Prosa, poesia

Prosa, poesia Prosa, poesia (Nostra corrispondenza particolare) PARIGI, febbraio. Huysmans ne sarebbe morto di melanconia: la guerra ha disperso l'unica folla, al cui contatto il solitario di Ligougé non s-i sentisse divenir misantropo, la folla dei peripatetici dell'Odeon. Tipi di Rodolfi e di Chatterlon, chiome spioventi, monocoli, giubbe di velluto, mantelli d'un secolo fa, tutto il concentrato del genio letterario della capitale e della provincia, perambulava lunghe ore, ogni giorno, sotto i portici, onorati come il cuore della Parigi letteraria, alla stessa guisa che Palazzo Borbone è il cuore della Parigi politica ed il boulevard quello della Parigi mondana. Ora Palazzo Borbone ed *il boulevard son tornati animati, quasi come prima della guerra, ma i portici dell'Odeon sono deserti. I vecchi librai che vi esponevano tutti i prodotti prosaici, lirici, epici, drammatici, fioriti sotto il bel cielo di Francia, han chiuso bottega, sulvo uno. Peggio ih gambe di altri, il mestiere non va. L'ultimo bollettino della Società libraria di Francia parla di « paralisi ». Tra gennaio e dicembre 1915 son venuti fuori ottocento volumi ; e se ne contavano diciottomila nel periodo precedènte. Vale a dire, che c'è nella produzione letteraria di Francia una diminuzione di diciannove ventesimi. Inoltre, un terzo della lista è fatto di opuscoli, e il resto son ristampe di libri scolastici e di manuali pratici. Dall'agosto del 1914, i portici dell'Odeon vi danno la sensazione precisa d'una stasi del pensiero. La merce, messa in mostra, man è gran che diversa da quella di diciotto mesi fa. C'erano allora — esibiti come il fondo più fresco — libri di tattica e di strategia, rimessi a nuovo, volumi sull'Ai sazia e la Lorena, tutta una serie di traduzioni dal tedesco dai titoli fiammanti, le novelle militari di Ernesto Psichari, il ni' potè di Renan ucciso alla battaglia della Marna; le rapsodie religiose medioevali di Peguy, caduto là anche lui, i romanzi di [Barrès, e poc'altra cosa. Non c'è molto di ■più .oggi. Un centinaio di novità venuta fuori, successivamente in cumuli modesti di due o tre copie, senza più l'onore delle piramidi impressionanti, con cui si annunziava .già innanzi alle botteghe l'uscita del » capolavoro» di Bourget o di Anatole Trance... E son novità, che appassiscono subito, che sembrano vecchie il giorno stes so dèlia loro nascita ; l'atmosfera di guerra incanutisce tutto, con una rapidità spaventosa. Gli autori lo sanno, gli autori) che, sia detto senza far loro torto, mai furono più tenaci di ora nel sollecitare il soffietto dai giornali. Dai giornali stessi, le cronache bibliografiche sono scomparse. La tragedia reale avvolge e soffoca i romanzi, le novelle, i discorsi, i trattati. Un senso di muffa, un sapore di stantìo. Opere nuove sulla Germania, ma portano gli stessi nomi di quelle apparse prima della guerra che, colla buona pace di pochi, un romanziere, Luigi Bertrand, chiamava, un po' esagerando, monumenti di badauèeries. Libri sulle atrocità tedesche. . ma c'è ancora qualcuno al mondo, cui occorra dimostrare, con prolissi volumi, che i tedeschi le lian commesse davvero ? Episodi di guerra, dfpinti con vivacità, come quello della bai taglia di Dixmude, trattato dal Le Goflic, ma che vi lasciano insoddisfatti, perchè sotto l'ultima pagina del volume si sotto tende l'uggiosa postilla « continua » ; e perchè, più del particolare e della scena stac cata, l'assieme del quadro e l'epilogo premono. Nomi d'accademici': Lavedan, Bazin, Richepin, Barrès ; o di accademici in 'parlibus, come il Reinach ; ma voltate la covertimi : sono ristampe di articoli di giorinali, talora brillanti, tal'altra un po' noiosi; e la prospettiva di rileggere un. vecchio numero del Gaulois, o del Figaro, o dell'Echo de Paris, mentre la guerra si prolunga, ve ìi fa cader di mano. Rem a in Rol land, che tenta di sollevarci, «Au dessus de la mélée», mentre questa, volere o no, ici piglia tutti, resta senza seduzione. Tutto? Nossignori. C'è dell'altro: ci sono ;i diari, un piccolo diluvio di diari d'infer'miere, d'infermieri, cappellani, diaconesse ! pastori. Non c'è editore, tra quelli rimasti 'attivi, che non si sia arrischiato a tentare, da quel lato, la sorte: roba d'ieri, note, il