La grande infamia

La grande infamiaLa grande infamia Ci «ono voluti quasi due anni. Ma sono I paesati ! , BLa giustizia umana c lenta a cammi-jdnare. Ma cammina! !Dalla Caporetto — quella del bollettino j infamante ; — dalla Caporetto mendace 1 dei Fasci — che escludeva o metteva in tsott ordine le cause e responsabilità mi- litari; — dalla Caporetto falsa, bugiar- j sda, ignominiosa, infame di tutti i respon-l sanili e gli irresponsabili annidati nei Lsudici fronti interni; dalla Caporetto ad dvvisorio dei giornali, alla quale I u■ m j , ' . , I uso prov non abbiamo mai creduto, contro la qua le fin dal primo giorno ci siamo schierati a difesa della verità evidente, della equità insopprimibile, del popolo buono, della Nazione sana; siamo giunti vìnalmente, ma sempre a tempo, alla Capo retto vera, alla Caporetto genuina, ricostruita sul suo terreno, alla Caporetto del Comando e del Governo, verso i quali ci siamo sempre onorati del nostro conte-< ■gno tenace, irriducibile, di opposizione, di critica, di biasimo, di rampogna. I grossi responsabili sono al muro. Dinanzi a loro l'Italia, che esce dalla guerra per riprendere il suo lavoro, ma non per dimenticare, è tutta in piedi, non con il braccio, non con le armi, ma con la coscienza pronta all'esecuzione. In venia essa è già avvenuta. Certi vivi sono bell'e sepolti. Quale cittadino, in buona fede, ha mai pensato ad una fine diversa, di coloro che noi abbiamo sempre accusati durante la guerra e prima della guerra, di tanti difetti, fra i quali l'inettitudine era forse 11 più lieve? Chi, non disperando della Patria, ha mai pensato che Caporetto non fosse anzi tutto il resultato logico, fatale, di due anni, di campagna la più inconcludente e pazzesca., la più prodiga di sangue e meno utile di risultati, che si sia combattuta sui fronti di tutta Europa? Chi non ha veduto, fra coloro che avevano occhi per vedere, che le cause di Caporetto crano anzitutto .di ordine militare? Che Caporetto fu una sventura cercata, procurata, preparata al popolo nel modo più bestiale, e addossata a lui, alle sue spalle di buono e mite gigante attìnto, nell'ora in cui i responsabili veri avrebbero dovuto sentirsene rossa la fronte, rotta la schiena, macchiata per sempre la coscienza, se mai l'avessero avuta? In quell'ora i responsabili avrebbero dovuto scomparire. E sono rimasti. Nella storia della terza Italia non c'è esempio di una altrettanta impudenzaEssi avevano tutto in mano, ancora. Caporetto era venuta a sorprenderli nel col• mo della loro potenza criminosa, ma enorme. Erano freschi dall'avere invocato per il paese la Dittatura militare. A 31 ilano c'era chi tremava per gli edifici dei propri giornali, che la tattica e la strategìa del nuovo Napoleone aveva messi in pericolo. Ma c'era da salvare una mole enorme di responsabilità personali, e allora, nel momento più tragico, questi veri vinti, questi veri battuti, questi infa- mati scelsero la via della più spremutili-. i n cata audacia: osarono passare dalla prò- •nri» infamia ili» diffama 7 imi e ill'in fa- pria intanila alia amamazione. au mia- mamento di tutto il paese. Ebbero Firn- pudenza di passare all'offensiva: erano condannati e accusarono. Erano accusati e calunniavano. Volevano buttare addosso alla Nazione la vergogna della disfatta. La sconfitta era nata e cresciuta in due anni: essi l'avevano aiutata a nascere, a crescere, a ingigantire: essi avevano covato nel proprio seno la serpe ; la presero quando mordeva c la scagliarono • addosso a coloro che da due anni parlavano, scrivevano, ammonivano, scon-, • .11 , ■ i • giuravano che alla serpe bisognava scmaociare il capo in tempo, perche non iiiocu-., 1 , r > r . ì n -v lasse il suo veleno nel sangue della aa--p _i: «wc lenito ri non erano loro izione. & gii avveienaton non etano 1010.Tutti erano avvelenatori, all infuori di, , . • , loro che incensavano i responsabili, cnecoprivano i loro enori, che mutavano in1 .... , , ,. ,. . altrettante virtù le loro colpe badiali, ohej«i«^o^.Tir, la Wn KPMiipn-'a che l'stin-.i-deificavano la loto scemenza, cne istiga vano con la lode la loro impotenza, so-spingendola ai tentativi più folli, alle im¬prese più sanguinose, alle sanzioni che prrscmdpvauo dalla più elementare giustizia, alle liquidazioni che schiumavanol'intelligenza dell'esercito, nei generali enegli ufficiali, ne frantumavano i quadri, dissanguavano il soldato, e lo riducevano all'anemia fisica e inorale. L'esercuo sì lasciava salassare. Du due anni la guerra era un'emorragia spaventosa. Essi la lasciavano bere dalle pietre .del Carso. E dicevano che l'esercito era eroico. Quando l'esercito non ne potè più, perchè era composto di uomini a gli uomini erano trattati peggio delle bestie; quando l'esercito non ne potè più perche non aveva più quadri, non aveva più forze fisiche, non aveva più fede nei capi, e areva fame — perchè Caporetto fu anche la criai del denutrimento — quando l'edi-«feci* di cuori crollo MS* era matematico che crollasse, allora l'eBercilo non era più eroico, era una man- dra di traditori e di vili. L'Italia un paese che non poteva vincere la guerra. Essi. i buoni, i grandi patrioti, avevano sognaio una grande Italia, avevano sognato nn altro paese, avevano voluto un'altra guerra. Il paese mancava al loro sogno. Come Adua. Come al tempo di Adua ! L'inettitudine di Crispi, che diventa grandezza e pretende sovrastare alla miseria uuivprsale ■ , tosi speravano di salvarsi, 1 veri capo- peravano ai salvarsi, t veri capo rettisti del 15T, del Iti e del 17 ! Infamando il loro paese. Posse perita l'Italia, purché si fosse salvalo Cadorna, e i cadorniani, Salandra ed i sa land ri ani. Il disastro era tutto fuor che multare ! Si perdonerà a qualche reparto di esser fuggito. Non si potrà mai perdonare a costoro di essere rimasti. Non si dimenticheranno mai i loro nomi, nè il gesto col quale tentarono di riversare Tonta propria sulla coscienza e sulla storia del loro paese. Tutto può essere perdonato, tutto sarà dimenticato fuori che questo atto di infamia. Le conclusioni dell'inchiesta oggi lo ricordano e lo riconsacrano. Certo, nel 1917 s'era diffusa in tutto il paese una grande sfiducia, una tristezza cupa aleggiava negli animi, non diradata dagli squilli retorici dei bollettini di guerra, che mettevano in valore il groppone del Kuk, o la vetta del Santo, o le pendici dell'Hermada. per falsare la vera visione della realtà che mai fu più truce che nell'anno dell'offensiva del ^Vodice, del Faiti, della Ortigara e della Bainsizza. Questo scoraggiamento, questa tristezza erano degne espressioni di un popolo che ormai cominciava a rendersi conto della realtà, era naturale in soldati, ai quali, dopo un'azione i bollettini non recavano che tracce di reticenze incredibili, di deformazioni ad uso degli assenti' e degli imbecilli. Era il buon senso che insorgeva contro tutte le mistificazioni. Erano lo ultime gocc° di sangue rimasto nelle vene dei combattenti che ribollivano di sdegno per tante decine di migliaia di morti invano. Novemila morti e sedici mila feriti in un solo Corpo di armata sul solo Vodice ! E quello era un quinto, un sesto dell'immenso fronte di attacco, dove le stragi erano state per lo meno uguali. Ma si mandava al paese l'annuncio che il maestro Toscanini era salito sul Monte Santo a dirigere la Marcia Reale ! Si ebbe allora da certi capi terroristici, il coraggio di tornare a speculare sugli aborriti istinti mandolinistici del nostro popolo ! r ino all'ultimo si sperò di coprire, magari con suoni di musica, l'immensa voce dei morenti da Tolmino- al mare. E il marcio era in paese ! E il marcio era nell'esercito, infiltrato dal paese ! Il marcio erano i troppi morti, o caporettisti dei fasci '. Il marcio l'avevate voi nelle coscienze, nei cervelli e nelle tasche. Il soldato lo sapeva. Il soldato aborriva i vostri giornali, il soldato sparava negli ultimi giorni sui vostri corrispondenti di guerra, il soldato non capiva più niente in quelle avanzate cùe spezzavano e indebolivano il fronte, portandolo più avanti su terreno indifendibile e fermandolo a metà strada per mancanza di quel munizionamento del cervello che si chiama intelligenza, di quel munizionamento del cuore cne si chiama amore del soldato e amore del proprio paese. Voi pretendevate di essere dei giudici. Eravate dei giudicati. L'esercito aveva sentito che i peggiori nemici li aveva alle spalle. Cadorna si illuse allora di silurare l'esercito. L'esercito, il paese silurarono lui. Il vostro idolo fu infranto per sempre. Andò a casa per sempre il vostro dittatore militare e quasi civile. Sul Piave si chiuse una folle campagna militare di due anni-e mezzo, e una campagna di tre anni di interventismo, di fascismo da energumeni. Sul Piave il soldato fece la. sua guerra ; il soldato ricominciòva mangiare. Sul Piave sentì di non esser più una bestia ma un uomo, non una macchina ma uno spirito, una volontà, una intelligenza, una passione. La volontà, la intelligenza, la passione nazionale. Ma questa non fu una redenzione. Fu un ritorno. Perchè nel maggio del 1915, nonostante l'impreparazione che doveva fermarlo, nonostante la tattica che doveva rovinarlo, con questo animo, con questo grande e mite animo, generoso e paziente, il soldato era partito per la guerra. Glie lo avevano distrutto ; ora egli se lo ricreava. E fu come se la guerra ricominciasse. E ci furono due battaglie, le più grandi di tutta la campagna, e furono due vittorie, le più luminose di tutta la guerra europea, e si giunse questa volta, senza C'adorna e senza i fasci, ma sospinti dalla nazione tutta, dalla universalità della patria, si giunse a Trieste c a Trento. Ma i vostri capi, o faziosi, sono lì al muro, che aspettano la misericordia, il perdono dei vincitori e dei morti.

Persone citate: Cadorna, Crispi, Posse, Salandra, Toscanini