La danza delle montagne

La danza delle montagne IN GIAPPONE DOPO LA CATASTROFE La danza delle montagne (Dal nostro inviato in Estremo Oriente) I «iLTfìt ,cl ha, rccapllat0 50110,110 lerl I geQuesta corrlspomìcna nella quale 11 no- , stro inviato special* descrivo U viaggio | ledi•ferroviario che da Koho lo ha condotto a Tokio; ma essa doveva precedere quella gts/ pubblicata, cho dell'arrivo a Tokio e-,delle prime Impressioni sulle rovine della capitale ampiamente discorreva. TOKIO, ottobre. Da Kóbe la linea ferroviaria del TokaiHo, la principale eh conduce a Tokio, funziona. Funziona con due interruzioni nella zona colpita, che si percorrono a piedi. Si tratta di gallerie e di ponti crollali. L'amministrazióne delle ferrovie si ripromette di ripristinare rapidamente la linea e fissa anzi la data nella quale il traffico riprenderà normalmente; ma invece del ripristino a data fissa e venuta un'altra 'scossa di terremoto che ha reso il Tokaido intransitabile del tutto, lo, peraltro, 'tono passato prima. Nel treno che va a Tokio non c'ù, si può dire, distinzioni di classe; il convoglio a Kobe rigurgitava-, ad Osaka, dopo tre quarti d'ora, s'era come le acciughe nei barile. A Kioto, dopo un'ora e mezza, non si respirava più nelle carrozze e c'era della gente che viaggiava appesa sui predellini. 1 profughi ritornano. Ritornano a Tokio c a Yokohama. Chi era fuggito rifa la strada inversa a poco più. di' un mese dalla catastrofe. Viaggio penoso. Sorto il solo occidenlal': sul treno, tra una -folla che comprende ogni classe di giapponesi: dagli operai con le loro casacche bleu e il segno circolare, bianco della corporazione appiccicata sulla schiena, a professionisti e studenti. Sono partito da Kobe con il viatico delle conoscenze americane fatte, all'albergo, le quali mi hanno suggerito che oggi al Giappone gli 'occidentali in genere riescono odiosi più del solito, e che si è notato persino, il fenomeno dei giapponesi diventati gelosi delle loro donne... Mi pare, infatti, che nel lungo vagone a sedili laterali, fatto-, come un carrozzone di tram, la gente mi guardi In cagnesco. Nella carrozza riffurgitante io sono seduto sulla mia valigia v/il vano tra i due sedili; ma seduto soltanto per metà, che l'altra metà è occupata' da' una donna ornala della sua capellatura'- corvina, monumentale. Per consolarmi penso che domattina vedrò il sacro. Fuji,'il Fusinama come lo chiamiamo noi, il monte che è l'espressione più solenne ed abusata del Giappone, il vulcano spento, alto 4000 metri e più, che ha danzato anch'esso con le montagne minori della zona tcovolta, l'inimmaginabile danza delle montagne* Formicaio In moto La genìe 'che mi circonda mi odierà, forse,.ma ciò non impedisce ch'io la trovi assai interessante. Vorrei prendere delle note, ma gli americani conosciuti a Kobe mi hanno raccomandalo, di non prendere mai note in pubblico. Sarei scambiato per Una spia e fatto a pezzi... Peccato! Dimenlicherò così, certamente, molti degli infiniti gustosi particolari che colgo da questo forzatamente inlimo ed incomodo contatto col popolo giapponese. Non c'è che dire, è un popolo pulito. Un simile aggloméramenta in treno, in un altro paese, riuscirebbe insopportabile; viceversa, qui, benché si sia quasi gli uni sugli altri, non si è presi da quel disgusto inevMabile altrove in circostanze simili. Osservo che il giapponese è proprio fatto per occupare nel consorzio dei suoi simili lo spazio minimo e per dare agli altri la minor noia possibile. Per persuadersene basta guardare come fa questa gente a dormire. La mia vicina, ad un certo momento, si è raggomitolata sul suo spazio di valigia, tome uno scoiattolo, od una scimmietta, ha appoggiato la testa contro una spalliera di sedile e si è addormentala saporitamente. Gli altri uomini e donne, nella notte che avanza, fanno su per giù lo slesso: non riesco a capire, come facciano a ripiegare piedi e gambe sotto se stessi e a rimanere in quelle posizioni per delle ore, immobili. Due russano in piedi, appoggiali schiena contro schiena. Sapevo che la catastrofe ha prodotto al Giappone un fenomeno simile