La bella voce

La bella voce La bella voce Sulla spiaggia, nella stagione di bagni appena iniziata, la bella voce era già celebre quando giunse il conte Raul Deluca, ma nessuno sapeva a chi quella canora meraviglia appartenesse. Durante il giorno non s'udiva mai, ma giunta la sera, dopo Te nove, quando l'ombra invadeva la cittadina marittima piuttosto sfornita di fanali elettrici e avvolgeva nel suo mistero la spiaggia, una magnifica voce di donna s'elevava sul mormorio sommesso delle onde e riempiva la notte d'un canto appassionato. Allora sulle terrazze degli alberghi allineati lungo il mare uscivano le signore scollate, gli uomini in nero e le signorine in bianco, interrompendo le chiacchiere inutili, le danze difficili o la partita di bridge e stavano ad ascoltare l'angoscioso grido della Gioconda o £1 lamento implorante di Butterfly, interpretati da una purissima voce 'di soprano. E quand'essa taceva il silenzio durava ancora, quasi nell'attesa che il canto ricominciasse, ma sempre esso riprendeva più lontano, s'affievoliva a poco a poco e si perdeva laggiù, dove gli scogli ergevano incontro al' cielo i loro profili irti. — Dev'essere una cantante celebre venuta qui a riposare, che si nasconde sotto un falso nome per sfuggire agli ammiratori importuni, — aveva detto fin dal principio una matura signora sempre bene informata dei fatti altrui. Ma il conte Raul Deluca, il giovane più brillante della spiaggia, monocoluto, un po' calvo, elegantissimo, ch'era un musicista mancato e frequentava i palcoscenici dei teatri d'opera, escluse nel modo più assoluto questa ipotesi. — Io conosco tutte le artiste liriche d'Italia e vi posso assicurare che questa straordinaria voce di soprano drammatico non fu udita mai ne alla Scala, nè al Regio, ne a! Costanzi, ed è certo che avrebbe fatto delirare d'ammirazione il pubblico prù difficile. — Io conosco quasi tutte le artiste liriche francesi, — dichiarò a sua volta la signorina Renata Lucenti, ch'era stata educata all'estero e che abitava una villetta lontana dal' centro, tutta sola con.una vecchia domestica e con una istitutrice d'età e di nazionalità indefinibile. — Le ho sentite quasi tutte alFOpéra durante i quattro anni che rimasi a Parigi; e se vi fosse qui la Samuel o la Dufresne o un'altra ouaìunque delle più note, la riconoscerei perfettamente, anche con un altro nome e senza trucco, ossia con la faccia vera e il nome falso. — Certo; — confermò laconicamente la signorina Marsanik, l'istitutrice d'età indefinibile, grassa di persona e gialla di viso che le sedeva, accanto sulla spiaggia, sotto il grande ombrello rosso e bianco, continuando a capo chino un suo eterno lavoro all'uncinetto. — Non so se ne sìa causa il mistero di cui si circonda — osservò un altro giorno un signore romano disteso sulla sabbia a godersi l'ultimo sole — ma bisogna riconoscere che qui tutti sono innamorati di quella voce. E una signora veneta specificò: — Gli uomini in particolare, trattandosi d'una voto femminile. Il' conte Raul Deluca, che usciva'in quel momento dopo essersi rivestito dalla cabina del Grand Hotel, intervenne: — Volete scommettere ch'io riuscirò a scoprire la misteriosa donna dalla bella voce ? — Ciò significa che voi' ne siete più innamorato di tutti — rise la signorina Lucenti accettando la sigaretta che egli le offriva e introducendola nel lunghissimo bocchino d'ambra grigia. — Può darsi, specialmente se possedesse il vostro sorriso e la vostra grazia — esrli rispose con tono di leggera galanteria, ma fissando con occhi desiderosi la leggiadra figuretta bionda che si delineava flessuosa e tornita sotto una molle tunica in 'maglia di seta bianca. E soggiunse a bassa voce: — Me ne vado, perchè quella vostra istitutrice è così biutta e mi ha lanciato uno sguardo così torvo che mi fa paura. Si diresse verso l'elegante carrozzella a due ruote che lo aspettava sulla strada, custodita dal piccolo groom in livrea, vi salì, afferrò le redini e mentre il lucido morello corvino s'avviava a testa alta, egli si volse ancora a gettare un saluto, un sorriso e una smorfia di sbigottimento a Renata che continuava a fumare seduta al fianco della Marsinik. — Che tipo originale ! — commentò qualcuno fra i presenti. — E' simpatico però;1—sottolineò!la)signora veneto con un sorriso di compiacenza. — Quando si posseggono alcuni milioni si è sempre originali e sempre simpatici — sentenziò ironico un attempato professore, sollevando dal giornale la barba grigia e gli occhiali, mentre intorno si rideva approvando ed egli riprendeva la sua lettura soddisfatto. Scendeva: il spie dietro un sontuoso velario di nubi color di rosa a frange d'oro, disteso laggiù a chiudere con grandi pieghe l'orizzonte fra il cielo e il mare. Lo campana degli alberghi