Cronache parigine

Cronache parigine Cronache parigine L'esposizione culinaria al • Salen > • la IMra gastronomica di Dlgtone — La orisi degli alleggi • una scenetta,,, letteraria. (Nostra corrispondenza particolare) PARIGI, novembre. Le. più grandi speranze si erano appuntate da un mese sull'Esposizione culinaria che avrebbe allietato il Salon autunnale. Alle fantasie sovreccitate si (presentava già lo spettacolo di sfilate di sale piene di tavole imbandite cui un semplice biglietto d'ingresso avrebbe dato diritto di assidersi, con tanto di tovagliolo sotto 11 mento e di forchetta tra le mani, come gli anni scorsi dava diritto di assidersi su una panohetta di velluto con tra le mani nient'altro che il proprio cappello e sott'occliio null'altio che qualche chilometro di tela dipinta. La mostra troppo consueta degli anni scorsi sarebbe apparsa tramutata in una gigantesca natura morta, che avrebbe avuto però 11 Taro merito d'essere viva: e, a soffrire sia ,pur poco di allucinazioni, il visitatore avrebbe potuto credersi vittima di una meravigliosa rivincita di tutti 1 quintali di mele e di susine e di tutte le tonnellate di selvaggina da lempo immemorabile finte d-ai pittori con gli artifici di Apelle e rese incommestibili a forza di-obbligarle a posare davanti al loro cavalletto. Ahimè: quale delusione ! Le vivande c'erano, Almeno se dobbiamo prestar fede agli organizzatori della mostra: ma chi le ha viste? chi le lia assaggiate? Hanno aperto, si, da uno dei lat! del grande ballatoio della Rotonda, una cucina: ma il solo effetto che essa produca sul riguardante è quello d'essere una cncina come tutte le altre, ossia maleodorante, piena di gente scamiciata che suda a goccioloni dentro le casseruole messe al fuoco, piena di quarti di manzo sanguinolento e di vitello viscido, e, in una parola, a tutto buona tranne che a dare dell'appetito a chi non ne ha, mentre non di rado riesce a toglierlo a chi ne ha. #** Francamente, trovo quasi più felice l'organizzazione della fiera gastronomica di Pigione, dove, volendo imitare Parigi, si è fatto, come non di rado accade, assai meglio, e dove il la della festa è stato-dato da un decreto del sindaco, ingiungente agli osti e albergatori di non cucinare per tutta la durata del convegno se non determinati piatti, fra i più caratteristici della regione.raccomandando di fornirli à prezzi di costo ed avvertendo-che un sistema di ronde segrete provvederebbe alla sorveglianza della manipolazione dei medesimi e congrue pene colpirebbero i. cuochi colpevoli di mancanze verso Je sovrane leggi del gusto. Cosi, almeno, tutta Diglone poti-, senza scomodarsi e senza aprire una falla troppo grande nella propria borsa, offrirsi durante qualche giorno del buon salmi di lepre alla Piron, del pollo saltato al vino di Volnay, del pasticcio di beccaccini al fegato d'oca, del giambone trifolato della Zia Giovanna, della trota alla Chambrette, e dieci altre pietanze illustri e gustose, eseguite in piccole dosi e con amore di artista, le quali, suppongo, debbono essersi lasciati indietro di gran.lunga i piatti cucinati di fretta, a dosi da ristorante del boulevard, nelle cucine del Salone d'autunno. Ma già, Parigi non è più da un bel pezzo. In Francia, la Mecca dell'arte di vivere. Questa rinascita del gusto del mangiar bene che'si vien notandovi da un pajo d'anni è più una infatuazione di cerebrali orbati di tutta le gioie dell'esistenza che un vero segno di capacità di godimento. SI sacrifica alla scienza gastronomica per una ragione non migliore di quella-che induce.tanti padroni di casa a trasformare ,11 proprio salotto ih bar americano. Prova, ne sia che primi a dar l'esempio sono, in entrambi i casi, i letterati: ossia proprio quella categoria di persone che, sino a prova contraria, si debbono presumere in possesso di una maggior dose di cerebralità. Enrico Béraud tesse panegirici e scioglie Inni alla sogliola e alla faraona: Yves Mirande e Francesco di Tessan cingono di grembiule bianco del barman e ricevono i loro ospiti dall'alto di un banco di zinco, componendo beveraggi sapiènti con studio almeno altrettanto delicato di quello posto nel comporre una pagina di romanzo o una scena di commedia. Mode l'una come l'altra: la seconda, certo, più significativa della prima, con la sua candida sostituzione del salotto da bibita al salotto datonversazione che sino alla fine dell'Ottocento aveva fatto nobile e raffinala la vita di società in Francia. Ma ogni tempo lia la nobiltà e le raffinatezze che può: e, in fondo, è già tanto raro, oggi, possedere un appartamento, che non si riesce a stupire del tutto se i privilegiati che vi riescono non sonno più con esattezza a che cosa un appartamento possa servire e finiscono trtpsgtrddpfstariadmsddtvassnmtoadpcrRglnpvtBatLnettbzevdfqtbvfcCcnnlsiccte col tramutarlo in pubblico