Le responsabilità

Le responsabilità Carne ci avviammo a Caporetto Le responsabilità La rimozione del Brasati, l'invio di qualche Tinforzo, l'adozione di qualche urgente provvedimento non poterono impedire ciò che oramai ora fatale avvenisse. All'intensa violentissimo bombardamento del 14 maggio seguì immediato l'attacco per parte delle fanterie nemiche. Attacco a incessante, impetuoso », che si «ferra dapprima alle ali (Val Sugana e iVal Lagarina) e determina il ripiegamento dei nostri, che si concentra poi angli Altipiani. Direttrici : la Vallarsa, Val Leogra, Val d'Astico, Val d'Assa. La difesa di tali direttrici si doveva essenzialmente imperniare sui massicci di Coni Zugna, di Col Santo, di CampnmolonTorraro e del Verrena. Ma lo sforzo fatto nella difesa della prima linea aveva esaurito i nostri. I rinforzi ancora insufficienti. Ed anche questa linea in breve fu rotta. Il Col Santo — uno dei capisaldi in (Vallarsa — tenuto da pochi territoriali, cade, e l'intera Val Leogra sta per aprirsi al nemico. Ch'esso occupi il Pasubio e la valle sarà sua. Intanto dall'Isonzo su autocarri giungevano sul teatro di battaglia i primi rinforzi. Una colonna di autocarri s'avviava in Vallarsa al pian delle Fugazze. Al Pasubio nessuno. I nemici vi giungeranno. Un ufficiale di btato Maggiore del 22.o Corpo d'Armata vede il pericolo imminente. Raggiunge la colonna, la ferma, la volge per il passo di Xemo al monte minacciato. La strada è ingombra di neve, i soldati affondano a mezza gamba ; da ventiquattro ore non mangiano. La notte è caduta, la neve si è fatta più alta. Pure si va avanti. S'arriverà ancora a tempo? Spuntano i primi chiarori sull'orizzonte, qualche soldato ha gin toccata la vetta. Il Pallone, del Pasubio è ancora intatto nella verginità dei suoi tre metri di neve. Si improvvisano le prime trincee. Sono le sette del mattino, e dall'altro versante nereggiano in quel biancore abbarfcagliante le prime pattuglie nemiche. Vengono sicure, della conquista che pensano di avere già fatta. E cadono riverse sulla neve rossa del loro sangue. Così per il lampo di genio e la volontà audace di un modesto ufficiale, per la forza tenace e il coraggio indomito dei soldati d'Italia il nemico non passò. . I rinforzi giungono a spizzico, alla rinfusa, disorientati, senza ordini. Mancano le carte, mancano le guide. Gli ufficiali non conoscono il terreno, i repartia volte, marciano alla cieca. Qualcuno va dove non deve andare, qualche altro si ferma anzi tempo credendo di essere arrivato. Ma dove arrivano, dove si fermano, si piantano saldi, combattono tenaci. Alpini resistenti — per adoperar le parole del più degno di loro : Cesare Battisti — resistenti come il granito dei loro monti ; fantaccini che non hanno mai veduta la: montagna e gareggiano con i figli di essa in audacia e in valore; artiglieri che trastullano a forza di braccia su pei dirupi i loro cannonè dei nidi delle àquile fanno posti di combattimento; automobilisti che stanno saldi sui loro sedili, senza chiuder occhiosenza toccar cibo per giorni e giorni, volando attraverso i piani polverosi, inerpicandosi'per vie tortuose e scoscese, trasportando dall'una fronte all'alila i soldatche devono fermare la valanga il.unipente; fanciulli che hanno appena allora lasciata la scuola o dirigono i Ionsaldati come capitani provetti, combattono e cadono con il nome d'Italia sulle labbra, con il pensiero della madre necuore. Esercito d'Italia nella passion della patria eroicamente sublime! E dopo undici battaglie, dopo fiumi di sanguedopo una sconfitta — anche quando isuo Capo gli avrà gettato l'ultimo oltraggio e l'avrà accusato dinanzi al mondo della più turpe ignominia — questo Esercito si pianterà sul greto dì un fiume, sradicherà sui greppi di un monte, e conquistando la vittoria militare della patria, farà eterni nella storia i nomi della Piave e di Vittorio. A piedi dei monti, in Marostica, erano raccolti gruppi d'alpini; nucleo discreto di manovra, ma pur del tutto insufficientall'ampiezza della fronte. Portati