L'inverno

L'inverno L'inverno Nella mia prima età., quando lo cose mi volevano bene, il calendario era un amico di cucina. Caro alla macaia, coi fogli lunghi e ai margini, sbiroianti, lo suo tonde o mezze lune, le domeniche rosso e i giorni neri — ritrovato fra i lari sugli scorci di ottobre, suggeriva, pel tempo prossimo, una immagine grata. li'anno era qualcosa presso il mondo; una plaga, agli occhi dolla monte vaga, dove il meglio di me stava, quasi assunto in vicenda circolare disciolto il tedio feriale in or olimpo degli eventi cospicui • ed ogni mese ovea figura. Dolco consesso di deità velate, Borono ciclo incorrotto di mia vita più vera ; e a ritrovarsi, anno por cadmlndppidnccvanno, uso beato! Dopo il desorto Luglio, tplacca abbinante, estrema decadenza di ngioia nella città morta - vanire: poi, da Luco settembrina uscendo rinnovellati ecco 0Novembre, alto, ai suoi primi giorni,' eau- I 0stero, come frontone sopra porta di bronzo. I clGiorno de. Santi, sera dei Morti, col rosario ne fe cavagne: incesso alle feste cristiano. : vDeclinava il mese, quasi da un poggio, pei ! dmo* giorni scialbi ■ giorni di scuola, pieni ' rdi segreta crescente attesa, sviata dall'ac- j ucortezza nello opere d uso quale ,1 buon ; ccane dal boccone cho lo tonte. Libro <h let- Uturajegnaya ritorno degli armenti al cliiu-1 teso. Uscir di scuola era battaglia fra compagni, a colpi di cartella, o le bruciato -noi l dolce rientrare, conip annotta, al lume, cnIal caldo al compito ed ai giochi. Gesù bim- j rho, in barba ai santi svignandosela, tra cherubino e maschcretta, qua là trasparendo ai furbeschi amici, aria di gentil frla addensava. Nò Diavol ros.so era nemico. Massoneria d'infanzia, subsfora di folletti Dtcdd) il "Il Ititi i »■• mo discesi dal mondo della luna, tratta sper mano da sbadati grandi, coglievamo ammiccando l'accrescersi dei segni al tempo nostro. Coi primi geli scendevano di villa a recar egna. E forse eguale incanto, non di pari mmaginare, di un guardare più attonito, eguiva al ritorno, sull'alto carro, negli scossoni del ^lormivcglia, l'amico rustico veduto, coi suoi grandi parenti, alla città. Tteta-va legna, e vino nuovo, capnoni vivi, uva passa coA' frutto d'inverno. Giungeva sul carro, fra lo cose buone, confitto in una nicchia gastronomica. Trascurato dai grandi, rimpinzato in cucina di vivando inconsuete, mentre in cortile lo arniche bestie, scalciando a tratti, ruminavano il lento cibo ; solo ma non triste. Attonito Spargeva festuche di paglia e fieno, segnava impronte di rozze scarpe, sapeva di stalla, di buona stalla. Solcando il fragore con l'arcaico passo dei bovi, annunciava ritorno d'Inverno- piccolo re di fiabe sul trono, traente i sommessi elementi, cordiali meteore al gesto della sua bacchetta. Solo alora, disposti in sacclvetti di varia fntreia nei ripostigli, carissimi a furtive visite, i doni propiziatori, riempita di vettovaglie come un fortilizio, fugato l'orrendo deserto estivo, la casa da esilio tornava asilo, e i sogni lieti ad abitarla. Il caro inverno riannodava fila, chiamava a raccolta, in cerchi restrinsrentisi, dai monti ai celli al fumigante piano di fuori porta, esseri cari, coi loro dèmoni, peranco visibili all'infanzia: in qualche algida sera poi sbucanti in frotta dalla stazione, nel turbine dela città ri con sacrata. Vinta