a quello di un formicaio, distrutto. Le formiche, cioè i giapponesi, sembrano presi da una specie di follia di. movimento. Ma non immaginavo di assistere ad una congestione simile sulle linee di comunicazione. Però, anche in condizioni normali, il popolo giapponese sulla sua terra traballante si muove in guisa straordinaria. Nella regione, poi, compresa fra Kobe e Nagoya (5 ore di treno direttissimo), che è fra le più popolose, chi non è stato ul Giappone non riesce ad immaginare la quantità di gente in continuo spostamento di giorno e di notte. Lè stazioni, tutte in legno e di aspetto infinitamente modesto, sono assediale da folla che fanno spavento. Nessun disordine, per altro, nessuna confusione. Il treno in arrivo si ferina, si vedono impiegali arringare col megafono le moltitudini assiepale dietro fragili cancellale di legno e d'improvviso la fiumana sgorga dai suoi tenui ripari, riempiendo l'aria di un frastuono assordante di migliaia di zoccoli che battono sul selciato, e, dopo cinque minuti, gli zoccoli e chi li porta. Stanno nel convoglio, incastrati non si "\ sa come nella pasta umana che già lo stipava. La folla, non so perchè, mi ricorda moltissimo le folle tedesche. Sarà forse il numero inverosimile di gente che porta occhiali e il comico modo di vestire all'europea che mi riconduce alla mente le caricature del LusUge Blàller. Kimoni scuri molli, è vero, ma innumerevoli redingotes su calzoni infilati nelle mollettiere e berretti piatti da viaggio sulle teste. Il settanta per cento delle donne ha un bambino lattante sulla schiena, ravvolto in coperte imbottite dai colori vivaci. E nel vagone l'esibizionismo di seni materni die allattano, i pìccoli è qualche cosa di prodigioso. Gente cortese 'A proposilo di odio dei giapponesi per lescluchnvamluliurigisosifipstlealelatesaotimdsmfacapdbavpsrdvinsilodcnFFbTseEttmiqYLbonnfsntdscadulaggApsLSsndpstuannm■■gli stranieri, dopo quattro o cinque ore di faggio da Kobe, mi accorgo'Jche tutta la gente che mi è intorno cerca di farmi del, „,-„„„;„ „„,/„„• j « V rf le Plccole, cortesie delicate. Un povero diavolo di coolio, eoi il suo piccone fra a a a e l i è e , o i a e e i e i n l i a i n. n e reimi el eni ti nle o i e er suo piccone le gambe (andrà a lavorare forse lungo le sconvolte ferrovie), per permettermi di allungare le gambe si è seduto sulle ginocchia del vicino, che nonprotesta. La donna, che è accocolaia su metà della mia valìgia si sveglia, cava da un cestino una mela, la sbuccia e me la offre. Un occhialuto signore, che mi fissa da che sono parlilo, si decìde finalmente a confidarmi, in uno stentato inglese, che conosce l'America. Gli rispondo che sono italiano (i giapponesi dicono itarin.no perchè non possono pronunciare l'elle) e questa notizia si sparge nel vagone e sotto la luce artificiale i visi sorridono, E' vero che i giapponesi sorridono in tutte le occasioni tristi e sopralutto quando vogliono dirvi delle cose sgradevoli, ma io prendo ì sorrisi alla maniera occidentale e mi alzo per levar di tasca una sigaretta. Neil'aprir la scatola di metallo mi faccio inavvertentemente un taglietto a un dito, un po' di sangue stilla... Ah! ma se i giapponesi odiano gli occidentali come in quella futile occasione hanno dimostrato di odiar me, non so più che cosa dire! All'apparir di quel po' di rosso la donna estrae dal suo kimono un fazzoletUno di seta e dieci, mani intorno mi tendono taffetà, altri fazzoletti ancora, dei sottili foglietti di carta con i quali in Giappone la gente del popolo sostituisce il moccichino. Uno addirittura vuole lavarmi il dito con il tè bollente preso nella teicrina di terracotta, all'ultima stazione; un altro ha aperto la valigia per tirarne fuori una farmacielta portatile... Queste attenzioni verso uno straniero, sul limile del paese dove morirono le persone un mese fa a centinaia di migliaia (a proposito del numero delle vittime, che le cifre ufficiali ìianno fissato intorno alle 250 mila, è assodato ch'esse sono superiori almeno del doppio; ma che il Governo, per ragioni varie, non ritiene opportuno precisarle), denotano un senso