Padova

Padova PEREGRINAZIONI DANTESCHE Padova la poche città le reliquie del, passato grondano di malinconia come a Padova, o Meato 'layanzo di nefanda tirannide: », sta scritto su d'una torre decapitata d'Ezzelino; ma la malinconia parla da tutte le memorie antiche della città. Anche i luoghi cospirano a tale sentimento. Acque verdi e silenziose lambiscono i muraglioni d'un alto, torre ove Ezzelino soffocava i gomiti de' suoi prigionieri ; o di lassù ora gli astrodomi nel silenzio dello notti speculano il corso delle stelle. Muraglie ricoperte d'edema, avanzi dell'Arena romana, incingono la chiesetta, che Giotto dipinse; nel tranquillo d'una piazza spesso deserta si arrampica lo scalone cho ancor rimano a dar idea del fasto on^e splendette la Reggia cho fu dei Carrara."' Perniò Padova è con "Verona la più romantica città del "Veneto; ma i monumenti di Verona colpiscono più la fantasia, lo reliquie d'i Badava toccano il cuore. Non so ae. siano Te memorie della mia giovinezza studiosa, le quali ogni volta ch'io ritorni alla tmia città mi rimbalzano davanti,0 &e un recente dolore mi veli gli occhi, vero è che ogni avanzo di Padova antica non racconta, a me solo la grandezza ondo fti testimone, ma gli affanni che vide, e,le miserie e le passioni degli uomini, e mi dà il brivido del divino della storia che incombo su tutti. Sunt lacrimae rerum. Quanto volte pei' le vie tacite, lungo i canali, dove le vecchie case addormentate rispecchiano il loro sonno nel silenzio delle acque ; ovvero in sul tramonto, da Pento Corbo, mentre di tra il verde delle acque e del fogliame rimango estatico a contemplare la solva di cupole del Santo lancia.nt.isi nell'aria a cercare il Signoro; o nelle notti di luna, sulla piazza deserta del Santo, mentre la mole gigantesca proietta il nero della sua ombra sul sagrato di fianco, e Gattamelata Boto in arcioni mi guarda dall'alto del suo monumento, quanto volte la voce del passato dai raccoglimenti severi dello storico mi diverte nei campi fioriti dplla fantasia, e la poesia di Padova antica mi fiotta tutta nel cuore. Chi questi raccoglimenti non conosce, non conosce Padova. E mi tornano allora a mento le parole di "Dante per Roma: <r E sono di ferma opinione che le pietre che nelle mura sua stanno siano degne di reverenzia; e il suolo" dov'ella siedo sia degno oltre quello che per gli uomini è predicato e provato » ! Quante volte nelle mie passeggiale lungo gli argini dei quasi infiniti canali cho frastagliano la campagna, mi sono fermato dai Taglio delle Brentelle a contemplare rapito la città vaporante fra le nebbie d'oro del tramonto. ìLa mole immane del palazzo della Ragione, le cupole del Santo, tutte le torri e i monumenti del fiero Comune mi tremolavano dinanzi attraverso quel volo. Documento di passioni feroci e di lotte accanito era quel canale stesso, aperto dai Padovani nelle postreme batta glie della propria libertà contro Cangrande per immettere l'acqua della Brenta nel Bacohiglione, e con la sicurezza dell'acqua a loro intercetta dai Vicentini assicurare a ce stessi la possibilità di più lunga o .più di sperata difesa. Dietro a me il digradare dolce dei colli Euganei, freschi di uve e di frutte d'ogni maniera. Ma Dante ditanta poesia non vide nulla. La poesia delle cose si colorava nella sua anima dalla tempesta delle, passioni che lo affannavano, come affannavano gli uomini .attraverso i quali passava; giustiziere tremendo d'una giustizia assoluta, che gli vietava di comprendere il diritto di tutti i popoli a creare e a difendere la propria, anche se diversa, poeta vivente della storia, e perciò antistorico per eccellenza. Di tutte lo bellezze e le grandezze di Padova repubblica Danto non vide che <r l'altezza e la grossezza u degli argini della Brenta. Flegetonte, il rosso fiume scorrente nell'Inferno gli parve avere gli argini ... anali i Padovnn lungo la Bventa Per difender lor .ville e lor castèlli, Anzi che chiarentana il caldo senta, costrussero i propri. Un fatto rammentato come termine di confronto à dar <r immagine » di un altro ; non più. + + + Quando Dante s'avviò, tremante di ferie e di speranze, da Verona incentro ad Enrico VII, mossero da Padova verso Milano anche gli ambasciatori della Repubblica. Albertino .Mirrato ragguardevole fra tutti. Ma Dante vedeva nell'Imperatóre un novello Alessia, inesco di Do a dar saline all'Italia, e gli baciò reverente i piedi e s'intratteane con lui in alti colloqui sulle supreme idealità che dovevano rinnovare il mondo; i legali di Padova venivano a tra*- are degli interessi del proprio Comune.1 mercanti di Padova pagavano in fiorini d'oro, ed anche tra' le idealità dell'universa! monarchia l'imperatore aveva bisogno di denari. Sessanta mila fiorini subito, quindicimila ogni anno per avere in feudo Vicenza. Ma mentre si trattava, il signore di Verona ruppe gli indugi ed occupò Vicenza per conto suo. Cane aveva appena vent'annii, puro trascinato dalla sua virtù e dall'ambizione si preparava alla si-fnoria del paese « che Adico e Po riga ». 