suonavano avvertendo che era prossima l'ora del pranzo. La spiaggia si spopolava. Soltanto alle dieci la bella voce cauto. La luna s'era celata allora dietro una nuvolaglia nera che minacciava tempesta e nella notte scurissima si levarono le prime note d'una meravigliosa Avemmaria, mentre le terrazze degli alberghi' e le finestre delle ville rivolte al mare si riempivano di gente che- ascoltava estatica, in silenzio. Quel canto mistico e apuassionato insieme era di un effetto fantastico nell'oscurità burrascosa della notte, fra l'ansimare agitato delle onde, e tutti lo ascoltarono immobili, quasi soggiogati da un fascino, lo udirono allontanarsi a poco a poco, farsi sempre più fievole, finché si perdette con un ultimo gemito implorante nel vortice tempestoso delle tenebre, confuso con l'urlo del mare. L'incanto fu co$$_ assoluto che nessuno pensò quella sera d'andare a rintracciare la ignota cantatrice che si dileguava circondati di mistero come una cosa irreale. Soltanto Raul Deluca, partito al tramonta al trotto scalpitante del suo morello corvino, non era più ritornato e al Grand Hotel si rimpiangeva che egli, il più ardente ammiratore della bella voce, fosse lontano quella sera in cui più delle altre essa era stata inarrivabile. Ma Raul, obbedendo a uno dei suoi capricci, facili a diventare caparbi e tormentosi in chi come lui non conosceva divieti, aveva pranzato con un amico al Casino, poi aveva mandata in rimessa dal suo piccolo cervo la carrozza e giunta la notte e con¬ e — a e a a a e e e e à e . o a l o a , i o ¬ gedato l'amico, s'era diretto passo passo alla spiaggia, nascondendosi fra gli scogli che levavano ai cielo i loro profili irti. Ora aspettava. Seduto in una specie di nicchia scavata dai secoli nella pietra, adagiato quasi comodamente sul masso nero, da oltre un'ora fumava sigarette e consultava il cielo temendo un acquazzone improvviso, quando l'incantevole voce si levò laggiù, ancora lontana, lanciando nella terribili» immensità della notte burrascosa il suo dolco saluto: Avemmaria! Raul balzò in piedi e si pose in ascolto, immobile, appoggiato col dorso allo scoglio, con gli occhi fissi nella tenebra, col capo proteso, con tutte le sue facoltà intente ad accogliere in sè la bella voce che mai come in quella sera gli era sembrata divina. E a poco a poco essa s'avvicinava, si faceva più limpida e più vibrante, riempiva del suo squillo vittorioso d'umanità e di femminilità quella fosca natura agitata dal prossimo uragano, percorsa da brividi cupi di tempesta. E sempre più il canto s'avvicinava nell'oscurità profonda. Già egli udiva il risuonare dei passi sulla ghiaia della spiaggia e non ancora distingueva la figura che lentamente s'accostava agli scogli. Uscì, cauto da! suo rifugio, badando a non tradire la sua presenza, ma colei che s'accostava dovette sentire oscuramente l'agguato poiché, d'un tratto, il rumore dei passi cessò. La voce gettò ancora l'ultimo grido implorante che sembrò spegnersi in un gemito e tacque. _— E' questo il momento di rivelarsi, — disse a se stesso Raul. Deluca, e lasciando il suo posto d'osservazione si diresse verso qualche cosa di bianco che sembrava emergere dall'ombra e fece scattare la fiamma de! suo accendisigaro. Rispose a quest'ateo un grido soffocato, un sussulto, un impeto di fuga ch'egli subito trattenne. — Ah ! Siete dunque voi, Renata ! L'aveva afferrata ad una spalla e le teneva la fiammella azzurra incontro al' viso che appariva così pallidissimo, con gli occhi spalancati e la bocca anelante. ,— Aspetto qui da oltre un'ora. Avevo giurato di scoprirvi. Ma mi era balenato più volte il' dubbio che l'ignota dalla voce foste voi. — Davvero? _ Tremavano tutti e due, forse per l'emozione e forse per il freddo, poiché raffiche di vento quasi gelido passavano sulle onde alte e sul loro capo. La fiamma azzurra si spense. Egli la riaccese e la riparò con la palma proiettando la luce dinanzi a sè. E allora soltanto s'accorse che Renata non era sola. — Oh, strano ! C'è anche la signorina Marsanik. — Lo sapete che mi accompagna sempre. E' il mio angelo custode. — Un angelo che sembra uno spauracchio — egli fu per rispondere. — E adesso ci accompagnerete voi fino a casa. Sarà la vostra penitenza per l'atto di violazione che avete compiuto. Non è lecito nascondersi per sorprendere i segreti altrui. — Le cose illecite sono le sole che ci rendono felici. Ma mi sento disposto a qualunque espiazione, a .qualunque riparazione. Sono pronto a tutto, anche a darvi la mia vita, poiché il mio cuore è già vostre, Camminavano rapidi e leggeri tenendosi a braccetto e discorrendo, con gaiezza lungo •la spiaggia invasa tratto tratto da un'onda spumeggiante, seguiti dalla silenziosa istitutrice e non appena ebbero varcato i