutti come se quei legni armati e animati della vita dei mostri fratelli, quei brani della nostra terira, della nostra vita sieno trapassate in un nitro mondo, in un'altra realtà. i E l'esistenza dei nostri marinai è appunto così, dome mi apparve in quella mattina luminosa, tutta loquace di rondini migratorie, l'esistenza di quelle cinque torpediniere designate: una tregua e un'azione commiste e non separabili, pace e febbre, attesa e impeto, silenzio ed energia, prontezza a tutti gli eventi, obbedienza a tutti gli ordini, consuetudine di tutti i propositi, di tutto incertezza tranne che di sè, una perenne .vigilia. Scriviamo anche dei nostri soldati di ma re. Degli altri tutto sappiamo. li abbiamo veduti nella preparazione e nell'azione, e con che impeto abbiano assalito in ogni par te il più difeso e U più nascosto dei nemici e come abbiano dominato la resistenza della montagna e come serenamente affrontino la guerra dell'inverno. La nazione sa come i euoi figli le allarghino il restviro oltre le Alni ed oltre l'Isonzo, liberandola dal nodo scorsoio di un confino che minacciava di soffocarla; ma non sa ancora, non saprà miai forso compiutamente come quest'altra giovinezza là difenda per tutto il mare, da Venezia a Santa Maria di Leuca. Scriviamo anche dei nostri soldati di mare. Quando delia loro guerra potremo dire pienamente, senza incertezze e senza reticenze, quando sapremo meglio delle loro azioni, potremo scrivere, chi ne abbia la virtù, pagine raggianti. Ora è necessario lasciar tutto nell'ombra, e se talvolta, per avventura, una mano amica ci apre uno spiraglio per guardare sul mare è necessario chiuder gli occhi per non vedere quel che è bene noti sia veduto. Pure, diciamo dei nostri soldati di mare. Diciamone quel poco che qui può esser detto, che è giusto sia detto. La meritano. Da dieci mesi lavorano, vigilano, lottano, sempre attenti, sempre pronti, sempre tesi, scrutano, esplorano, sondano, dercano il pericolo per allontanarlo, sventano l'insidia, sbarrano il passo al nemico, lo ricacciano nel suo covo, ve lo serrano, gli chiudono le vie dei rifornimenti, flirt la.voro oscuro, una) fatica che ha bisogno idi rassegnazione e di umiltà, un'energia che tumultua nell'ombra e non si mostra E bisogna ammirarla senza conoscerla. La nostra gratitudine per questi silenziosi deve essere concorde come il loro sacrifizio. C'è su l'Adriatico una luce d'abnegazione che commuove, che esalta, che rasserena i pensieri nuvolosi. Se vive ancora alcuno a cui rimanga un-dubbio su le virtù della nostra giovinezza vada a Taranto, a Brindisi, do vunque possa 'accostarsi alla nostra vita marinara, dovunque possa sentirne al contatto il tumulto profondo. Vanno per le vie delle città, vanno per le vie degli uomini, essi che pare tornino dalle vie dell'infinito. Pochi. Gli altri dove sono? Sembra che oziino, hanno un'aria distratta, attonita, non fissano il volto degli uomini, soltanto tra loro si scorgono, si riconoscono, sii accennano. Guardano il mare e le navi come vedano un oggetto nuovo ; ma con che occhi le guardano I Essi vedono ciò che agli isJtri non è dato vedere. Ma non è possibile vedere essi stessi negli occhi, dentro per gli occhi. Non hanno sguardi, hanno poche parole, talvolta un sorriso strano come di convalescenti. Sanno e non dicono. Sembrano tutti tesi verso un richiamo che debba venire dagli orizzonti lontani, pare che vedano oltre quegli orizzonti qualche cosa che noi non vediamo. Poi, d'un tratto, si tolgono alla nostra compagnia, si allontanano con passo svelto, scendono su gli scali, si