Impariamo il cinese? di Ernesto Ragazzoni

Impariamo il cinese? Variazioni di cronaca di un poeta vagabondo Impariamo il cinese? Art» • «ita, la spirituale Ri»tsta torinese diretta da Luciano Gennari, pubblica nei suo fascicolo rit settembre una graziosa > varietà », ul cut ci sono cortesemente comunicato le bozze; una « varietà - che ci e particolarmente caro di puboilcare, c che sarà pare gradita al nostri ettort: essa rera la firma di Ernesto Ragazzoni. Il nostro indimenticabile, compagno di lavoro, Il fine umorista. Ritrovata da un collega In giornalismo, e tuttora Inedita, vede ora la luce dono molli anni dacché tu s ruta; ed è ancora frese* e viva, come quando venne giù dalla penna del gaio e triste scrittore. Può sembrare che la remotissima Cina nulla abbia à vedere colle cose di Torino. Sentirete. Fu appunto a Torino, traversando il ponte sul Po,1 verso il monte dei Cappuccini che qualcuno, proprio in quest'epoca dell'aimo, ma un anno già parecchio lonano, mi faceva la strana proposta: — Impariamo il cinese? Era l'anno dell'esposizione, non l'ultima 'esposizione del novantotto, che comprendeva nei suoi reparti una mostra di Arte sacra, vasta e ricchissima, e nella sezione dell'Arie sacra, emporio di tutto il mondo adunato da missionari pazienti, aveva posto un padiglione sovra gli altri interessante della missione cinese. La Cina era ancora, a quei tempi, un paese di, chimera e di favola. L'Europa non vi aveva, ancora inviate le suo spedizioni armate contro i boxer furiosi, non 'avevano ancora attraversata in automobile Barzini ed il principe Borghese, non s'era messa a repubblica; era per davvero Estremo Oriente, l'Asia che si vede dipina sui ventagli, sulle lacche, sulle porcelane, sui paraventi; l'Impero celeste con inomo nubi di sogno e di mistero. Quando si parlava della impene'.rabilQ « Città, violetta », la residenza dell'« Invisibile », del « Figlio del Cielo » e della « Città gialla» entro cui la «Città violetta» è chiusa, del « Lago dei fiori di loto » e del « Ponte di marmo » — nomi fa'ali che designavano inaccessibili cose — s'evocavano alla mente immagini di luce e di colori preziosi, di roggie labirintce, popolate da potenti claustrali, che si sono posti essi stessi, per isdegno, fuori del mondo. E si narravano cose paurose, di supplizi raffinati fino a diventare opere d'arte della crudel'.à; e di cucine maraviglioso fatte di ncredibili intingoli, di pasti interminabili composti di gamberi- mangiati vivi coll'acquavite. di midolle di bambù, di radici di ninfee Candite, di sangue di montone fermentato bevuto come liquore, per non dir nulla dei troppo noti nidi di rondine e delle pinne di pescecane che tutti sarino. E venivano di laggiù, non notizie di mutamenti di ministeri, ma aliti di poesia delicatissima. — «Le nubi leggiere errano indolenti come i miei pensieri. Tramonta il- sole ed io sento anche più vivamente la tristezza della separazione. Al disopra dei cespugli tendo un'ultima volta la mano, al momento in cui t'allontani. Lancio la mia voce un'ultima volta a salutarti... Mi risponde un canto d'usignuolo ». Od ancora: e Ecco che la bruma rinchiude la mia casa. C'è solo intorno a me l'acqua del fiume che va. E' la sola che conosce il mio dolore. E forse si stupisce di riflettere cosi sempre, l'angoscia di questi occhi sbarrati ». Ora, una brlcciola di questa Cina antica, era caduta a Torino in un lembo del Valentino e noi s'era finito por diventare buoni amici della piccola colonia, di- cinesi e- di missionari che teneva a custodia lo belle cose singolari portate da tanto lontnno e là raccolte. Ma il più assiduo di noi era il prof. Giovanni Vacca, assistente di Peano all'Università. Interrogava monaci si facova spiegare iscrizioni, sfogliava libri ed albi, tentato dai ' caratteri sconosciuti tracciati col pennello inviati a noi da tempi immemorabili, e ad ogni tratto, im bntfenrlnsi cogli amici ripeteva: — Impa riamo il cinese? nerc.he non impariamo il cinese'? 