cancelli del villino il nubifragio si scatenò.. Ma essi, rifugiati nel tepido salotto, ormai amici, presero il the, risero e litigarono perchè Renate, non ostante le suppliche di Raul, non volle più cantare. — Io canto solo al buio, come la civetta e il gufo, — ella dichiarava e Raul confermava ridendo: — Siete difatti una raffinata civetta. — Me lo rimproverate? Non,sapete dunque che cos'è la civetteria? — No, non sono profondo in questa scienza. — La civetteria è un omaggio che le don ne rendono agli, uomini. E tal genere d'omaggio, reso da Renata Lucenti al conte Raul Deluca, fu così bene accolto e così efficace, che dopo dieci giorni di chiacchiere e di passeggiate, di litigi e di confidenze, egli s'accorse di non poter più vivere senza di lei e ì'e chiese in grazia di diventare sua moglie. #*•» Si sposarono al principiar dell'autunno nella piccola chiesa aristocratica dove trenta anni prima era stato battezzato Raul, quasi senza sfarzo e con un limitatissimo numero d'invitati. Renata era orfana e di. stretti parenti non aveva più che-la vecchia nonna, una piccola signora tutta bianca, afflitta da una sordità quasi assoluta, la quale per liberare sè dalla fatica di udire e gli altri da quella di ripetersi inutilmente, rispondeva sempre e a tutti di si, abbassando il capo e sorridendo. — Lo sa che mi sono innamorato di sua nipote per la magnifica voce con cui cantava una sera l'Avemmaria e che più. di tutto io amo in lei la sua voce, — le confidava Raul offrendole il braccio. Ella sorrideva, abbassava il capo e diceva di sì. — Ma Renata è molto cattiva e da quella sera benché io l'abbia tante volte pregata non volle più cantare. Mi dica, signora, è sempre stata così disobbediente e così prepotente ? Ella sorrideva, abbassava il capo e diceva di sì. Ma Renata scattava, gli veniva accanto, rispondeva con vivacità in vece sua: — Io l'ho ripetuto tante volte, Raul. Io voglio essere amata per la mia persona e non per la mia vooe. Sono abbastanza bella per questo. Io voglio piacerti per il mio viso, per il mio sorriso, per i miei occhi e non per le vibrazioni delle mie corde vocali. — Difatti, —- insisteva Raul — mi piaci per la tua persona flessuosa, per la tua bocca voluttuosa, per i tuoi grandi occhi, ma poiché possiedi questo dono magnifico del canto devi concedere anche a me di goderne. Promettimi che canterai almeno il giorni dopo le nozze. — Ma si, te Io prometto, — rispondeva Renata quasi a malincuore. Venne il giorno dopo le nozze e trovò gli sposi non già in giro pel mondo, ma nel villino di Raul Deluca, nella cosa ch'era stata di suo padre e ch'egli amava. Sarebbero partiti il domani per un lungo viaggio di nozze, ma ospitavano frattanto sotto un tetto amico e famigliare i primi a più deliziosi ricordi della loro union* Renata distesa su un drva&o basso, difronte alla vetrata, fissava un punto .lontano e i suoi occhi parevano oscurati da una ombra. — Tui hai un momento di malinconia — le disse Raul, avvicinandosi e sedendole accanto sullo stesso divano ad accarezzarla. —■ Ma io conosco un mezzo infallibile e al tempo stesso meraviglioso per disperdere quest'ombra. — Quale? domandò Renata, distendendosi pigramente, come una gatta al sole. — Basta che tu vada di là, nel tuo salottino particolare, che tu preghi la Marsanik di mettersi al pianoforte e che tu conti la mia, anzi la nostra Avemmaria. L'antica istitutrice, straniera e sola amondo, aveva pregato la sua allieva, a cula legava un profondo affetto, di tenerla presso di sè dopo il matrimonio come dama di compagnia ed ella con l'approvazione dRaul aveva acconsentito. — E' anche una specie di voto che devsciogliere. Ti ricordi, Renata? Ella si scosse, sembrò risolversi a una determinazione improvvisa, balzò in piedidiede un bacio a suo marito e scomparve nella camera accanto. Dopo un mormorio sommesso di alcunminuti, le prime note dell'accompagnamento risuonarono e un canto purissimo si levò nel silenzio. — Avemmaria, — invocava la bella voce con un accento di passione profonda, — tu sei piena di grazia... Raul Delùca potè resistere per qualche momento alla tentazione di slanciarsi nesalotto attiguo per stringere a sè con una fervida gratitudine e con un ardore vertiginoso sua moglie, la quale gli concedeva finalmente di riprovare la sensazione unica e quasi divina di quella lontana notte tempestosa, in cui aveva incominciato ad amarla. Ma dopo la prima pausa non potè più dominarsi. S'alzò, corse alla porta socchiusairruppe nel salotto. Renata sedeva al pianoforte e irli volgeva le spalle. Ritta in piedi presso di lei, più goffa nella sua posa estatica, col viso giallo e gli occhi ispirati rivolti al cielo, la signorina Marsanik cantava. AMALIA CU GLI ELMI NETTI.

Luoghi citati: Italia, Parigi, Renate