dal messaggio campestre, il saggio ritmo naturale esteso fino al centro protorvo, alta pace fascianto tranvai bloccati dalla neve ; uomini intorno, dal faceto riposo tornati bimbi. E ministro, e mercante, arcigno capo sezione, guardia accorrente dal quadrivio, brando levato contro la mitraglia nìvea, a sgominar la guerra dei fanciulli. Prepara vasi vasta favola, complici i giocondi clementi. Quasi fumo filato per comignoli da spersi casolari, cresciuto in via colmando spazi vani, or acro or molle, buona nebbia sviava indaffarati per arguti meandri ; sotto cavi portici imbavagliando lampade benpensanti, su per scale cacciandosi, da fessure soffiando, in fila indiscretissima. Buondì, buondì, spiritelli e vapori. Sul dorso di Calibano la bianca figlia dei cieli suadevit a folli piroette barbe gravi. Tratti per mano deliziato andare, luce d'està morendo dietro, e la giornata tediosa, troppo vissuta o dispiegata. E se di qua, in aloni prestigiosi, splendevano vetrine di giocattoli mistici ; o, al pio uscir dalla Novena, presagi gargantueschi assalivano, con pingui zaffate, da botteghe gastronomicho — a mano manca, esteso ai confini stessi d'infanzia, il bosco, ovo uila il lupo, e Cappuccetto cerea muffe al presepe ; o, casta flora d'inverno, ramoscelli portafortuna, a bacche rosse a perle bianche. Tra i fantasmi familiari awerantisi, vanir di ogni straniero aspetto ; nebbioso rinserrarsi del mondo ai centri cari, ai lumi onde la notte di Natale splende; al caldo buio da cui l'essere viene, e lo vigila al nascere l'intimità. Fiabesca, mia, nel deliziato tipizzar fanciullo, onde la vita era senza confine, pieno le cose d'anima come d'angioli il cielo; e ojrni transito lieto, ed ogni stato incorruttibile, so Natale insinuasse fin nel cuore dei "randi la pace delle favole, la pace nostra. Non tutto quel che seguo migliora quanto precedo, si che talora giov" richiamare ingenui modi, di nascosta sa'rgezza. Fole d'inverno al focolare. I semplici sono presso i bimbi. Vivono nella favola ceevbttfencliddntgsLFrObavcdNsltndticdpngpeIqmgnmGidAfismlqlsNmpsdDSon, come i bimbi, dominati in vista, liberi j In cuore. Talor, pel moudo, ne scorgete ancora. Fra gli schiavi e i padroni, nella canèa lanciata, nella turba senza pace, li digtinpueto, al passo più tranquillo, al volto domenicale. Son gente di presepio, artieri I e villici, con gabban grosso figurette gri- ! rie. Altri sperduti invano fluire, movono | essi fra salde architetture. Movono passi da Natalo, specchio di altri olisi, dallo vie d'Oriente venendo per i tempi uguali e pieni, nella vicenda senza turbamento. Spirano pano dello coso corte. Con erbe e piante e bestie formano il buon mondo di Dio; formano H disegno eletto, l'ordine delle cose in dignità. Son, come fosse il Lupo nella foresta, il Taglialegna nella sua capan■>a, buon Re sul trono. Son Pace e Guerra, Città e Contado, il ritmo delle stagioni distributore dello opere, il trapassare delle età, sereno. Il Soldato, il Mercante, il Frate, il Villico, buon Ladro in agguato. Pace dei tipi. Ci souno possiede la sua essenza, cola il suo frale nel bello usbergo. Ordino tiene il primo tempo umano. Ingenito, stilizzato come gioco di carte, o di tarocchi, finge in accolta arcaica la Corte, o il Regno, o il Mondo. Cono di gerarchia, i el bel Reame cho di qua s'inciela, acooglio