Giovanni Boine di Giuseppe Prezzolini

Giovanni BoineGiovanniBoine Il nomo di Giovanni Boine cominciò ad essere noto ad ima cerchia un po' larga di lettori tra fl 1913 ed il 1914, in occasiono di mia Bua polemica con Giuseppe Prezzolini. Sosteneva Prezaeliui che, poiché la filosofia era ormai orientata versò una concezione Immanentista del mondo o della vita, altrettanto dovesse fare la civiltà. L'idealismo doveva impregnare di eh la vita e la cultura tutta quanta. Vittorioso sul terreno della pura teoria, doveva vincerò anche Bui terreno della pratica, L'idealismo .fcrio»fa*te doveva diventare idealismo militante. E di questo la rinnovata Voce doveva essere l'organo e il bollettino ufficialo. Al che Baine obbiettava che Prezzolini prendeva una successione puramente ideale per una successione cronologica e storica. Idealmente, non c'ò dubbio, il pensiero procede dalla trascendenza all'immanenza, dalla natura allo spirito, dall'oggetto al soggetto, dalla fede alla ragione, ma questa ò « storia d'ogni istauto in ciascuno di noi pensante », e guai a scambiarla con la storia della società, e degli Stati! Che lo spirito chiarifichi e risolva nella ragiono l'irrazionalità ch'è nel mondo, non vuol mio» dire che la dissolva e cancelli anche nella pratica della vita. Pur dopo la pubblicazione à*s\\'Enciclopedia di Hegel le miniere han continuato a franare e a schiacciare t migliaia di ragionanti cervelli e di ansiosamente viventi cuori » e gli iceherr/s ad affondare nella notte i piroscafi costrutti dall'uomo. La realtà non si lascia spaccare in categorie: qua il nuovo, là il vecchio; qua la trascendenza, là l'immanenza ; essa « è complessità (ed ancho contraddizione)... è trascendenza ed immanenza ad un tempo », è un « enorme aggroviglio » vivente. Sì, la realtà metto capo al pensiero... Ma chi scambi questo che è punto d'arrivo per punto di partenza, e sogni una realtà tutta fatta su filosofica misura, vaneggia... Ohi agisce per incarnare nel mondo il suo pensiero in realtà non lo incarna, lo tradisce, riduce © polverizza. Se il pensiero è unità e sìntesi, l'azione ò molteplicità e analisi. Se il pensiero è di natura divina, l'azione ò di natura demoniaca, è « il perenne, il continuamente doloroso dirompersi dell'unità del mio spirito, il dilacerarsi del corpo e dell'anima mia che via via il mio pensiero risana ». Affermazioni, queste e simili, che, gettate 11 senza dimostrazione, disorganiche e frammentarie, .come imponevano le necessità della polemiea, è probabile riuscissero oscure « poco persuasive, bì che presso il più dei lettori Boine sembrasse avere la peggio nella partita e fosse spacciato come spirito inconsistente e irrequieto, sbilicato tra razionalismo e irrazionalismo, tra idealismo e .misticismo. In realtà, ora che l'essenziale dell'opera sua ci sta innanzi in tre volumi idi scritti, raccolti dalla pietà degli amici, la reazione di Boine all'idealismo militante prezzoliniano ci appare logica conseguenza del atto punto di, vista, atteggiamento necessario del suo spirito tormentato. La caratteristica fondamentale del quale è di avere vissuto con intensità senza pari e con novità.di accento quello che è il drammatico leìt-motif di tutta la' cultura italiana contemporanea, intorno al quale questa gravita e oscilla; il contrasto tra la Vita che è forza spontanea e creatrice, novità perpetuamente rinnovellati, slancio perenne di superamento delle posizioni già raggiunte, affermazione di libertà, e le Forme o Limiti o Costruzioni entro le quali il suo flusso irrequieto si cala e non può non calarsi, e che tendono a comprimerlo e a soffocarlo definitivamente in se. Al di sotto di tutte le formazioni storiche, ili tutti i limiti, forme ed espressioni, oltre tutto ciò che è definito determinato limitato, Boine avverte il mareggiare sordo della Vita nuda, indefinita, illimitata: è come una fonte, un rigurgito perenne, una matrice mai stanca di ogni definito sentimento, di ogni netta espressione, è il misterioso inesauribile fluttuare e boaro della Vita e rigurgitare del nuovo, andare e venire senza posa non si sa dove non si sa donde non si sa come, è la toi-rcnzialita anarchica del caos che urge anela si precipita, sì, verso la forma o l'espressione, verso la limitazione e determinazione, verso