A velario aperto e chiuso

A velario aperto e chiuso A velario aperto e chiuso pCon il titolo «A velario aperto e chiusoj (1), il collega Giuseppe Cauda pubblica il suo quinto volutile.di. ri.co.rcU teatrali, volume vario, .ricco di impressioni "é pièno di'interesse, e che ha come gli altri il pregio di essere una cosa viva. Niente disquisizioni pedantésche, confessioni personali noiose ; semplicità'.di stile, chiarezza di esposizione, assenza assoluta di ogni legame fantastico, che ' non riuscirebbe Ghe d'ingombro. L'autore, tutto circondato'dai sgoi ricordi— in trenta e più anni di critica drammatica il Gauda ha ricavato una conoscenza profonda di cose e .persole dèi nostro teatro di prosa — si abbandona alla gioia del rievocare. Egli parla e dalla sua. narrazione si illuminano figure note' ed ignote, artisti di oggi e di ieri, personalità ancora vive nella memòria di quanti hanno frequentato "il teatro con una certa assiduità 0 completamente dimenticate,,ma che si ha caro di veder ricordate. E ricordate 1 affettuosamente' come il Cauda le ricorda. Come già negli'altri volumi l'autore dt«* velario chiuso e aperto» accanto ai gloriosi 'trapassati mette in rilievo artisti viventi' e ciò dà varietà ed Interesse' al volume, perchè dal riflessi che una figura getta sull'altra ne scaturisce una migliore e Ptì> perfetta illuminazione. Sfilano cosi, a braccetto, con le più belle figure della Compagnia Reale Sarda ed a quelle delle Compagnie che tennero incontrastato dominio sulle nostre sceffè n^H'ultimo ventennio del secolo XIX, i giovanissimi di oggi e. attori e attrici recentemente scomparsi. Tra i recentemente scomparsi si rivede l'indimenticabile Aibérto Giovanninl ed Edvige Quglielmetti Heinach; tra i viventi, con bina Galli, Vera Vergani, Alda iBorelll, Tina Pini, Giulietta De R,s°' Mercedes De Personali, Aristide Ba; Romano . Calò, Annibale Ninchl. ecc. Non sappiamo come meglio dare un'Idea di [questo nuovo libro del Cauda se non ripor- rignaii0 di Torino la Compagnia Reale Sarda rappresentava U 30 maggio 1843 1>Adelchi» di Alessandro'Manzoni. Grande attesa, preparazione superba, pubblico magnifico, esito.., disastroso. A dare un'idea della serata ti Cauda riferisce quanto scriveva il Brofferio il giórno seguente sul « Messaggiere ». Riportiamo nella parte sostanziale: «Un arduo ma ge- neroso esperimento far volle la Reale Compagilia drariiniatica: volle rappresentare r«Adel- ?hl ». Tutto essa pose In opera per aver diritto a lieto successo. Nuovissime scene, nuovi a Ditì. eletto corredo per parte del direttore, S^tègìfltt' ffirdl^SS gaghardia di « Adelchi » con gagliardo valore; Righettisi cmse 11 serto di spine del vecchio «Desiderio » con tutta la dignità di un re ca duto e. non vinto; la Robotti espresse.! dolori di « Ermengarda » col più profondo sentimento di una pia che muore e perdona, tRe Carlo» fu nella sua superbia di vincitóre convenevol mente rappresentato da .Peracchi; ■ Svario» 11 rettile ambizioso, «.Anfredo», il prode sol- dat0 «cuntlgl», lfamko disleale, .Albino», iegato di Roma, a Martino », diacono di Ra veniia, « Rutlando », canitano di Francia, fu-, t0"° ^ttì„ lodevolmente Interpretati da Tes sero, da Buceomim, da Piccinini, da Chiari, da èucclottl, da Borghi. E qual fu l'esito di Uanlo zelo, di tanto studiot di tanto valore?... l'esito fu quale doveva essere, quale non pò teva'* meno di essere... fu una grande cadu- ta.'... e sarebbe stata più grande ancora.senza la venerazione che hanno tulli gli Italiani per naustre corona di Alessandro Manzoni. Toccò in Torino all'» Adelchi » la sorte medesima che ' torcaxa ln« Firenze al «Conte di Carmagnola»; , d ^es„ due solenni esperimenti rimane so, lennèménte deciso che un lavoro letterario, per quanto sia stupendo, non è opera drammatica j se adempiute non ha le conuizioi ..dizioni del dram, ma, che tragedia nqn è, .e non sarà mal, la storia messa in dialogo, per quanto sia splendente di robusti versi e di sublimi pensieri. ■ Brofierio non-scherzava, » ma non -scherzò neppure 11 Regli, quahdo si pose 1» mente di giudicare sul suo Virata .tutti gli autori dramfmatiei del suo tempo, tra i quali, osserva il Cauda, ve. ne erano molti valorosissimi. Stai «late su staffilate. « Vorrei — dice 11 Cauda — 'che quanto scrisse allora 11 RegH lo (leggesse' ro tutti l nostri commediografi, l quali si la gnàno della severità ■ della critica odierna » Molte delle osservazioni del Begli possono es< sete anche oggi dir'attualità. :« A • leggere.