Partiti in crisi

Partiti in crisi Partiti in crisi Dopo alcune settimane d'incertezza — «he non chiameremo penosa, alieni come siamo da ogni esagerazione retorica — i destini del gruppo parlamentare della Democrazia sembrano decisi. Dove era uno, ce ne saranno cinque: democratici liberali, democratici sociali, democratici italiani (o che gli altri non lo sono?), democratici indipendenti e democratici liberi. (La comicità di questa ultima denominazione è irresistibile). Se vogliamo raccapezzarcisi, non possiamo riferirci ai programmi dei cinque gruppi — alcuni non so lo sono dato ancora* un programma, e quelli già formulati e pubblicati non sono molto illuminanti, come preciseremo più sotto.—; ma dobbiamo- fare, invece, un po' di storia della molteplice scissione. L'inizio della quale è stato dato dal partito della Democrazia sociale, nel suo congresso dell'aprile scorso, che, appunto, impose ai deputati iscritti al partito di raccogliersi in gruppo autonomo. Da taluno questo fatto venne considerato come un equivalente di un orientamento a sinistra — e perciò, in ipotesi, verso la collaborazione con i socialisti —; ma nè il programma del partito, nè la motivazione della scissione, nè sopratutto la condotta, prima e dopo d'allora, del partito e del gruppo democratico sociale giustificarono un tale apprezzamento. Invece, i precedenti dei promotori e dei capi del partito, certi atteggiamenti del gruppo parlamentare nel suo primo periodo di esistenza autonoma, al principio della nuova legislatura, e persino certi enunciati e certa fraseologia del programma, odoravano fortemente, a narici un po' esperte, di destrismo e nazional-fasciemo. E chi battezzasse il nuovo partitogruppo quale travestimento democratico di ex-radicali divenuti conservatori e rimasti massoni, sarebbe probabilmente assai vicino al vero. La scissione della democrazia sociale, dunque, ha portato al disgregamento della Democrazia,, la cui unità, del resto, era sempre stata precaria, -perchè mancante in pari grado di un. programma, di una azione e di un capo comune. Del gruppo ceh Himane più numeroso, e altresì il più abbondante di personalità e di elementi sperimentati al Governo, la democrazia liberale, c'è poco da dire: esso ritorna ad essere quello che era prima della breve fusione, una specie, di centro sinistro, in grado di costituire il fulcro politico <Ji combinazioni governative diverse con elementi di destra e dì sinistra, ma, piuttosto che di colore politico spiccato, con carattere largo e conciliativo. Dei democratici « indipendenti » e « liberi » è impossibile dire per ora qualche cosa: l'unica congettura che si potrebbe arrischiare, — quella di aver, formato dei gruppi a sè per poter partecipare a qualunque Ministero — è troppo maliziosa per ritenerla lecita fin d'ora. Aggiungiamo soltanto che fra i democratici «liberi» vi sono nomi che sembrerebbero più a posto nella Destra, o in un gruppo specificatamente e nominativamente industriale. II gruppo più numeroso e più importante, dopo la Democrazia liberale, è quello della <c Democrazia italiana », che ci ha dato anche, subito, un esteso programma. Esteso, ma dalle lince non troppo accentuate, salvo per qualche questione financiaria, del resto già parzialmente superato. Stato « sintesi degli individui » — non sarebbe più esatto dire « sintesi delle forze sociali» —; cooperazione di classe; ricostruzione economica e sociale; pacificazione interna; aumento della produzione; pacificazione e ricostruzione europea: sono concetti generici di ogni democrazia, e certo anche della democrazia liberale. Comunemente, si attribuisce al nuovo gruppo la tendenza ad una coalizione con socialisti e popolari; ma osserviamo obbiettivamente che di ciò non v'è parola nò accenno nel programma, mentre la democrazia liberale, per sua parte non ha mai avanzato pregiudiziali contro simili collaborazioni, una delle quali, anzi, è presentemente, e felicemente, in atto. Comprendiamo anche noi l'utilità che potrebbe presentare una precisa divisione degli elementi