in. cerchi sudditi fidenti. Come formiche od api grani recando a lor piccola casa, attendono estsi a grato opere, ondo il tempo si muta, compiendo disogno ascoso, cho c bello servirà Oneste art.ic.ro non fa por pecunia: contento dei suoi gesti, gode il ritmo di una vicenda che i frutti dona, porcile posti oltre sua mira. Mastri di attivi riti, posoro santi a capo dei mestieri. Fabbro intona canzone, corno Hans Sachs battendo tomaia. Pio mercante, china" bottega noi dì di festa, salmodìa coi compari in confraternita. Servetta di gentil dama macesi ai messaggi galeotti, e godo so ravviando la bolla chioma confidenza intenda. Gioia dei semplici è faro con lieto disin- teresso, è servire. Servirò è un modo di co noscero dìo; fu ;t k^to dei santi „ „; L silenzio. ' Han presso l'ozio pio, monaco, 0 camminante, uomo di Dio per li sentieri, 0 „]{ uHimi santi di carità. [ rf d; j_ cliWia> ,wr cui poper;l sj lacof lp divcrs0 noto (]ci concito divino, che comprende voco di boic0) rombo di fucina Co' n do la vita colnc un cantioo ì<3 vii ter rcne andando j ^ r]RÌ b(£ti ffilici in umuUl> fclici in paoe, n pao9 bianca, inno cfin7.a fc iUuo nomo. Pacc ai scmp]ici quel. U ner cui i>amoro nolì e ;ant£ pa<.'0 in terTa ag]j uomiui di buona vo]onla, Vedi casta luce nivale, sui loro passi fiorir festoni di ghiaccioli per lo vie di terra dura. Incedo la favola nel regno della storia. r,alle ^ dai p:orrd r - n v(>]fco dj Dio, la sua letizia. Non più confino fra terra' o cielo, fra vita e morto, fra lavoro c gioia. I sapori, gli odori fatti santi : orto di fraticelli. Il pane dell'apostolo, le vio delia missione. Tutto è oro, e luce; tutto è «..^w-wnw. .i. ...iw w \Ji\rt T> , UUl'W U suono, o canta. Splendono lo oneste case, cielo ride sul popolo felice. Gioia di Cristo e del vecchio Occidente, gioia di Benedetto e di Francesco, gioia di fare, non tetro nirvana. Nei semplici poesia c religione: però beati li dicono gl'inviati divini. La loro attività usa gli oggetti come la luco sfiora la terra: con levità, cordiale distacco passa fra lo cose il buono operaio di Dio La vita e sogno, i gesti sono simbolo, vasto rito è noi modi del creato. Terrestri segni sfansi come lo nuvolo. Esser Pastore, essere Re; lutt'ur.o. Al modo delle favole. Quello che il tempo non sa più capire; quello che, dentro, l'anima rimpiange, paradiso perduto. Così l'Imperatore andava al Monaco nella gentil comunità cristiana. Così pìfctaro e trarre reti, in casto cenacolo mangiare, andare orando fra la gente, por Cristo ed i buoni compagni sullo rivo del Lago era tutt'uno. I semplici sono i figli spodestati dei re. Fu all'età d'oro, quando la favola era storia. Fu quando i re guidavano l'aratro. Oggi impera l'avversa razza dei gnomi. Al bel giorno di Dio, vago di cielo sulla terra, al tempo di domenica, successo è un grigior vasto, pieno di lampi e rombi. Sono i fuochi dei gnomi, per metalli e carbone uscir dall'imo. Sono i fuochi dello opere terreno. Non opero di Dio, compiute in pace, vissute in sogno, ma febbre delle spoglie, sia lucor d'oro, sia gingillo costrutto ad imitare uccello o pesce. Non hanno cuore, nou sanno amare. Non hanno anima, sì dure membra., e un tenace volere. Contenti dall'effimero, disprezzano la favola, idolatri della storia. Son schiavi del successo, e dei superbi strumenti. Son figli