Giapponeserie

Giapponeserie Giapponeserie pp(Nostra corrispondenza particolare) PARIGI f ( pPARIGI, Maggio. Il Salon primaverile ci ha arrecato quest'anno una sorpresa gradita: una Mostra di pittura giapponese. Il pubblico vi accorse in folla, disertando di comune accordo le altre sale del Grand Palaia, dove si stipano, nella solita confusione chiassosa e monotona, le opere1 dei soliti europei. Non so dargli torto. I suffragi ingenui hanno sempre una ragione profonda. Questi pittori giapponesi ci fanno, finalmente, respirare, ci rasserenano, ci riconciliano coi pennelli e perfino con la natura, ci risanano come un buon mese di villeggiatura. La prima impressione che se ne riceve è una impressione di pulizia. Dipingono ancora tutti sulla seta, all'acquerello, lavorando i fondi con la pennellessa o il resto con punte di pennello sottili e morbido, senza sovrapposizione di colori, senza sbavature nè pentimenti nò esitazioni. Si capisce subito che questa gente non solo non •sporca quel che dipinge, ma non si sporca dipingendo : lavora con metodo, senza fretta, tenendosi innanzi in fila tante ciotole e1 tanti pennelli, quanti sono i toni di cui ha bisogno. L'opera d'arte non è una grossa macchina da attaccarsi al muro, su per aria, e da ammirarsi a distanza: è, nove volle su dieci, un oggetto d'uso quotidiano, un oggetto volante, da spazzolarci tutto le mattine, da spiegarsi o da riporsi dieci volte' nel. corso di una giornata, all'ora del tè, all'ora di pettinarsi, all'ora di andare a letto. E', insomma — lo avete capito — un paravento. Essenzialmente decorativa, questa pittura non ha ancora perduto di vista la necessità di accontentare l'occhio anche con la finitezza della tecnica, con quella omogeneità delicata di impasto che sola può consentire di dimenticar la materia é l'operaio nell'immagine alla cui illusione ci abbandoniamo. Ci stanno un po' a disagio qui, questi paraventi, aperti e incollati al muro foglio contro foglio dentro una cornice di seta, per violaro il mono possibile le buone regole delle Mostro d'arte occidentali : ma, pur sottratti così aUa loro funzione viva, il loro fascino non si perde, ne. c'è pericoli» di scambiarli per quadri come gli altri. Solo si pensa, socchiudendo gli occhi, che cosa deve essere la casa giapponese tappezzata da queste superfici rasate e tjtiasi diafane attenuanti di infinito, di orizzonta mirifici, di tramonti e di pleniluni! favolosi la più piccola camera della più piccola musmè... Kitano, di Osaka, espone un ritratte di Scia-scia, la bella favorita di Hidcyosci, il cui viso calmo e bianco assorto ili una contemplazione tranquilla ci dice la muta felicità degli interni di carta gommata e di bambù dove si siede sulle stuoie a meditare o a sognare, gli occhi • fissi su una parete sulla quale non c'è nulla, tranne qualche seguo, appena visibile, che è come un filo di bava argentea per sospendervi il ragno della fantasia. • l'I segreto pittorico dei giapponesi sta nel bandire dalla loro arte tutto quanto esiste di opaco e di massiccio al mondo, tutto quanto viete di vedere al di là del visibile. Paraventi e kakemoni continuano, sotto questo riguardo, l'ufficio della parete scorrevole non impedita da mobili ingombranti ne da cortine che tolgano la visuale. Mercè loro, la casa è come un seguito del giardino, del giardino che molte volto non o'ò. Un appartamento europeo con molti quadri non è se non una pinacoteca in disordine : un appartamento giapponese con molti paraventi non è più un appartamento. Ed è questo che i suoi cbitatori vogliono. Una volta, tutte lo mattine i servi o le donne di casa facevano scivolare l'uno nell'altro i telai delle pareti, e in un batter d'occhio dell'edificio domestico non rimaneva più in opera se non il tette, alto e massiccio, poggiante sui qiwtìii'o pilastri degli angoli. La vita della fMiglia si svolgeva così fino a sera corani populo, in pieno giardino o in piena strada, partecipando minuto por minuto di ogni svariare di luce, di ogni stormir- di fronda, di ogni trillo di uccello, di ogni cantilena di venditore ambulante, di ogni