L'avvelenamento fallito

L'avvelenamento fallito L'avvelenamento fallito Le ulltuie edizioni dello oimre. di li. Keller, nccaslonutn dal rerentc cpiiteniirìo. inumo portato a l'.onosr.fiiiza ilei man yiuhl.llro :dcun« novelle scrlufi dal iwla negli ultimi .irmi <U sua. vita a non più ristampalo dopo la prima puhbttcazlon*? In periodici svizzeri. Pur senza avori! la tona e la perfezione delle novelle delle raccolta famose., rivelano nondimeno anch'osso la maavo maestra del sommo Zurighese Cosi questa • Mi&slmiRcno Verginali»» che egei oilrianio al nostri lettori: uno scherzo lit.n • vieitx tcinps », si direbbe alle prime battute, ma che si inostra presto lutto luminoso del tluo riso Seller iano. In un Cantone confinante col no&tro vive uno speziale, che dalla mattina alla sera s'è certi di trovare in mezzo a* suoi barattoli. occupato a preparare pozioni, pillole, unguenti ; un uomo la cui mano alacre sa con mirabile prontezza eseguir ricette, distillare estratti, registrar partite- di merce ed insomma sbrigare le molteplici faconde d'un negozio ; un uomo che non frequenta nessun luogo di divertimento, non tiene società e nemmeno non accetta inviti, che tutto il sauto anno non metto piede al caffè e ce l'ha anzi con chi a sera dopo il lavoro va a bersene un gotto. La sua cara metà attende alla casa, non ha domestica, fa tutto da so : assettare e pulire, far cantare la pentola e la padella, rammendare e sferruzzare tutto è sulle suo spalle ; ed anche lei non va a prendere il tè dalle amiche, non compare in teatri uè in balli, e soltanto si reca ogni settimana all'Ufficio divino col suo degno consorte. Queste virtù perderanno però subito ai nostri occhi molto, Be cercheremo di vedere un po' più da vicino la brava coppia. Il tratto principale del loro carattere è uu'iuvidicsa avarizia. Non, per vero, quell'avarizia volgare, che non si concede mai un buon boccone, preferendo tirar la vita coi denti piuttosto di cavar un soldo dall'arca piena d'oro per comprarsi un pezzo di pan nero; oh non una simile sconcia avarizia, Perchè, anzi, i nostri coniugi sono due ghiottoni, e la loro tavola è bella ogni giorno dei manicaretti più fini, e ogni giorno vellicano i loro palati i vini più squisiti, e nella pipetta di lui olezza il tabacco più fragrante. Ma quando sarebbe (il caso di sovvenire un po' il prossimo, allora il cuore e la casa dello speziale rimangon chiusi; e il povero bisognoso può tirar di lungo, passando davanti la sua porta, perchè non gli verrebbe offerto nemmeno un centesimo. Abbiam detto che lo speziale fa tutto da sé; ma questo per lui, e per la sua moglie anche, è mera necessità ; perchè nessun gar zone, nessuna domestica sa resistere al loro servizio: a malincuore infatti i padroni li vedono consumare lo scarso cibo loro lar gito, per il quale le brodaglie più lunghe ed il pane più stantio devono esser più che sufficienti. Tutta la servitù, quindi, s'era ridotta tempo addietro ad una sola persona, ad un apprendista, un ragazzotto vo race e secco come un chiodo, che aveva già preso il largo due volte, ma era sempre stato riacciuffato, perchè lo legava un con tratto quadriennale. Il ragazzo veniva mes so in laboratorio, nel magazzino e in cuci na, secondo i bisogni, ai lavori più grossi. Gianni, — così si chiamava, — era la voracità in .persona ; e dappertutto dove fi trovasse» qualcosa di commestibile, fosse per saziar_..la famo o fosse semplicemente per stuzzicarsi '! palato, le sue cinque dita erano pronte ad afferrare. Infinite volte già la canna scura verniciata dello speziale gli aveva spianato il groppone, rendendoglielo tutto azzurro e verde di lividi, e ogni giorno gli artigli adunchi della signora spezialessa tracciavano sul viso di lui dei profondi solchi sanguinosi. Ma quelle cortesie non valevano ad imporgli la cavezza della moderazione; i suoi muscoli si contraevauo per desiderio di cibo ogni momento, e se poi, come spesso avveniva, guardando dal buco della serratura, egli scorgeva i suoi avari padroni scuffiarsi qualche delicata pietanza, involontariamente anche le sue mascelle cominciavano ad andare in su e in giù. Ruminare lui doveva sempre, e fosse anche a vuoto. Il suo soggiorno preferito era il magazzino ; laggiù egli, con una avidità e voluttà infinita, leccava, addentava, trangugiava cacao e zucchero, cioccolato, sciroppi, bombons, miele, ecc., — un piacere celeste, che però, quand'era colto sul fatto, la canna verniciata gli faceva amaramente scontare. Aveva allora modo di consolarsi un po' con un'altra leccornia, i celoberrimi Pàthùs pccloral di