dell'ospitalità ben superiore. Trasbordo sull'abisso l segni della catastrofe, i primi per chi venga a Tokio da Kobe, appaiono con l'alba, appena varcalo il fiume Fuji, in vista dell'eccelso vulcano. Ma del Fuji, che la ferrovia contorna quasi alla base,, non si vedono che le falde basse. Tutta la parte superiore del colosso è nascosta dalle nubi di un freddo cielo grigio e piovoso. Provo una grande delusione. Essere arrivati ad avere il Fusinama sotto il naso e non vederlo a causa del cattivò tempo! A Numazii si cessa di costeggiare il mare, cioè l'Oceano Pacifico, e si enìra in una zona montana che è precisamente quella attorno al grande vulcano. E a Yamachita, poco dopo, primo trasbordo. La linea è interrotta per 6 lem. Il trasbordo bisogna farlo sotto gallerie mezze franate o franate del tutto. A imboccare -quei turinels, sotto i quali si passa curvi per un cunicolo, in fila indiana e a ogni istante ci si ferma, in un altro paese ci si farebbe il segno della croce. Siccome i giapponesi non sanno dicioce, s'infilano al buio quetamente, curvi sotto i loro fagotti, e le donne sojfo ti pesò dei loro bimbi portati sulla schiena. Ne ho proprio uno dinanzi, che alla luc-e mi fissava con i suoi occhietti ambigui di figlio della terra fatale. Usciti dal cunicolo si marcia per mezz'ora su di una impalcatura di bambù leggerissima, larga un metro appena, che corre su d'un abisso. Sotto a 200 metri il torrente mugghia incassalo, fra le roccie. Un soldato di guardia all'uscita del cunicolo ci ferma. Aspetta che l'impalcatura sia ben bene stipata di gente, che pieghi, che scricchioli sotto il peso e poi ci lascia andare aitanti. La gente non protesta, non dice niente. Se il ponte si spezza significa che doveva spezzarsi e noi precipitare a sfracellarci nel torrente. L'impalcatura, sul fianco della montagna, continua per un pezzo; poi, dove è stato possibile intagliare un sentiero, cessa e si scende per quel sentiero sino al torrente che si supera su di un ponticello sospeso. Il treno, che ci aspetta, è lontano; la gente che trasborda numerosissima-, tre o quattro mila persone. Si procede lentamente con soste eterne. Come un mare in tempesta li giapponese che ciangotta la lingua americana e che mi è sempre rimasto vicino, conosce i luoghi e mi indica i cangiamenti provocali dalla convulsione... Non c'è che dire, è siala proprio la danza inimmaginabile, delle montagne. Non parliamo di fenditure, di alti muri di sostegno della ferrovia crollata, di ponti preci})itati nel torrente come enormi cassoni dai loro altissimi pilastri di sostegno, di frane, di macigni enormi rotolati dall'alto nel (ondo della valle « che mostrano la faccia nuova' che la montagna nascondeva entro di fi:. E non cerchiamo neppure di tradurre l'impressione che fanno, le rotule, ■intere campate di rotaie di 200, 300 metri di lunghezza, rimaste sospese, in aria a due, tre metri dal terreno a indicare l'onda di sollevamento del suolo. (Il capitano del grande piroscafo americano Empress of Austrialia, che nel momento della catastrofe si trovava sul ponte della sua nave in partenza da Yokohama, disse che la terra si muoveva come un mare in .tempesta). Coleste sono cose minori, trascurabili, come trascurabile è là rovina dei manufatti umani. Il vero terrificante spettacolo è offerto dai segni della danza d'in* terc catene di monti dai cocuzzoli decapitati, dai freschi baratri nuovi aperti, in fondo dei quali corrono torrenti nuovi, da pareti di monte venute alla luce da un mese... Tutto questo v'infonde un senso strano, impreveduto, come se la terra fosse di fresco scaturita dalle onde dell'immenso Pacifico, che è appena a pochi chilometri da questa strada. Voi, con i vostri simili giapponesi, vi potete suppone benissimodi \ degli esseri buttali per caso in cotesto la I caos appena stabilizzato. Gli uomini chevrddmncttrnpcvvsfpsrmdsvd vi precedettero sono scomparsi; essi, con i risultali della loro inutile fatica, ing.oiatì dal rivolgimento; e voi siete qui a domandarvi come sia possibile che ad un certo momento si pari dinanzi a voi un treno nel quale salite mcccanicamcìitc