Poesia e Verità

Poesia e Verità Poesia e Verità Prendendo occasione dalle feste celebrate circa un anno fa a B resi avi a in onoro del poeta, che compiva il suo sessantesimo anno, è stata pubblicata la nuova edizione integrale in dodici bei volumi (i Tedeschi la direbbero una Jubilàumautgab e) dello opere Idi Gerhart Hauptmann, in cui la Germania riconosce forse il suo maggior scrittore rivente, e tanto più di lui si compiace in quanto è figlio di quella Slesia (è nato a Salzbrunn net 1862), che. recenti avvenimenti politici cercano strappare a forza alla gran patria tedesca. Appunto in quella circostanza Hauptmann parlando il 12 agosto 1922 alla presenza dello stesso Presidente della Repubblica, mostrava di aver coscienza di questa sua qualità d'interpetre spirituale della propria nazione, allorché rispondendo, alle pubbliche attestazioni d'onore che gli erano fatte, affermava l'appartenenza dell'artista e del poeta al suo popolo j in quanto la loro opera sia parte integrante della vita nazionale e la creazione estetica un prodotto genuino della stirpe, c Quando diciamo che Goethe 6 nostro, lo diciamo in un senso assai più profondo che quando diciamo: quest'oro, questo campo è mio! In quella prima affermazione è implicito che Goethe è una parte di noi stessi e che noi tutti abbiamo su di lui un diritto innato di compartecipazione ». Prendendo coraggiosamente di fronte il materialismo contemporaneo, che misura il genio e la grandezza d'un popolo dalla sua fona militare e dalla sua ricchezza economica, Hauptmann contrappone il pensiero ohe solo nell'idea stia il valore della Germania nuova: es itt der Geist der lebendig macht. E nella persuasione, priva di iattanza ma nobile di fede, di essere lui pure una parte di questo immortale spirito di vita, depone come un omaggio l'intera sua opera di poeta ai piedi della patria insanguinata e dolente nella più tragica ora della sua storia secolare. Con tutto questo ci sarebbe difficile ammettere che la Germania abbia veramente in lui il suo nuovo poeta nazionale. Ciò che inanca ad Hauptmann per assurgere a siffatta missione è precisamente quel carattere di universalità estetico-filosofica, che rende il genio di Goethe così altamente rappresentativo della sua schiatta. Per questo teli, accostamenti tra lui e quel suo grandissimo modello sono più che altro esteriori. Li assimila l'aver entrambi vissuto un momento di grandissima crisi della vita nazionale, e il tentativo di superare la tragedia esteriore colla interna visione olimpica del mondo, serbando fede in mezzo al disastro, anzi accentuando per contrasto lo spirito di serenità quasi idillica di fronte alla tempesta umana. I tempi oscuri sono tempi di rinnovamento; una rinascita è nell'aria. Goethe assunse quest'atteggiamento dopo • ■eoa, Hauptmann lo riproduce nel suo ultimo poemetto (Anna, ein laendisehe» Liebesgedicht, 1921), in quella fase della sua proteiforme attività, che ha una pretesa classica e lo accosta singolarmente per contenuto e forma, sebbene.gli rimanga molto al di sotto per valore,, all'Hermann und Dorothea. Preludia virgilianamente: c Nei campi, in ogni tronco d'&lbero c'è il travaglio d'una immensa germinazione », e invoca alla maniera bucolica le Muse che levino le lor più dolci voci od incomincino un canto d'amore! In ventiquattro breri canti si «volge un idiBio-campestre, sceneggiato con gftsto nella Slesia nativa con febee contrasto tra forti,-elementi realistici e1 veli di nebbia mistica e di fanatismo, che gravano quel lembo-di terra tedesca pei vicini influssi delle molteplici sette slave di -Moravia e di Boemia tuttora asservite a sensi superstiziosi e paurose pratiche da Medio-evo. I protagonisti, Luz ed Anna, potrebbero amarsi, ma l'ambiente mezzo ascetico mezzo sensuale che li circonda osteggia corrompe uccide il loro innocente idillio. Anna, la bella fanciulla della fattoria Schwarzkopp, diventa per quelle anime raggrinzite dal pietismo oggetto d'odio in quanto è