15' assurdo non snnere il cinese! Ne parlava con Giovanni' Vailnti, mente luminosa, che approvava sorridendo: ne parlava con Francesco Porro, direttore nllora rlell'Osservntov'o di Palazzo Ma doma, il quale si interessava al cinese massimamente per ragioni di teosofia, e di scienze occulte; ne parlava con me che ascollavo senza dir nulla, mettendoci R/-1I0 miei tanto di intelligenza che si limita alla curiosità. Un giorno. Giovanni Vacca ci annunziò netto il suo proposito: — Imparo il cinese. Mi diverto moltissimo. Mi mando a mente ogni giorno trenta parole coi relativi segni. Non è niente affatto difficile. — Pel suo cervello matematico, abituato a sbrigare le matasse delle algebre più a struse, non c'era mai niente di difficile. E cosi avvenne che Giovanni Vacca, il quale incominciò a studiare la lingua di Lao-tse. di Li-tai-pè. di Confucio in riva al Po, fini per impararla dawern sulle rive del Yang-tsc-Kiang e dcH'Hong-ho, ai piedi della grande muraglia, e passati parecchi anni in Cina, è óra professore titolaro di cinese all'Università di Roma! #"# Ne è passato del tempo! La vita separa, allontana, sconvolge, ma serba ancne le sorprese dei riavvicinamenti impensati, beco che, passati anni ed anni parecchi, proprio sul Po, dove la prima volta l'unlico assisterne del professor Peano mi proponeva: — « Impariamo il cinese?» — m'imbatto in Giovanni Vacca. E' cosa di questi giorni. Ciascuno vuol sapere dell'altro, ciascuno ha la sua da chiedere e da rispondere, li naturalmente si ricade sull'antico argomento. — Si, ho vissuto nel meraviglioso paese delle tavole di cui abbiamo tanto parlato. Vi ho mangiato più bistecche che nidi di rondine ed ho viaggiato più in ferrovia che in palanchino. Insegno a Roma ed ho allievi numerosi. Si comincia a capire che occidente e oriente debbono affratellarsi, che occidente e oriente hanno convenienza ad intendersi. La Cina impenetrabile chimerica d'un tempo non è più e si dovrebbe cominciare a perdere l'abitudine di considerare questo paese unicamente come la patria del drago volantet delle teiere di porcellana, dei codini, dell'oppio. Esiste ormai, presso lutto il mondo civile, una triplice questione cinese: la commerciale, la militare, la letteraria ; ognuna di esse ha un interesse speciale. Per prendervi parte attiva e penetrare nella mente e nel cuore di quel popolo, a suo modo classico, è mestieri anzitutto conoscere la sua lingua, la quale, come dice un poeta di laggiù, è la veste nuziale del pensiero. L'hanno chiamata la v lingua del diavolo » e le hanno creato attorno una pessima fama. E' gin pregiudizio ed una ingiustizia. Il meccanismo della lingua è semplicissimo: niente articoli, niente coniugazioni, niente dec'ii.azioni, niente distinzioni di generi Per la semplice disposizione delle parole nell'Insieme della frase, un carattere cin-'«e, 1111 sostantivo per esempio, può di ventnrs volta a volta, pur rimanendo inva riami*, aggettivo, verbo attivo, verbo neutro. \e.ibo passivo ed anche avverbio. Ecco qua. Si vuole per esempio coniti gare il verbo leggere (seti/)? Si dirà: « io ora leggere» (leggo^; «io allora leggere» ileggevo); «io poi leggere» (leggerò). E cosi vii:. Ci vedrebbe chiaro l'ultimo scolaretto cne stenta sulla sua grammatica latina. E nemmeno, nitro vantaggio, ci sono ** Ti,,,< "tir i l capitomboli di quelle indiavolate parti-, celle separabili, di quegli insidiosi an, a&,j «or, ;u, pulci di sillabe che saltano'sempre e che bisogna andare a scovare nei punti; più riposti della frase, apprezzeranno al; suo giusto valore questa lingua asiatica, 1 cosi onesta. Insomma, per quanto monosil-i labi co, il cinese non è più arduo a maneg-! giarsi di tante lingue a flessione. Del resto,' non bisogna supporre che per servirsi del cinese occorra liccarsi nella memoria l'intero vocabolario. Non abbiamo in testa j nemmanco i tre quarti di quello italiano! Mille parole bene apprese