Politica organica

Politica organica Politica organica Il fatto che le dimissioni del Ministero Qiolitti siano state provocate da un voto della Camera sulla politica estera ha suscitato all'estero, intorno alla crisi ministeriale, attenzione e, potremmo dire, emozione. Più precisamente, si sono doluti della crisi in Francia, «e ne sono rallegrati in Germania. Noi comprendiamo perfettamente la logica che è dietro a queste impressioni dei paesi stranieri. Poiché la Camera italiana, si 'è ragionato colà, ha mostrato un 'tale malcontento della politica estera governativa da provocare una crisi di Gabinetto, vuol dire che essa Camera intende propugnare un cambiamento d'indirizzo di questa politica stessa. Di qui, secondo gli opposti punti divista, rammarico o timore, o soddisfazione e speranza. Senonohè, in Francia e in Germania, si è. appunto, ragionato a filo di logica, senza guardare dawicino — e la cosa è perfattamente spiegabile — all'andamento delle discussioni nella Cameia italiana ed alla Composizione del voto. Quasi tutti i giornali italiani hanno dovuto rilevare come tale composizione f jsse estremamente eterogenea, e come quindi fosse impossibile ricavarne,un qualunque indirizzo circa la politica estera che la damerà vorrebbe seguire. Ma c*è di più : anche se si prescindesse — arbitrariamente — da tale eterogeneità, anche se si volesse considerare il voto medesimo come un trionfo di quella Destra che a formarlo ha concorso per non più di un quarto, i timori o le speranze formulate all'estero sarebbero fuori di posto. Gia:chè la Destra — nonostante le autoesaltazioni della propria azione parlamentare — non ha concretato idee, non ha formulato programmi in fatto di politica estera; staremmo per dire, che i suoi uomini, nonostante lo arie di specialisti che volentieri si danno, non hanno mostrato neppure di aver sentore di quel che dovrebbe essere una vera discussione di politica estera, cioè di politica internazionale. Per l'appunto, le forze direttive e ì problemi capitali della politica internazionale sono rimasti quasi completamente assenti dai loro discorsi. Tu'.fai più. qualche accenno ad essi, in critiche generiche e puramente negative, senza sviluppo e senza nesso' or ganibo. Ciò non significa che l'atteggiamento a.ssunto dalla Destra, prima e dopo lo scoppio della crisi, non debba formare oggetto di preoccupazioni. Ma le preoccupazioni toccano assai più l'Italia medesima che le altre grandi'potenze. Sarebbe infatti estremamente nociva per noi una ripresa di politica — se pur tale si può chiamare — nazionalista e irredentista ••nell'Adriatico. Nociva per la nostra situazione interna e per quella estera, ebe appena ora. " l'una e l'altra, incomincia vano a consolidarsi. E' notevole a questo proposito, come il fascismo, orientato, fin verso la fine "dell'anno passato, verso l'irredentismo adriatico, e di là rivoltosi poi alla lotta violenta contro il socialis-nò, accenni ora a far la pace con questo ; minsi volesse concentrar nuovamente le sue forze, coalizzate con quelle del naziona lisruo, sul terreno della politica estera. Ora, se il nazionalfascismo è, nella politica interna, un fenomeno di violenza perturbatrice, nella politica estera costituisce un pericolo anche più grave. Privo "ti ogni vera ^visione politica e di ogni senso della responsabilità, pieno di retorica fatua e di eccessività avventurosa, esso è adattissilmo a compromettere i nostri rapporti internazionali e scuotere il nostro credito, ad avviare il Paese pi>r vie senza uscita, a impacciarne la libertà di movimenti e consumarne le forze con tutto vantaggio di altre Potenze che ci contano sopra oggi, come ci' contavano ieri, e sanno, -per fili tortuosi, attraverso intermediari compiacenti, farsi del superpatriot tismo un valido strumento ai propri fini di dominazione. Non vorremmo, facendo ancora una volta giudizio nettamente negativo della politica estera nazionalfascista, essere fraintesi. Non è già che noi siamo fautori in politica esteta, dell'inerzia scettica, del 10 spirito di rinunzia, del pacifismo vuo tangente conciliatore e così via. Non è che nel caso specifico del problema adriatico noi abbiamo fiducia in una idilliaca ami cizia con la Jugoslavia, o siamo scarsi e stimatori dei diritti e degli interessi ita liani. Noi non vogliamo suggerire di non curarsi affatto di Porto Baros, di trascu rare qualchedttno dei diritti che il trat tato di Rapallo ci attribuisce, di rima' nere beatamente indifferenti a ciò che succede sull'altra sponda dell'Adriatico' Miamo, come i nazionalfascisti e meglio di loie, gelosi di tutti gli interessi dell' talianità e dello Stato italiano. Ma quello su cui insistiamo c'insisteremo sempre è che occorre, questi interessi, vederli en tro#le possibilità reali, graduarli nella loro importanza relativa, inquadrarli in una visione generale. Quali sono, oggigl'interessi