La mascherata e il monumento

La mascherata e il monumento La mascherata e il monumento Grazie ai numil che Ja fortuna del buon It!nome d'Italia ha voluto non al trovasse in cini bel fiume d'Arno un tanghero così incosciente e solenne cho accettasse di vestire di lucco e d'imporsi il cappuccio e di truc'carsi il grifo, a fingere, sacrilegamente grot. tesco. la figura mortale dell'immortalo Poeta., in quella mascherata di guitti cinematografici che il Comitato fiorentino delle onoranze secentenarie a Dante pomposamento intitolò « i'1 ritorno da Campaldiiio mI In verità, la mascherata pM"ve a molti riassumere e culminare le onoranze stesse: che i colori sgargianti dei costumi, lo Strepito degli strumenti, il chiasso, la confusione compiacquero, corno immancabilmente avviene, alla folla; mentre le palan|flra*<« funeree e i coppelli a stajo delle autorità conferivano alla manifestazione quel (Carattere, ch'era auspicabile e giusto, di Riconoscimento, di tutela ufficiale: carattere così gradito ai popoli, come l'Italiano, avvezzi a tanto più desiderare e tanto più lesser-lusingati dell'intervento governativo in ogni cerimonia o grandiosa o pitocca, quanto pilù, di solito, per mero gusto di Ichiacchero di fronda, si usa ingiuriare al «Governo e diffamarlo, solo che il tempo si metta a pioggia. Alla sera di quel giorno che Firenze vide rientrare nell'ombra gigante del palazzo della Signoria qualche diecina 'di comparse da cinematografo, ma travestite da popolani o da guerrieri del Du'gento, noi tutti. Italiani', potevamo ben coricarci tranquilli nel letto domestico, affermando a noi stessi. —Oggi abbiamo corame, inorato Dante!... Il prossimo centenario, [ahimè! io non lo vedrò più...—E qualcuno, 'specialmente appassionato, poteva anche, jier conciliarsi il sonno, frugare ne' propri ricordi liceali, a trame fuori qualche termina del canto di Francesca o dt quello del conto Ugolino — cui di regola si riduce la diluirà dantesca d'ogni bennato nella Penisola. Ma, qualcuno; e per conciliarsi il Botino... io non credo alle celebrazioni1 ufficiali: lanche astrazion fatta dall'ineffabile « ritorno da Canipaldino », le mi son sempre parse mascherate, delle più buffonesche. E tanto meno credo che ad onorare Dante, a tributare a Dante un omaggio che sia degno, non dico del suo cuore e del suo genio, ma solamente di quel suo lucco e di quel suo cappuccio, che ne vestirono la forma umana quand'egli, vivo, errava la selva selvaggia, prima che varcasse la tremenda porta, onde, attraverso al triplice universo viaggio, doveva discendere e ascendere, e ascendere (ino a. riuscire faccia a faccia con Dio non credo, dico, che a tributargli omaggio degno pur di ciò che in lui fu più con tingente, e morte, come ad ogni altro, gli tolse, valga il segnare albo lapillo sul calendario il dì secentenario di sua morte, ed in quel dì strillare il suo nome per le piazze e pei trivi, comò è strillato quello del matador politico o criminale che riempio per un giorno la cronaca del cotidiano. ■Io m'imagino : se Dante tornasse per un istante al mondo, ohi! cho nerbate a far ]ev*r le berze a uomini politici, ad acca'deniJci, a presuntuosi e irriverenti saccenti, aiia folla intera che lo commemora!... Poi •— m'imagino — ritrattosi al cader del giorno in un vecchio e solitario e silenzioso chiostro fuor dalle mura cittadine, spirante l'n.bbarldono e la desolazione dai vuoti archi dei portici e dalla tonda bocca del pozzo al centro, egli cercherebbe conforto e iohlio, aprendo il volume stesso del suo poema — là dove ciò che vive e ciò ch'è morto, i millenni e l'attimo fuggente, l'irreducibile orrore e la sul dime bellezza, l'umano e il divino, descritto fondo a tutto l'uniiVerso, rinfinito tutto si accoglie. Questo anche a noi conviene — se cuore e mente ci bastino a sostenere di celebrare il poeta della Comedia: — appartarci in solitudine, nel chiostro del nostro spirito, cui vespertine ombre incombono, cui tristezza ingombra, cui assidui o improvvisi sgomenti urgono alle.porte; e riaprire il gran volume, f ivi cercare, trovare luce e conforto, e. per la torbida e bassa vita, oblìo. E una celebrazione, sì, insieme con altre consimili, io riconosco degna dell'occasione del secentenario: questa ottima edizione dell'opera omnia dell'Alighieri, corata dalla Società Dantesca Italiana, stampata a Firenze dal Remporad. Ricordiamo i nomi degli illustri e devoti uomini che v'hanno dedicato il meglio dei loro studi, della loro vita: Michele Barbi, che ha scritto la prefazione, ed ha curalo la. Vita nuova e lo Rime; Erne 6to Giacomo Parodi e Flaminio Pellegrini, che hanno curato il Convivio; Ermenegildo Pislelli. che ha curato le Epistole e la Quesito da aqua et terra; Pio Rajna, che ha curato il De vulgati cloquentia; Enrico