simbolo di gioia e di vita, quasi pagana Circe il cui veleno di bellezza insidia e irretisce il cristiano nella voluttà, spingendolo al male e alla morte. Ma nello stosso tempo che presunta maliarda contro cui si devono rinnovare gli esorcismi tradizionali, Anna è vittima reale e facile preda d'un ubbriacone degenerato, Just, che abusa della sua debolezza. E questo tipo di vecchio Ubertino alcool ista chiaccherone e melodrammatico modellato un po' sui tipi soriani e un po' su quelli di Dostolowski, è pur troppo il persistente ricordo di quel naturalismo^, che ha dominato i suoi inizi letterari e del quale l'Hauptmann non ha mai saputo spogliarsi: per esso il patetico si muta in patologico; il puro e disgraziato amore di due adolescenti sdrucciola nel fango, il bel frutto vergine e selvaggio della _ giovinezza di Anna si trasforma di colpo in oggetto di disgusto. Anche sotto.altri aspetti Goethe e Hauptmann stanno vicini: tanto l'uno come l'altro hanno fatto doppio centro della vita spirituale la \ferità e la poesia, il reale 3 l'immaginario. Ttvtti e due hanno messo il loro temperamento settentrionale in istretto rapporto col genio del mezzogiorno, nel contatto diretto del paesaggio e del costume italiano, rischiarando le nordiche brume col sole mediterraneo, aspirando a pieni polmoni le aure vivificatrici delle remote primavere elleniche e latine. Con questa differenza fondamentale che la fusione dei contrari elementi della natura e della coltura riuscì stupendamente al Goethe, ri quale fu un tedesco della Germania occidentale a mezzo colonizzata dai Romani, d'una quadratura di mente per così dire classica, d'una architettura spirituale salda e precisa. Mentre l'Hauptmann nativo delle marche orientali è un tedesco slavo dallo spirito fluttuante, dalla coscienza proclive al Bogno mistico e agli stati d'animo incerti e provvisori. Diversa anche la loro preparazione all'arte; Goethe vi viene dal contatto diretto della vita e della natura, dallo studio delle scienze positive e dalla pratica umana. Hauptmann piuttosto dalla filosofia moderna, dalle teorie dottrinali, dai libri, insomma da un mondo di seconda mano, che non ha in sa le impronte profonde e immediate della gioia e del dolore vissuti. Riconosciamo pur sempre la serietà e la profonda onestà artistica di questo scrittore. Se anche, come osservava il maggior critico danese Georg Brandes fin dal 1893 (Mensehen und Werke, 547). Hauptmann non appartiene al gruppo dei poeti ricchi d'idee che abbiano da esprimere cose nuove di alta significazione spirituale, e posseggano una concezione personale della vita, ci sono però incontestabilmente in lui doti poco comuni di osservatore, sincerità di sentimento, mobilità di fantasia ed ardore di umana simpatia, che lo rendono particolarmente adatto ad associarsi in modo spontanee ad Pgoi più diverso o com¬ plesso stato della coscienza individuale o collettiva e a dare ad esso efficace espressione lirica e drammatica insieme. Per questo, Brandes fin d'allora lo definiva con frase felico una bella anima («ine schòne Seelè), e l'opera posteriore dell'Hauptmann con¬ ferma nel più alto grado questo giudizio. L'umanità, nell'ampio senso della parola, come vigile senso d'ogni bisogno materiale e morale, come coscienza fraterna dei dolori delle gioie, degli eroismi come delle colpe, delle illusioni e anche delle follìe, è rimasta la sua qualità preminento. Affatto estraneo alle raffinatezze egotistiche del soggettivismo di molti moderni, permeabile anzi ad ogni corrente che gli giunga dalla natura o dalla civiltà, il suo temperamento di artista oggettivo e plastico ha trovato nella forma teatrale la sua espressione preferita. Nella nuova edizione, che ci pone sott'occhi quarantanni di attività creatrice, noveriamo ben 27 componimenti drammatici, senza contare i lavori frammentari, a cominciare dal Por Sonnenaufgang (188S) il primo dramma concepito entro lo schema del più crudo realismo sotto l'influsso dell'A