George, spezialo ad Epinal ; indennizzo questo del quale il tiranno non sospettava ancora l'esistenza. I Pdtés, merce di commissione, erano imballati in una cassa, a cui il nostro eroe aveva tolto il fondo. Strato per strato egli vuotava scrupolosamente una scatola dopo l'altra, ingozzandosi come con pano affettato. Chiamava quel pasto il suo « articolo di compensazione », ma lo faceva assai malvolentieri, non già perchè non ci provasse gusto, bensì perchè ogni volta per arrivare alle scatole doveva superare una terribile tentazione. Sulla cassa eran posati due grandi vasi di vetro bianco, dal collo largo, ben sigillati, che a suo giudizio contenevano delle squisitissime, finissime frutta iu conserva. Sempre, nel tirarli giù, egli sentiva tormentosamente il desiderio di saziarsene; ma le maledette etichette dei vasi lo facevan tremare ed esitare ; gli occhi gli si oscuravano nel leggervi le tremende parole: « Veleno-Sublimato », e nel mirare il teschio ghignante che v'era dipinto sopra. •« Ah! è troppo peccato, che queste meravigliose frutta siano avvelenate », mormorava tra sé nel rimetterle, ad affare finito, al loro pesto. Una mattina — era domenica — mentre appunto stava facendo onore, al suo « articolo di compensazione », udì la voce stridula della signora chiamarlo in cucina. La coscienza sporca gli faceva già sentire ad- idosso gh artigli della Santippe; lo atten- deva invece un tutt'altro sottaccio. Vido |infatti il .suo tiranno vestito d'un bell'abi to color cannella, con guarnizioni azzurre e bottoni di metallo, ed un paio d'attillati calzoni d'anchina, sotto ai quali spuntavano delle calze ili suta bianca e delle scarpe a fibbia; nelle sue mani faceva bella mostra di so la canna verniciala. Accanto a lui stava la civetta di casa in una veste verde lucherino con una grande pellegrina; i suoi artigli non erano però pronti'- all'ab¬ tacco, perchè occupati a scegliere ria una manata di monetino quelle false o fuori coi-òo per regalarne, secondo il solito, lacassetta rielle elemosino dopo il servizio divino. — ■ Gianni, — prese a dire lo speciale, — oggi è il genetliaco della tua indulgente padrona, perciò andiamo ora insieme 'n chiesa u. — ■ E qui, — continuò la spezialessa, — qui c'è lavoro per te, die tu compirai durante la nostra asseusa ». Una spiuta sotto le costole lo indirizzò al focolare, dov'era, infisso nello spiedo, un maialino da latte, che principiava a diffonderò all'intorno un gradevole profumo. — «Ecco qui quel che hai da faro ragazzo mio: continui a girar lo spiedo, ci versi sopra spesso del brodo e attizzi i carboni. Bada che non bruci, altrimenti ti pelo le orecchie a sangue ! ». — « E io poi ti dò il resto, buona lana ! », rinforzò il padrone, facendo fischiar la sua canna sulla testa di Gianni. - « Ti faccio arrostire comò quel porcellino ; siamo intesi eh ! », e cou questa minaccia la pia coppia lasciò la casa. Solo dopo clie la serratura fece udire la seconda mandala e la chiave fu ritirata dalla toppa, ii cuore del nostro povero gira-arrosto si rasserenò. I cari profumi, che, quasi incenso celeste, inebbriavauo le sue nari, finirono coll'acccndere tanta cupidigia nel suo palato, che le sue mascelle ricaddero nell'involonlario movimento masticatorio. Sempre più dorato e sucooleuto diventava il maialino ; centomila minuscole bollicine di grasso simili a perle vere saltellavano e danzavano in giubilo, congiungendosi, scoppiando, rinascendo tutto intorno la liscia superficie ; ed era un crepitare ed uno scricchiolare ed uno sfriggere ed un sibilare conto se collo spiedo girasse tutto un piccolo mondo pieno di vita. Il povero Gianni sedeva là a i;irar 10 spiedo e lavorava di cucchiaio a versar intingolo e attizzava il foco; mentre la pelle del porcellino si stufava in crosta diventando gialla lucida splendente come il difuori d'una pipa di schiuma, egli 3edeva là coll'acquolina in bocca e gli occhi perdutamente fissi sull'arrosto. — < Ha pure 11 diritto ogni cuoco, ogni cuoca d'assaggiare il cibo che sta preparando ! » preso a dirsi. « Perchè non dovrei farlo anch'io un piccolo assaggio? Quel pezzetto di crosta alla coscia laggiù in fondo, che del resto sporge troppo, non sarebbe male. E ;1 fuoco renderà subito quel punto giallo di nuovo e lucente ». Detto fatto; il pezzo di crosta scomparve nel ventre senza fondo di Gianni. Sarebbe un'impresa ridicola voler descrivere l'effetto, che quel boccone produsse sul palato del ragazzo : eccolo cogli occhi lucidi schioccar la lingua, mentre dagli angoli della bocca gli scendono lenti due lucidi rivoletti