Rostagno, che ha curato il Monarchia; Giuseppe Vandelli, che ha curato La Divina Commedia; c infine Mario Casella, che ha apposto al libro un indice analitico dei nomi e delle cose. La stampa del Bemporacl è pregevolissima sotto (ogni riguardo, di carta, di carattere e di correttezza tipografica, e per sobrietà ed (eleganza di fregi e di rilegatura. Una sola osservazione, a questo riguardo: ò un peccato cho molte, troppe delle copie di questa prima edizione ch'è in vendita, presentino qua e là qualche piccole lieo, che sfugge al grosso pubblico, ma spiace al bibliofilo: qualche pieghettatura della carta, con conseguente ineguaglianza della stampa, qualche sbavatura d'inchiostro nel margine della pagine o di gomma presso alla costura dei quinterni. Nói trascurabili, sì; ma che non si vorrebbero, neppur quesii, in qui sta edizione che tende a caratteristiche, e quasi le attinge, di perfezione. La perfezione del testo dantesco! Un ideale che gli studiosi hanno secolarmente vagheggiato, che secolarmente hanno perseguilo invano, attraverso migliaia e migliaia ói edizioni dantesche. E-dopo questa .nuoy.X «sella Società Dantesca Italiana, « rimangono, com'è facile immaginare in un lavoro simile » — avverte il Barbi nella sua Prefazione — « dubbiezze d'ogni genere, che saranno indicate e ragionate nell'edizione grande; ma questo ò quanto, a nostro giudizio, risulta di più proballile e sicuro dallo studio dei testi che sono giunti sino a noi ». L'edizione grande, cui si accenna, è (quella critica con note e dissertazioni giustificative della lezione prescelta, opera promossa dalla Società Dantesca, e incoraggia- pltslqvsb«qpgplzildttteggmetamztmgitlizdindeddscgctcBqftnccspcnsoqre(tcvlsascpcnpcd ta a assicurata dal Parlamento nazionale con legge sancita poco innanzi olio scop¬ piare della grande guerra; e rispetto a cui la presente costituisce come un saggio del testo, ridotto » a quella più corretta e più sicura lezione che per ora è 'dato di stabilire ». Il Barbi giustamente osserva che è questa la prima volta che l'opera di Dan'e vien presentata al pubblico dopo una recensione ordinata di tutto ciò che serve a stabilirne le vere sembianze. E aggiunge: « Potrà nell'efiizione maggiore esser fatto* qualche ritocco (ogni edizione, anche la più accurata, è sempre suscettibile di miglioramenti); ma per l'ordine delle opere, per le divisioni introdotte in esse, per la lezione dei singoli testi, questa» — l'edizione presente - • « deve essere, ed è, una immagine in piccolo, ma fedelissima, dell'edizione nazionale: perciò, pur mancando di apparato e di giustificazioni, abbiam potuto e voluto dire francamente testo critico fin dal frontespizio ». E tale è in realtà, e ottimamente, l'edizione; e tale che fa eccezionalmente presagire di quella maggiore, con apparato e giustificazioni, che seguirà. Soltanto, in proposilo, sia lecito esprimere e accentuare uh desiderio, che vuole e devo essere anche un augurio: gli zelanti studiosi della Società Dantesca non si appaghino, per carità, del primo, fondamentale successo ottenuto con la pubblicazione del semplice testo critico; e non ne traggano argomento a ritardare il compimento n la pubblicazione dell'opera maggiori, cui' sono oggi tanto più solennemente impegnati; non imitino, soprattutto, i molto autorevoli, ma ancor più tardigradi, colleglli della Crusca, irremovibili nel segnare il passo di voce in voce pel vocabolario senza fine. Mi pare opportuno divulgare qualcuno dei principali concetti cui si' sono ispirati i compilatori della nuova eccellente edizione dantesca. Per parte mia credo che quando ho detto — eccellente — ho compendiato ed espresso il mio giudizio in merito; e crederei fuor di luogo elencare qui le ragioni del giudizio stesso, e.argomentare a dimostrarle. Val meglio riferire, com'ho detto, i concetti informatori dell'edizione. E, al riguardo, anzitutto si rileva che proposito comune di coloro che l'hanno curata, è stato di rimaner fedeli ai testi; ma senza eccesso di pedanteria; e — come dichiara il Barbi — « senza precludersi la strada a quelle prudenti correzioni congetturali che fossero qua e là richieste da guasti evidenti nella, lezione ». Le correzioni adottate non sono tali, evidentemente, da convincere, da soddisfare ognuno; ma, per ciò che io ne ho potuto controllare, appaiono sempre tra le più legittime e, insieme, le più perspicaci : se e lecito dir così, geniali con dilscrezione; oppure, oneste con originalità. « Forse » — continua il Barbi— « ci sarà rimproverato di aver mantenuto nelle opere latine la ortografia medievale. Ma questo è l'uso legittimo; e arbitrario sarebbe stato in un testo critico discostarsene, e senza alcun vantaggio pratico: chi è in grado di leggere quei testi latini non può