— scrive questi — le appendicr dei giornali po litici »(la peste della, letteratura), il Teatro Drammatico italiano, anziché essere in deca denza, sarebbe «nel su/) pieno .splendore. Le ,camarille .letterarie.sono un po' all'ordine del J Storno. Gli autori sj .leccano, e si puntellano eh uni cogli altri, é .continuano a vendere i lucciole per lanterne. I capi comici si avve- dono di tutti questi ■ intrighi di famiglia, ma tacciono, tirano innanzi e procurano, anche essi di approfittarne.'Il'pubblico diventa'ogni di più stupido e cieco, e si va. abituando al brutto' coma un. tempo era abituato al bello. Paolo Ferrari non può : commendarsi che pel suo Goldoni, benché sia un'imitazione del Goldoni stesso. La Prosa, generalipente disapprovata, è un lavoro, informe; il suo Pariini. è da leggersi; ie sue inezie modenesi, assestate in comiche scene', hanno avuto, quel disgraziato successo che tutti conoscono. Leone Fortis, ' al quale non si può negare un certo acume e un' certo ingegno, : si formò una' fama col Cuore ed ArUi ma quel lavoro-è propriamente suo ? Molti' lo méttono in dubbio, e noi tra questi. Delle sue altre produzioni non parliamo: de mìnimis non curai praetor. Giacomelti Paolo indovinò qualche volta per. caso. Ha vena feconda,'ma dove sono "l suoi tapi ' d'opera ? Davide Chiossone, con buona , c&Dl U UUcia I uuviuc itlliuaouuc i_"iJ iiu'fiii 1 cenza dei suoi ammiratori, va collocato ari ; '^'^ neUa categoria del Poetini e del Fede- |rYcY"Ghérà,rdt OéfTes'ta è autore della,notisi |eima comm?dja Coati uomini, non si scherza. stesso. »rrance5co uiui unguru nu u rimui- ■retta... e basta. Nemmeno la Ristori seppe far d- lul un Vittorio Alfieri. La. Rivincita, Le pe ^rc',tó;u ltl unica, acquistarono una so¬ ,,d rir,utazione a Teobaldo Cicconi, maouan,i'£af"Pu,asz^ fe.|2"%|Sw oTtemoo e queRl adeguar* A6!?eI„Jw p assici la morti che fura a mi ' 2n4J? ol in toiv' «Troni Vs^o S sS« ima j 8™«« to tolse e «mPLIWg "™ "elle nostre più caiae speranze, ippoiuo a a *™ttAc.°li d'arena, in v^rsi amnol-ste scrive spettacoli d'arena, in versi ampol tosi, e qualche volta felici. Luigi Gualtieri ha cominciato molti lavori, ma non gli fu mai dato di terminarne uno. Nessuno nega molta furberia scenica a Riccardo Castelvec dito,- ma egli è troppo stèrile nei suoi .soggetti e la sua fantasia ci sembra esaurita» E quanto scrive per gli.autori citati è nulla inconfronto delle, staffilate che mena agli altri meno noti.T giovani poi li liquida con poche frasi/-1 Se vedono la loro commedie morire nei pròpri portatogli è segnb che fallirono la via » Tutti gli artisti- di teatro sono un po' originali. Tra essi però ve né sono anche degli eccentrici. Eccentrico fra tutti fu il bolognese Enrico Cappelli, sul .quale il Cauda raccoglie un gruppo , di aneddoti non privi di'Sapore. Il Gabelli recitava di quando in quando, al Corso di Bologna e aveva l'abitudine di trattenersi a lungo nel camerino dopo la, recita. Una sera il custode, certo Colombari, stanco di aspettare' « pensò di chiuderlo'in teatro per vedere se poteva, cosi, indurlo a sbrigarci più presto, dopo lo spettacolo. Quando, flnalmen te. il Cappelli .uscì dal camerino, si trovò a buio. Egli chiamò il custode, ma' non rice vette risposta. Allóra, aperto il contatore del gas, illuminò tutta la sala, i camerini ed > corridoi. Pòscia, sceso in orchestra, dove erano alcuni strumenti ivi lasciati dai professori, fra cui i piatti e la grancassa, il Cappelli prese questi ultimi e, salito sul palcoscenico, si mise a battere furiósamente sugli, uni e sull'altra, cantando ad alta voce. Alcuni nottambuli, udito quel frastuono e visto 11 teatro illuminato, si affrettarono ad avvertire il custode. Costui, che già era a letto, scese In fretta e furia, si vesti alla meglio e. quindi entrò in platea. Egli vide che il Cappelli percorreva il palcoscenico, suonando e gridando a più non posso. Il Colombari salì, allora., sul palcoscenico ed il Cappèlli, appena vedutolo, tranquillamente esclamò: — Lo sapevo bene che mi avresti finalmente udito! Poi, deposti 1. piatti e la gran cassa, aggiunse: — Vieni ad aprirmi, poltrone! Mentre il custode, bron telando, eseguiva l'ordine, il Cappelli continuava a ripetere, senza scomporsi: — Lo sape vo bene che mi avresti udito! Losa...pe...vo.. be...ne!... ». (*) Giuseppe Cauda - a velario aperto e chiuso. — Presso l'autore, via Della Rocca, l, Torino.

Luoghi citati: Bologna, Borghi, Carmagnola, Firenze, Francia, Roma, Torino