Giustizia!

Giustizia! Giustizia! Parlano a voce alta, parlano chiaro e forte i reduci della guerra, che ogni giorno refluiscono a migliaia alla viia civile. Essi non sono una classe, non fanno un partito: umili iigli del lavoro e borghesi, proletari e. professionisti, artigiani e studenti, contadini e intellettuali, sono di tutte le classi e di tutti i partiti, sono il popolo, sono una espressione genuina di umanità, la dolorante, umanità che,ha martoriato le carni e Io spirito nella gran fornace guerresca. E poiché questi generosi, che combatterono c vinsero per la libertà e la giustizia di un'Italia più grande, or che ritornano in « ordine sparto » alle case, alla città, ai campi, si ritrovano con molte promesse non mantenute tra accresciuti disagi e rincrudite ingiustizie, in un generale diffondersi ni malessere, di squilibri sociali, di pubblici e privati affanni, cui tanto contrasta la insufficienza o la indifferenza dell'opera governativa, così, tra lo stupore e lo sdegno, essi, i combattenti di ieri, i mutilati, i sopravvissuti, si cercano, si riconoscono, si legano in sodalizi c si raccolgono a comizio, rifanno « l'ordino chiuso » per spiegare una loro forza di volontà, di diritti, di rivendicazioni, al Paese e a] Governo. Già vi fu chi mostrò ai fare assegnamento su questa forza per indirizzarla a scopi sellali, di partigiane sopraffazioni, illudendosi che le moltitudini di coloro i quali soffrirono generosamente tutti gli strazi della, guerra si sarebbero prestare a meschini giochi di camarille politiche c di biechi interessi ; ma non all'appello di quegli illusi rispondono oggi i reduci delle battaglie, bensì all'impulso d'un intimo istinto e- d'un alto ideale di giustizia : l'istinto a vivere, a riscuotere il credito che la gratitudine della nazione ha riconosciuto nell'ora del pericolo ai suoi cittadini combattenti, ad ottenere quel minimo di assistenza, eli compensi, di benessere, che la Patria deve a, quanti per lei si sacrificarono; l'ideale di una giustizia per tutti, che risani la vita nazionale nel corso delle fatali riparazioni e ricostruzioni del dopo guerra. La loro voce alta e forte, che quotidianamente si leva un po' dovunque a chiedere e ad ammonire, non può non essere, ascoltata dalla collettività del paese, e specialmente dalle classi dirigenti. Non è, ripetiamo, la voce di una classe, di un partito, di una setta: è la voce del bisogno, dell'idea della parte migliore della nazione, che ha fatto la guerra c l'ha vinta, che aìla gran macchina militare ha dato il buon combustibile di un coraggio indomito e il lubrificante del buon senso popolare. Senza quel combustibile la gran macchina non avrebbe potuto muoversi sull'aspra via, non avrebbe raggiunto la meta; senza quel lubrificante, i complicati ingranaggi della gerarchia e della burocrazia militare si sarebbero fatalmente incantati sotto il troppo peso della ii genialità, » cadoniiana. Sono questi nostri soldati e ufficiali, levati in massa dal popolo e dalla borghesia italiana, che hanno salvato e la macchina dell'esercito e l'onore/della patria ; è il loro coraggio, è il loro buonsenso, che nell'ora più tragica del faticoso viaggio, quando tutto sembrava perduto e l'immane ordigno si era impantanato nella disfatta di Caporetfo, risollevarono la speranza, ridettero forza al movimento, riuscirono a passare oltre per la corsa ultima alla salvezza. Sopra tutto, non si può non in tendere, in questa voce dpi reduci della guerra, la parola della giustizia collettiva, che sovrasta quella delle particolari rivendicazioni. Essa c stata detta con singolare veemenza al grande comizio di Torino, il comizio che raccolse, domenica migliaia di reduci dalla zona operante. La cronaca è cittadina, ma l'avvenimento ha una portata nazionale. Molti furono già i comizi di reduci in città