ssomoir di Zola, gli Spettri di Ibsen e la Potenza delle tenebre di Tolstoi, per terminare con Der weisse Heiland e Indù pohdi (1920), l'una bizzarra fantasia drammatica che ha per sfondo l'America dei Conquistadores, l'altra, favola scenica la cui azione si svolge in qualche ignota isola del Pacifico. Esploratore infaticato di tutta la realtà e di tutto il sogno, Hauptmann trasporta le sue personificazioni teatrali in tutti i mondi possibili, e il suo teatro volta a volta naturalistico, simbolico, storico, mitico, fa dramma dell'umanità intera, corpo e spirito, passione e pensiero, storia e mito, vita e sogno. Trae i motivi un po' da per tutto: dall'osservazione diretta del tragico o del comico quotidiano, e il dramma ò allora un pezzo della realtà (einfach ein Staci: Leben in seiner AlitaglieliJceit), tali ad cs. : Collega Crampton, Rosa Berna Michael Kramer, il Vetturale Henschel; ovvero da episodi storici o fatti sociali (Florian Gcyer, i Tessitori), e qui il dramma diventa di massa, la folla, la sua eroina, vi agisce spontaneamente colla sua anima multipla sopra uno sfondo efficacemente riprodotto, tumultua e prorompo alla catastrofe con tragicità suggestiva. Altre volte il poeta attinge alla leggenda pagana o cristiana; al mito classico o quello romantico (der Bogen des Odysscus, die Versùnhene Gloche, der arme Heinrich), ovvero alla novellistica italiana del trecento e del cinquecento, prende al Boccaccio il tema di Griselda, a Sebastiano Erizzo quello dell'Ossario dell'Imperatore Carlo. Sulla sua concezione estetica hanno soprattutto agito tre potenti influssi: il romanzo zollano, la filosofìa di Nietzsche e il dramma di Ibsen ; Zola gli ha dato la formula dell'uomo come prodotto dell'ambiente, come anello della catena specifica, curvo sotto il doppio peso dell'eredità e dell'abitudine, l'uomo-tipo oppresso dal fato biologico e sociale; Zola io ha anche pur troppo predisposto alla scelta del caso patologico, della mostruosità o della degenerazione morale. Ma Nietzsche ha reagito in lui in senso opposto coll'impetuosa affermazione dell'io, l'esaltazione dei valori personali nella vita, l'opposizione energica al suo livellamento naturalistico e sociale. Salutare influsso che ha avuto per effetto di restaurare nell'arto la fede nell'individuo, nel suo libero destino (jeder Mensch ist ein neuer Menseh), di esaltarne la bellezza e la forza al subumano (bète humaine) contrapponendo il sovrumano (Ueber mensch), ancorché poi troppi superuomini nei drammi e nei romanzi, e non tutti di buona lega sieno stati offerti alla nostra ammirazione. Ibsen infine lo ha iniziato alla complicata psicologia dei casi di coscienza, lo ha abilitato alla traduzione dei più ardui problemi morali in simboli scenici di affascinante poesia. Così il suo dramma rimano sospeso tra la presentazione cruda e violenta del fatto e il travestimento lirico d'una vaporosa féerie. Cito ad es. La fuga di Gabriel Schelling che svolge questo tema : qual è l'uomo veramente uomo che non abbia perduto se stesso per unu donna? in un ambiento d'incanto, una isola selvaggia del Baltico sotto un cielo spettrale, simile ad una reliquia di nau fragio quasi inghiottita dalla tempesta; e più ancora L'assunzione di Hannele, dove dando corporeità all'allucinazione della bimba, che muore vittima dello brutalità paterne, il poeta drammatizza il sogno della sua trionfale ascesa al cielo. Il motivo •così moderno dell'incomprensione spirituale dell'artista, del pensatore, e in genere d'ogni creatura d'eccezione, il senso d'isolamento che sorprende l'anima come d'un brivido di gelo, ha trovato la sua più potente espressione nel teatro di Hauptmann; ad esso si inspira il suo capolavoro, l'opera più significativa e più nota, l'unica forse anche che il pubblico italiano abbia conosciuto ed ammirato sulla scena: E'nsame Mensehen (1891), bel titolo, sebbene un pessimista potrebbe obbiettare : vi sono anime che non siano solitarie? E poi il dramma è