Modena ai tempi del commediografo di Paolo Ferrari

Modena ai tempi del commediografo Nel centenario di Paolo Ferrari Modena ai tempi del commediografo ai tempi dr a e , i a è l Modena commemora oggi il Centenario dalla nascita di uno dei più illustri dei suoi ngll: Paolo Ferrari. E lo commemora nel modo migliore, con una rappresentazione di tre fra le sue opere, che la critica non considera fra le maggiori ma che fra le sue opere sono le più vive: La bulcga dal Caplcr, La sgnóra Zvana e al sgnór Zemlan e La medicina d'ònna ragaza amalcda e con la pubblicazione delle tre commedie, oggi divenute rarissime, in una bella edizione della Libreria G. T. Vincenzi e Nipoti, edizione curata da Tommaso Sorbclli e arricchita con introduzioni filologiche e storiche di Giulio Bertoni e Clemente Coen. Le tre commedie (di una delle quali, La medicina di una ragazza malata, si ha anche una edizione in dialetto massese e che ft auella che oggi ancora viene frequentemente rappresentata da molte filodrammatiche e ogni tanto ripresa da qualche compagnia) sono state scritte dal Ferrari nel primo decennio della sua attività, ma, come giustamente osserva il Sorbclli nella sua geniale prefazione attraverso al tre lavori l'arte dei Ferrari si purifica e si eleva e si ha la misura esatta del progresso da lui raggiunto. Dalle scene farsesche della Bulcga dal caplèr, nelle quali il dialogo brioso e le tinte un po' esagerate coprono le manchevolezze e talora la pochezza della tela, il congegno della sceneggiatura, alla Sgnora Zvana, tutta di pretto sapore e ambiente geminiano, si arriva alla Medicina, un gioiello di finezza psicologica dove non una parola, ncn una battuta è fuori posto, dove non vi è nulla del solito convenzionalismo teatrale, dove gli attori si muovono e parlano con naturalezza. Dallo spirito talvolta grossolano, dalle scene di sicuro effetto e dai personaggi un po' caricati della. Butega. si passa alle scene (Iella Zvana, convenzionali, manierate ancora, ma notevoli per la riproduzione dell'ambiente, per le osservazioni acute o si assurge a quella universalità di concezione, di caratteri che costituisce il pregio della Medicina che è una vera opera d'arte. Le tre commedie appartengono come abbiamo notato al primo decennio di attività, teatrale del Ferrari, ma il commediografo, l'artista già si rivelano per intero. Aspetti provinciali La bulèga dal caplèr e La sgnóra 'Ivana, sono stato scritte dal Ferrari nel 1852, La medicina nel 1859. La Modena di quei tempi è presentata nel libro citato — Il teatio dialettale modenese — in un quadretto vivo di interesse da Clemente Coen. « La vita di quel tempo, scrive il Coen, trascorreva in un ambiente più tranquillo e più sereno del nostro. Le comunicazioni erano difficili. Per andare nei paesi della provincia si doveva ricorrere ai servizi di diligenza di Orcesi ?d alle vetture di Balugani. A Venezia 0 a Ferrara ci si andava in barca pel Naviglio. E soltanto da poco tempo era stata inaugurata « la streda ed fèr », che suscitava le ire della superstiziosa » Margnrótta », e che faceva dire ad un altro personaggio : « allèssa con al vapor tòtt métten so buttega». Ma le botteghe erano ancora modeste. Nello tabaccherie si vendevano anche i liquori, e Più specialmente la « bròsca ». Soltanto, a richiamo dell'attenzione dei cittadini, si usavano vistose insegne, come quella di Sereni in via Ferini con un guanto che poteva calzare la « mano dell'Opera Pia », quella del dentista Vignali In via Carteria con un enorme dente completo delle sue radici rosseggiante, quella del professor Bertani, specialista di cipti erniari, al quale il Ferrari, molto maliziosamente, fa ricorrere anche il suo conte Gravoli. Nelle famiglie si conduceva vita parca ed economica. Si filava la canapa in casa; si uccideva il maiale pel consumo annuale della famiglia; e nei giorni di festa si andava a passeggio sulle mura 0 sotto 1 portici, sfoggiando l'abito più bello dei due che costituivano generalmente tutto il corredo delle persone ammodo. La .foggia del vestito era in quel tempo molto severa. Le donne portavano ampie gonne, spesso ornate di falbalà, che arrivavano fino a terra, ed un giubbetto attillato che dava grazia «d armonia al loro vitino di vespa. Però la • sgnóra Zvana ■ si lamenta delle ragazze d'allora, che uscivano a passeggio un po' troppo scollate e scoperte sulla nuca. Le donne del popolo portavano lo scialle, questo nostro caratteristico e simpatico ornamento, che la smania dell'eleganza ha ormai fatto scomparire dall'uso della nostra città. 