la ragione e il concetto, ma, conquistato che l'abbia, lo sente a sè inadeguato, e lo spezza e travolge, lo disfà e rifa, e si spinge più oltre, eternamente instabile e irrequieto Questo che ò caos vivente ed insieme esperienza del caos ò per Boine Dio e insieme sentimento di Dio, di Dio che 6 vita cieca, oscura, profonda, terribilmente avversa e disumana, terribilmente lontana da noi, e nen sta davanti a noi come una meta, ma dietro a noi come un pungolo, e non ci attira, ma nemicamente c'incalza e dinanzi al quale paurosamente fuggiamo. « Iddio è sbigottimento, Iddio è abissale, è inacquetabile sgomento... è sgomento, è spavento, è sbigottimento por questo prodigioso senza posa fluttuare di vita (da dovo?) dal nulla, conte nella cava immensità un mare notturno i. C#n un tratto geniale Boine (che di letteratura mistica era espertissimo) trascrive l'esperienza mistica nei termini della cultura italiana a lui contemporanea, là Vita nuda pura illimitata, che di questa è l'ambizione segreta e il nostalgico sospiro, gli si identifica con l'abisso mistico donde tutte le cose sorgono, nel quale tutte vanno a precipitare. L'esperienza religiosa nella sua purità e l'esperienza mistica c da cui s'esce, come esce, cem'è rivomitato alla spiaggia uu naufrago, fradici, stillanti, trasfigurati di irreale caos », fa amore mostruoso dello larve del caos, amore di ciò che non è, odio dell'ordine e del sistema. Mistioismo e ribellione, religione e rivoluzione veugon su dalla stessa radice. L'esperienza religiosa cosi intesa è alla radice di ogni positiva religione, ma ogni positiva religione-ò già un umano fare, un ordinamento pratico e logico, ò tradizione e autorità, ò concretezza oggettivazione superiudividualità, ò iucaua.lauiento del caos in un sistema di forme. Di fronte ad essa, ogni genuina e pura esperienza religiosa e mistica è eresia. Di fronte all'esperienza religiosa cesi intesa Boine ha un deppio atteggiamento. La terribilità disumana della vita divina lo riempie di tremore : ogni qualvolta si sporgo sull'orlo dell'abisso a sentire in giù boere e fiottare il caos, un brivido di terrore lo ricaccia indietro. Egli fugge da questa t immensa ombra che incombe, che minaccia, sul mondo (in cui si divincola il mondo) e e u a n a i a o e che infiltra, cho imbeve, che fascia tutte quanto lo cose », e anela alla chiara luco, alla geometrica definitezza, alla quadrata disciplina delia vita ordinata e formata, arginata o incanalata, distribuita e regolata secondo concetti leggi tradizioni. Ma questo ordino e disciplina gli appaiono avarizia e soffocazione dell'essere, egli avverto la povertà che 5 al fpndo di essi, si volgo con fremito di desiderio al caos smisurato che ondeggia e mugghia nello notturno profondità della vita. Sogna allora di vivere la vita corno complessità multi varia, come presenza contraddittoria, come aggroviglio enorme e inestricabile di concetto o dunimagine, di pensiero o di azione, di unità e molteplicità, di riso e di pianto, di passione e di volontà, di anarchia e di ordine, una vita che sia infinite vito in una, disordinata e ribeccanto come uu dramma di Shakespeare. Sogna un'arte, sorella di quella di Walt Wishnian, che abbatta le barriere tra prosa o- verso, tra immagine o concetto, tra riflessione e fantasia, tra arto e" filosofia, e renda senza sformarla e geometrizzarla la simultaneità mi Iti vari a della vita interiore. A questo idealo d'arte egli si sforza di conformare la sua: tra la prosa dogli scritti filosofici e quella del romanzo Peccato a i versi liberi di Frantumi non v o differenza alcuna. Dappertutto la stessa robusta nervosa scoppiante (un po' troppo faticata o scavata e rilevata) prosa, percorsa tutta da una vibrazione ritmica, che nei momenti del pathos più alto si accentua sino alla rima, per di là discendere fino a una vaga e lontana "assonanza ; prosa che, secondo le ondulazioni del pensiero, si rompe in parentesi, si corregge in riprese, nella quale immagino e concetto sono fusi in sintesi indissolubile, a rendere il soliloquio di uno spirito cui l'unica cosa che interessi è il dramma interiore che lo travaglia, e che non ha occhi per i colori nò orecchi por le voci del mondo pdr sè prese e considerate; prosa ricca di movimento, che se spesso fa