in autocarri in Val d'Astico e Val Posina con ardili contrattacchi svincolano una divisione. Il nemico intanto, superato l'altipiano di Tonezza, s'avvicina al ÌS'ovegnoSoldati di fresco sopraggiunti lo arrestano. E contenuto esso è pure nella conca d'Asiago, dove i successi della Val d'Asslo hanno portato. Il Comando, sotto la stretta degli avvenimenti, ha, finalmente, provvedutoAveva avviato sulla fronte minacciata la riserva della fronte Giulia (7 Divisioniradunate prima sul Taglia mento) ; quando il nemico sfonda sugli Altipiani e la situazione si fa sempre più minacciosaordina la costituzione di un'Armata driserva (5.a). E raccoglie nel triangoliVicenza-Cittadella-Padova cinque Corpicon unità tolte dalla linea dell'Isonzo idi nuova formazione. Provvedimentpreso in ritardo una settimana dopo l«ferramento d'un'offensiva già da lungtempo preannunziata : pure logicamentconcepito, presto e bene attuato. Il nemico non sboccò, non riuscì,nem*MBQ s r^yii^a-re gli ultimi cigli <l o i a i n l l , o i e o n i i o , i i e l n , l o i e a o o e n o. a a o. a i, a , i o i, o o o o e - dove avrebbe potuto dominare il piano. Ai primi di giugno cominciò ad allentare. L'impressione per quella irruenza d'invasione da nessuno sospettata e neppur creduta possibile, dopo tante illusioni di nemici già vinti e prostrati, dopo tante speranze di rapida e piena vittoria, fu sul pubblico italiano immensa. E in coloro che più facilmente avevano coltivato illusioni e speranzo parve più grave la paura. Nessuno si sapeva spiegare come il fatto fosse potuto avvenire, ognuno tentava spiegazioni. Il generale dell'Armata uu inetto e un traditore dovuto cacciare dall'ufficio; un altro generale ignominiosamtute fucilato sul posto. E l'annunzio che comparve il 25 maggio della disposizione del Consiglio dei Ministri collo' cante a filoso il generale Brasati confer mava i sospetti, attizzava le dicerie. Uno solo in tanto male immune da ogni colpa : il Comando Supremo. DJ dove venissero dicerie e sospetti, chi le alimentasse nessuno mai seppe. Certo quella diffusione di notizie distornanti dalla comprensione della realtà giovava a scaricare da ogni responsabilità dinanzi al pubblico coloro che avevano risolutamente voluto la guerra con quegli uomini, con quei mezzi ed in quel momento. Ma se dicerie e sospetti potevano ingannare il pubblico ignaro, non potevano il Governo. Deficienze, errori, colpe di ognuno al Governo note. Le responsabilità che esso si assumeva dinanzi al paese ed alla storia patenti. Il Comando Supremo colpevole dell'impreparazione onde si era entrati in guerra. Colpevole della caduta del proprio piano strategico appena pochi giorni dopo entrato. Colpevole dell'eccidio inutile d'uomini e dello sperpero'di forze avvenuto lungo tutto un anno di assalti vuoti ed inconcludenti. Colpevole di non avere, contro ogni rapporto di subordinati ed ogni evidenza di fatti, creduto alla imminenza dell'offensiva nemica. E colpevole di avere, anche questa volta, punito e fatto punire coloro che dell'invasione imminente, e dell'impreparazione nostra a riceverla lo avevano, per dovere d'ufficio, avvertito. Un uomo di Stato ardente per il successo dell'impresa da lui voluta, consapevole delle responsabilità assunte dinanzi alla patria, con il volerla, non avrebbe esitato. Trentottomila dei nostri caduti prigionieri, migliaia di morti, così vitale parte di territorio nazionale disertata o caduta preda del nemico, i nuovi imminenti pericoli imponevano rapmi, decisivi provvedimenti L'immediata rimozione del Comando Su premo era il più leggiero di essi. Più gravi responsabilità portava il Codice m litare: ma a queste avrebbe pensato il Parlamento. Per il momento la rimozio ne era imperioso dovere. Ma della man cata preparazione alla guerra il Governo era con il Comando responsabile. Del l'errore dell'ora scelta per l'entrata con esso responsabile. E responsabile di non aver provveduto subito dopo la caduta del piano, e perciò degli inutili eccidi susse guenti. Uri anno di guerra fallita