1 figli erano allevati con sommissione 0 rispetto. Si mandavano a scuola, e, quando era necessario, si correggevano con gli schiaffi, con la frusta e con la « canèla». I divertimenti non erano frequenti e di poca spesa: la cena succulenta di Natale, il ve stito nuovo a primavera, e qualche volta a teatro, specialmente agli spettacoli musicali. Per gli uomini però c'erano anche i « colombi », questa millenaria passione della nostra città, che ha resistito e che resiste tuttora con immutato entusiasmo, e che mantiene sempre viva una caratteristica tradizione del popolo nostro. Le avventure di creole III « I vecchi, In ogni tempo, hanno trovato occasione di rimpiangere gli avvenimenti del passato, mettendoli a confronto con le miserie della vita presente. Paolo Ferrar!, con arguzia nuova, in una delle sue commedie dialettali ha trovato il modo di deridere questo malvezzo, con una finezza di spirito che non ha pari, e con la salacità che è caratteristica dei modenesi. La « sgnora Zvana » si lamenta dei tempi che corrono, e, per trovar ragione di lagno, arriva perfino a dir male del freddo... « d'adèssa ». rimpiangendo « i bée frèdd d'Ercol térz ». E qui l'arguzia del commediografo si spinge anche più innanzi, riavvicinando i ricordi del passato, fino ad esaltare il freddo del 1786. durante il quale caddero tre «candelotti » di ghiaccio dal palazzo della signora Chiara. • Oh.' quanta malizia in questa "lcinanza di nomil Ercole III e Chiara .Marini La celebre cantante, che si era presentata a Modena per la prima volta al teatro Rangonl nMriRdoppSLnacnsdleilnTtatrvdsMnvsdptoi eqmsTmstdbpssLiFdclamspdrdcsmddcdptrelclflmrzcvpcsicnlndclcgcdsrnFdtcrapgdLidcegmfqczlccsst nel dicembre del 1751 cantando nel « Calo Marzio » di Niccolò JomeJli, dopo altre due riapnarizioni, nel 176G allo stesso teatro Rangoni e nel 1T69 al teatro di Corte, era divenuta l'amante di Ercole III. Il duca volle offrire alla donna amata un palazzo, dove poterò liberamente recarsi a visitarla. E poichfi in Canal Gronde, all'angolo di via San Cristoforo, esisteva il monastero di San Lorenzo, egli foce trasferire quelle monache nel convento di S. Ominiano unendole alle altre colà ricoverate, e trasformò il fabbricato a nobile abitazione della sua mantenuta. Quello fu il palazzo che si disse « della" signora Chiara». • Ercole III però volle che il trasferimento delle monache avvenisse in fórma molto solenne nelle carrozzo della nobiltà modenese il 10 settembre 1777. La narrazione dell'avvenimento ci e fatta da don Giovanni Genesio Tosi nella sua « Frammentaria Cronachetta. u Balia sortita all'entrata dei Conventi la truppa Bucale era tutta in parata : suonavano le bande militari e le campane tutte della città. Nella prima carrozza v'era il Vescovo di «Modena mons. Ignazio-GiuseppeMaria l'ogliani, e, nell'ultima il Vicario Generale mons. Ignazio Ponzianl. Quattro cavalieri, dei più probi della città, furono destinati d'aiuto all'ascendere e al discendere delle monache dalle carrozze. La truppa impediva a chicchessia di trovarsi per strada, toltone alle sole imboccature delle contrade: i balconi e le finestre erano ornate di tappeti e d'arazzi ». ■« Ercole III però, se aveva sulla coscienza qualche atto peccaminoso, vi pose onorevolmente riparo <■ pel bene dell'anima sua • sposando, dopo la morte della duchessa Maria Teresa Cibo, • la signora Chiara-», che gli fu moglie fedelissima fino al giorno della sua scomparsa dal mondo »i Singolarità del dialetto Sul dialetto di Paolo Ferrari interessantissima è la nota del prof. Giulio Bertoni, della nostra Università che arricchisce il libro. Notato che