perdono. Hanno. veduto ? Hanno sentito ? E portano con sè, come le torpediniere di quella mattina, il mistero di un'ignota avventura. Vivono questa singolare vigilia dall'alba del 24 maggio. Combattono una perenne battaglia senza cannoni. Avvezzarsi alla nuova guerra per essi è stato più agevole che non per i soldati di terra. La loro vita già ve li aveva predisposti. Non han la< sciato ieri il campo da arare e non sono usciti, assordati e avvampati, dall'ansito di un'officina. La consuetudine del mare, la famigliarità della nave dispongono alla pazienza, la sobrietà persuade all'abnega zione. Ma c'erano le memorie di ieri: Tri' poli col vivo fuoco della Carlo Alberto e della Garibaldi, Prevesa, Rodi, l'audacia dea Dardanelli. E c'è qualche settimana ai paLastepevepasimstQl'adinadriquditamofdsachgdcinrornlidpptel'tenmcctslicttlnrivqtouivumstIpdc assione che non può essere dimenticata. a nostra marina ha conosciuto le tempee. Ed è un bene, per la nostra fede e er la nostra speranza, che questo sia avenuto: non può essere resurrezione senza assione. Quando sì comincia col martirio perviene alla vittoria. Ma l'impresa non è divenuta per quésto meno ardua e meno utile. Se il nemico, coituito dalla fiotta, non c'è; non importa. uello è il menò temibile dei nemici. Resta altro, il più forte, il più vasto, .il più insiioso. Resta il mare, con le sue mille armi ascoste. Bisogna, dunque, disarmare l'Ariatico, addomesticarlo, isterilirlo. Ed a uesto attendono i nostri marinai. Guerra ifensiva. E' nell'azione della nostra fiota non so quale sentimento materno che meglio l'avvicina alla nostra umanità. Non ffende, non insidia, non tende al fine di istruggere, di annientare, di spargere il angue e la rovina lungo la sua corsa, di hiedere al macello e allo sterminio le raioni della sua forza; ma protegge, difene, soccorre, sorveglia, scorta. Le nostro ittà adriatiche, senza ripari e senza canoni, vivono ora più tranquille e più opeose. Sul Carso e in faccia ai forti di Roveeto, i nostri eserciti che dirompono la teace difesa avversaria hanno il più vado compagno di lotta in questi marinai agli occhi arsi di veglia, che curvi sui aranchi figgono lo sguardo nell'azzurro rofondo del Canale d'Otranto, onde non enti per caso di penetrar nell'Adriatico alombra di una vela latina un contrabbando eutonico o una macchia opaca e viscida non rompa nelle notti lunari il riso del mare. Tutto ciò vai meglio che affondare una orazzata di diecimila tonnellate o, putaaso, un trasporto di emigranti. Voi vedee che i sommergibili di Francesco Giueppe non devono sentirsi molto sicuri nel ago, austriaco se cercano altri lidi ed altre mprese. Imprese non propriamente eroiche ; ma chi nasce coniglio non può divenar leone. In ogni modo, ne saranno conenti gli scrittori della Neue Freie Presse, e aspettanti aragoste del fine spirito viennese, e, poniamo, lo spirito protettore delrammixaglio Tegethoff. tdVVessleslissAqmsCSono arditi, intrepidi. Una volta tra un solotto e la terraferma, la porta dell'unica via sicura che le nostre navi devon tenere quando vogliano uscire dal chiuso all'apero, un posamine austriaco, protetto dalla oscurità, veniva orai notte a depositare una catena di mine che doveva abbarrare l passaggio. L'ardimento fu rinnovato più volte; ma le nostre vedette vigilavano. Ed una mattina fu veduto un nostro dragamine, una barcaccia dall'apparenza peschereccia, spingersi verso l'isolotto e ritornare con uno strano carico di esplosivi. Il curioso giuoco seguitò per qualche tempo: di notte il battello austriaco veniva a depositare