Come ci avviammo a Novara

Come ci avviammo a Novara Come ci avviammo a Novara Avvengono a volto nell'opinione pubblica 1 dei movimenti strani di curiosità, «'ti è generalmente giudicato abile chi la sa eccitare e sfruttare. Cosi è avvenuto oca poiNovara. L'ambiente nel quale si preparò con logica fatale il disastro, le cause, ed il modo di esso eruno cose notissime agli stil¬ liosi. Tutti sapevano dell'inchiesta su di Iesso pubblicata nelle Memorie dello Stato]Maggiore, né ossa aveva sostanzialmente aggiunto gran cosa a quanto un uomo In- teiiigente poteva dedurre anche dai vecchi libri del Brofferio e del Bersezio, dalle Me- iimiie. del tempo, se egli le sapeva leggere '■-ni occhio non ottenebrato da preconcetti j.1 ila interessi di parte. E delle polemiche iuspre, ferocissime divampate ila quel ter- libile disastro aveva rinfrescata da. ultimo la memoria il prof. Balsamo Crivelli, me-1 rimmente fortunato scopritore d uno scritto violentissimo del Gioberti sull'argomento: :.« Ultima replica ai Municipali... Ma il prof, Balsamo, che uno studioso sul serio e im conoscitore profondo del Riisirgimento italiano, mai avrebbe pensato che la dot- nieiile ph lui-gin srl, sbanda rs eh-, tlssima sua pubblicazione sarebbe diventata un'inesauribile miniera alla facile erudizione di uomini politici o di giornalisti, pronti u dar valor.- di storia, ad ogni arma polemica e di documento sicuro perfino a petlegolezzi di segretari e di servitori, pettegolezzi che lo storico sci serio «doperà soltanto ad illustrar" l'ambiente nel quale s'è. potuta svolgere una lotta feroce. Così la storia diventa per molti un tessuto da cui ognuno ha il diritto di tagliarsi fuori l'abito che vuole, senza, badare che per ritagliarselo bene ci vuole sempre una particolare abilità. Chi ne manchi può arrischiare di mettere invece in maggiore evidenza i difetti che gli conveniva tenere celati-. II die crediamo precisamente sin. accaduto al senatore Rnillni.. quando ha creduto ..ii dover rievocare la storia infelicissima di Novara- Vediamo. Laser, ilo che il 6 agosto 1848 ripassava, il Ticino, accompagnato e seguito da oltre centomila Lombardo-veneti, non era veratiu eseròilo, ma una banda di Varcato il fiume «esso prese a scrivono i Commissari déll'In• a sulla campagna dell'anno oppresso i massa, talché a Vigevano, ov'era il Quiuiler generale, il 7 agosto, un reggimento .li Cabale perdette ben 600 uomini, ed un reggimento d'Acqui si sdolse quasi mpletanieiitca. Del resto In disòrgauizzazionè'era cominciata assai prima: «Lo tato degli animi della truppa, più che la vittoria del nemico, costrinse il Re ad or.iiim,v la ritirata da! Mincio, ed i germi di riisorganii'zazioiie pulesaronsi allora apertninciite. Molti fuggiaschi d'ogni reggimento presero difilato la via del Piemonte, e sì divelti1 operare la ritirata senza ferir quasi colpo fino n Milano»; Figurarsi lo scoramento, l'indisciplinatezza, la ribellione degli animi dopo Iti nuova sconfitto sotto le'mura di Milano, e dopo i torbidi e 1" violenze nella città, dopo le imprecazioni e le indiale della popolazione, briaca di dolore, di terrore <■ di Sedizione, contro il povero Re, die « a compenso dei pericoli incontrati scrisse bene i! Bersezio — si ora sentilo gettali in volto ; nomi di traditore e di infante venditore <l»l sangue dei popoli-.. « L'animo cavalleresco » del Ue non s'era indotto mi necci In re le condizioni dell'armistizio uòpo' Cusiu/.u. «Condizioni dure scriveva od suo diario con grande assennatezza il Buca ili Genova -■ se si guardava !:i nostra posizione di otto giorni prima; ina se .^i dava uno sguardo ni nosui poveri soldati morenti di l'urne, di stenti i' di fatiche, ci.-U'iuipossibilità di combattere, perchè (indie vincitori saremmo morii ..ti l'aiuti, erano condizioni du accettarsi ». Purtroppo se sul principio dell'impresa si potevu forse vincere con la sorpresa, osando ogni iiiukicia. quando era tardi 0 bisognava essere prudenti, si giocò tutto. E ancóra l'assennato Luca, in quella parte del suo «diario.) che non fu pubblicata dal lo Stato Maggiore, lamenta clip fossero state «ributtate» i-1 proposte dell'Austria dopo la caduta di Vicenza, li' una pagina che merita di venir meditata e che fa onore a chi l'ha scritta. «Padroni della terra lombarda in un anno si poteva avere un esercito doppio di quello d'allora, dopo il u.uale tempo ci saremmo trovali in istato con quasi sicurezza di successo, .li tentare da nui, se Francia ed Inghilterra aiutine non ci volevano, di liberare il Veneto. In un anno si aveva ancora tempo di obbligare, se non il re.