i dialetti si trasformano con più.ra;.idità che le lingue letterarie, ed illustratene le ragioni, il Bertoni passa a discorrere del dialetto modenese ai tempi di L. A... Muratori e delle deviazioni che ebbe in seguito. E prosegue: «Il dialetto di Paolo Ferrari, quale balza fuori dalle sue commedie in vernacolo, non è più quello dovizioso c gagliardamente espressivo, che sonava suile labbra dei modenesi ai tempi del Muratori, ma.non è neppure cosi imbastardito, cosi striato di filoni linguistici letterari, come appare oggi giorno a chi lo indaghi con intendimenti scientifici. Og;n\ a Modena, se paragoniamo il bagaglio lessicologico della odierna parlata con quel tesoro di vocaboli che il nostro dialetto ebbe e perdette in pochi secoli, si- può dire elle non si parli più 11 modenese, ma si discorra l'italiano in modenese. Chi si tuffasse nell'onda fresca del dialetto modenese del Ferrari, che pur è vicino a noi, con la voglia di scendere in fondo a rintracciare qualche perla o qualche pagliuzza d'oro, 0 almeno qualche pietruzza preziosa, verrebbe ogni volta a galla n un buon bottino. « Il vernacolo del Ferrari, conclude poi il Bertoni, dopo una dotta esemplificazione, in queste commediole dialettali, che sono altrettanti gioielli, è vivacissimo e rif.c-cchia, in modo fedelissimo, la parlata del tempo, con certa usanza diffusa di costellare di voci e frasi italiane la lingua plebea e con la consuetudine, cosi comune nel modenese, del discorrere « foderato », ripetendo cioè alla, fine di una locuzione le parole con le quali ia medesima locuzione si apre. Si sente che questi capolavori del teatro dialettale italiano sono stati pensati in dialetto. I personaggi sono stati creati col loro linguaggio, che non può essere che quello. Tradurre questo linguaggio in Italiano letterario (e il Ferrari stesso ci si provò) significa distruggere il personaggio stesso, togliergli la sua intimità la sua ragione di vivere sia sulla ribalta sia nel ricordo di chi legge e gusta queste scene deliziose, che nella loro freschezza e vivacità — sgorgante in un momento d'estro felice— vanno fra i parli migliori dell'insigne commediografo, di cui Modena va orgogliosa ». E su questo giudizio del Bertoni che dalle commedie dialettali si estende a tutta l'opera del Ferrari, non si può non concordare. Una raccolta di critiche In occasione del Centenario di Ferrari, auspice la Società degli autori, sono pure state raccolte in volume. (Editore Aliprandi. Milano), le critiche di Yorick (Pietro Cocculato Ferrigni) sul teatro del commediografo modenese. Per questa raccolta di saggi ha dettalo la prefazione Sabatino Lopez. « Se per le opere d'arte in generale è specialmente importante il giudizio della posterità, scrive il Lopez, per i lavori destinati alla scena quasi come per l'Eloquenza, importa piuttosto il conoscere quale fu l'accoglienza che ebbero da parie del pubblico e della critica subito che furono presentati. La posterità fa poi opera di revisione, ma intanto è elemento essenziale di un giudizio definitivo quel primo consenso 0 dissenso che incontrarono nelle condizioni di tempo e di luogo alle quali furono destinate. I gusti e le tendenze del pubblico al teatro mutano facilmente ; e cosi mutano e si trasformano le opere di teatro, parallelamente a quei gusti ed a quelle tendenze ; ma se un critico 0 un cronista constata la rispondenza fedele dei costumi di un dato tempo con la commedia di quel tempo stesso, è bene che la sua testimonianza resti viva nel ricordo del posteri, come un elemento necessario al loro giudizio. Queste considerazioni spiegano e giustificano la pubblicazione integrale di quelle cronache, anche se qualche particolare possa sembrare, più tardi, sovrabbondante o scolorilo. Yorick fu un ammiratore di Paolo ■ Ferrari, lo sostenne e lo confortò della sua lode, lo difese qualche volta da critiche che gli parvero ingiuste 0 troppo acerbe, ma ncn gli risparmiò appunti e riserve quando gli sembrò il caso, e non fu un apologista fanatico. Quale miglior testimoen di lui ?

Luoghi citati: Ferrara, Milano, Modena, Venezia