1 quando i Padovani corsero a riprenderò I'oramai perduta città li sconfisse, e corse egli alla sua volta fini sotto le mura di Padova. Pu dapprima un'alternativa di Brevi paci, consigliate dalla prudenza di Albertino Mussato, o di lotte feroci, sostenute dall'eloquenza tribunizia di Rolando da Piazzola. Poi Cane nominato Vicario imperiale di Vicenza, Padova insorta, l'obbedienza all'imperatoro negata, le aquile imperiali, « il sauto sogno », atterrate, e i Guelfi da Treviso a Bologna raccolti intorno alla forza del Comune rubello.- Ma fra vittorie e sconfitte le campagne deserte, i raccolti distrutti, ì villaggi incendiati. Cane era nemico formidainle, puro nulla spaventava il cuore dei Padovani. A istigazione di lui l'Imperatore (1313) pubblica un bando tremendo, ogni pena più severa viene ad essi minacciata; i Padovani per risposta si spingono fin sotto le mura di Verona. Poco appresso l'Imperatore morì. « Salute e allegrezza — scrivevano agli amici i Fiorentini —. Quello fiorissimo tiranno Arrigo, conte che fu di Xucimbuigo, cui i ribelli e antichi persecutori di Madre Chiesa, i Ghibellini perfidi nemici, chiamavano Re dei Romani e Imperatore della Magna, e che sotto coperta d'Imperio aveva già consumate e distrutte, per non piccola parte, lo province di Lombardia- e di Toscana... finì sua vita ». I Padovani rispondevano con feste e luminarie, e decretando pubblica spettacoli annui a odebxazione e ricordo del c grande e prosperoso avvenimento ». Intinto nella solitudine di qualche castello di Toscana Danto piangeva infranti i suoi sogn', spente le sue speranze. Una pallida luce soltanto nell'angoscia di tanta notte: Verona. + + + Il romanticismo padovano ha legato alla 6toria della propria città i nomi di Dante e di Giotto. « Fazioni e vendette qui trassero Dante (scrisse con potenza scultoria, su di un palazzo creduto dei Carrara, Carlo Leoni) ; dai Carrara da Giotto ebbe mcn duro lo esilio ». E le statue di Dante e di Giotto Padova nell'ora trepida delle speranze venete collocò l'uno di fronte all'altro mei punto più bedl'o della città. Ma la credenza nel soggiorno di Dante in Padova è dovuta alia errata interpretazione di un documento ovo figura ini « Dantànua » eh è ttutt'altra persona da lui. Dante in quegli anni in Toscanalegato alle vicende del suo partito o oon ansia febbrile aspettante il ritorno, 11 presso, in uno do' castelli dei Malaspiua, senza pensiero por la storia del Veneto ; Giotto lavorante iu Padova all'illustrazione della cappella cho la devozione filiale di Enrico Scrovcgno aveva innalzato alla Vergino per salvare l'anima usuraia del padre dall'eterno castigo. So Dante qualche anno più tardi, avviandosi a Verona o in alcuna, delle suo peregrinazioni da Verona, si fermò in Padova, e vide l'opera magnifica dell'amico, certo' ammirò. Ma nessun- riguardo per lui e nessuna artistica ammirazione lo poteva trattenere dal compierete sue giustizie. La pietà religiosa di Giotto si manifestava nelle pitture che il 'figlio di un usuraio gli aveva commesso ; la giustizia di Dante nel capovolgere nell'inferno quello spietate tormentatore di uomini. Ma anche nelle sue giustizie obbediente, senza ch'eglpur se n'avvedesse, alle passioni e allo finalità della sua politica. Padova aveva mercanteggiato con l'Imperatore, e la forza dol suo denaro aveva con il fiorili d'oro dFirenze sostenuto i nemici di lui. I Padovani usurai come i Fiorentini. Non ce altri usurai che di Firenze e di Padova nel l'Inferno di Dante. Con questi Fiorentih son Padovano, dice Reginaldo Scrovcgno al poeta, e con feroce compiacenza, come a diminuire con l'altrui la propria, colpa, l'avverte che un altro padovano gli sederà lì presso a bru ciarsi sotto la pioggia del fuoco : ... E perche se vivo anco. Sappi che '1 mio vichi Vitaliano Sederà qui'dal mio sinistro fianco. Vitaliano del Donte, cognato di Albertino Mussato, difensore di