«li Napoli, almeno Roma e Toscana, a contribuire alla guerra dell'indipendenza organizzando delle truppe. Cosi avremmo Potuto tornare in campo con ogni probabilità di successo. La cosa, ancorché dilièVitu non cessava tuttavia di essere gloriosa. Ma le proposte furono ributtate; e questo torto non venne da chi comandava l'esercito (che non fu nemmeno consultato), uni sì dall'essere le redini del Governo cadute in mano di uomini senza esperienza alcuna degli affari e che non giudicavano le probabilità di riuscita se non dagli scritti di giornali-li. i quali tmihi ignoranti quanto fanatici, fàeil cosa stimavano mettere in rotta uh esercito di 180 mila uomini e rendersi padroni di fortezze armate da centinaia di cannoni ». Ed è veramente notevole osservare, come tra gli ufficiali intorno ni Re. il solo che pensasse nello stesso modo era quello che 1 commilitoni scherzando chiamavano il prussiano, Alfonso La Marmerà. Era fatale del resto che l'Italia percorresse tutta la china delle esperienze, perchè ritrovasse se stessa. In un magnanimo impeto l'Italia sera uizuta alla gran prova, credendosi pfon(a ; la realtà, che purtroppo Ini sempre . ragione, aveva mostralo il contrario. AIvrebbe dovuto incominciare la politica di I raceogtiinento e di reintegrazione, Che Ci iporto più tardi, nel decennio operoso, alle « Passeranno i giorni dell'avversa fortuna, e il diritto trionferà della forza brutale », proclamava nubilmente Carlo Al¬ iberto il 7 luglio; ina nemmeno- lui, purtroppo, sapeva quello die III.) Livio e i Roiiiatii avevano insegnato: tram sene viribus canani. 11 sentimento senza la forzo, che lo sorregga è vano. Dopo l'arinistizio di Salasco, che dovejva intendersi tacitamente rinnovato sino a che non fosse disdetto, il lavoro di reintegrazione dell'esercito e del paese, a vero dire, cominciò. Ma erano appena i primi inizi, e lo sfaceli) quasi completo. « Né per disastri, uè per tradimenti ha cessato il Piemonte — diceva un indirizzo al Re — di confidare nelle sorti della patria». Esso è « prontissimo a levarsi di nuovo in armi a difesa del re e delia libertà». E non era vero. Doveva passare necessariamente molto tempo perdio rinascesse nella popolazione e nei soldati quell'entusiasmo che aveva fatto vincere l'anno prima sul Mincio. «Erano stati levati di grado parecchi dei capi meno capaci, ma non erano stati sostituiti da tali che possedessero la stima dell'esercito e del 1 popolo : si erano fuiìe inùtili riforme nel- le, monture, senza che il soldato venisse in sostanza, rifornito di migliori mezzi, di attrezzi più acconci, di armi più eflicaciXelle file dei soldati le due sètte avverse, retrivi e repubblicani, spargevano il loro veleno, seminavano i germi della disc.or- Idia » (Bersezio). La diffidenza contro la ]monarchia era grande, e, per converso, grande la diffidenza verso i Lombardi, i quali pareva non meritassero il sagrinolo di tante vite. E quel che 6 peggio, ogni mormorazione, anche se infondata, ogni pettegolezzo, anche se sciocco, trovavano jpred-[to e fondamento nell'apparenza delle icose_ „p6P conseguenza, in tutto l'esercito malcontento, dissensioni, rancori, e il più dannoso dei mali, la diserzione», 1 „ ||nee cenaurata) „ . . „_ ,., :^soia politica log ca, perchè il Ministero basati aveva dopo I armistizio di Salascp chiesta la mediazione «Iella Francia e del 'Inghilterra, a l'Austria, sconvolta dalli l i i i i e a o a a e a n o e n a o i o l a n e a i e e e l e a e a e i i e ¬ i o, o o i a o i terza rivoluzione di Vienna, sembrava disposta a fare sul serio, anche se in oostan* za mirava a guadagnar tempo, era di af-, frettare la mediazione e di stringere una pace che fossa abbastanza conveniente, per: prepararsi seriamente alla futura riscossa.. (8 linea censurate) Non si può qui fare la storia delle lotta politiche e dei vari Ministeri (Casati, Allieri-Pinelli. Perrone-Pinelll, Gioberti, Chiodo) che portarono a Novara, ma terribilmente istruttiva è la discussione in Parlamene della seconda metà dell'ottobre., «Si doveva giudicare dall'Assemblea elettiva l'operato del Ministero durante le vacanze parlamentari, pronunciarsi sulla sua politica, e, quindi, discutere dell'opportunità o no di ricominciare la guerra ». Scrive bene lo Zanichelli, che mai si vide dbscussione piti inconcludente e pericoloso* «Si declamava, sulla, guerra, si ingiuriavano gli Austriaci, si facevano i