fondamentali dell'Italia nel mondo? quale è il loro rapporto con grandi problemi internazionali? quale 11 gioco delle forze intorno a questi prò blemi medesimi? e come, in simile gioco, deve inserirsi la forza dello Stato italiano • per favorire, appunto, quei suoi interessi fondamentali? Ecco l'unico metodo per 4sltp. della politica estera che non sia retorioa fatua, dilettantismo scioccoj' denta gogia irresponsabile. Ora, è estremamenle significativo che nelle battaglie oratorie condotte dal na zionalfascismo contro il ministro degli e steri, questo esame generale e metodico sia completamente mancato. Molto Porti Bara», moltissimo Montenegro (critiche qpzgvdpSsszpt quasi unicamente negati re, del testo» e I basate in gran parte sul disconoscimento dei fatti), ma accenni fuggitivi e inconsistenti al problema delle riparazioni, a quello dell'Alta Slesia, e silenzio completo, o quasi, sull'insieme della situazione internazionale, e sui nuovi atteggiamenti ch'essa presenta. Occorreva, invece, per la via e con il metodo da nr-i indicato, fare una esposizione critica della politica estera italiana nell'ultimo anno. Si sarebbe allora potuto vedere come questa sia stata- dominata, nel primo semestre, dalla necessità dì raggiungere alfine la pace adriatica/Di fronte'alla constatazione che l'intransigenza iugoslava, complicata dalla situazione irregolare di Fiume, non si lasciava affrontare direttamente, l'on. Giolitti, coadiuvato da Sforintraprese ad espugnarla attraverso Londra è Parigi, e curò quindi innanzi tutto il ristabilimento di buoni rapporti con i nostri alleati. Come dimostra il Libro Verde, Parigi si prestò, a tale politica, assai più di Londra; e coll'aiuto di' Parigi fu vinta la resistenza iugoslava, e si arrivò al trattato di Rapallo. Di qu^ un più stretto accostamento della politica italiana alla francese e, al tempo stesso, un certo allentamento di- rapporti — torse già iniziatosi ih precedenza — fra noi l'Inghilterra. Col vantaggio specifico della pace adriatica raggiunta sì combinavano così elementi generali non del L I tutto favorevoli, ma farse momentanea' mente inevitabili. Sotto tali auspici t inaugurò il nuovo periodo della politica italiana, in cui questa, risolto il problema adriatico, si rivolgeva nuovamente ai problemi internazionali. Come il ministro Sforza ebbe a spiegare su queste stesse colonne, essa oi si rivolse con l'idea che ormai all'Italia, ottenuti i suoi confini, convenisse sopratutto fare una politica di espansione economica : di qui i rapporti con la Piccola Intesa, di qui, principalmente, la politica turcofila in Asia Minore, nuova occasione di avvicinamento alla Francia e di allontanamento dall'Inghilterra. Ma non c'è oggi espansione economica che non debba esser inquadrata in un disegno di politica internazionale ; e, d'altra parte, al di là degli obbiettivi teri*' ritoriali raggiunti, rimanevano per l'Italia da risolvere i problemi fondamentali della pacificazione e dell'equilibrio europeo, senza dei quali, del resto, quella stessa politica economica diveniva senza base. Così, i problemi delle riparazioni, dell'Alta Slesia, e in genere dei rapporti tra la Germania e le altre potenze ci toccavano dawicino; come non potevamo e non possiamo rimanere indifferenti ai nuovi atteggiamenti della politica americana. A"suo temipo, noi mostrammo c.o- Lme la questione dell'Alta- Slesia —; per sè stessale più per il modo con cui, attru- verso 1'insurrezioue di Korfuhty, la Fra-n- cia l'aveva impostata — fosse essenziale per l'equilibrio europeo, e quindi per l'Italia ; e come l'Italia dovesse appoggiare risolutamente la tesi inglese, anziché cercare compromessi che indebolivano questa, e ci vietavano di cooperare all'azione dell'Inghilterra contro possibilità di egemonie europee, azione che doveva essere, sia pure con -proprio suggello, anche la nostra. Condannare semplicemente come francefila la politica del conte Sforza in proposito, sarebbe troppo sbrigativo ed ingiusto : basti ricordare come su altri problemi — le sanzioni, l'occupazione immediata della Ruhr — egli si sia aspresso contro le tesi francesi. Ma certo la sua veduta del problema altoslesiano. e in genere la sua impostazione del problema europee .ira* difettosa, appunto perchè, troppo esclusivamente economica, non coglieva a sufficienza i valori e le esigenze della politica internazionale. Tuttavia noi erodiamo che nulla sia irrimediabilmente compromesso; e che la politica estera italiana, con più ampiezza e profondità di vedute, con più energia d'azione, possa batteie le vie più adatte per il raggiungniììWo di quelle condizioni internazionali che sono necessarie alla vita italiana nel mondo. Ma tali vie non saranno certo le unilateralità irriflessive e le escande- scenze parolaie del nazionalfascismo a sa perle additare. I "LUIGI SALVATORELLI.

Persone citate: Giolitti