della terra. Quando un figlio di Dio appare por sentieri radiosi, o il cielo scende a rinnovar la favola nel mondo, rientrano negli spechi ; per uscirne, duri conquistatori, poi che, vanita quella luce, con la schiera estatica dei semplici, il groggó incerto sta. Incerta pendo la lotta nell'umano. So di qua divina poesia tenti l'affine spirito del mondo, i gliomi hanno la scienza, e la ragione delle apparenze. I re dei gnomi odiano i poeti, che son dell'altra razza, son uomini dell'anima: puro il sereno mediatore Goethe. La plebe eresse templi a grotteschi idoli, Umanità, Progresso, ma i loro savi dicono quel che non sappiam negare. — Ah, non più centri dell'universo, non più figli di Dio, la cara anima, oppressa dallo spazio o dal tempo, sente sò vana nell'immensità. Non seimil'anni, ma milioni e miliardi, quanti gli strati geologici danno, quanti chiedono gli astri pel lento ciclo, ovo la nostra umanità scompare. Il tempo e senza prezzo, il mondo è privo d'anima. Non più una cosa finita e bella, un'armonia mossa dal nostro principio; sì questo, sopraffatto dal cosmo, nei suoi modi meccanici rista. I nostri sogni non son più che sogni. La nostra storia non è più il bel dramma dell'antico e del nuovo Testamento, ma vicenda di cicli troppo eguali. Dalla Cina eterna, dall'Egitto scoperchiato vapora un fiato sepolcrale. Tutto fu detto, tutto fu compiuto, tutto è troppo previsto e ripetuto. Troppa per terra polvere d'imperi. La vecchiezza del mondo ò senza luce. La creazione si .è rappresa : tempo è che riprenda, o cho finisca. Duemil'anni son trascorsi da che l'ultimo Dio comparve. Lanette l'antica parola, o quella "loia ilei nuovi, e quella luce dei Dottori e dei Padri : e la Promessa, dicono, fallì. Non ci son più santi, non ci son più profeti. TI millennio è passato già quasi duo volte. E mondo ha fame e sete di divino. Signore, il mondo senza te si muore. O spuri, figli dell'esilio, o vili gnomi, non lo sentite il peso della storia, non lo sentito il tedio del produrre? la istra cu- tudsfltzzcnmpGcVulcnGpmcmdscvspfisleilsetpnstpGsnmdsIvrsvelldcmddtagadtsqscsmgsdvgtcpfvldpgIisolnvmnt^ceMuemaU j pidipia è così cieca? come nofcete stare alla politica, alle terrene patrie, onde il volpo si macella? Oepni essi son del loro mondo, il mondo copernicano. Bulicame d'uomini scorse polvere d'astri per il cosmo, poi che, I sconcia fecondità corrotto il tipo, la nostra ! effipie non fu più divina. Degni delle pie | bi innumerevoli, sorsero i miti disperan'i , l n. l'uomo atomo vano, l'orrore della morto, la storia senza fine, il nulla nell'universo senza melo; sorso la legge dal lavoro feroce), o il premio : ciondoli e portafogli ; perline colorate e cotonine, negri e scimmie che sono, corruzione di Dio. O decaduto di pentii costume alla gnosi degli schiavi, quanto ti ho odiato, mondo copernicano ! Dal seno dei semplici nasce la seconda razza dei puri: i demiurgi. Gente d'inverno. *** Piangete sul dolore degli effimeri. Se lume punga in ere; uscc' dolce, se pianoforte suoni in ora scura, di' che ' u tocchi note troppo tristi, che non richiami dal passato i canti di quando mamma era fanciulla. • Vorrei baciare i tuoi capelli nerL.. ». FILIPPO CURZIO.

Persone citate: Cristo, Fabbro, Filippo Curzio, Gesù, Goethe, Hans Sachs, Ingenito, Pastore

Luoghi citati: Cina, Egitto, Monaco