galoppante1 passaggio di Coolie. Oggi, nelle case di pietra che l'incalzare della mo- „'domita ha diffuso anche nell'Impero del Sol Levante, tirar via le pareti .non è più possibile1. L'occhio si sente dunque prigioniero, il petto oppresso, il cuore triste. Come fare? Ecco arrivare il pittore e dire: Ci perito io. Ci pensa lui. Due tocchi di pennello: e il miracolo è compiuto, le pareti sono scomparse, senza bisogno di farle scorrere. Due tocchi? Esagero. Sarebbero pochini. Una volta bastavano anche due, sì. Il pittore afferrava bravamente un pennello intinto d'inchiostro di China, si aggiustava gli occhiali sulla punta del naso, e lì, in presenza del cliente, con un ghirigoro da virtuoso improvvisava... che cosa? Tutto quello che volete : un airone, volante' o posato sulla zampa, un ponte sacro a cavallo di un ruscello, un ramo di pesco fiorito, una musmè che si sventola, una scimmia, una tigre, ovverossia le venerabili sembianze di Bodhidarma o di VimalaU irti dalla lunga barba. Ma il buon tempo, è finite. Oggi la clientela si è fatta più esigente ; la fantasia, impigrita, domanda per mettersi in moto sollecitazioni più preciso ed e=-mpi più suggestivi. Il pittore è quindi inventato un realista scrupoloso, un copiatore diligente. Se dipinge una macchia di pini vi tracciorà l'uno accanto all'altro, come un botanico, gli aghi verdi di ciascun ramo ; se ritraG una foresta avrà cura di non dimenticare sui tronchi' di ogni albero le costellazioni capricciose dei lioheni; so raffigura uno stonno di uccelli baderà a distinguerne le penne una pet una. La caratteristica più scandalosa della pittura occidentale contemporanea è, in sostanza, la scomparsa dello spirite d'osservazione. I quadri delle nostre esposizioni si rassomigliano tutti come fratelli perchè tutti rimangono alla superficie di quel che ritraggono, perchè nessuno di essi « assomiglia », in realtà, al soggetto che1 raffigura. I giapponesi, come già i fiamminghi, seguitano invece a conformarsi al vecchio precetto artistico di Gustavo Flaubert, valevole per tutte le ; arti, secondo il quale la cosa descritta, merce l'uno o l'altro processo di espressione, deve poter riconoscersi fra mille. Se- nonché, più moderni def fiamminghi, passati attraverso il crivello della sensibilità di un Cò^anno, di un Collin, di un Renoir, il loro realismo non esclude raffinatezze c furberie, stratagemmi coloristici da impressionisti consumati. Mentre rispettano devotamente, ipocritamente, l'anatomia di una pianta o di un uccello, con una meticolosità da tavola illustrativa da testo scientifico,. non trascurano già per ciò lo alterazioni • apparenti che il volume d'aria o la diversa intensità della luco fan loro subire. Kashu Jguchi possiede in sommo grado queteia diplomazia del pennello, questa virtù di temperare l'analisi colla sintesi. I suoi Pesci rossi, la cui porpora si liquelfa, nel guizzo attra^rso l'acqui:,, corno un piccolo alono sanguigno, lo sue frotte di Sardelle dal labbro palpitante, delle quali non si distingue nitidamente se non il rombo della testa fendente lo spessore liquido, sono modelli di efficacia e di perspicuità di visionr. Direi che questi pittori, più pazienti dei loro antenati, dipingano i propri quadri due volte. La prima non badando .se non alla sostanza assoluta delle cose, la seconda subordinando quella alla loro situazione relativa; una volta applicandosi a registrare) ogni particolare senza discuterlo, un'altra cancellando tutti i particolari in omaggio alla integrità dell'insieme. Guardate la Torre di Yasaka sotto la neve, di Koyo Hatta, scolaro di Takeuchi. L'artista ha, senza dubbio, cominciato col dipingere minuziosamente la strada, le caso, i muri dei giardini in fondo alla cui doppia filiera la torre innalza i suoi varii piani di legno dai cornicioni rialzati agli angoli come punte di babbuccie. Ma, a lavoro terminato, ecco che il cielo si oscura, il nevischio e la nebbia cominciano a calare veli sempre più spessi, i contorni delle cose ad ammorzarsi, poi a disperdersi nel riverbero incerto. Dov'è la terre? La terre si vede appena, là in