gorgo, torbida incerta faticosa, ha accenti stupendi, sopratutto quando calca sui due poli dell'essere tra i quali oscilla l'anima dell'Autore: la geometrica linearità di contorni del mondo formato e il confuso fiottare e sciacquare del caos illimitato. Arte essenzialmente autobiografica, nella quale se personaggi divorai dall'Autore appaiono, ò solo come pallide larve, occasioni o punti di riferimento delle sue reazioni interiori. La personalità di Boine ò tutta in questo vivente dualismo, in questo oscillare perenne tra caos e ordine, fermandosi in uno dei due poli solo quauto basta per sentirsene respinto e provare la nostalgia dell'altro e opposto. E' sintomatico come su per giù allo stesso periodo della sua breve vita appartengano le due opere più significative di lui: il romanzo II Peccato, celebrante il superamento del caos nella legge e nell'ordine, e le prose liriche o versi liberi di Frantumi, ohe, al contrario, cantano la nostalgia del caos anarchico e torrenziale. **# Solo nell'apparenza il Peccato è un romanzo d'amore. In realtà, in nulla differisce dalle prose più propriamente filosofiche di Boine. I fatti avrebbero potuto essere diversi, e la sostanza del racconto non sarebbe mutata. E' un'autobiografia interiore, nella quale Boine tenta unificare in modo armonico e coerente le forze opposte che gli si divincolano in seno. Tra l'ordine e il caos, tra la legge e la rivoluzione, l'azione gli appare mediatrice. Il peccato consiste nel lasciarsi andare, nel non volere, nel lasciare che il caos irrompa e travolga la legge. Ma agiro ò sempre mutare e rompere la legge, magari credendo osservarla, è, dunque, peccare. Di qui la tragedia della vita: peccare non si dove, e puro di peccare non si può faro a meno, se agiro si deve, e se agire è sempre rompere la legge cioè il passato, creare il presente e il nuovo, farsi portare dal caos. « Opera e tu rompi la legge e il passato che ha deciso, che decado sempre di sè d'esser la legge ». Ogni aziono ò peccato. Ma una volta attuatasi come peccato, ogni azione diventa passato, oioè legge e lega: l'uomo opera per dovere secondo il passato, e cioè secondo il comando e la legge dol suo passato peccato. E, nondimeno, non era in poter suo non agire e non peccare, perchè la vita, lei, l'ha costretto e strappato d'un tratto al suo passato e obbligato a vivere, cioè a mutare e a peccare. Impossibile strapparsi il peccato di dosso, bisogna, anzi, secondo quello vivere e operare, o a cercar di tornar quello di prima, qui sarebbe il peccato imperdonabile, mostruoso. La vita dell'uomo è proprio in questo: nel peccare e, insieme, nel procederò al di là del peccato, assorbendo, fecondando se stesso e la vita del peccato commesso. Il Peccato, più che la storia di un'anima e di una vissuta esperienza, è una liricofilosofica meditazione sul peccato e sull'azione, esemplata nel passaggio di un'anima giovanile da una morale eroica, sì, ma assoluta astratta sdegnosa del compromesso e, dunque, della vita, a una morale che considera la vita come gran selva scomposta di umano passioni, ira, dolore, tumulto, senza astrattezza di legge morale o di composto pensiero a guidarle. Ma la conciliazione era puramente provvisoria. Troppo di- ordine e di disciplina è ancora in questa concezione della vita come caos che rompe, si, la legge, ma solo per pacificarsi di nuovo in legge, come anarchia cho nega, sì, il passato ma solo per consolarsi subito essa stessa in passato e diventar legge e legare, perchè Boine potesse rimanervi quieto. Sulla terra dell'ordine egli non pone piede che per sentire irresistibile l'attrazione del caos. E nei Frantumi, contemporanei al Peccato (o che nei Miei amici di qui toccano il punto più alto) eoli canta l'insopportabilo noia della vita sempre uguale (e Clio tazza rovesciata questo cielo 1 Così chiuso. L'orizzonte ò la spiaggia dol domicilio coatto»), l'ebbrezza dell'anarchia senza confini, della rivolta senza fieni, del presente senza passato, delro"»i senza ieri, della libertà pura e illimitata, della vivente tenebrosa eternità, notturna mare, dove « nell'onde dei silenzi senza sponde ci venta vasto il vento, ci romba lento il rombo, l'abisso sì sprofonda della divinità ». ADRIANO TILGHER cdmCcvc(doqmSIcczpGpctdltvlsgdabnmazrdscfpsctlp