esercìzio, obbedendo semplicemente all'abitudine di vivere tra il caffè, la trattoria e l'albergo. »"•'* Vi parlavo l'altro giorno di letterali costretti ad emigrare in campagna per far largo ai propri libri. Erano quelli i fortunati. L'odissea dei senza-tetto che non hanno il privilegio di essere celebri riveste carattere ben altrimenti, tragico. E, per darvene un'idea, vi dirò semplicemente che i pochi appartamenti disponibili vengono disputati dagli ultinvi pescicani a colpi di biglietti da mille. Giorni fa, nei paraggi dell'avemie Klèber si era sparsa la notizia che un appartamentino al quinto piano sarebbe rimasto libero in seguito a sfratto dell'Inquilino. Centinaia di lettere si rovesciarono immediatamente sulla portinaia, promettendola di coprirla d'oro, in caso dì affare concluso. Una signora di Roubaix, moglie, naturalmente, di un industriale tessile, offerse: 10.000 ffs. all'inquilino affinchè se ne ondasse senza protestare, alla data fissatagli dal tribunale; '..or» frs. alla portinaia; 3.000 frs. all'Agenzia: Totale: 16.000 franchi, per un appartamentino che non ne vaio più di 4 o 5 mila! Come vorreste che chi non è pescecane lotti con avvorsari di tal fatta?... E non vi parlo delle somme chieste per il Irapas60 della mobilia, secondo -la nota usanza di cui non avete se non troppi esempi anche in Italia. L'altro giorno, della crisi degli appartamenti non crede abbia avuto a lodarsi molto Andrea Gide. recatosi in visita di affari alla redazione del Merettre de France. La redazione della celebre rivista, attigua all'appartamento del suo direttore e l'una e l'altro cosi strettamente indissolubili, che per salire in casa Valette e accedere al salotto di Rachilde bisogna passare attraverso il magazzino della carta, non dispone di molti locali. Nella stanza vicina all'amministrazione, dove si ricevono i collaboratori, dalla porta aiperta si udiva chiaramente quindi la voce del direttore alternante con quella stentorea e, oserei dire, gargantuesca di Enrico Béraud e con quelle maliziose e assai temute a Parigi di due illustri male lingue: il critico Boissard, cho sotto lo pseudonimo di Léautaud tenne per parecchio tempo la cronaca teatrale alla Nouvelle Uevue Francalsc ed ebbe mesi or sono una vertenza con Mortier, il marito di Aurei, in seguito ad un articolo irriverente sulla bionda scrittrice pubblicato dalle Xouvelles Lillèraires, e il romanziere Dumur, autore del Boucher de Verdun e di altri noti romanzi sulla guerra. — Credete dunque sul serio — diceva la voce stentorea — che uomini ben piantati e di solidi polmoni, in possesso di tribune efficaci quali quelle rappresentate dal grandi quotidiani e forniti di decine, anzi cinquantino di migliaia di acquirenti dei propri libri, permetteranno a quattro collegiali pervertiti di farla da padroni sulle belle lettere francesi? Non vi pare egli vergognoso che cotesta gente faccia, tanto chiasso intorno a Claudel e dedichi un semplice eco di cronaca alla morte di Emilio Bergerat? Parola d'onore, che prima di un anno assisterete all'annichilimento di tutti i Gidardi, Gidesi e Gidellini ! Andrea Gide non perdette una parola dell'invettiva scagliatagli contro, ignorando la sua presenza, dall'autore del Martire de Vobène. Alzando timidamente il capo, egli si informò a chi appartenesse la voce stentorea che prediceva contro di lui quel vespro siciliano letterario. Come gaffe, confessiamo che quella del Béraud era di proporzioni rispettabili. Ma il pingue romanziere, come tutti gli uomini che sogliono .mangiar bene e luere meglio, possiede 11 coraggio delle proprie opinioni; e, saputo che il Gide sì trovava al di là della sottile parete della camera, prese a dire", a voce ancora più alia: — E' qui lui, Gide ? E che cosa viene a fa re? Vi ha forse portato dei cioccolattini?.... — Viene a incassare i suoi diritti d'autore, —- Ah, ah! Non avrà certo bisogno di unacarretta per portarsi via le sue banconote! Ce n'era abbastanza per saltarsi alla gola, soprattutto se si poti mente che tra il Béraud e il Gide infierisce da mesi su per i giornali una polemica delle più violente, quella tele da cui il primo del due attende la liberazio. ne della letteratura nazionale; e i predenti vedevano già con raccapriccio il piccolo e debole Gide ridotto in briciole dai pugni colossali dell'avversarlo. Ma l'offeso si limitò a tossicchiare e a rider verde, senza abbozzare la minima protesta. E il Béraud potè rimettersi a parlar d'altro, quasi nulla fosse stato, Sono inconveirenti che in Altra epoca non si sarebbero verificati. Evidentemente, in t°mpi di crisi (degli alloggi sarebbe ne-essario, per non venir meno alle leggi dell'arte di vivere, un supplemento di educazione. Ma, temo, ohimè, che prima dell'educazione avre mo le case a buon mercato!... Nomenclator.

Luoghi citati: Francia, Italia, Parigi