autenticamente democratici, di sinistra, da coloro che, pur dicendosi democratici, meglio starebbero a destra, fra i conservatori; ma una tale divisione non appare, nel programma del nuovo gruppo, realizzata; e non sarebbe affatto difficile scorgerci perfino qualche elemento di « destrismo ». Non rimane dunque che attendere i suoi atteggiamenti futuri. Intanto, in mezzo a tutte queste scissioni democratiche, più di persone ohe di idee, viene a cadere la nueva crisi socialista, di assai più profondo valore politico. Il Consiglio nazionale socialista, sconfessando cosi aspramente l'ordine del giorno Zirardini, del gruppo" parlamentare, ha commesso l'ultima — per ora — dei suoi spropositi. Se, in astratto, può aver aualche elemento di ragione il Serrati auando rimprovera di « miracolismo >• coloro che attendessero dal collaborazionismo l'eliminazione immediata e totale delle difficoltà socialiste, i suoi avversari possono tuttavia chiudergli la bócca ricordandogli che la diminuita efficacia della collaborazione socialista dipende dal suo ritardo, cagionato appunto dall'intransigenza serratiana. Rimane indubitato, tn ogni modo, che l'applicazione dell'ordine del giorno Zirardini, permettendo al grùp. po parlamentare socialista di appoggiare un governo restauratore della legalità, renderebbe per ciò solo più facile una simile azione governativa: e i Serrati e i Velia, negando questo, negano l'evidenza stessa. Tanto più appare assurda una simile negazione, quando ci troviamo, coi dmdaGvactddsps me oggi, di fronte a un Presidente del Consiglio, che, forte della.sua onestà politica e della sua dirittura morale, ha enunciato — di contro alle escandescenze di apologisti della violenza di classe, come il sen; Tanari, malamento applaudito da una parte dei suoi colleghi; di fronte alle teorie liberticide di organi come il Giornale d'Italia o Videa Nazionale, invocanti la soppressione del codice penale a favore di un partito, e quelle del codice civile e dello Statuto ai danni di un altro: di fronte alle assurde contraffazioni di chi gabella per « servitù della gleba » disposizioni intese a risparmiare fame è sfruttamento é contese sanguinose agli cperai — di fronte, diciamo, a tutto questo ripugnante fermentare' di velleità reazionarie ed antiproletarie, ha detto apertissimamente che la violenza è violenza ed il delitto è delitto « la rivolta è rivolta qualunque sia la bandiera, rossa o tricolore, sotto la quale si compiano. Parole! gridano i serratiani. Che non siano semplici parole, dimostrano la resistenza opposta a Bologna e lo scioglimento dei « Cavalieri della morte» a Venezia: conveniamo, tuttavia, nella necessità di lar m'esente al Governo la necessità di una azione energica, organica, continuativi^ Ma è pure evidente che tanto più le paro'3 si tradurranno in fatti, quanto maggior concorso verrà al Governo, dal Parlamento, i socialisti compresi. Concorso di vigilanza e di pressione, ma altresì, all'occorrenza, di appoggi; senza di ch.o la vigilanza diviene fatica inutile e la pressione esigenza assurda. Vero è, invece, che il problema tó-! tale' del collaborazionismo socialista, compresa la partecipazione al potere, non può ridursi a semplice questione 'di tattica eccezionale, determinata dalla violenza fascista — ciò che mostrammo già nell'articolo su « L'avvento del collaborazionismo » —; e per questa parte ci pare aver difettato di prospettiva il D'Aragona. Secondo noi, ripetiamo, il movimento da comi>iere è in due tempi: occorre prima l'appoggio a un ministero non spiccatamente di partito, perchè e purché ristabilisca l'ordine ed avvìi la pacificazione: e quando di questa siano gettate le solide basi, sarà il tempo di pensare a una formazione parlamentare governativa di sinistra, con' un programma positivo di elevazione proletaria e di ricostruzione nazionale. So per questo secondo passo occorre ancora qualche tempo, il primo dovrebbe esser compiuto senza indugio. La parola è alla Confederazione del Lavoro.

Persone citate: D'aragona

Luoghi citati: Bologna, Venezia