aveva stretto una catena di responsabilità co muni che oramai non si poteva più spcz zaie, che non era opportuno spezzare. La salute della, patria e il successo dell'impresa chiedevano la rimozione del Comando; i legami politici imponevano la sua conservazione. La « salus public» » è una frase; l'interesse politico una realtà. E l'equivoco ne c la conseguenza. E fu un equivoco per parte del Capo del Governo voler far passare dinanzi alla Camera (10 Giugno 1916) come k virile » il « riconoscimento » < che difese meglio preparate avrebbero* se non altro, arrestato (il nemico) più a lungo e più lungi dai margini della zona montana ». Equivoco, perchè quando dalla Camera si chiese se così non si a denunziava — come in realtà si era denunziato — il Comando Supremo », il Capo del Governo ossei-vò che egli « non aveva fatto se non riferire il giudizio di questo ». Ed allora non questo colpevole, ina i suoi sottoposti. I giornali amici spiegarono poi nettamente su chi ricadeva la colpa : sul generale Roberto Brasati. Così per le meditate reticenze e le esitanze di Antonio Salandra, che tacque e non operò quando doveva parlare e operare — e non trovò più nò in Comitato segreto nè altrove l'ora per parlare — così il grande colpevole dell'invasione della patria passò impunito. Che se — come si dice — il Salandra meditò e volle punirlo, e non lo fece per le opposizioni in basso ed in alto, l'uomo di Stato nelle ore solenni della patria non conosce ai provvedimenti che la devono salvare opposizioni uè basse nò alte. E da ogni opposizione si richiama al Parlamento. 11 governo del Salandra quel giorno stesso (10 Giugno) cascò, e gli successe il Ministero della concordia nazionale, presieduto da Paolo Boselli. Intanto il va lore dei nostri soldati aveva contenuto l'invasore, la loro indomita perseveranza lo avevano stancato. E sino dai primi di Giugno i nostri soldati ne ebbero l'im pressione. Si poteva dunque passare al contrattacco. E il 16 giugno si passò. Ala la controffensiva non riuscì mai ad assumere it carattere di una vera grande 24riinvafrnondinscqsalemgtiessenv.crmstconraena stcEqcogaLdcapsuuae jLrnadsreClslcqipcpasailldbdcoflststnz■;-stpzsnempsrdpenBlcaslzdabmgc{Mrllcuidsnzdsdnvqns, lìlba**ag^: miBdiiiate ed;>araiaoii>i W. »•* x vece si sminuzzò in azioni frammentarie ripartite su tutta la fronte. La nostra pressione si faceva però di giorno in giorno più intensa, le condizioni austriache sulla fronte russa «li ora in ora più gravi. E il Comando austriaco ordinò la ritirata. Disertori bosniaci nella notte del 24 al 25 avvertono che il nemico si sta ritirando; il Comandante della divisióne in quel punto si spinge arditamente avanti. Prudenza di Comandi Superiori frena il suo ardore, e la nostra manovra si arresta presto sulla linea che il nemico si era in precedenza disposta a difesa. Linea che gli consentì di mantenere il possesso delle testate dello valli scendenti alla conca di Asiago, o dalla quale nessuno tardo sforzo — per quanti sagrifizi ci costasse — valse più 'a svellerlo. Parte del territorio nostro rimase in mano al nemico ; la nostra linea ne fu gravemente indebolita. Pure, ih quella rapida successione di timori e di speranze, di scoramenti e di esaltazioni, il successo parve e fu rappresentato maggiore che nella realtà storica non fosse. Giornali amici già magnificavano il « grande italiano » « che nell'ora critica aveva posto in luce le mirabili doti militari alle quali doveva il suo alto prestigio », il Ministero mandò telegrammi congratulatori. Sorto per la difesa nazionale, sorretto da tante e così calde speranze, il Ministero Boselli non vide quale era il suo primo dovere per assicurare la nazione. Nessun pretesto, nessuna scusa a lui. L'offensiva del Trentino aveva po sto in luce : la forza del nemico, l'incapa cita del Comando, la virtù dell'esercito. Erano doveri del Governo: far conto di la. quella forza, rimovere quell'incapacità, j conservare quella virtù per il giorno della ; gran prova. 11 Ministero Boselli mancò a tutti.