italiane diverse c un po' dappertutto è un pullulare di loro associazioni, l'espandersi delle loro manifestazioni: ma in nessun'altra 'città come a Torino tante migliaia di smobilitati posero più nettamente in pubblico questa fondamentale tesi di giustizia, fuor della quale non solo non vi sarà sufficiente assistenza per le vittimo della guerra, ma verrà meno al paese ogni possibilità di risanamento economico e politico: c Non vi sono denari, dice il Governo per c bocca dei suoi ministri — cosi ha parc lato il comizio dei nostri reduci — ed c infatti noi osserviamo che i bilanci yre- < sentati nel periodo di guerra, che facec vano credere florida la finanza italiana, c sono molto diversi da quelli presentati 1 « oggi, ila non si tacita collo spettro delc la rovina nazionale della gente che v'ha « dato più che la vita ! La nazione è sule l'orlo dell'aoisso, ma non sono di certo « i dieci centesimi di paga dati al solc dato quelli che hanno gravato sulle € spese di guerra. Sono coloro che han« no lucrato sulla calamità pubblica, i e fornitori, che si sono divorati il pafrit monio dello Stato, mentre a uni quale « frutto della vittoria è serbato solo il ri« cordo dei dolori passati e la prospettiva c di un avvenire di miseria. Il Governo c non ignora che i denari si trovano nelle c casse dei fornitori, [issi hanno accumu« lato miliardi durante la guerra ; bisogna c che questi denari ritornino allo Stato. < Le rivendicazioni dei mutilati devono s sere severo monito a coloro che sfrutc tarono la patria nel periodo della ■ guerra ». Così si è parlato al comizio dei reduci, che a quelle parole na dato il consenso di acclamazioni unanimi. Ne diversamente abbiamo parlato noi da un pezzo, ogni qualvolta ci occorse ui esaminare al tdsf l lume della realtà i disagi, j pericoli, i travagli del dopo-guerra; e così parlando, ogni volta, ci toccò sentire alle nostre calcagna il gracidar dei ranocchi ed altri belati in cniave di « uisfattismo », da parte degli inverecondi mantenuti della ricchezza insanguinata. Au. i « disfattisti s che noi siamo! « Disfattisti », sissignori, perone, senza ipocrisie, con quella franchezza che viene dalla pura preoccupazione di preservare il Paese dai peggiori guai, intendemmo ed intendiamo fare sana opera di conservazione sociale incitando a prevenire e ad evitare ogni disastrosa convulsione di classi e di parliti con risolute opere di giustizia economica e politica, con coraggiose perequazioni tributarie, col restituire al paese in angustie i miliardi di una ricchezza lucrata da pochi durante la guerra sugli eroici sacrifici della nazione! Noi « disfattisti s, sissignori; ma che sieno tali anche le migliaia di soldati e di ufficiali, d'ogni classe e di ogni partito, che a gran voce, reclamano oggi la stessa giustizia, 10 stesso coràggio, la stessa restituzione, dopo avere disfatto... il nemico:' Siamo, comunque in buona compagnia! Nò saranno essi, i valorosi reduci della trincea e dell'assalto, a perder domani sangue freddo e pazienza, caso mai anche per loro saltasse su una parte universitaria ad accusarli « d'istigaziono all'odio di classe »... L'odio di classe — potranno ribattere anch'essi — c coltivato da coloro che lavorarono a scavare più fondi i fossati dell'ingiustizia e dell'ineguaglianza, ad olevare. più alti i baluardi del privilegio e tutt'ora s'ingegnano e s'arrabattano ad impedire, od a ritardare, con la politica. delle resistenze cieche e dell'erba trastul* la, l'azione risauatrice dell'equità sociale e della perequazione tributaria. Siamo, ancoro, a quella inversione dei valori e dei termini su cui la politica di guorra ha potuto coltivare le sue gesta più facinorose : per cui non c lupo chi divora ma chi non vuol essere divorato, non e ladro 11 ladro ma la guardia che va per arrestarlo, non è buon medico chi cerca di