Padova. Oh ! se Dante non avesse fermamente creduto, o non fesso stata voóe che Vitaliano deDente, cittadino ragguardevole e ostile aglinteressi scaligeri, non avesse esercitato l'infame mestiere, Dante non avrebbe mai, a compir le vendette altrui e le proprie, colpito un nemico; ma perchè colpire si potava., era giusto ed era bello colpire. Le sataniche compiacenze de' suoi personaggi spesso erano espressione dell'anima sua. I padovani o usurai o pazzamente scialacquatori, come quel Jacomo da Sant'Andrea che fallendogli la lena del correr* per sfuggire alle cagno bramose, s'appiatta nella aelva de' suicidi dietro un cespugli io, edessestraziando insieme con lui l'anima del fiorentino rinchiusa nel cespo ond'egli aveva faLto groppo, gli mettono i denti addosso, lo dilacerano a brano a brano, e Poi sen portar quelle membra dolenti. E cosi insieme con la punizione d'un padovano, io strazio Che un padovano fa d'un fiorentino, corcando indarno tutti e due di sfuggire alla, giustizia punitrice. Se non odiassi le all'egerie per lo straz'o effettivo che con esse i commentatori hanno fatto del Poeta, quasi quasi sarei tentato di dar ragion* a. chi ci vuol vedere per entro una qualche allusione politica,! In ogni modo cesi il l'onta bollava d'infamia, i Padovani. Eppure era ancor poco. Padova con la sua opposizione accanita all'espansione de! signor di Verona tradiva, le speranze, vagheggiate del formarsi di un grande Stato ghibellino nell'Italia superiore «'ho si opponesse alla formidabile potenza guelfa di Robert ci d'Angiò. I Padovani, dunque, traditori. Già> la loro' discendenzastessa 'lo attcsta : venuti da auell'Antenoro che consognò la sua patria ai' nemico, e dal quale il |?.oeta aveva, perciò dato nomo ad una delie sezioni della sua ghiaccia [infernale : l'An.surra. Dante non li risparmia i colpi, quando li può azzeccare. Ed ecco Jacopo dei Cassero, raccontando nePurgatorio, la sua uccisione, metter in rilievo ch'essa avverano in sul tenere di PadovaLà dove più sicuro esser credea, e perciò meno si guardava dalle vendette del temuto nemico. Stolto ! egli s'era scordato d'esser « in grembo agli Antenori » e che in terra di traditori è naturale si compiano tradimenti. Gli profondi fori Fatti mi furo in grembo agli Antenori. a Antenori », non Padovani. Nessuno certo vorrà credere che la denominazione sia messa, per amor della rima! Già il Veneto con la sua opposizione alla politica di Cai» Grande aveva oramai per Dante perduto ogni suggestione di simpatia. Sì: In sul paese ch'Adico e Po riga Solea valore e cortesia trovarsi; ma nel buon teonpo antico, Prima che Federigo avesse brigaOra di buoni cittadini non c'era più nessuna: terra di banditi e di svergognati. Nella accensione della sua passione il poeta dimentica perfino che « prima che Federico avesse briga » coti la chiesa, e nei tempi cho lottò con essa, nel Veneto infieriva Ezzelino. A 'Padova Te torri ove il tiranno soffocava il pianto de' suoi prigionieri Dante non le dovette veder mai ; o se le vide vuol dire che ai giustizieri dell'idealo il sangue e la vendetta sono tremenae neclessità. ' Nel Veneto le genti erano « crude al dovere », perciò dovevano essere battute. Padova prima di tutti. E del sangue de' suoi cittadini le acque del Bacchigliene, nei padùli presso Vicenza, rosseggiarono più volto; mei' 1312, nel '14 i Padovani battuti dalie armi di Cane. Ma tosto fra che Padova al palude Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, Per esser al dover le genti crude. E chi lo vaticina è Cùuizza, la sorella di Ezzelino. i Le prime faville » della c virtute » di Can Grande erano cominciato ad apparire nei primi ^nni dell' « «Ito Arrigo », proprio nel raffrena*» e battere i Pada*sai Ora martellando a sangue i propri nemici e arrossando di essi i fiumi, egli compiva le grandi giustizie della storia alla preparazione dei nuovi eventi rinnovatori del mondo. Ma a Padova Albertino Mussato, vindice della libertà del suo popolo contro il nuovo tiranno, parlando di Ezzelino ma alludendo a Cangrande, tra gli applausi deliranti de' suoi concittadini cho lo incoronavano poota, Albertino cantava: O semp<.r huius Marchine clades vetus, Verona, lirnen host.ium et bellilter, Seclcs tyranni ! O sempre di questa Marca antico danno, Verona, limitare dei nemici ri strada alle guerre, sede del tiranno ! Albertino giudicava dalla realtà presente, Dante dall'ideale lontano; non si sarebbero intesi inai. Padova, ottobre U. COSMO.