Ad una svolta

Ad una svolta Ad una svolta Dopo ima lunga stasi, appena, interrotta 'dalla presentazione della prima nota tedesca, la questione della Ruhr c delle riparazioni accenna a modificarsi in taluni dei suoi elementi essenziali. Se tale modi- licazione porterà rapidamente ad una via d'uscita, o se, invece, il suo effetto immediato sarà quello di complicare ed acutizzare il conflitto, non è ancora possibile dire. Importa, tuttavia, fin d'ora, aver ben chiari i nuovi clementi della situazione. La seconda proposta tedesca — presentata nella veste d,i un memorandum complementare alla prima — è ritenuta dal Governo inglese base di discussione per gli Alleati. Questo è il primo fatto nuovo. Il secondo è che il Governo di Poincaré ha fatto significare ufficialmente a Londra (e, supponiamo, a Roma; ma dalla Consulta, secondo il solito, mancano informazioni) che la Francia mette per condizione preliminare ad ogni discussione con gli Alleati l'invito da parte loro alla Germania di accettare tutte quelle esigenze che alla Francia stessa piacerà di formulare in ordine alla cessazione della resistenza tedesca. Terzo fatto: Il Consiglio di Gabinetto britannico ha deciso di non accettare la pregiudiziale francese, e di insistere perche si apra la discussione fra gli Alleati sulla base della nota tedesca, salvo, poi, in un secondo tempo, far passi presso la Germania per la cessazione della resistenza. Questi i fatti. Quale il loro significato politico? Innanzi tutto, il contegno del governo di Poincaré dimostra una volta di più come il problema economico delle riparazioni sia l'ultima delle sue cure. Quello che Poincaré vuole è installarsi definitivamente nella Ruhr, da padrone completo, con l'assenso esplicito dell'Inghilterra, dell'Italia e della stessa Germania. L'occupazione della Ruhr cessa definitivamente di essere « un mezzo di pressione», cessa di essere « un pegno », per divenire una pura e semplice presa di possesso a tempo indefinito. In secondo luogo, Poincaré, mentre tende più che mai allo smembramento effettivo della Germania, mira altresì a procacciarsi una grande vittoria diplomatica sull'Inghilterra, costringendola a sconfessare in pieno tutta la politica seguita fin qui nei riguardi dell'occupazione della Ruhr, e a farsi strumento passivo 'della politica francese. Il Gabinetto di Londra, che ha compreso benissimo il gioco del Quai d'Orsay, rovescia i termini del procedimento pVoposto dalla Francia, e vuole prima la discussione e l'accordo, almeno di base, intorno alle riparazioni, e poi, se mai, la ricerca di una soddisfazione alla Francia nella Ruhr. E" possibile un accostamento e una fusione finale dei due punti di vista attualmente cosi divergenti? Possibile in sè sarebbe, inquantochè, limitando la discussione, in questa prima fase, agli Alleati, e premettendo, all'inizio della discussione con la Germania, l'invito a questa di cessare la resistenza passiva, si soddisferebbero contemporaneamente le due esigenze, inglese e francese, nella loro impostazione diplomatica. Dice, infatti. l'Inghilterra: non intendo invitare la Germania a cedere se prima non ho la sicurezza che la Francia voglia trattare. Dice la Francia: non voglio trattare con la Germania, se questa prima non cessa le sue ostilità nella Rurh. Con un provvedimento come quello da noi accennato — e che risponde, ci sembra, alle intenzioni finali britanniche — si otterrebbe, evidentemente, l'uno e l'altro risultato. Ma le mire francesi vanno, secondo ogni ragionevole presunzione, ben oltre la loro formulazione diplomatica: vanno, ripetiamo, fino alla presa di possesso della Ruhr ed alla umiliazione dell'Inghilterra. E' chiaro che, se il governo Poincaré — o un suo eventuale successore — non abbandona tali