di grasso. Dopo FA viene il lì, il C, il D e cosi via. Anche al nostro Gianni ormai tutto in solluchero voluttuoso non l'andò diversamente. Già al primo assaggio Satana l'aveva preso per mano o gli andava sussurrando, per far tacere i suoi scrupoli: «Mangiane, povero figlio! Che cos'hai tu nel mondo se non zuppacce acquose con pano muffito ed una schiana tutta lividi? Mai un'ora bella ! Coraggio dunque, ancora un pezzettino di crosta; il fuoco ripara a tutto ; ■ non aver timore, nessuno se n'accorgerà! ». E Gianni, povero diavolo, cadde nella trappola. Il secondo assalto fu più gustoso del primo, ed i successivi ancora migliori, finché tutta la crosta scomparve. il boccone da re furono gli orecchietti del porcellino ;-divorandoli i denti di Gianni scricchiolavano.insieme con tanto gusto da fargli dimenticare ogni cosa': viveva in un tumulto di gaudio, lo spirito stordito cóme tra il sonno e la veglia. Lo più lascive visioni di ghiottoneria danzavano incessantemente davanti a' suoi sensi Gli sembrava ad esempio di trovarsi, ospite, alle nozze Ji Cana e d'ingoiare un intero pasticcio di capponi, mentre il capo-cuoco, vestito d'un frack scarlatto gallonato, era intento coll'aiuto d'altri quattordici sottocuochi a portare appunto davanti a lui un enorme piatto, sul quale si trovava, ritto in piedi, tutto un bue arrostito. E proprio a lui toccava il compito di spolpare quel colosso fino allo scheletro. Perfino immaginò anche d'essere una delle, sette vacche magre egiziane e di trovarsi, scampata alla carestia, in una regione rigogliosissima, dove poteva soddisfare a sazietà la sua tremenda fame. Tra siffatti sogni il porcellino fu divorato tutto quanto. Gianni fece correr l'occhio ancora una volta dalla testa al coccige, per assicurarsi che davvero non ci rimanesse qualche pezzetto dimenticato ; — ma, ahimè! la verifica lo ripiombò d'un lampo nella realtà, perch'egli scorso ad un tratto la piccola coda 'dell'animale rimasta fin'ailorn trascurata, spuntava fuori rigida come un bastono assolutamente simile, benché in misura ridotta, all'Imperativo verniciato del suo padrone. Il pasticcio di capponi, il bue arrostito, la rigogliosissima regione eran dileguati ; ora egli vedeva soltanto più il brutto scheletro del maialino divorato, il quale pareva dirgli sogghignando: « Amico, adesso verrai tu al mio posto, qu' sullo spiedo! Era troppo per il povero Gianni ; la. fantasia gli dipingeva certissimo c inevitabile il suo destino: lo speziale l'avrebbe dapprima mezzo accoppato di busso e po' messo al fuoco infilzato nello spiedo. — « No, questo martirio è troppo spaventoso ! Morire si deve una volta ; ebbene, in nome di Dio, sia ! Preferisco darmi morto improvvisa. Voglio prendere il veleno ! ». E prende i due grossi vasi di vetro, s'accomoda a sedere, li dissigilla o inghiotte le delicatissime frutta. — « Oh, veleno squisito, gran peccato che tu uccida ! » egli esclama, e si rovescia stremato presso il focolare ad attendere la morte. Questa però non vuol saperne di venire ; ed invece la porta di casa stride, ed ecco, simile ad una colonna di sale, il bastone in aria, gli occhi sbarrati, la bocca aperta lo. spezialo, che crede di sognare. Quando il suo sguardo cada su Gianni, questi gli sorride ancora dallo regioni della morto. Infuriato, l'altro vuol afferrarlo alla gola per batterlo come un tamburo, ma Gianni balbetta con voco fio(;a. e Lasci slarC) pacirorje, lasci stare, Ullfco jo ^n presto morlr>i mi avveie_ pennodedesapoe dad'liondmcilaFcsiJslaStdbatadpteozilurimdDmreTfipvsosorrasidgt'drotuddlle. dIg• cddAccidpcspltqsasptbltopsr?VpdecdmcdagCnamspluNrtilpdbacitato! ». — Lo speziale dà un balzo indietro, atterrito: — » Eh? Avvelenato! avvelenato'? Con che cosa poi? » — < Le bello frutta al sublimato, padrone, tutti e due i vasi padrone, tutti e due i vasi!». — «Ti porti via LI diavolo, maledetto manigoldo, anche le frutta hai mangiato! ». E colpo su colpo cadde ìli! groppone di Gianni una fitti gragnuola, finchò, malgrado i eccellente arrosto, c^ii fu lutto pieno di busse. - inmlcdltEndsnanfaszcpcl ,, Stupido che. fui !, — temeva lo speziale, _. io oredevo rU salvare fé mie frutta appiccacandovi su un'eticlieU-i di veleno; e in vece la veracità di questa bestia ha fatto scomrjirire anche ioro ». Pochi minuti dopo vediamo il nostro avvelenato volare, la pelle conciata a modo, fuor della porta di «rasa deilo speziale in nrGqadettMerIeaivvirtù d'un calcio. ben pillici: podcr osissimo coTTr.if-r? il.! ■ s[ | j I [ i ! I I : .

Persone citate: Cana, Keller, Vido

Luoghi citati: Epinal