prevenire il malanno e di curarlo finche c'è tempo, ma chi inocula il male e lo coltiva o lo trascura. Senonchc, l'ammonimento che sale dalle folle dei combattenti di ieri non è di quelli che si sopprimono cou un colpo di censura, che si soffocano con la congiura delsilenzio, che si svalutano con un'invet tiva. E' un ammonimento grave e serio, cno si ripeterà ancora, che potrà ancora trovare espressioni più imperiose in ogni luogo d'Italia: è un ammonimento, che agli ansimanti guerrieri... dello spirito, i quali van gridando di non disarmare le anime, dico chiaramente che lo spirito e l'anima di ogni cittadino reduce dalla guerra sono armatissimi per la conquista di una elementare giustizia a fatti e nou a parole; è un ammonimento che alle classi capitalistiche, ai ceti industriali che più lavorarono e guadagnarono durante la guerra, ricorda la inevitabile necessità di riversare nell'alveo uella vita nazionale i grossi torrenti degli cstra-piofitti, senza con questo volere in alcun modo intaccare la potenzialità, delle industrie, inaridire le fonti della produzione, non per brama di spogliazione ma per bisogno di giustizia; è un ammonimento, infine, che va dritto al Governo a cercarvi un uomo che... non c'è, o che per ora non si vede, j. quale, sui abbastanza conscio dell'ora che passa, dei pericoli che incombono, delle opere che ci vogliono, da dirigere con risoluto coraggio la nave dello Stato oltre le scogliere, della morte, nel mare aperto delle libertà nazionali e delle sociali giustizie. Dopo tutto, siamo sinceri : è proprio il Governo che manca, è quel tal uomo di polso, di coraggio, di lunga vista, che ari Governo non sì vede ancora. Ormai, infatti, c di moda perfino tra i nostri più ciechi conservatori alzare la voce a reclamare previdenze e provvidenze adeguato alla gravità della situazione, e se a noi è concesso ancora lo spasso di sentirci vituperare da quei signori per tutto quello che andiamo scrivendo di vero e ai giusto, senza complicità con gli errori del passato, senza compromissioni in responsabilità che rendono men persuasivo il loro odierno atteggiamento, è pur vero che le medesime cose da noi già dette e ripetute, ritornano oggi sulle labbra e sui giornali dei nostri più fieri antagonisti : sicché non si comprende d'avvero come da questa quasi unanimità di vedute, di stimoli, di avvertimenti, da questo salire dell'opinione pubblica per mille modi diversi c da tutte le parti verso il Governo, non esca ancora un'azione governativa adeguata,che ripari in tempo i mali grandi che la guerra lia lasciato nel Paese. Aspettar fino a quando? Forse domani potrebbe essere troppo tardi. Può avvertircene il diffuso senso di timore, di preoccupazione, che si accentua ogni giorno nelle stesse classi dirigenti; ce no avvertono i fatti quotidiani della crisi economica, della paralisi industriale, del caro costo della vita ; ce ne avvertono direttamente queste manifestazioni di collettività imponenti, che all'infuori di ogni schema politico, di ogni pregiudiziale di partito, in nome soltanto della patria che essi hanno servita col sacrifìcio e col san gue, levano così alta la voce della giusti zia. Far giustizia oggi vuol dire non sòl tanto riparare le ingiustizie esacerbate dalla guerra, ma evitare quelle anche peggiori che potrebbero domani sopravvenire in seguito ad una generale convulsione, che resa fatale dall'ignavia gover- fidttsPtqpbs e sovvertendo, si risolverebbe per la nostra generazione in una generale catastrofe. La realtà non è altra che questa, le voci e le cose che la esprimono ogni giorno più si fanno imperioso e palesi; la Nazione intiera, in ogni sua classe, in ogni suo partito, ha ormai il sentimento di questa realtà; non manca che un Governo che se ne renda confo e la risolva in bene per tutti.

Luoghi citati: Italia, Torino