mire, l'accordo è impossibile, non essendo certo disposto il popolo britannico a farsi governare dal signor Peretti Della Rocca, segretario generale del Quai d'Orsay, come una Tunisia qualunque. Che cosa si pensa, alla Consulta, di tutto questo? Nonostante tutto il riserbo che ci siamo sempre imposto in questo delicato argomento, dobbiamo oggi dire chiaramente, per senso di responsabilità politica e per doverosa preoccupazione dei più alti interessi nazionali, che la politica, italiana, in riguardo al problema germanico, ha commesso, dal dicembre in poi, una serie di errori. Errore gravissimo fu lo schierarsi, cosi risolutamente ed aspramente, contro il progetto Bonar Law, che poteva non essere perfettissimo, ma costituiva un enorme passo fatto dall'Inghilterra e una ottima base per un componimento generale, mentre lo stesso governo inglese non 10 considerava come letteralmente intangibile. Errore, e danno per il prestigio nazionale, il contegno passivo tenuto dal marchese Della Torretta alla Conferenza di Parigi, quando una sua qualche iniziativa avrebbe potuto offrire il destro a Bonar Law — magari accettando come baso 11 progetto Mussolini — a trar fuori l'Intesa dall'impasse in cui era incappata e in cui rimase. La passività del Della Torretta si risolse in un puro e semplice, e gratuito, appoggio italiano a Poincaré; il che ignoriamo se corrispondesse alle intenzioni di Ror-a, ma fu, comùnque, una deviazione c-o^ale della linea di una politica veramente nazionale. Errore pregiudizievolissimo (e anche qui non sappiamo se commesso, o no, su istruzioni da Roma) quello di'Salvago-Raggi che, votando, col delegato francese e il belga, l'inadempienza tedesca, fornì a Poincaré la base giuridica per la sua applicazione — del resto arbitraria e inammissibile — del famoso paragrafo 18, e cioè per l'occupazione della Ruhr. Errore e contraddizione l'aver partecipato, sia pure solo inizialmente e in forma soltanto economico-tecnica; alla occupazione delia Ruhr medesima, perchè tale atto compromise ed inceppò tutta !a lh nostra politica susseguente, potendo il Quai d'Orsay sostenere di fronte a noi, con qualche apparenza di ragione, che gli atti successivi della Francia nella Ruhr erano la conseguenza dell'atto iniziale che noi avevamo approvato partecipandoci. Errore fu non aver saputo o voluto, nei lunghi mesi intercorsi, assumere min mima pr,m"_ zione netta e risoluta nei riguardi dell'occupazione francese e dei suoi svolgimenti, accennando invece a imboccare qualche viottolo deviatore, su cui, per fortuna, ci si arrestò a tempo. Errore pregiudizievole per il prestigio nazionale fu il non aver fiatato quando la Francia ci osò lo sgarbo di rispondere in tutta fretta per proprio conto alla primo nota tedesca, mentre i' governo inglese manifestò misuratamente, ma fermamente, il suo biasimo per questo procedimento. Errore, infine, nltimo — e speriamo, ultimo definitivo — il consiglio, rivolto dall'on. Mussolini alla Germania nel suo discorso dell'8 corrente, al Senato, per la cessazione della resistenza passiva: consiglio che, venendo proprio all'inizio della nuova fase diplomatica, senza nessuna concessione da parte della Francia e senza nessuna nostra intesa coll'Inghiltcrra, ha avuto per risultato oggi, un gra tu ito servigio alla causa francese — tanto più inopportuno dopo lo sgarbo summenzionato, — una diminuzione della nostra libertà diplomatica, un indebolimento della politica inglese, che è nostro interesse, coadiuvare e rafforzare. Il nostro Governo è àncora in tempo a rimediare a questi errori; ma occorre che non tardi un momento solo a farlo. E la via per rimediare, nello contingenze presenti, non può essere che quella di intendersi con il Gabinetto di Londra per una linea comune di azione.