per procedei^ attraverso un verdine paesaggio tellurico, che più che sgomentarvi vi esalta. Comprendete allora che quello che vi racconta il giapponese è la verità-. — Ho percorso, signore, questa strada nel giorno del terremoto; sono passato a piedi sotto la base del Fuji. Danzava anche il portentoso simbolo del Giappone, ve lo assicuro. L'eccelso cono si avvicinava alle stelle, ritornava in basso, ma restava rigido, perfetto, sublime nella sua forma pura di montagna unica e divina... Che cosa volete che importi ad un giapponese delia sua vita mortale, quando la sua mente è stata attraversata dal pensiero del crollo del Fusinama? Nessuna cosa mi ha dato, o mi potrà dar. mai, il senso del Giappone come questo viaggio tra le sue montagne, che hanno gettato ai loro piedi boschi che ombreggiavano le cime. Ho compreso la ragione di quella « provvisorietà » insita in tutte le manifestazioni della vita giapponese ed ho compreso pure la forza dell'istinto di conservazione che spinge questo popolo ad invadere le terre degli altri per la condanna che sovrasta sulla sua terra. Scuole all'aperto Usciti dalie montagne si costeggia lungamente il Pacifico. La desolazione è dovunque lungo la strada ; ma non ha nulla di tragico. La campagna è troppo seducente, la gente è troppo numerosa, con troppe donne che hanno bambini sulle spalle e kimoni dai colori vivaci. E poi c'è troppo ordine nel disordine della rovina. Ogni stazione rigurgita di venditori ambulanti di cibarie. Si vendono le colazioni mattinali nelle candide scatolette di legno rettangolari-, una scatola pel riso, un'altra per la pietanza, e le bacchette custodite entro la carta, e bevande calde, tè, caffè, latte, venduti in recipienti graziosi, puliti, e frutta offerte entro reticelle di paglia... Venite al Giappone venditori di cestini da viaggio lungo le ferrovie europee per imparare a che punto di raffinatezza può arrivare questo piccolo commercio! I paesi lungo la linea Kamanma, Ninomyar, Osuna, Kanugara, sono tutti distrutti, ma si stanno rifacendo. Ci vuol cosi poco a ricostruire un paese e anche una città nipponici ! Basta un po' di legno e della carta. Vedo le scuole all'aperto', non una scuola o due, ma cinquanta, cento scolaresche sedute sui banchi, sotto gli alberi, arrossati dall'autunno. E il maestro è alla lavagna e la lavagna è piena di geroglifici della scrittura, che impaccia tutta l'esistenza nazionale e assorbe quattro quinti dell'energia giovanile dei giapponesi e li rende miopi a 18 anni. Ma il ■ Giappone non vuol rinunciare ai suoi caratteri e la fatica improba ricomincia sulla macerie. Leggieri tramezzi di legno dividono una scolaresca dall'altra, i ragazzi dalle bimbe ; ma il sistcjna, l'organizzazione, sono pienamente ristabiliti. Yokohama Piove. 'Al gran ponte crollato sui Banjo, secondo trasbordo. Ci avviciniamo a Yokohama. Costeggiamo la baia dove si svolse una delle umane tragedie più terribili che gli uomini ricorderanno. Tragedia complessa dove tutte le cause di distruzione si adunarono in una volta sola ; terremoto, maremoto, incendi, esplosioni, fuoco sul mare. Pensate. li ii settembre la nafta sulle acque di Yokosuka, della vicina base navale bruciava ancora! La visione di Yokohama è spaventevole. E' una distesa informe di rottami, di ceneri, di residui carbonizzati, sulla quale si agita una [olla che rimesta non si sa cosa, Ira il fango. Ma ho veduto ira i resti di una fabbrica, operai inlenti a ricoprire con cura macchine informi, ed ho vedvto ancora arrestar ladri che frugammo nelle macerie. Ed il porto senza banchine era pieno di navi che scaricavano riso e legname ed i treni correvano dal mare verso Tokio e file lunghissime di giunche partivano dal porto verso la foce della Sumida, HI fiume di Tokio. A Yokohama compro un giornale anglo-nipponico, che in prima pagina annuncia per stanotte l'arrivo di un tifone, l'ultimo dell'annata, speriamo. Ove si riparerà, dove dormirà" questa notte la folla di Yokohama ? ARNALDO IPOLLA. sncnDfTmccPpsnrdqlldddAdtfsTnrgOvdulmmdtdcvcnC—drdansLtvlscmlsmtp

Persone citate: Empress, Fuji, Leggieri, Osuna, Sumida