propositi più pazzi, non si decideva nulla di concreto e di serio, ma si creava quell'ambiente torbido dal quale doveva uscire non solo la guerra, rn'a anche la sconfitta, perche gli animi non solo si dividevano se: pre più. ma si concitavano gli uni contrai gli alni, si spargevano !1 sospetto, la diffidenza, la calunnia, ognuno dubitava, a sedeva da per tutto il tradimento. Pei democratici erano traditori i copi dell'esercito, molti ufficiali, i ministri,,'! moderati, le persone della Corte ; pei muderati tradivano la causa italiana i democratici e gli • esaltali: la diffidenza e ilrsqsptètto si dif-' fondevano nelle lile dell'esèrcito, in tutte le classi della popolazione,' e, da ultimo, sorgeva il disgusto per l'indipendenza nazionale, ad ottenere la quale il Piemonte aveva versato il suo sangue e si era rovinato economicamente, senza averne alouu compeuso nò materiale nè morale ». Stringe il cuore nel leggere gli Atti di quelle sedutegli ministro della guerra, Dabormidà, ■ iiyKI|tJ9P^sc<^me'nte^!»Pero che l'esercito Son era pronto. « Mm'te imperfezioni rimangono nell* organizzazione ». li un deputato, il Buffa, di rimando:' « Parlate alla nazione, all'esercito un llnguaggio alto... lo ho fede nella nazione..., fi Piemonte ha sempre saputo maneggiar bene le armi ». Un deputato, il Tola, osservava che « la guerra non si fa nè coi desideri, nè colle speranze, nè coll'immaginazione ; la guerra si fa coi fatti ». Erano disapprovazioni. E disapprovazioni quando domandava: « Abbiamo noi al momento mezzi tali da sostenere con qualche speranza di buon successo codesta guerra? Io noi oredo jnon abbiamo in Italia a fronte un esercito nemico di due volte maggiore dal nostro?»* Ma crosciavano gli applausi dall'Assemblea, dalle tribune quando il Brofferio con la sua voce tonante affermava che tutta Europa guardava e attendeva. « Ci imitano... i cittadini di Vienna... C'imitano i popoli d'Ungheria... C'imitano i Prussiani». Che esercito nemico? Che fortezze^ « La guerra a cui invitiamo PItalia non e solo guerra di soldati, ma guerra di popoli rivoluzionari, neHa quale più che le mosse regolari prevalgono i magnanimi ardimenti ». Sereno, forte, battente una via propria, s'erge in mezzo a^ tanta tempesta Camillo Cavour. Meravigliósa storia questa del òq. polo piemontese, che dal suo seno, nei momenti tragici della vita, esprime sempre il veggente ! Il Conte di Cavour non ò contrario alla guerra come alla guerra, tanto è vero che quando sarà sicuro di vincerla, la farà Ini. Ma dovranno prima passare dieci anni di preparazione e di organizzazione. « Ove fosse dimostrato che questo è il momento più opportuno per rompere la guerra, che ogni indugio ò dannoso, io direi: poniamo la diplomazia in non cale, facciamo la guerra ». Egli non disconosceva i'aiuto dei volontari, ma «senza tema di essere smentito da verun militare assennato » osservu.va come il problema stava «nell'oppugnazione di quel terribili» quadrilatero, formato dalle fortissime itoccho di Mantova e Peschiera. Verona a Legnago ». Di ceuto cubiti più alto di amici e di assertori, mentre ha una cosi netta, precisa visione del problema militare, imposta nel tempo stesso la questione nella storia -riva d'Europa, e dall'esame di tutta la realtà militare, sociale, politica, deduce l'utilità dell'indugio, la necessità di favorire la me< diazione. Ma l'assemblea ed il popolò aju plaudivano alle folgori del Brofferio, evocante «la campana dei siculi Vespri, e Ja tromba della Lega Lombarda e le fiamma divoratrici di Pietro Mioca ». «Tre cose vi raccomando, o Italianir ab dimento, ardimento, ardimento». Croscia, vano gli applausi dal popolo assiepato nellel tribune, e poiché il conte di Cavour invjj fava il Presidente a « far rispettare la dignità della Camera », la folla schiamazza, va contro di lui. Non si intimoriva il conto di Cavour: «Io lo dichiaro altamente, in faccia al paese, a quelli che cercano di volercene imporre... », ma gli schiamazii coprivano la sua voce. Coprivano la sua voce e (inolia di tutti gli assennati che cercava, no di scongiurare dalla patria il supremo pericolo. Il conte di Cavour diventò dà questo momento un traditore della patria. Non solo le tribune del Parlamento lo urlano ì non solo la piazza gli è ostile: ma gli nomi* ni più eminenti scrivevano di lui: il «no* niic.o d'Italia, senza probità, senza fede, senza principi-!, pronto a Iradire la patria in mano agli stranieri purché glia no metta bene». Cosi ci avviammo a NovaraI