bastano per farsi intendere a Pechino. Non sì possiede an-j cora una lingua con mille parole, d'accor-! do, ma se con quelle parole riesco a capire; ed a farmi capire, posso' starmene contento. Dove allo studioso occorre veramente' pazienza, è nel ritenere i segni. Ma ci han-j no tanta bizzarra arte nella loro costru>] zione che invogliano come pitture. Si po-; trebbe determinare tutta un'estetica della scrittura cinese. Ogni carattere cinese si può considerare' come una proposizione elittica di cui non si pronunzia che uno dei suoi elementi; gli altri sono ricordati all'occhio dai segni1 annessi al carattere stesso. , Cosi il mio dotto amico, algebrista e si-, nologo, miracolosamente ripescato. Aveva-! mo ciarlato cammin facendo e ci avViam-j mo giusto per via' Roma, dove di> sicuro non c'era nessun altro, in quel momento,*! che, s'occupa va di cinese. — Se andassimo a prender qualche cosaai nostro solito caffè di una volta? — pró-i pose il professore. — Il caffè della Borsa? — Sì. — Ne hanno fatto un cinematografo! -M. * # ' I Il giorno dopo questa conversazione,! tutto invasato di fervor cinese, mi sonol dato attorno per Torino a cercare quanto; di cinese si potesse trovare, in fatto di! grammatiche, di lessici, di manuali. Manco male, dai librai che appestano le loro' vetrine colle opere dell'insigne Barbusse ed altre tali, non trovai nulla! Invece, bene spigolai da certi antiquari,: su un bau che rottolo di piazza San Carlo e presso una modesta e buona signorina che tiene in via Lagrange un negozio di libri scolastici, religiosi e di stampe. Ho così in questo momento sul tavolo,, mentre scrivo, la Lingua cinese parlata dil F. Magnasco; le Tavole di scrittura cinese 1 del dottor Senes, magnifiche; la Grammaire] Mandarino di M. A. Bazin, classica stampata a Parigi nel 1856: i Chinesce sketchès' del Giles; il Manuel de la langue chinoisa del Hochet... Vi sareste immaginati tanto cinese sparpagliato per Torino, voi? Io no. Io non so ancora, a dir vero, se mi darò' allo studio della vantata lingua, ne ho assai paura!, ma intanto mi diverto a nwardarla, R le tavole del dottor Senes mi procurano un grandissimo diletto. Pure a non capirne nulla, è bellissimo vedere il cinese.i come il greco del marchese Colombi: anche più bello dello stesso arabo la cui calligrafia è di per sè sola un ricchissimo mo-! tivo orientale. Non per nulla, in Cina, la scrittura è opera di pennello. Ogni segno si direbbe la stenografia di un disegno. E ve n'hanno' che sembrano nastri svolazzanti, che han-. no profili di pagode, che simulano gestii di braccia che paiono lame incrociate, che' danno l'idea di segnali di semaforo immobilizzati, di scrigni intarsiati, di appiccatii appesi alla forca, di ali aperte, di grati.] cole, di congegni di chiavi inglesi... Po-I tete enumerare tutte le forme, tutti i sim-' boli della vita! Ed un'altra cosa divertente scopro, sfo-' gliando la grammatica del Bazin, la gran-' de quantità delle onomatopee per cui le cose entrano nel linguaggio col loro suono: preciso. Tsi~tsi-ua.ua, è la voce di parecchie persone che parlano; Hi-hi. è la ri-1 sata: Si-so, il fruscio della seta; Pt-pi-pn-po, il crepitio della, fiamma; Tsi-tsi, ricorda ili lavoro del tessitore al telaio: Ko-tang-kolang, l'andirivieni regolare del bilanciere! del pendolo. Ed aggiungete che ognuno è: padrone, se gli fa "piacere, di crearsi tutte 1 quelle altro onomatopee che crede! Non è' comodo? E' una lingua 44eale per i parolihcrif * Quanto a me volete vedere che sono ca. pneissimo già di infilarvi del cinese, e per1 giunta in versi? Ouadretto cino-invcmale Mentr'arde. il fuoco come un falò cianciano insieme bimbi e papà: hi-hi hl-hì, tsi-tsi-uà-uà; entra la mamma: sl-sò sl-so, e diede a tessere: tsi-tsl-tst-tsi; in gabbia un passero canta: ci-ci; la fiamma crepita: pi-pi-po-po, calmo fa il pendolo-, ko-tang-ko-tang:! cosi si vive sul Yan-fse-Kiang. Impariamo il cinese? Ernesto Ragazzoni