il suo carico, di giorno la barcaccia italiana lo raccoglieva e veniva ad" accumularlo nei nostri depositi ; finché il nemico non- fu più veduto, non si sa se per essersi accorto della inutilità della sua. avventura o per la convinzione di avere raggiunto pienamente lo scopo. Sono, talvolta, allegri. Si sa come "li austriaci abbiano l'abitudine dei messaggi: ne dispensano per le trincee e sul mare, dall'alto e dal basso. C'è il proclama arciducale e c'è l'invito alla solidarietà della diserzione. In genere si rassomigliano: dal tono maggiore al tono minore la musica non cambia ; la differenza spesso è soltanto nella forma letteraria: lo Stato Maggiore ha il costume di esprimerei in prosa : ricca di tropi, ma prosa ; i soldati si dilettano pi* volentieri di metrica. Ho conosciuto un marinaio che fa collezione di bottiglie -austriache: bottiglie e scatole di latta e tubi di guttaperca. Una mattina se ne vedono galleggiare un centinaio lungo la spiaggia, come eli avanzi di un naufragio. Ogni bottiglia contiene dei versi. I marinai italiani raccolgono, leggono, ridono. Pod, qualcuno vuol rispondere al nemico che li accoglierà con feste e con onori. Ma i marinai italiani non han la consuetudine della poesia scritta: preferiscono operarla. Amano piuttosto la pittura, E si trova presto chi è proclamato pittore ufficiale, solo perchè ha in saccòccia un pèzzo di matita che gli altri non hanno. La sera ogni bottiglia chiude un suo' disegno leggiadretto che tenta rassomigliare a una decrepita maschera barbuta, e sou mandate a raggiungere su le acquo favorevoli le Bocche di Cattaro. Sono, ormai, scaltri e savi. Ho riveduto un bravo ragazzo che due anni sono mi fu sr-uida per le vaste officine. Volle mostrarmi il deposito dei siluri. Gli ordigni, inermi e innocui, stavano allineati in lunghe file sul loro cavalietti, come uno stormo di cetacei sornioni. Egli li palpava, sorridendo con aria nè attonita nò esperta, per quella sua testarda incredulità popolana che diffida di ciò che non sa. Non sapeva egli allóra e non immaginava che tremendo strumento di distruzione egli carezzava con la dolcezza onde si carezza la chiglia della barchetta paterna. Ora sa ; ora me ne ha parlato con altro viso. Questo soldato che, secondo i versi austriaci, è nell'inganno, si manifesta invece pieno di baldanza: ha lanciato anche lui i siluri dalla sua torpediniera, ne ha raccolto, ne ha sfuggiti, ne ha disarmati. Egli mi narra della lotta senza quartiere contro i sommergibili nemici, che già ha dato frutti quasi insperati ; mi racconta di singolari episodi, di armi nuovissime e insidiose e infallibili, di trappole perfette, di cui la marina inglese prima, e ora anche la nostra, si è armata contro il nemico nascosto e invisibile. E qui vorrei domandarvi di chiuder bene le porte perchè alcuno non oda ; ma sento dire che la censura ha l'invidiabile virtù di ascoltane anche traverso le porte chiuse, e mi conviene tacere. Posso dire tuttavia che questa caccia al sottomarino, divenuto ormai in acque militari un innocuo e inutile oggetto, è in tutto semplice e sicura ed allegra. Io ripenso le mie buone massaie salentine quando han da fare il brodo alla figliuola infermicela e mettono in pentola il più tenero piccione del nido. Ghermiscono la bestiuola pei' il collo e la tengono, testa giù, immersa in una catinella d'acqua. Dopo cinque minuti la tiran fuori e la gettan, floscia come un cencio, al ragazzo che la spenni. MICHELE 9AP0MAR0. sbnfdpngenFtt

Persone citate: Carlo Alberto, Rodi

Luoghi citati: Brindisi, Carso, Otranto, Taranto, Venezia