jcui interesse è legato ai fatti che racconta !7io e che son sorpassati; c che si dirigono i a gente la quale è portata a reagire contro la lentezza dell'azione militare, precorren ^:do coll'anima il futuro. Cosi è. Se ci fos■sero autori che meglio del Wells e della •signora De Thèbes, sapessero dirci quando e come finirà la guerra, i loro libri, giurateci, avrebbero miglior fortuna. Nulla, dunque, assolutamente nulla, de stinato a conquistare una folla; nemmeno le opere d'immaginazione. Pensate un po' come si fa a fare ingoiar fiabe e tele di ro manzi in un paese, ove la gente, provata da tanti lutti e nell'aspettativa dubbiosa daltri, si sveglia ogni mattina col pensiero fisso dei tedeschi, lontani ottanta chilome tri solo dalla capitale? 11 pubblico, che fa l'oratore, fa anche lo scrittore. E qui ipubblico manca; o piuttosto esso è assorbito tutto dalla lotta materiale, che si svolge sul fronte e da quell'altra, morale — non so se più efficace, ma certo più ester nuante — che continua dietro. Mai i romanzi d'appendice ebbero un lusso maggiore d'annunzi cromatici, giganteschi e maebbero un minor numero di lettori. Unoira i quattro maggiori quotidiani di Parigi, ha monopolizzato, oltre le cantonate, i teloni dei cinematografi, buttando via parecchie decine di migliaia di lire : un altrha fatto assorgere l'appendice dal pianterreno del giornale alle colonne superiori. Invano ! Il più raffinato dei lavori d'immaginazione, Il Senso della Morte, del Bourgetdocumento d'un ardore patriottico i.-eligiobo, innegabile, se non d*una vera ispirazione letteraria, non è andato oltre la prima edizione. Gli altri, i successori del Montepin e di Ponson du Terrail, non hannavuto miglior successo. Nemmeno l'esperimento del giornalismo accademico è riuscito. Ve l'ho accennato più su: la guerrh* accentuato il fenomeno, già spuntato n proporzioni minuscole, prima che scoppiasse. Gli accademici — seguiti a breve distanza da professori, da generali a. riposo, da parlamentari illustri — han fatto irruione nel campo della stampa parigina, e hanno monopolizzato. Ai giornalisti prò essionali, generalmente è rimasta la cura dei lavori più modesti : le informazioni nude, i fattacci, i racconti dei poilus. Gli alri — i nuovi venuti! — sono stati chiamati a dare il la ai giornali. Che cosa ci abbia guadagnato il giornalismo, non si vede bone: quel che la letteratura ci ha perduto, appare già da quelle tali sinopsi d'articoli, di cui vi parlavo. Glissons, n'appuyons pas... Del resto, la natura di quella produzione si spiega facilmente: in tutto il mondo i grandi uomini scrivono troppo; e quando si scrive troppo, il tempo di rilettere manca. Manca anche il tempo di sentire. Fervono qui intorno a noi — nel rimescolio nuovo della vita francese — .sentimenti, passioni ; si formano correnti rapide d'idee e fermentano opinioni. Ma gli scrittori sembra non se n'avvedano ; i giornali non sanno raccoglierne l'eco. C'è anche qui chi esagera ed in questa osmosi letteraria vede l'indizio dello svanire quasi completo dell'influenza della stampa sul pubblico. Io non andrei sin là ; io mi limiterei rispettosamente ad osservare che una convinzione s'insinua nella folla: che i giornali, in tempo di guerra, non son fatti per narrare la verità ; ma solo qualche cosa che vi si approssimi. E la folla che, prima della guerra, credeva in generale a tutto quello che le veniva sott'occhi, stampato, ora. da qualche mese comincia ad esercitare una facoltà che non sembrava fatta per lei: la critica. L'altra, la - critica letteraria, è tornata allo stato di larva. Non ci son più critici, nè in materia di prosa rio di versi. Ed i poeti non dissimulano la loro soddisfazione al vedere il campo sgombero dagli arista» chi, rompitori di scatole. Uno, per esempio, iersera, avvertiva in un giornale che, quando uno scrittore sacrifica, come accade a.Parigi tutti i giorni, i suoi «dritti d'autore», permettendo la recitazione gratuita dei suoi canti negli innumerevoli' concerti poetico-musicaii, promossi per le vittime della guerra, ci sarebbe ingiustizia a dire che quei cantanti sono cattivi. Ma, insomma, senza andare incontro a tacce di cattiveria, questo si può dire: la messe poetica è povera, molto più povera di quella dei prosatori. Le