fondo, dietro il mulinare' deilc pagliuzze argentee, massa fantastica mente alta, trasfigurata dalla caligine. Ma quel vedere e non vedere vi mette addosso i brividi, quasi realmente feste ancho voi lì in mezzo a.lla strada ad ammirare la scena, col paracqua aperte o i piedi nelle pozzanghere). Un altro quadro di molta potenza suggestiva è Oliara d'inverno, di Rvuko Tsutaya. Due paraventi di sei facce: un panorama un po' eclettico, abbracciami terra e mare, cielo e montagna, cerne quasi sempre i paesaggi giapponesi. Di lontano non si vede nulla: un biancheggiare vago, appena. Avvicinatevi : ecco che a poco a poco, di meSzo al bianco, la campagna, un giardino, una casa emergono, roridi di umidità mattinale, aerei, diafani. Guardate fiso ancora un po': la caligine vi sembrerà assottigliarsi, diradarsi, fluttuare. Ecco il profilo del tetto, ecco le chiazze di muschio e di ruggine attorno alla conduttura della fontana, ecco i funghi appiè degli alberi, ecco i gradini della scala, ecco le grondaie. C'è una finestra aperta : dallo spiraglio brilla, a un tratte, nell'intimo cuore della casa, la macchia d'oro di una statua di Budda... Spiegati in una camera, questi paraventi infrangono davvero la clausura delle pareti, portano dentro, per la gioia delle musmè, il largo respiro della campagna. Sorge, qua e là, il profilo di- una figura umana: nelle scene animate delle Quattro Stagioni^ di Tosa Mitsunori, che fa pensare al Breughel, nelle leggiadrissime itaccoglitrici di fiori di Nakamura, 'nelle Portatrici di fastelli di Tomida, nel Pescatore di trote di Kawai, nella Leggenda di Kiyo-Himé di Kurihara, negli episodi tolti dal romanzo Genji Monogatari di Takatori, nella Processione al tempio di Matsùnoo. Ma la nota veramente dominante di questa pittura è il paesaggio : la gioia dei campi, dei fiori, dei fiumi, dei plenilunio La sensibilità estetica dei sudditi del Mikado si è concentrata quasi esclusivamente nel senso della natura, rifugge da- tutto quanto è cerebralismo, dottrina, simbolo per espandersi in una francescana e briosa comunione con „le bellezze elementari del Creato. E' idillica, lirica, accorata e passionale. Si stenterebbe a credere che la medesima generazione che ha dipinto all'acquerello tanti ciliegi in fiore e tanti mazzi di mimosa e di begonie abbia potuto dipingere col sangue lo terribili apoteosi di Tsuscima e di Mukden. A interrogare le immagini che' sembrano esserle più familiari, la si direbbe occupata di merende sull'erba e di partite di remo assai più cho della politica del Pacifico. Ma è forse questo un segno dell'essere l'arte in Giappone ancora una decorazione della vita anziché un'espressione della vita. Più il suo realismo si svilupperà, più fragili si faranno i legami che ancora l'avvincono alla tradizione accademica, e più il suo candido lirismo andrà cedendo il passo alla preoccupazione del drammatico, e più la figura umana sottentrerà s"' suo orizzonte agli alberi, ai fiori e agli uccelli. Pel momento, l'arte nipponica non ci leva ancora la voglia di un viaggio itel paeso di Butterfly. Il qualo paese, interno a cui il pittore Fujita sta per arrecarci la nuova testimonianza di un bel volume di Leggende che stampa in bolla veste editoriale ì'Abeille d'or, ci appare, in questa esposizione di realisti allevati alla mammella della pittura europea del tardo Ottocento, non meno fantastico di come ce lo figuravamo, e forse più strano: umido, caliginoso, stillante di pioggia e di rugiada, vero paese acquatico, paese di anitre selvatiche, di pesche miracolose, dove tutti i colori tendono al chiaro, al diffuso, dove le stagioni si avvicendano tra il bianco di zinco e l'inchiostro eli china, spruzzandosi ad ora od ora d'argento o d'oro,e dove l'uomo e la dqnna non esistono so non per rincorrersi sotto i mandorli e i peschi fioriti o per faro all'amore in barca su canali d'indaco incandescente come nella leggenda di Ukifune di Gakuro Nakamura. NOMENCLATOR. Let i tà i

Persone citate: Breughel, Fujita, Gustavo Flaubert, Hatta, Kitano, Kurihara, Nakamura, Renoir

Luoghi citati: Giappone, Mukden, Parigi