provare difficoltà a intenderli anche con (quell'ortografia. Maggior libertà ci siam potuti prendere coi testi in lingua nostra, r. che non essendo ancora nell'età dantesca il volgare un linguaggio regolato come quello latino, l'ortografia vi aveva per gli autori stessi minore importanza: Jer- e vari essendo i,.iir,,.o i rnnwi di rnnnrpcpnlT/iono nns Ialloia i mezzi di rappresentazione, PQS- siamo preferire, senza anacronismo, quelli !che meglio rendono a noi moderni la retta!;. . _ . : !pronunzia ai ciò che leggiamo: piuttosto che alla materiale ortografia, che nò scuola nè uso imponevano così rigidamente come !1 ° per il latino, conviene mirare a render facile al lettore moderno la retta percezione del fenomeno fonetico, resa dubbia dall'instabilità dei mezzi di rappresentazione allora usati». Poi il Balbi avverte ancora: « Benché contrari ad allontanare con vane grafie arcaiche i moderni lettori dalla nostra edizione, siamo però stati fermi a mantenere alla lingua di Dante i suoi vocaboli, le sue forme e i suoi suoni, anche se, come apparivano al suo tempo naturali perchè dell'uso comune, oggi appariscono insueti e difficili a intendersi alla prima; e ci siam fatto un dovere di restituirli là dove i copisti più recenti e gli editori avevano sostituito vocaboli, forme e suoni d'uso più moderno e comune ». Certo, una lezione del testo, ricondotta così alle sue veraci origini, può, come mostra più avanti di prevedere LI Barbi, riuscire ostica a molti dei lettori: poiché è una tendenza quanto mai natu-. rale in loro quella di desiderare, di volere anzi, conservate le forme loro abituali e per loro più chiar?. Ma, certo anche, non è perciò meno giustificata la cura di chi, traendo dai codici più antichi e più autorevoli la testimonianza di forme altrettanto legittime, e di solito più confortili all'uso letteràrio d'allora, tali le mantiene intatte, o. meglio,' in questo caso, le rinnova originali. In conclusione, il concetto base dei compilatori della nuova edizione dantesca, è stato di ristabilire il testo, per quanto possibile, nell'integrità della sua primitiva lezione; ma insieme di non applicare questo concetto stesso supinamente, pedantescamente, costrittivamente anche oltre i limiti del logico e del sensato: sibbeno di concedersi l'arbitrio delle necessarite ragionevoli correzioni, là dove il testo evidentemente appariva monco o guasto; e riguardo alla grafia, di adottare quella originale, in quanto rispondente a forine lossiche o grammaticali caratteristiche del tempo e della lingua di Dante, con rispetto rigoroso però del fenomeno fonetico, piuttosto che della materialità ortografica d'allora: materialità questa, del resto, in molte guise indefinita e varia. Tale, por accennarne più che sommariamente, l'ediziono principe, che la Società Dantesca Italiana, e per essa quei dottissimi e .amorosissimi uomini che sono il Barbi, il Casella, il Parodi, il Pellegrjni, il Pistelli, il Bajna, il Rostagno, il Vandelli, hanno offerto al mondo, nell'occasione del secentenario. Ma, insieme con l'edizione della Società Dantesca, altre buone e belle edizioni 'di Dante, e in particolare della Commedia, sono state pubblicate in queste settimane. E di alcune di esse si e già parlato diffusamente su sieste colonne, e di altre par- :i leremo prossimamente. E vorremo parlare specialmente del mirabile e grandioso lavoro, cui attende l'editore Hoopli, sotto gli auspici della Sezione Milanese della Società Dantesca presieduta da Michele Sche^ rillo, e con il liberale consenso del principe L. A. Trivulzio: l'esatta riproduzione, in facsimile eliotipico, stampata in trecentocinquanta esemplari numerati, del famóso Codice Trivulziano. Questo manoscritto è dei pochissimi su i quali si fa sicuro assegnamento per la ricostruzione critica del testo del poema dantesco, perchè una delle più antiche copie a penna di esso, ottimamente conservato, di data certa — 1337 — vicinissimo al Poeta, di una lezione inalterata, senza raschiature nè correzioni.- E la riproduzione che l'Iloepli sta per fornircene si annunzia di una perfezione mirabile, curata nei minimi particolari e pur nella sua veste esterna di cimelio. L'edizione fiorentina delle Opere, per la fondamentale ricostruzione critica del testo; la riproduzione milanese del Codice Trivulziano della Commedia, come interesse di lesto e come meraviglia d'arte di stampa: ecco ciò, solamente, che è lecito chiamare rievocazione, commemorazione di Dante in Italia: qualche cosa che può pensarsi come elementi del monumento ideale, di pensiero, di opera, di amore, che solo gli si confà. E le mascherate del «ritorno da Carnpaldino », al cinematografo; e le parate ufficiali, al limbo. MARIO BASSI.

Luoghi citati: Canipaldino, Carnpaldino, Firenze, Italia