veramente nella personalità incompresa- di Giovanni Vockerat, che giunge alla coscienza della propria solitudine il giorno che conosce Anna Mahr e non si rende conto che neppur quell'amabile e intelligente ragazza lo potrebbe liberare dall'isolamento, se egli fosse quella profonda natura morale che presume? Gli ò che in realtà Giovanni è un pedante fatuo, un egoista crudele e nevropatico, un debole cha ha velleità e non volontà. La vera eroina diventa dunque Kate, la cui anima di donna di sposa di madre è il centro del dramma, essa è la vera incompresa ne' suoi tesori di bontà di devozione d'intuito, e quindi anche la vittima. Hauptmann non ha mai superato questo vecchio lavoro, che afferra lo spettatore, lo conquista colla Bua freschezza, colla sua traduzione diretta della impressione dalla vita all'arte. Vi sono battute di vera poesia, come quelle di Anna nell'atto del congedo : c Non importa ! Quello che abbiam goduto, l'abbiam goduto e bisogna accontentarsene. Dalle cose ilei passato viene un profumo, un alito, e questo è ancor il meglio della vitali. Meno persuasivo, anzi un po' retorico ci suona l'appello entusiastico all'età nuova, la fresca aura del XX secolo, che già soffia liberatrice in faccia. Ahimè! noi l'abbiamo conosciuto quel soffio, ed è stato un vento di tempesta, un ciclone sterminatore. Oltre al teatro, la nuova edizione raccoglie novelle, poemetti, schizzi di viaggio (Griechiscer Friihlìng, 1907), pensieri e impressioni di vario argomento (Aufzeirh nungen), orose e versi, e per ultimo due {rrossi romanzi. Entamid Quint. il pazzo i" Cristo (1910) che ò stato tradotto iti alcune puntati' della -V ia (19i-4), r'- prende e svolge un motivo già trattato nella novella giovanile L'Apostolo. Come un povero diavolo, il miserabile vagabondo d'un villaggio Blesiano diventa il figliol di Dio? per qual processo di suggestione propria e altrui Emanuele deriso percosso cacciato dai famigliari e compaesani, inizia la sua carriera di profeta, si trasforma in Messia, predica, affascina discepoli, fonda una setta per finire in prigione o al manicomio ? Quint non è impostore nè idiota, in lui la buona fede, la innata onestà, Io spirito immenso di carità vanno congiunti a lucida intelligenza, a buon senso fine e arguto. Eppure è pazzo! a forza di ripetere in sè parole e gesti del divino Maestro, non si distingue più dal suo modello, senza volerlo e caperlo si identifica in esso. Il secondo romanzo A tlantis (1912), se non sbaglio inspirato aDa clamorosa catastrofe del Titanic, è il libro di bordo di Friedrich von Kammar cher nel suo passaggio dal vecchio al nuovo Mondo, al di sopra della gran vasca dell'Atlantico. Un uomo di scienza, un bacteriologo parte, s'imbarca inseguendo il, iapriccio, il vizio forse personificato in una giovane virtuosa della danza, la più effimera delle arti, e ritorna in patria al fianco di un'altra donna, una compagna sicura di lavoro e di vita, artista anch'essa, ma della più salda tra le arti, la statuaria, e tra i due viaggi incontra sul Roland, lo steamer colossale con tutta la sua colonia di formiche umane, il disastro in pieno Oceano ; il piroscafo inabissa là appunto dove si dice sprofondasse la favolosa Atlantide. E il naufragio, irrigidito nel quadro di particolari meccanici, terribile di verità nell'urlo disperato che non trova tra cielo e maro nessun orecchio per raccoglierlo, nella lotta estrema e cannibalesca intorno alle scialuppe, la viltà dei molti, l'eroismo dei pochi, acquista il valore d'un simbolo, ha l'aria d'una profezia sul destino della nostra civiltà riserbata a un inabissamento pauroso. E non meno significativo per noi, che siamo in mezzo alla tempesta quell'ossessione, nei naufraghi superstiti, della terra, d'una terra qualsiasi, d'un solido appoggio nella caduta, nel precipizio senza fondo. ZINO ZINI. Gerhart Haupimann:' Gesàmmelte Werke in '.wòlf Bànden. — S. Fischer, Berlin, 1922.

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