cause saltano agli occni: sono quelle stesse che isteriliscono le arti plastiche. La trincea, dove il combattente ò costretto a nascondersi, non vale, dal punto di vista poetico, la cavalcata, i pennacchi, ed i mantelli svolazzanti d'altri tempi. Paul Fort, il poeta della Closerie des Lilas ha ragione quando mostra nel 19.o (dico diciannovesimo) tomo delle sue Sallades Francaiscs Omero se duto ai Campi Elisi in atto di rifiutar d'ascoltare un gaggio sulla guerra d'oggi, «perchè la guerra esige rimpero dell'ono re presso i due avversari ». Oltreché Tono re ha esulato dai campi, pei- virtù del dio teutonico, la guerra scientifico-industriale non è fatta per accendere l'immaginazione. Addio paladini antichi, addio scudieri, cavaliere caracollanti, addio corazze, rutilanti al sole. Persino le camice rosse — lo si è visto nell'Argonna — non sono più pos sibili. Ma l'epopea non è tutta la poesia; de,gli spiriti! lirici han trovato larga materia nello sdegno che eccitano le gesta dei nuovi barbari ed il valore dei prodi. Materia di riflesso, temi in margine: l'ambulanzale mine, i superstiti, la messa al campo ; ocome nella poesia di Paolo Claudel, le re miniscenze, oltre mondo, dei'caduti. La guerra in sè, l'orrore sotterraneo delle trincee, le cavalcate degli artiglieri martellantil suolo, il volo dei velivoli mitragliami inemico o jlibrantisi come guardie fedelii fremiti, le voci della lotta sotterra, su terra, e più in alto non hanno ispirato di rettamente nessuno. Accadde così anche nel 1870. Puvis de Chavannes potette riportare dai bastiondi Parigi i suoi schizzi famosi e Rodin modellarvi « Bellona » ; ma tra i poeti, salvo Teofìlo Gauthier, celebrante i « vecchi della vigilia » e l'Hugo dell'« Espiazione », salvo le strofe della «Lettera d'un mobile bre tone» del Coppée e quelle di Déroulède — non ci fu altro. Il rapsodo, dunque, è in ritardo sull'eroeC'è, sissignore la vecchia guardia, dei, poetlaureati, che non tace: il signor Stefano Liegéard e Jean Aicard ; ma son poeti dall'anima arcadica o, come Paul Fort, bucolici addirittura. E certi, ruggiti di Jean Richepin, lanciati all'aria in forma di giambleonini, son già svaniti nel deserto. Rostand svegliatoci per salutare Gabriele D'Annunzio, dopo Quarto, Ila tentato un momento la satira, ha verseggiato qualche episodio della guerra dei tedeschi contro le chiese poi... più nulla. Emilio Bergerat e Michele Zamacois han ripreso il ritmo delle vecchie ballate. Altri tramano certi canti che sem brano madrigali, e che le belle attrici della « Comedie Francaise » ripetono innanzi alle platee di convalescenti e di feriti. I canzo nieri di Montmartre girano sul fronte :Teo doro Botrel, menestrello bretone, ha dato l'esempio, e Montéhus, bardo antimilitarista prima della guerra, ha calzato i zoccoli dTirteo ed ha emigrato anche lui Il Pindaro, l'Omero della guerra sono an cora di là da venire. C'è una spiegazione Anastasia simbolica, la censura. Il tempo in cui il compito artistico deve obbedire allcondizione primordiale di non lasciar sfug gire nessuna verità violenta e di non scuo tere, per nessuna ragione, i nervi del pubblico, non è til tempo più adatto olle ma nifestazioni geniali. La censura è — dicevl'altra settimana alla Camera, celiando, ideputato Andrieux — è l'usbergo della virtù. Ora « virtus consistit in medio», vala dire consiste nella mediocrità. E la me diociità dilaga dal libro, dall'opuscolo, dagiornale. Le passioni limano non hannpia diritto di meato* dura te guecra nella letteratura. Non c'è che il dritto di celebrare gli eroi e di scovrire l'eroismo. Appena è lecito qualche spunto giovenalesco a spese dei tranquilli borghesi, appena è lecito scherzare sulle impazienze soverchie della gente rimasta a casa. La grande risorsa dell'arte, la varietà, è inibita. E la causa immediata è nel gusto stesso del pubblico, il quale se non legge i novantanove centesimi dei prodotti della letteratura di guerra, s'inalbera però, ed insorge contro coloro i quali osano trattare altri temi, che non siamo quelli offerti dalla guerra. Pubblico irragionevole, pubblico bisbetico, dice Paolo Brulat. Pubblico filosofo, che ha il senso dell'ora, pensa invece qualche altro, e che non ama lo si trastulli, quando si muore. DOMENICO RUSSO.